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Di Fabrizio (del 31/07/2012 @ 09:23:58, in Italia, visitato 1578 volte)

PisaNotizie

Da quasi due settimane sono senza acqua nelle abitazioni le circa quaranta famiglie che vivono nell'ex campeggio della polizia. Solo due fonti attive, con una pressione molto flebile. Le famiglie: "Ci hanno detto che tra poco verranno a sgomberarci". Africa Insieme: "Dove sono i 400mila euro stanziati dalla Regione per questo campo?". L'assessore Ciccone risponde e annuncia querele: "I soldi sono stati destinati a interventi concordati con la Regione"

Quello della Bigattiera è il campo dei bambini. Ne spuntano a gruppi di cinque o sei da dietro i pini, dall'ombra delle costruzioni che sorgono su quello che un tempo era conosciuto come il campeggio della polizia. Il mare è lì a due passi, ma alle dodici non tira un filo d'aria. L'ombra è l'unico rifugio dall'afa, e per per fortuna gli alberi ne offrono in buona quantità.

I bambini della Bigattiera rappresentano la maggioranza dei residenti, quasi una "piccola repubblica" tra il vai e vieni delle loro madri. Sono quasi 90 su una popolazione generale di 120. E considerato che in quel campo vivono circa quaranta famiglie, si ha una media di poco più di due bambini per famiglia. Quasi un'isola d'infanzia, se si considera che la maggior parte di questi sono ultraminorenni.

Chiedono una foto, mostrano l'ultimo arrivato - uno smarrito cucciolo di gatto - circondano con mille richieste i volontari di Africa Insieme che nella mattinata di sabato hanno assistito le famiglie a indire una conferenza stampa, durante la quale hanno raccontato la loro condizione, dopo che da quasi due settimane vivono senza corrente elettrica, in seguito alla scelta da parte dell'Amministrazione di disabilitare la centralina che alimentava il n° 13 della Bigattiera.

Il panorama è presto detto: decine di famiglie private dell’accesso ai servizi minimi. Un paio di piccole fontane, alimentate da un’autoclave che in assenza di elettricità non funziona. Uomini, donne e bambini costretti a fare la fila per lavarsi, utilizzando il filo d’acqua che esce dalla fonte. O ad andare al mare e usare le docce pubbliche.

La luce, come già accennato, non è stata staccata dall’Enel a seguito del mancato pagamento delle bollette, o comunque di qualche inadempienza da parte delle famiglie. L’intervento è stato deciso direttamente dal Comune, che ha voluto in questo modo avviare le operazioni di sgombero dell’insediamento. "Sono venuti qui alcuni giorni fa - racconta Kamil, uno dei capifamiglia che abitano nel campo - c’erano quelli del Comune accompagnati dalle forze dell’ordine. Hanno staccato tutto senza dare alcuna spiegazione. Qualcuno ci ha detto poi che tra poco verranno qui a sgomberare".

Le prime vittime di questa situazione sono proprio i bambini. "Ho tre figli piccoli - racconta una giovane madre - è estate e fa caldo, come facciamo con così poca acqua?". Oltre tutto, in assenza di luce elettrica i rom sono costretti a illuminare le loro baracche con le candele: una situazione molto pericolosa – come fanno notare gli abitanti del campo – perché molte baracche sono di legno, e il verificarsi di un incendio non sarebbe un fatto improbabile.

Non a caso proprio un paio di giorni fa ha preso fuoco un container. Una ragazza del campo ci ha mostrato le pareti annerite della struttu­ra: "Per fortuna avevamo gli estintori, solo per caso non è successa una disgrazia". Le famiglie del campo temono ora uno sgombero. "Continuano a dirci che verranno presto a mandarci via - protestano - ma nessuno ci dice dove andare, nessuno ci propone una soluzione alternativa".

"La Regione - ha spiegato Sergio Bontempelli, presidente dell’associazione Africa Insieme - ha stanziato 400mila euro per risolvere le situazioni più critiche senza ricorrere a sgomberi". I volontari hanno mostrato la delibera della Giunta Regionale n. 1009 del 21-11-2011, dove alla zona pisana viene assegnata quella cifra per prevenire e contrastare le situazioni di emergenza attraverso lo sviluppo di processi di inclusione sociale, con particolare riferimento alle persone presenti nell’area cd. 'Bigattiera' ".

