Di Fabrizio (del 13/06/2013 @ 09:00:01, in media, visitato 2093 volte)
Rileggevo quanto diceva un Romanichal (uno che non conviene
contraddire): "Sono irlandese d'origine, nato a Manchester, ma non sono
Irlandese o Inglese, sono uno zingaro. Vi dirò cosa rende Traveller: è come
nascere neri. Per me è irrilevante dove vivere: in una casa, un caravan o una
tenda."
Settimana scorsa ero ad una performance artistico-letteraria-teatrale: esecuzioni di brani di Charlie Mingus alternati
alla recitazione della sua biografia, o meglio la ricostruzione cronachistica di
momenti comuni della sua vita privata e d'artista. Spettacolo potente: mentre
sentivo la musica, in testa mi si accavallavano gli accordi del contrabbasso
(che comunque non so suonare!), e la recitazione dava un senso tra disperazione
e grandezza: lacrime, gloria e vanagloria, polvere e ricerca di un dio.
Mingus: un grosso borghese, simile "dentro" a tanti giovani neri
senza arte né parte, magari magri e col berrettino da basket. Quando la tua
voglia di mondo, il suo contemporaneo rifiuto, la fame e l'insoddisfazione
diventano un tratto comune che lega il benestante Mingus al giovane
sottoproletario, forse quella è la cultura.
Parlerò di cultura (FORSE, dipende da qual è il nostro vocabolario mentale):
cosa lega l'artista nero, il cameriere sotto casa mia, quella ragazzina con la
minigonna, il rom che non sa più a quale mondo appartiene? E cos'è
quell'insicurezza che leggi tanto negli occhi di un professionista magari ebreo,
come in quelli di un teppistello da strada, se non il ricordo di un isolamento che
ti porta COMUNQUE, a prescindere, a diffidare?
Cultura che nasce dalla pelle, dallo schiavismo, dal ghetto... Tutte cose che
porti fuori anche quando nel ghetto non ci abiti più e puoi concederti due
settimane all'anno di vacanza come il bianco che ti sei sempre immaginato (che
molti bianchi ormai le vacanze se le sognano, è un particolare irrilevante).
I ghetti fanno pensare ai modi di vivere (la cui immagine speculare sono le
ricorrenti rivolte urbane), tipici degli USA e dei paesi anglosassoni: c'è
posto per tutti, ma per favore ognuno stia per conto suo e si risolva le sue
beghe per conto suo (gli altri, non devono sapere, non devono interessarsene).
Ma i ghetti sono un'invenzione nostra: la testimonianza
più antica resiste a Venezia, col ghetto ebraico. Gli ebrei, da anni ne hanno
valicato i confini, ma i ghetti sono proliferati lo stesso: cosa sono altrimenti
i campi nomadi, o certi quartieri di periferia lasciati da decenni a se stessi?
Non importa che nel nostro immaginario il ghetto debba essere un posto schifoso
(come è in effetti la maggior parte delle volte), o che invece possa "anche"
essere un posto con una sua dignità, con modi di vivere che non trovi altrove.
Il ghetto è comunque il frutto di un isolamento, imposto con le buone o con le
cattive.
Cioè: nel ghetto puoi finirci perché ti viene imposto (i nativi americani), o
puoi capitarci a tua insaputa: ad esempio andando ad abitare in un quartiere di
"bianchi" o inizialmente misto, ma poi i bianchi per varie ragioni, si
trasferiscono altrove e lo spopolano. Allora, per tornare all'attualità NOSTRA,
richiedere case per Rom e Sinti non basta a superare il ghetto, gli esempi sono
GIA' sotto gli occhi.
Però, perché durante quello spettacolo vedevo davanti a me le facce di Mingus e
del resto dello zoo, le note mi risuonavano in mente, riconoscevo una scala
musicale nell'alternarsi di preghiere, bestemmie, bisogni espressi o meno, modi
di dire? E perché, quando sono in un campo nomadi, dovunque sia,
mi sento a
casa?
Ecco: tu (scusa se passo al TU così diretto) il ghetto da fuori lo vedi popolato
da facce preoccupanti, oppure preoccupate (a seconda della tua sensibilità),
comunque conciate male. Messi assieme, non li valuteresti 10 euro... Però, se
provi a considerarle PERSONE, trovi che persino quella vecchia semianalfabeta,
lurida e cenciosa, potrebbe stare ore o ore a raccontarti la storia del mondo,
MA NON VUOLE! Che persino quel ragazzino più bravo col coltello che con la
matita, sa ripeterti ad orecchio tanto Mozart che Puf Daddy, MA NON VUOLE! Tu,
proprio tu così civile ed istruito, vieni escluso da questa cultura!
Il ghetto, non è solo cultura (minoritaria), ma è soprattutto la sua
condivisione, il codice per trasmetterla ai propri simili. La capacità di
"esportarla" o di "preservarla". Vedi (scusa se continuo con il TU), creare
ghetti e confini comporta un gioco strano: alla fine ci si ritrova tutti, anche
noi, in un ghetto; ma se il gioco diventa quello di "escludere il diverso", alla
fine il risultato che non c'è più nessuno con cui comunicare, e anche la più
centenaria della culture, se diventa solo una caratteristica identitaria, è
destinata a sparire.
Difatti noi, i bianchi, finiamo a vivere in ghetti che ci autoimponiamo, ma non
siamo in grado di riprodurne la cultura. Le nostre pulsioni, i nostri bisogni,
non ci appartengono, al limite appartengono ai media, che oscillano nello strano
equilibrio tra una perduta identità e mode che assumono dai ghetti altrui.
Se continuiamo ad essere vincenti, è solo perché siamo in tanti, e perché
(questo devo ancora capirlo bene) abbiamo la proprietà dei mezzi d'informazione
- o forse sono loro che ci posseggono.
VICE-betaBy Alon Aviram - Artur Conka fotografa i Rom poveri che ha lasciato
Artur Conka è uno dei
pochi Rom che ha documentato la propria comunità da dietro l'obiettivo.