"Ci chiediamo - hanno concluso i volontari di Africa Insieme - che fine abbiano fatto questi soldi. Ci chiediamo anche perché si continuano a fare sgomberi, in contrasto con le politiche della Regione".

La situazione, con tutta evidenza, è di quelle che si presentano di difficile gestione per l'attuale amministrazione. Tanto che, poche ore dopo la conferenza stampa delle famiglie rom alla Bigattiera, giunge la smentita dell'assessore alle politiche sociali e presidente della Società della Salute, Maria Paola Ciccone: "Tutte le persone presenti alla Bigattiera che ne avevano diritto sono state sistemate in alloggi, mentre per altri nuclei sono in corso trattative con altri Comuni della Toscana per il rientro alle condizioni dell'ultimo accordo siglato che prevede la solidarietà fra Comuni nell'accoglienza ai nuclei rom per non gravare in modo sproporzionato solo su alcuni Comuni come quello di Pisa".

In particolare, l'assessore Ciccone, replicando ai rom che accusano il Comune di voler sgomberare il campo senza offrire alternative, ricorda che il "protocollo d'intesa firmato con la Regione Toscana nel 2009 prevede la chiusura degli accampamenti abusivi e gli inserimenti abitativi solo per gli aventi diritto, in regola con leggi" e sottolinea che l'amministrazione, negli ultimi due anni, "ha consegnato alle famiglie rom 26 alloggi comunali di cui 17 appartamenti nuovi appena edificati accogliendo in totale 134 cittadini macedoni".

Riguardo al distacco dell'energia elettrica l'assessore sottolinea che "la fornitura è stata sospesa a seguito di un caso di morte per folgorazione di un giovane macedone per allacci abusivi alla corrente elettrica e per la reiterazione di questa rischiosissima pratica malgrado le diffide dalle autorità competenti" mentre "i servizi idrici sono garantiti e anche i servizi sanitari di base con il supporto della Asl 5 e del volontariato della Pubblica assistenza".

Infine, sull'accusa dei volontari di Africa Insieme di non avere impiegato i 400 mila euro stanziati dalla Regione Toscana, l'assessore annuncia querele: "I soldi erogati sono stati destinati a interventi concordati in sede di cabina di regia regionale".

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Di Fabrizio (del 31/07/2012 @ 09:07:09, in Europa, visitato 1656 volte)

Un Big Mac in salsa "razzista"

Un'agenzia Ansa riferisce di un episodio di razzismo che risale ad alcuni giorni fa. Una signora decide di comprare qualcosa da mangiare a tre bambini rom di 5, 7 e 8 anni, che stanno giocando vicino al McDonald's di Novi Sad, nel nord della Serbia. Un uomo della security del ristorante ferma i tre bambini, un maschietto e due femminucce, sostenendo che non possono entrare. La donna gli fa osservare che i tre bambini sono con lei e che avrebbe pagato personalmente. Ma l'uomo vieta loro categoricamente l'ingresso, tanto che i piccoli rom finiscono per consumare il pasto nel giardino all'aperto. La direzione del ristorante fa sapere di aver avviato un'indagine interna sull'episodio di discriminazione. Il ministro dell'Interno serbo condanna duramente l'episodio affermando che in Serbia non vi è spazio per alcuna forma di discriminazione. Il Consiglio nazionale della minoranza rom parla di ‘atto vergognoso' e chiede una rapida inchiesta da parte delle autorità per punire i responsabili.

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Di Fabrizio (del 30/07/2012 @ 09:17:21, in conflitti, visitato 1682 volte)

Famiglia Cristiana Furono almeno 500 mila i rom vittime della furia nazista. Un tema su cui esiste ancora un vuoto storico, denuncia l'Opera nomadi. La testimonianza di Goffredo Bezzecchi.
Goffredo Bezzecchi, rom originario di Postumia, porta la sua testimonianza.

27/01/2012 Porrajmos, in romanes, significa "devastazione": è il nome con cui rom e sinti ricordano lo sterminio, di cui anche loro sono stati vittime. Le cifre degli storici parlano di almeno 500 mila zingari uccisi, ma per qualcuno si può arrivare al milione. «Su questo tema c'è un enorme vuoto storico», sottolinea Maurizio Pagani, dell'Opera nomadi di Milano, «nessuno finora ha fatto un tentativo di ricostruzione seria e i testimoni diretti ormai sono pochissimi, poiché la vita media di un rom è inferiore rispetto a quella di un italiano».

Tra i sopravvissuti, c'è Goffredo Bezzecchi detto Mirko, rom harvato nato a Postumia di Grotte (Trieste), da madre rom e padre gagio (termine che in lingua romanes indica i non-rom) «sposati regolarmente in chiesa», ci tiene a sottolineare. Era bambino quando il padre partì soldato e non fece più ritorno, non riesce nemmeno a ricordarne il volto. Con la madre si trasferirono dal nonno, un fabbro stimato dai contadini della zona, che in cambio gli davano pane, patate e qualche soldo. «Una sera, uno di loro venne ad avvisarci di scappare, perché quella notte sarebbero venuti a bruciarci la casa. Facemmo appena in tempo: vedemmo la casa in fiamme». Dì lì iniziò una lunga fuga a piedi, fino a Udine, sotto i bombardamenti. «Ricordo le urla di mia madre, che mi nascondeva dietro la sua ampia gonna perché io non vedessi i cadaveri a pezzi. Una volta, hanno preso due dei nostri ragazzi, ci hanno obbligati a scavare una fossa, fuori da un cimitero, li hanno legati col fil di ferro, gli hanno sparato e li hanno buttati dentro. Una notte, io e il mio amico dormivamo sotto un carro, sono arrivati due tedeschi ubriachi e ci hanno sparato. Mia madre ha urlato vedendomi, ma il sangue che schizzava a frotte era del mio amico, che è morto dissanguato la mattina dopo... C'era anche gente che ci aiutava, qualcuno ci dava da dormire nella stalla, a proprio rischio, e ci offriva un po' di polenta».

A Udine, anche Goffredo e la sua famiglia vengono catturati. Finiscono alla Risiera di San Sabba, a Trieste, poi vengono mandati nel campo di Teramo. «Mia zia invece è finita ad Auschwitz. È tornata, dopo la guerra, ma non era più normale; non si poteva parlare di ciò che era successo, perché lei cominciava ad urlare». A Teramo, Goffredo e i suoi vengono rinchiusi in baracche fetide, senza latrine, senza possibilità di lavarsi, senza cibo. «Eravamo pieni di pidocchi, arrivò anche il tifo». Da lì vengono spostati a Lipari, poi in Sicilia. Riescono a scappare, raggiungono Genova e nel frattempo la guerra finisce. «Ci cercavano perché siamo rom. Certo. È come oggi. Non lo dicono, ma è come una malattia: tu, zingaro, sei sempre l'ultimo. Le mie figlie lavorano regolarmente, ma nessuno sa chi sono!».

Giusy Baioni

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Di Fabrizio (del 30/07/2012 @ 09:12:38, in casa, visitato 1623 volte)

Dice l'Alemanno sindaco: «Sono riuscito a convincere le comunità nomadi» di Tor de Cenci «ad andare nei nuovi siti, alla Barbuta e nei nuovi spazi che saranno ...

video e testi di Davide Zaccheo

60 macedoni costretti ad accettare il trasferimento volontario nel campo della Barbuta, con la minaccia di rimanere in mezzo alla strada se non avessero firmato volontariamente. I loro container, di proprietà pubblica e ben mantenuti, invece di essere adoperati per i 300 rom rimasti vengono abbattuti come deterrente per lo sgombero che sta tanto a cuore al "duo monnezza" che purtroppo ancora comanda Roma Capitale. La politica romana sui rom in questa legislatura si conclude come era iniziata: promesse, ricatti e minacce, è ora che vadano a casa e paghino alla giustizia i gravi danni che hanno e stanno provocando.

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Di Fabrizio (del 29/07/2012 @ 09:09:23, in musica e parole, visitato 1731 volte)

 Repubblica

24 LUGLIO 2012 - Si chiama Gang Styler Boys ed è una crew nata nell'insediamento regolare di via Novara a Novara [SIC]. I giovani dell'ormai ex campo rom hanno trovato le parole e il ritmo giusto per raccontare, con un brano rap, cosa significa vivere in un insediamento nomade. Il brano è stato pubblicato in streaming sul sito del giornale di strada Scarp de' tenis. Vita da rap, è questo il titolo del pezzo, parla dei topi e della sporcizia, del desiderio di una vita migliore, dell'ambizione per la fama e la notorietà, desideri legittimi di ogni adolescente. Ora che il campo comunale sta per chiudere - il definitivo smantellamento è annunciato a fine luglio - la canzone è anche il saluto a un periodo della vita raccontato nel libro I ragazzi (e le ragazze) di via Novara. L'avventura educativa in un campo rom di Milano (edizioni In Dialogo), in cui si riassume l'intervento educativo degli operatori della Caritas Ambrosiana nei confronti degli adolescenti divenuti grandi lungo questo vialone alla periferia della città