Originario di Lunik IX (vedi
qui, ndr), una delle più grandi e povere comunità della Slovacchia,
la sua famiglia ha viaggiato attraverso l'Europa, prima di stabilirsi infine in
Bretagna, quando Artur aveva otto anni. Anni dopo, fornito di una laurea in
fotografia, Artur ha rivisitato la sua vecchia casa, per vedere com'era cambiata
la vita di chi era rimasto.
Molte cose si sono rilevate cambiate. Al posto del luogo gioioso che aveva fatto
da sfondo ai suoi anni d'infanzia, Artur ha tyrovato una comunità di 10.000
persone segregate razzialmente, che soffre al 99% di disoccupazione, disagio
diffuso e abuso pervasivo di droghe. Una volta lì, ha girato un
breve
documentario sulla vita quotidiana a Lunik IX, che andrebbe visto.
L'ho chiamato per una chiacchierata.
Ciao, Artur. Dimmi un po' di te.
Sono nato a Lunik IX in Slovacchia, ma la mia famiglia se n'è andata quando
avevo due o tre anni. Abbiamo viaggiato in tutta Europa per un po' e alla fine
siamo arrivati in Inghilterra che avevo otto anni. Anche se ero molto giovane,
ricordo molto di dove son nato. Penso che ciò mi abbia permesso di vedere
chiaramente il modo in cui è cambiato, quando ci sono tornato la prima volta nel
2009.
E cosa è cambiato?
Molto. Mi ricordo che c'era molta tensione razziale, ma al tempo in cui ce ne
andammo - all'inizio degli anni '90 - c'era ancora una specie di integrazione a
Lunik IX tra Rom e Slovacchi. Ora gli Slovacchi se ne sono andati da Lunik IX e
la situazione tra la comunità rom e le altre minoranze è lentamente deteriorata.
Questo a causa della crisi economica, la caduta del comunismo, e la rivoluzione
di velluto che ha avuto luogo dopo la scissione della Cecoslovacchia.
La segregazione sembra aver spinto i Rom in una situazione dove non possono
permettersi il cibo, l'alloggio e altre necessità di base. E' ciò che succede
quando si stigmatizza un popolo, quando lo si taglia dalla società. Senza
un'adeguata istruzione e le altre necessità, la gente non sviluppa le competenze
di cui ha bisogno per sopravvivere nel mondo d'oggi, e tutto ciò alimenta il
pregiudizio e l'odio razziale tra gli Slovacchi. Tornare è stato sicuramente uno
schock.
Il tuo caso è unico, sei uno dei pochi fotografi rom che si impegna nel
suo lavoro con la propria comunità. Questo progetto cambia in qualche modo la
tua prospettiva sui Rom?
Sì, sicuramente. Crescere in un determinato sistema d'istruzione, lavorando in
un altro paese - non importa se è quello da cui provieni - inavvertitamente
cambia il tuo punto di vista. Cambia tutto guardando da dietro l'obiettivo.
Qualcuno guarderà al mio lavoro dicendo che è molto di parte, propagandistico, o
troppo empatico verso la comunità rom. Ma quella per me è la realtà - non puoi
nasconderla o spingerla sotto il tappeto.
Nel tuo documentario hai catturato alcuni
simpatici momenti abbastanza intimi. Come hanno reagito i
residenti di Lunik IX quando li riprendevi?
Quando sono arrivato la prima volta è stato difficile, perché la gente non mi
riconosceva. Quando ho accennato con chi ero imparentato, mi hanno mostrato
rispetto, specialmente perché ero nato lì. E la generazione più vecchia
conosceva mia madre e mio padre. Il film comprende anche alcuni membri della mia
famiglia. Posso garantire che se fossi stato un non-Rom non avrei ottenuto la
stessa apertura. Credo che sarei stato cacciato dalla comunità.
Per te, com'era una tipica giornata a Lunik IX?
Ci arrivai a marzo e si congelava. A Lunik IX non esiste gas o riscaldamento
centralizzato, e l'acqua viene fornita solo due volte al giorno. Questo
significa che la mattina devi prendere dei contenitori per l'acqua da un amico
che ha lavorato nell'idraulica. Poi si esce in cerca di legna o qualsiasi altra
cosa che bruci, da usare come riscaldamento. La legna si usa anche per cucinare.
[...] La gente cerca di trovare un lavoro, ma la segregazione rende la cosa
difficile.
Se vai nella città più vicina, Kosice (la seconda città della Slovacchia)
troverai negozi esclusivi. Poi prendi l'autobus per Lunik IX ed in 20 minuti sei
in un mondo differente. L'odore di fogna e dei rifiuti ti colpisce
immediatamente.
E riguardo alle disposizioni statali, cosa si può fare?
Difficile da dire. Le famiglie ottengono sovvenzioni, come il sostegno al
reddito. D'altra parte, a causa dell'economia e della recessione, i prezzi sono
lievitati. E' dura per una famiglia con quattro bambini sopravvivere per un mese
di soli sussidi, perché il cibo costa molto caro. L'istruzione, le scuole sono
segregate. Slovacchi e Rom non vogliono condividere le stesse classi o i parchi
giochi. E'come tornare ai tempi della segregazione razziale in America. I
non-Rom sono cresciuti con questa paura e l'idea che i Rom siano esseri umani
orribili, e viceversa.
Quindi, data l'enorme quantità di disoccupazione nella comunità ed il
fatto che le sovvenzioni statali non bastano, come sopravvive la gente?
La gente guadagna con la vendita di rottami metallici, furto ed elemosine. O
prendono benefici dal governo. Si vive col minimo indispensabile.
Ci sono problemi di droga?
Sì. C'è un grande problema con la droga. Vivere in condizioni così orribile può
solo portare alle droghe come un tentativo di soluzione. Molti acquirenti sono
bambini - letteralmente di cinque o sei anni. Ho visto bambini e adulti
ubriacarsi assieme.