Ndr: il campo è sì in via Novara, ma a Milano

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Di Fabrizio (del 28/07/2012 @ 09:07:38, in media, visitato 1849 volte)

Dopo il successo di Milanomondo (grazie ancora a tutti gli intervenuti), continua la rassegna (totalmente autoprodotta ed autofinanziata) HAI MAI PROVATO IN VIA IDRO?

Sabato 4 agosto ore 18.00 proiezione in ANTEPRIMA NAZIONALE del film "La canzone di Rebecca" - ore 20.00 Cena - a seguire balkan disco
Comunità Rom Harvati - via Idro 62, Milano

    I colori, le luci, la forza d'animo, il sorriso di Rebecca. La Milano violenta e la Milano accogliente, gli sgomberi, la vita per strada e la conquista di una casa. Partendo da una baracca di periferia per giungere nell'aula di un liceo artistico. Dove proseguirà?
    Ne parliamo, dopo il film, seduti a tavola, con la protagonista Rebecca Covaciu ed il regista Roberto Malini (ricordo che per la cena E' NECESSARIO PRENOTARE)

Ingresso gratuito e proiezione al coperto. Tempo permettendo, si cena all'aperto al Marina Social Rom (in caso di maltempo, in luogo coperto), primi e secondi, contorno, piatti freddi estivi e piatti vegetariani - una bevanda a scelta. Cena SOLO SU PRENOTAZIONE, costo tra i 10 ed i 15 euro (confermare QUI o al 347-717.96.02 le presenze entro giovedì 2 agosto). Grazie e buona serata a tutti!

Evento realizzato con la collaborazione del gruppo EveryOne

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Di Fabrizio (del 27/07/2012 @ 09:10:58, in Europa, visitato 1682 volte)

Da Roma_Daily_News

The Local Negata la pensione alla vedova di un Sinto vittima ad Auschwitz Published: 24 Jul 12 16:03 CET
Romani Rose (a sinistra) ad Auschwitz

E' stata negata la pensione alla vedova di una vittima di Auschwitz, dopo che le autorità avevano consultato i referti medici di 40 anni prima, che dicevano che il suo cattivo stato di salute era dovuto ai due anni passati nei campi nazisti.

[...] A suo marito, che chiameremo soltanto Anton B., fu concessa la pensione di vittima nel 1957, che mantenne senza problemi sino alla morte avvenuta nel 2009. Ma quando la vedova ha chiesto la reversibilità di quei 600 € mensili, le è stato detto che il referto dei dottori nel 1957 era sbagliato, e che ciò annullava futuri psagamenti.

Il caso ha indignato i gruppi rom e sinti tedeschi - 500.000 di loro furono uccisi dai nazisti durante l'Olocausto, ha scritto martedì il giornale taz.

A 67 anni dall'Olocausto, questa è una svolta incredibile ed inaccettabile degli eventi," scrive Romani Rose, capo del Consiglio Centrale dei Sinti e dei Rom Tedeschi, in una lettera ad Hannelore Kraft, premier del Nord Reno-Westfalia.

"Non permetteremo questo degradare le vittime di Auschwitz."

Anton B. aveva 19 anni, quando nel marzo 1943 il capo delle SS Heinrich Himmler diede l'ordine di ammassare tutti i Sinti e i Rom ancora liberi nei territori occupati dalla Germania e deportarli nel famigerato campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau in Polonia.

Scrive il giornale che i dieci tra fratelli e sorelle di Anton, furono tra i 17.000 che lì morirono. Ma un anno dopo, lo stesso Anton venne ritenuto ancora abile al lavoro, dai dottori delle SS, e venne trasferito nel 1944 nel campo di concentramento di Buchenwald, ai lavori forzati in miniera e  poi, alla costruzione dei razzi V2.

Nel 1957, dodici anni dopo, esaminando Anton i dottori confermarono che i due anni passati nei campi nazisti gli avevano direttamente causato danni permanenti tanto al cuore che al sistema nervoso. Sulla base dei risultati degli esami, ad Anton venne garantita una pensione d'invalidità, compensatoria da parte dello stato.