Immagino che condizioni simili portino anche molte tensioni domestiche.
L'abuso domestico è una questione importante?
Sì, lo è. Stavo filmando in questa casa e il marito della donna è tornato
veramente ubriaco e ha cominciato un diverbio. Ha iniziato a colpirla e
schiaffeggiarla di fronte a me. Inoltre, sembra ci sia parecchio traffico del
sesso in tutta la Slovacchia e in particolare a Lunik IX.
Vengono trafficanti del sesso a Lunik IX?
Sì. E alcuni di loro persuadono le giovani rom ad andare all'estero, con
l'illusione che la vita sarà migliore, così finiscono in schiavitù.
Cosa speri di ottenere con questo progetto?
Devo ritornare qualcosa ed è per questo che ci sto dando da lavorando. Il fatto
è che quando finisci in povertà, pensi che la vita sia così. Non ti rendi conto
che fuori c'è una classe media in espansione. Ho alcuni ricordi molto felici
della mia infanzia, ma ricordo anche le cose brutte. Ricordo mia madre assalita
per motivi razziali. Ricordo che una volta non ci servirono al ristorante, a
causa del colore della pelle. Per queste esperienze sento di dover dare una voce
ai Rom. E per me l'unica via è attraverso la fotografia ed il cinema.
Sempre
tramite Teruzzi, vengo a conoscenza di questa risposta (a Teruzzi, non
a me):
Matteo
Riccardo Speziali(direttore di MBNews online)
Buonasera, se mi posso permettere le direi che semmai era più corretto dire che
Longo ha quel tipo di "ascendenza" e non la giornalista visto che le dice lui
quelle ipotesi di reato verso gli zingari. (E perchè non risponde a Longo
attraverso MBnews con una lettera al giornale, crede che non gliela pubblichi?
Si baglia!)
P.S.
Guardi che tra l'altro usa il logo di MB news in modo improprio. Lo levi,
grazie.
Il logo l'ho tolto (ci mancherebbe una guerra per un logo), poi fate voi...
Comunque, per completezza d'informazione, su Facebook salta fuori anche
questo:
Alessandro Gerosa: Dopo l'articolo in cui strizzavano
l'occhiolino anche troppo esplicitamente ai neofascisti che andavano a ricordare
mussolini a Predappio, la stessa giornalista si esibisce in un articolo in cui
si da spazio a commenti di stampo razzista e xenofobo contro i rom.
Il fatto più preoccupante? Che le venga ancora dato spazio per scrivere.
Di Fabrizio (del 29/06/2013 @ 09:06:47, in media, visitato 1628 volte)
Pensavo qualche sera fa: se io fossi un qualche "zingaro", in Italia starei
molto attento a dichiararmi. Perché, un qualsiasi autoctono
(vicino di casa, collega di lavoro, ecc.), magari simpatico, magari aperto e
democratico, se va bene mi guarderebbe strano, altrimenti si sentirebbe
autorizzato a chiamare la polizia.
E' RAZZISTA quel vicino, quel collega, che è pure simpatico, aperto e
democratico? NON NECESSARIAMENTE. Cioè: è perfettamente logico e normale: se tu
italiano (simpatico, aperto e democratico) vieni educato sin da piccolo agli
zingari che rapiscono bambini, rubano ecc. crescerai con questa convinzione. Non
è razzismo: è una vera e propria SCUOLA.
Sì, lo so che per voi la SCUOLA
significa tutt'altro, ma ragioniamoci qualche volta: continuiamo a ripeterci
(come per consolarci) che contro il razzismo occorre la cultura - NEI FATTI gli
operatori culturali nei secoli sono stati sempre i più strenui difensori del
razzismo.
Però, molti amici (anche loro simpatici, aperti e democratici) continuano a
chiedermi la cosa più importante per loro, già sapendo in cuor loro la risposta:
MA ALLORA, E' VERO CHE GLI
ZINGARI RUBANO? Cosa volete che risponda? CERTO!!! COSA VI ASPETTATE DA CHI VIVE
IN QUELLE CONDIZIONI? CHE FACCIANO GLI OPERATORI DI BORSA?
Ma, sia detto tra noi, il fatto che QUALCUNO DI LORO rubi, non mi ha
mai disturbato più di tanto, ho
buoni amici anche nella loro categoria e ORA non ho neanche più problema a
lasciare a casa loro lo zaino, dimenticarmi qualcosa e poi ritrovarlo
puntualmente; anche il ladro ha un suo onore. Perché IN ITALIA, il problema non
è il rubare, ma saper convivere col furto.
Perché, sia detto tra noi, dopo cinquanta anni e passa che vivo
nella bella penisola, non ho ancora capito se ci sono più indagati nel campo rom
sotto casa o nella passata giunta regionale in Lombardia. E quando sento parlare
male degli stranieri, noto che quando bevo il caffè nei bar gestiti dai cinesi,
mi hanno sempre fatto lo scontrino, altrettanto non posso dire dei miei
conterranei. In Italia, ruba l'antirazzista e ruba il leghista, ruba l'idraulico
e ruba il grande manager. SBAGLIO?
Se torniamo alla SCUOLA di cui accennavo sopra, ci ha inculcato un altra
nozione (una volta erano i media della destra ad occuparsene, ora direi che
destra e sinistra fanno a gara): gli zingari rubano e sono persone sporche,
brutte, che vivono in baracche e roulotte scassate. E il vicino, il collega,
l'amico... per anni e anni si è educato a non vedere i furti dei suoi simili,
delle persone a cui segretamente voleva assomigliare. O credete che
l'aspirazione dell'Italiano medio sia
vivere tra topi e macerie, senza acqua e
soldi? Ecco perché scriveva Gianni Biondillo:
Dio padre onnipotente, padrone delle nostre anime e protettore
dell'Occidente, grazie di avere inventato gli zingari. Popolo inutile, inetto,
nazione di servi, paria dell'umanità. Non ci hanno mai tradito, i nomadi, non ci
hanno mai deluso. (I materiali del killer - Guanda)
Senza zingari, non avremmo NOI l'illusione di crederci migliori di qualcun
altro. Soprattutto, dovremmo chiederci seriamente CHI RUBA? A CHI SI RUBA?
PERCHE' SI RUBA?
PS: è da un po' che ci ragionavo sopra, ma ho riordinato qualche pensiero
dopo
questa segnalazione di Barbara (redattrice di Mahalla,
ndr). Di quella testata mi giunse un'altra segnalazione un mese fa:
Zingari intercettati telefonicamente: "Venite in Italia, tutti rubano!!"
L'articolo è del 2013, ma se fate qualche ricerca, troverete che
l'intercettazione è di un po' di anni fa. Che senso ha riproporla PAROPARO se
non quello a scopo di indottrinamento?
Ma, ma... leggevo recentemente su
Corriere Immigrazione, un articolo di Daniele Barbieri, su come certi errori
(di traduzione, appunto) hanno rischiato di sfociare in tragedia. Stavolta,
nessuna tragedia, però mi viene da chiedermi, quel TUTTI RUBANO
dell'intercettazione di qualche anno fa, non potrebbe essere riferito al
comportamento standard di buona parte dei nostri amati (e onestissimi a prescindere) compatrioti?
Di Fabrizio (del 07/07/2013 @ 09:09:42, in media, visitato 1243 volte)
Nella foto, Paula Baudet Vivanco. Alla sua destra la "nostra" Igiaba
Scego.
30 giugno 2013 | Stefano Galieni
CORRIEREIMMIGRAZIONE
"Fatto" da redattori nati in altri Paesi o comunque di origine straniera. Un
fenomeno poco visibile ma in crescita. Conversazione con Paula Baudet Vivanco.
"Gestire la comunicazione e i suoi strumenti è a mio parere una questione di
importanza strategica per modificare la percezione di noi cittadini di origine
straniera in Italia". Paula Baudet Vivanco è una giornalista nata in Cile. Si è
trasferita in Italia negli anni Ottanta, con i genitori. "Il nostro ruolo in
questo Paese non potrà mai cambiare fino a quando saremo visti solo come i
"muratori" o le "collaboratrici familiari". Dobbiamo puntare anche ad occupare
ruoli diversi nella società per esserne percepiti come una parte integrante e
non relegata", dice. "Per questo abbiamo fatto tante battaglie . I risultati
adesso si cominciano a vedere, e a maggior ragione non ci dobbiamo fermare".
Dopo aver contribuito a far crescere l'esperienza G2 per i cittadini di
"seconda generazione" - termine che in sé meriterebbe una trattazione - Vivanco
si è gettata a capofitto in una professione ardua per tutti ma in cui gli
ostacoli si moltiplicano per chi non è cittadino Ue. Nel 2010 ha contribuito a
creare l'Ansi (associazione nazionale stampa interculturale) di cui è segretaria
nazionale e in cui sono iscritti numerosi professionisti di origine straniera o,
appunto, di seconda generazione. "A questa associazione, nata all'interno della
Fnsi (il sindacato unitario dei giornalisti italiani) e riconosciuta dall'Ordine
dei Giornalisti, siamo arrivati attraverso un percorso complesso. La mia
esperienza nasce nelle "radio comunitarie", altri di noi hanno lavorato in
diverse testate, pochi in quelle a larga diffusione. Ma il punto di partenza era
comune: l'aspirazione ad essere soggetti e non oggetti di informazione. Un
ragionamento che facevamo in un percorso coadiuvato dal Cospe a Firenze e che ci
portò nel 2005 a realizzare una piattaforma tematica, basata
sull'interculturalità. Volevamo visibilità all'interno della categoria: per
questo siamo nati dentro l'Fnsi. Il nostro obiettivo era fornire informazioni
per l'accesso all'ordine, ai cittadini di origine straniera ma anche chiarire la
nostra posizione. Noi non siamo "corrispondenti", ma vogliamo entrare nelle vie
normali di accesso senza discriminazioni, sulla base del lavoro svolto e dei
titoli necessari per poter diventare pubblicisti o giornalisti professionisti.
Ci siamo in parte riusciti attraverso una circolare interna che l'Ordine ha
inviato alle varie sedi regionali, basata a sua volta su una circolare del
ministero della Giustizia del maggio 2005".
Il testo della circolare è chiaro ed è la risposta ad un quesito specifico
presentato in materia: "...Come correttamente ricordato da codesto Consiglio
Nazionale, ai sensi dell'art. 47 del d.p.R. n.394 del 31 agosto 1999 -
Regolamento di Attuazione del Testo Unico sull'Immigrazione di cui al D.Lgs.
n.286/1998 - , specifici visti d'ingresso e permessi di soggiorno... possono
essere rilasciati agli stranieri che hanno conseguito il diploma di laurea
presso una Università italiana, per l'espletamento degli esami di abilitazione
all'esercizio professionale. Il superamento degli esami unitamente
all'adempimento delle altre condizioni richieste dalla legge consente
l'iscrizione negli albi professionali, indipendentemente dal possesso della
cittadinanza italiana". Pertanto, alla luce di tale normativa, non appare
possibile opporre rifiuto basato sulla cittadinanza all'iscrizione all'albo
professionale, in presenza del possesso dei necessari requisiti, e a prescindere
dalle condizioni di reciprocità" (fra Stati).
È stato ed è ancora faticoso far recepire questa circolare agli ordini
regionali. "Ma c'è anche una questione irrisolta che, a nostro avviso, è ancora
più rilevante. La legge sulla stampa 47/48 stabilisce, all'articolo 3, che se
non si è cittadini italiani non si può né divenire direttori responsabili di una
testata né tantomeno registrarne una. Siamo, insomma, giornalisti di serie B. Ce
ne siamo resi conto quando una nostra associata, Domenica Canchano, che aveva
passaporto peruviano e scriveva per il Secolo XIX a Genova, ha provato a
lanciare una testata e le è stato impedito in virtù di tali disposizioni. Ci
siamo allora rivolte all'Unar, perché vorremmo una risposta in merito ad una
discriminazione che va sanata e abbiamo chiesto aiuto all'allora segretario
nazionale dell'Fnsi, Roberto Natale".
Nel nuovo Parlamento sono entrate anche figure come Girgis Sorial e Khalid
Chaouki, giovani ed estremamente motivati a portare avanti questa battaglia
significativa di civiltà, sono interlocutori validi che hanno già permesso
all'Ansi un incontro con il sottosegretario all'editoria. "L'attuale normativa
rappresenta un problema per tutti i cittadini che non appartengono all'Ue e che
aspirano a diventare editori di testate italiane. Si tratta di norme che
inibiscono nuovi sbocchi di mercato. Oggi, ad esempio, è difficile trovare
giornalisti in grado di dirigere testate in cinese, o che si vogliano lanciare
in avventure editoriali multiculturali. Eppure questo tipo di informazione
avrebbe un senso e un seguito. Noi non ci arrendiamo, la nostra Domenica
Canchano è una delle due protagoniste del nuovo cortometraggio di ZaLab Italeñas
e racconta la discriminazione incontrata nel suo percorso per essere
riconosciuta direttrice responsabile di una testata italiana. Adesso sta
provando a realizzare una rivista in Toscana che si chiamerà Prospettive:
vogliamo capire se a Firenze verranno posti ostacoli come sono stati posti a
Genova. E vorrei essere chiara: la nostra idea non è quella di divenire
concorrenziali a prodotti come Corriere Immigrazione, ma di mettere in moto
processi partecipativi e reti di relazioni di cui tutti potremmo far tesoro. Il
caporedattore sarà Karim Metref, un altro giornalista che si sta affermando, per
ora siamo un portale on line dei media multiculturali rivolti alle comunità
straniere, e siamo sostenuti da Open Society".
Paula Baudet Vivanco, dopo le esperienze radiofoniche si è "specializzata"
nelle questioni connesse all'immigrazione, soprattutto per quanto riguarda i
figli di cittadini di origine straniera. Ha collaborato con Migra News e poi con
Metropoli, il coraggioso dorso multietnico di Repubblica. Scrive per Terre di
Mezzo e con altri ha lanciato la campagna Le parole lasciano impronte, per
proporre un linguaggio diverso e più corretto quando si parla o si scrive di
immigrazione.
L'esperienza dell'Ansi è rivolta molto anche ai giornalisti italiani,
soprattutto a quelli che lavorano sulle testate più rilevanti. Giornalisti a cui
offrire formazione per impedire che diventino, anche inconsapevolmente, veicolo
di discriminazione razzista. "Parlando di questi temi è assolutamente necessario
non accontentarsi delle fonti istituzionali. E se si cerca la realtà, si
incontra anche un Paese all'altezza di una società che è cambiata. Se si
investisse per promuovere questo cambiamento si potrebbe andare molto lontano".
"È cresciuta in Italia la parte "reale" dell'immigrazione, quella che più
deve essere rappresentata e, per poterlo fare, occorre che nelle redazioni si
lavori con gli "autoctoni" da colleghi, spalla a spalla".
Di Fabrizio (del 08/07/2013 @ 09:02:25, in media, visitato 1351 volte)
Ancora settimane ricche di spunti dalla Repubblica Ceca:
continuano pestaggi e violenze nel nord, mentre nel sud, a
Budejovice (Boemia) estremisti attaccano un quartiere rom con
pietre e bastoni; attaccata anche la polizia, che poi reagisce. Il senatore
Okamura (il cognome tradisce origini giapponesi) propone di riportare i Rom
cechi (e quelli arrivati da Slovacchia, Ungheria, Ucraina) in India; non è nuovo a provocazioni simili, ho paura che
sentiremo ancora parlare di lui. Infine riporto un articolo che nasce dagli
attacchi a Budejovice. Tutte le segnalazioni arrivano da
Czech_Roma
Frantishek Kostlan Photo: Archiv Romea.cz - Commento: Perché la
frase "aggressore bianco" da fastidio ai lettori?
Prague, 2.7.2013 15:58, (ROMEA)
Frantishek Kostlan, translated by Gwendolyn Albert
Recentemente, in molti articoli pubblicati sui media cechi di ogni tipo,
notiamo la seguente espressione usata sempre più spesso: "aggressore romanì" o
al plurale "aggressori romanì", "aggressori razzisti romanì", "brutale banda
romanì", "romanì violento", "un gruppo di aggressori (romanì, naturalmente)",
"sei aggressori (romanì)". I neonazisti Dufeke Svoboda, che non molto tempo fa
organizzarono a Duchcov una manifestazione contro i Romanì (tutti), usarono lo
slogan "Contro gli aggressori romanì".
Questo è quanto, oltre alla frase "aggressori romanì" che è già di uso comune
eanche quando l'etnia presunta dell'aggressore non ha alcuna attinenza col caso
particolare. L'espressione "aggressori romanì" viene purtroppo adoperata anche
da alcuni scrittori romanì, come in un recente articolo di Patrik Banga (vedi
QUI, ndr).
Non sto difendendo quei crimini che sono stati commessi da gente romanì. Se
qualcuno picchia qualcun altro, deve essere data una punizione adeguata - non ho
dubbio alcuno - non importa chi sia.
La mia preoccupazione è la formulazione della cronaca di questi incidenti.
Quando un autore di nazionalità ceca picchia qualcun altro, non succede mai che
il reporter usa una descrizione più violenta di "autore" o "violento/violenti",
"gruppi che hanno agito", ecc. Tuttavia, quando si presume che l'autore di un
medesimo crimine sia romanì, improvvisamente si adopera il termine "aggressore"
e se le persone coinvolte sono più di una, diventano immediatamente una "banda
di aggressori romanì razzisti".
I commenti online postati sotto gli articoli in cui vengono usati questi
termini, riecheggiano l'odio fatto lievitare da questo tipo di linguaggio.
Possiamo leggere appelli al genocidio dei Rom, al loro omicidio, alla loro
deportazione dalla Repubblica Ceca, per la rinascita dei campi di concentramento
e di sterminio.
E' del tutto comune leggere esclamazioni razziste, come "zingari nelle camere
a gas", "porci neri", "musi neri", ecc. Naturalmente, nessuno è disturbato
da ciò o, per essere più precisi, disturba solo pochi "buonisti" come me - e
soltanto quando qualcuno di noi prende una posizione pubblica contro.
Recentemente, ho usato il termine "aggressore bianco" in un articolo di
risposta alla crescente ondata di "aggressori romanì" riportati da ogni media, e
questo ha disturbato i lettori - soprattutto di nazionalità ceca, ma anche molti
di nazionalità romanì. A volte fa bene reggere uno specchio, cosicché gli altri
possano vedere che le loro azioni, incluso l'accordo o il silenzio, non sono
corrette.
Capisco quei Romanì che si hanno obiettato sul termine "aggressore bianco".
Sono preoccupati perché qualcuno della società maggioritaria potrebbe perdere
l'affetto che avrebbero per il news server Romea.cz o per i Romanì in generale,
vedendo adoperata qui una simile espressione.
Alcuni non amano tutto quanto sia formulato in modo estremo. Altri sono
soltanto prudenti, e dato quanto sta succedendo in questa società, non ne
sono sorpreso.
Naturalmente, come persona coinvolta in questi problemi da oltre 20 anni, so
che ci sarà chi ribatterà che obietterà ai Romanì (in toto) sarà così
indipendentemente da quanto scriviamo io o Romea.cz. Quanti riflettono sulla
questione capirà cosa intendevo usando la frase "aggressore bianco".
Capisco che altri la pensino diversamente. Sarei loro grato se rispettassero
il mio punto di vista, per quanto differente dal loro.
Nell'area
dedicata alla discussione dell'articolo dove avevo usato "aggressore
bianco", sono state postate le seguenti opinioni (alcune da allora sono state
cancellate):
"Aggressore bianco"- se lo scrive uno zingaro non è
razzismo, ma se un ceco scrive "aggressore nero" è razzismo al
terzo grado...
Signor Kostlan, cosa accadrebbe se scrivvessi
"aggressore n...o"? Perché stavolta lei usa quelle parole? In
uno dei suoi articoli lei condannava Nova, Blesk, ecc. ma sta
usando la medesima tattica?Non aggiunga benzina al fuoco...
perché scrive "aggressore bianco", quando condanna
quanti usano "aggressore romanì"?
...quando scrive aggressore bianco, la cosa puzza
davvero.
...Lo girerò alla polizia, che decidano se tutto è stato
ispirato dal diavolo, da un brutto aggressore bianco o da
Marcela...
Ad essere corretti, si dovrebbe scrivere "Aggressore
bianco attacca due passanti neri", giusto?
Potrebbe essere accaduto differentemente. Forse quel
piccolo gruppo ha sopravvalutato la propria forza e la vittima
si è rilevata troppo dotata fisicamente, o non era abbastanza
ubriaca. Scenario molto più probabile dato l'usuale modello di
comportamento dei Rom.
Ma il violento era un aggressore bianco o un drogato???
I cosiddetti politically-correct, i giornalisti sei, non
menzionano l'origine etnica dei colpevoli, ma gli attivisti del
news server Romea basano la loro esistenza sul presunto
razzismo, la "lotta" contro di questo, e soprattutto sul
contributo finanziario statale che ricevono per la loro
attività. Quindi, se un bruto che è ubriaco ed attacca con
violenza due donne, l'informazione che questi sia bianco è
particolarmente importante. Significa che il flusso di denaro
statale verso Romea non si esaurirà ancora.
Per tutti quanti hanno postato questi commenti, vorrei solo citare Nikolai
Vasilievich Gogol: "Non rimproverare lo specchio, se il tuo muso è storto".
Di Fabrizio (del 21/07/2013 @ 09:09:25, in media, visitato 1374 volte)
Pubblicato Martedì, 16 Luglio 2013 14:29
Egregio dottor Ezio Mauro, direttore de La Repubblica
Le chiediamo la cortesia di leggere i commenti dei vostri lettori all'articolo
di Franco Vanni "Sul villaggio abusivo arriva l'Expo: maxi risarcimenti alle
famiglie rom - Infrastrutture Lombarde (con la mediazione del Comune di Milano)
paga fino a 50mila euro per liberare i terreni in via Monte Bisbino: l'area è
occupata da decenni da costruzioni che sono state edificate senza licenza"
apparso sul sito on-line il 16 luglio 2013, perché le sia facile capire come
persino un giornale come il suo favorisce, se non addirittura fomenta, il
pregiudizio e la discriminazione nei confronti delle comunità rom. Le fornisco
delle informazioni che la possono aiutare a capire quanto sia grave e offensivo
il modo con il quale sono state date le notizie in questa occasione.
In primo luogo i terreni sui quali sono state costruite le case sono stati
acquistati nei primi anni 90 - ricorda la guerra in Jugoslavia? - dai rom a
prezzi salati nonostante fossero terreni qualificati come seminativi-irrigui
cioè agricoli. Da qui l'abuso per aver costruito edifici su terreno
inedificabile, abuso peraltro rimasto a lungo tollerato dalle precedenti
amministrazioni.
Dal momento che l'area di via Monte Bisbino è interessata ai lavori Expo sono
iniziate le procedure per l'esproprio dei terreni (non delle case!).
Infrastrutture lombarde negli atti formali per l'esproprio offriva 7€ (sette
euro) per metro quadro di terreno e nessun indennizzo per i beni che insistevano
sui terreni. Si parla di indennizzi di qualche centinaio di euro, dal momento
che pochi terreni sono superiori ai 1000 mq!
In questa situazione la Consulta rom e sinti di Milano ha aperto un confronto
con l'amministrazione e con Infrastrutture lombarde per una soluzione pacifica e
possibilmente positiva per le famiglie coinvolte e destinate a perdere tutto
(tra l'altro questa comunità vede la più alta frequenza scolastica di minori rom
a Milano), trovando la disponibilità di entrambi gli interlocutori. Con
un'azione su più piani: è stata chiesta e ottenuta da Infrastrutture lombarde
una piccola variante al tracciato della nuova strada che ha consentito di
ridurre il numero di terreni da espropriare; è stato verificato che in base al
nuovo PGT i terreni da agricoli passano ad ARU (Area di riqualificazione
urbana), quindi edificabili e quindi gli abusi diventano sanabili; è stato
raggiunto quindi un accordo con Infrastrutture sull'entità del risarcimento in
una misura che consente un decoroso risarcimento a chi perde tutto, non solo il
terreno ma la casa e tutto ciò che vi ha investito in oltre 20 anni; infine per
il gruppo di famiglie più fragili è stata raggiunta un'intesa con
l'amministrazione per una soluzione.
Se fossero state fornite queste informazioni, non molto difficili da ottenere,
non crede lei che forse qualche lettore avrebbe avuto un'occasione in più per
farsi un'opinione non a senso unico? Qual è la differenza tra i manifesti di
Lega e PdL condannati a Pescara per istigazione all'odio, o quelli della Lega
sulla Zingaropoli di Pisapia e questi messaggi, dal momento che entrambi sono
discriminatori e favoriscono il pregiudizio e l'odio antizigano?
Per questa ragione, dal momento che l'effetto di questo modo di fare
informazione è quello che i suoi lettori esprimono con dovizia nei commenti che,
ripeto, la invito a leggere, siamo costretti non solo a chiedere che il suo
giornale almeno completi l'informazione fornita, ma anche a verificare se non
sia il caso di procedere contro il suo giornale per istigazione all'odio
razziale, ragione per la quale ci legge in copia l'avvocato della Consulta.
Cordiali saluti Milano, 16 luglio 2013
Dijana Pavlovic, portavoce della Consulta Rom e Sinti di Milano - tel.
3397608728
Paolo Cagna Ninchi, presidente associazione UPRE ROMA - tel. 3391170311
Di Fabrizio (del 25/07/2013 @ 09:09:12, in media, visitato 1792 volte)
MEDIAROMAI mass media non dovrebbero provocare odio a Bursa
22 luglio - I cittadini questa mattina si sono svegliati questa mattina leggendo
notizie riguardo a tensioni a Bursa (nella regione di Marmara). Secondo quanto
pubblicato "un giovane rom ha ferito una ragazza con un fucile", e la famiglia
di lei ha assaltato l'insediamento rom e dato fuoco ai loro mezzi di trasporto.
I media non sottolineano l'origine etnica dell'altra parte, ma soltanto quella
dei Rom. Anche se enfatizzano che una delle parti in causa è rom, nessuno di
loro è stata chiamato a testimonianza, dando un'informazione
pregiudizievole.
Non abbiamo la possibilità di sapere cos'è realmente accaduto nel quartiere Osmangazi Gueneshtepe
di Bursa, causa il solito modo dei media di fare notizia. Non siamo stati in
grado di contattare chi vive laggiù. Quindi non conosciamo i dettagli
dell'incidente e la sua reale portata. D'altra parte, è lampante che i mass
media vogliano legittimare quanto è accaduto. Vogliono cioè legittimare gli
attacchi alle case rom e l'aver bruciato i loro mezzi di trasporto. Nelle
cronache, incolpano i Rom di rubare e i loro cavalli di sporcare le strade,
usando questi dettagli per giustificare il comportamento di una folla aggressiva
che si può vedere nel loro video. Non c'è tuttavia nessuna ragione per
giustificare un linciaggio.
Quando riceveremo i dettagli sull'incidente, li diffonderemo. A questo punto,
censuriamo le provocazioni e l'approccio unilaterale dei media. Non è
giornalismo usare argomenti che possono portare a gravi tensioni tra cittadini
Rom e non-Rom. Ci auguriamo che che simili discorsi separatisti e provocatori
terminino presto.
Di Fabrizio (del 11/08/2013 @ 09:05:26, in media, visitato 1280 volte)
2 agosto 2013 - di Gabor Czene traduzione dall'ungherese all'inglese su
ROMEDIA FOUNDATION
Fanni Gurbai gioca nel ruolo di centrale nella squadra di pallamano femminile a
Derecske, in seconda divisione. In precedenza aveva giocato nelle giovanili di Debrecen
e si ispirava a Bojana Radulovics e Anita Goerbicz. Anche se spesso i tifosi
locali la contestano per la sua etnia, è sempre stata ben accetta dalle compagne
di squadra. Sinora, la pallamano l'ha aiutata a superare le situazioni di
stallo, però lei ha trovato una nuova passione: il giornalismo.
Vive normalmente a Koeroesszakal, nella regione di Hajdu'-Bihar - un piccolo
villaggio, con alti tassi di povertà - ma adesso stiamo parlando nel giardino di
una pensione a Dunabogdany, non lontano dalla capitale. Fanni Gurbai è una delle
dodici giovani romnià che stanno prendendo parte al media summer camp
Buvero (conchiglia), organizzato da Romedia Foundation.
"Durante le due settimane di formazione, le ragazze - tra i 16 e i 22 anni -
prendono confidenza con le basi del giornalismo, soffermandosi su visuals,
cinematografia, e un uso complessivo di internet," dice Kristof Asbot, regista
televisivo e ora leader del progetto. "Lo scopo non è di farne dei giornalisti
professionisti, ma di stimolare il loro interesse verso la stampa e il mondo dei
media, dando loro le conoscenze che le aiuteranno a navigare nelle piattaforme
dei social media."
Le ragazze provengono da tutto il paese, ma soprattutto da piccoli villaggi.
Alcune delle loro famiglie hanno avuto difficoltà a mandarle, mentre altre sono
state aiutate da organizzazioni civiche locali, altrimenti non avrebbero potuto.
"All'inizio," dice Kristof Asbot, "due delle ragazze erano decisamente
diffidenti e si erano chiuse a riccio. Difficile credere che dopo un paio di
giorni si sarebbero mostrate così aperte e fiduciose."
"Le donne hanno un ruolo speciale nelle comunità rom, ecco perché è così
importante dar voce alle loro opinioni," dice Kata Barsony, organizzatrice e
direttrice esecutiva di Romedia Foundation. In origine avevano pianificato un
evento su larga scala, ma tutte le domande furono respinte. Alla fine, il campus
si è realizzato col sostegno di NED (Assegnazione Nazionale per la Democrazia).
Le apparecchiature tecniche sono state donate dalla Budapest Business School
e dall'Università Corvinus. Le partecipanti hanno l'opportunità di provare in
diversi modi le loro capacità, come con le riprese o conducendo interviste. Più
avanti sul campo gireranno un video su un soggetto di interesse, in varie
località come: Debrecen, Szekesfehervar o Pecs. Programmi simili a Buvero
esistono anche in Germania e in Serbia. Al termine del campus, un gruppo
ristretto verrà scelto per prendere parte allo Youth Media Summit di Belgrado.
Mercedesz Kalo', formatasi nella "Gypsy Row" a Szendroelad, ora studia alla
scuola d'arte di Miskolc: "Mi piace mettermi alla prova e provare nuove cose,
voglio essere una reporter," riassume i suoi progetti futuri. Dice anche: "I Rom
hanno molte più opportunità di studiare di quanto pensiamo. A Szendroelad
abbiamo molti programmi educativi,, soprattutto per bambini socialmente
svantaggiati. Non è per niente facile, ma se si tiene duro, si può lasciare la
povertà alle spalle."
Vivien Szajko', da Pecel, ha solo 16 anni, ma da quattro anni fa parte di un
gruppo teatrale locale. Dicono che ha parecchio talento. E' interessata a fare
cinema, ma soprattutto vuole diventare presentatrice di un canale musicale
televisivo.
Tutti sono entusiasti della loro esperienza a Dunabogdany. Abbiamo chiesto a
Vivien Szajko' di raccontarci cosa non le è piaciuto del campus. Dopo averci
pensato un po', si è lamentata del doversi svegliare presto tutte le mattine, e
che le lezioni obbligatorie iniziassero la mattina alle 7,30.
Hanno chiesto ai leader del campus di poter dormire di più, almeno la
domenica. La mattina è stato concesso a tutti di svegliarsi alle 8.
Occhi di pece, acquattati tra le pagine. Assorti tra immagini e parole del
taccuino che Rebecca Covaciu, 17 anni, custodisce come una reliquia. E' il suo
piccolo tesoro, sopravvissuto agli sgomberi: "Lo tenevo sotto il cuscino assieme
alla Bibbia e, quando ci cacciavano dalle baracche - ricorda l'adolescente Rom,
originaria di Arad - temevo sempre che andasse distrutto". Il diario è ancora
qui, dopo la diaspora dalla Romania in Italia passando per Brasile e Spagna.
Intatto come il suo amore per l'arte: dai primi acquerelli con terra, fior e
fili d'erba al liceo artistico Boccioni. Una favola a lieto fine se non fosse
che, malgrado il successo del libro "L'arcobaleno di Rebecca" (UR Editore,
2012), per la ragazza i problemi non sono finiti. E a settembre, senza un
sostegno economico, rischia di dover abbandonare gli studi a un passo dal
diploma (l'anno scorso, era riuscita a iscriversi grazie a una borsa di studio).
Famiglia numerosa - oltre ai genitori quattro fratelli, una cognata e tre
nipotini - e condizioni di vita precarie ("Viviamo in uno scantinato in viale
Certosa, senza finestre né pavimenti. L'inverno è stato durissimo"). Tutti senza
lavoro, a parte lei che, con i suoi disegni cerca di racimolare i 380 euro di
affitto al mese:
"Li vendo a offerta libera tra Brera, il Duomo e i Navigli", racconta la giovane
pittrice dal tocco espressionista.
Con un trittico su Milano ha anche vinto un concorso: "La mia scuola ha avuto 6
mila euro per gli studenti poveri, io un computer, ma ho dovuto venderlo per
aiutare a casa". Online naviga solo dagli internet point dei nordafricani:
nativa digitale malgrado il divide, non solo tecnologico, con i suoi coetanei.
Già, perché all'inizio i compagni di classe hanno fatto muro:
"Ricordo l'assemblea su di me, non sopportavano che avessi fatto troppe assenze.
Ho provato a spiegare la mia situazione: alcuni hanno capito, altri no. Il
pregiudizio sui Rom, purtroppo, è ancora forte".
L'antidoto di Rebecca sono i suoi disegni: onirici, ma sempre con un sottofondo
di realtà. Svelata dalle rime che li accompagnano:
"La mia vita è come un armadio - annota la 17enne sulle prime pagine del suo
diario - tanto tempo ho vissuto nel buio, poi ho visto una chiave d'oro, ho
aperto la porta e sono uscita".
Quando parla della sua passione, Rebecca si illumina: "Vorrei finire il liceo e
aiutare i bambini poveri e malati". Immagina laboratori di pittura in ospedale e
corsi sui diritti umani. Nella testa, i suoi autori preferiti: Marc Chagall,
Frida Kahlo, Jean-Michel Basquiat. Visionari e un po' sciamani come lei.
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