Scrive sempre il giornale che nel 1975, Eva incontrò Anton: lui aveva 51 anni e lei 25. Nonostante la differenza d'età, si innamorarono e poco dopo si sposarono.

Anton morì nel 2009 ad 85 anni, continua il giornale, ed Eva, che allora ne aveva 59, fece richiesta di pensione come vedova , avendo lei diritto a 600 € al mese. Ma la richiesta venne rigettata dal distretto di Düsseldorf, dicendo che avevano studiati i referti medici degli anni '50, decidendo che era stato un errore affermare che le condizioni cardiache di Anton B. fossero un risultato diretto dell'internamento nel campo di concentramento.

Ci sono regole complicate riguardo alle vedove di vittime dello stato nazista, per cui la vittima non solo deve avere sofferto di una malattia derivante direttamente dalla persecuzione, ma questa malattia deve averle portate alla morte. Di solito, scrive il giornale, casi simili portano al rifiuto se la vittima non muore del disturbo stesso, ma stavolta, stranamente, è stata messa in discussione la diagnosi iniziale.

"E' comprensibile che per la vedova del signor B. la decisione sia difficile da accettare," ha detto al giornale un portavoce del dipartimento degli interni del Nord Reno-Westfalia. Ma non c'era "margine di discrezionalità".

Dopo tre anni di lotte con le autorità locali, Eva, che ora ha 62 anni, porterà il suo caso davanti alla Corte distrettuale di Düsseldorf il 7 agosto. La sentenza definitiva è attesa nel mese di settembre.

"Non voglio la carità," ha detto Eva B. al giornale, "voglio giustizia."

The Local/jlb

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Di Fabrizio (del 26/07/2012 @ 09:20:52, in lavoro, visitato 1794 volte)

Da Roma_Daily_News

FOCUS Information agency Comune della Bulgaria invia denaro per salvare raccoglitori rom di frutta dalle condizioni inumane in cui vivono in Svezia - Foto: Биопрограма

20/07/2012 - 40 Rom provenienti dalla città di Tran, sono sopravvissuti in condizioni inumane in Svezia per dieci giorni, ha detto a Focus il sindaco della città, Stanislav Nikolov, che sta cercando di farli tornare in patria.

Sono circa 400 i Bulgari truffati, e 40 di loro arrivano da Tran. Sono andati in la Svezia per la raccolta dei mirtilli, senza nessun contratto di lavoro. Hanno scoperto in seguito la miseria delle condizioni. Sono abbandonati nei prati a vivere in tenda, vengono loro forniti acqua e cibo ogni due giorni, dice il sindaco.

Nove dei 40 Rom sono riusciti a fuggire e raggiungere l'ambasciata bulgara a Stoccolma. [Il sindaco (suppongo, ndr.)] è entrato in contatto con l'ambasciata, che li fornisce di cibo ed acqua, ed ora il comune di Tran sta inviando denaro per riportarli a casa in aereo via Belgrado, e da lì col treno verso Sofia. Aggiunge di non sapere nulla degli altri 31, sempre residenti a Tran.

Secondo l'ambasciata, sono arrivati da loro altri 30 del distretto meridionale di Plovdiv che erano stati ingannati nello stesso modo. L'ambasciatore Svetlan Stoev controllerà cosa sta succedendo. In linea di principio, i Bulgari stanno lavorando illegalmente. Tuttavia, non è ancora il momento, perché i mirtilli sono verdi. E allora stanno frugando nei bidoni della spazzatura, aggiunge, perché non hanno né da mangiare né i soldi per fare ritorno a casa.

Krasimira GEORGIEVA

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Di Fabrizio (del 26/07/2012 @ 09:09:02, in media, visitato 1747 volte)

puntorossoLIBRI

Stiamo assistendo al crescere dell’interesse e dell’attenzione nei confronti dei rom. Forse è proprio una reazione dei "giusti" alle persecuzioni particolarmente accanite di cui sono stati oggetto negli ultimi anni nel nostro paese.

È un fatto che si stiano moltiplicando iniziative per farli conoscere nelle loro caratteristiche genuine, senza la lente deformante del pregiudizio quando non del vero e proprio razzismo.

Ciò non toglie che tuttora sia in Italia che in molti altri paesi europei continuino a scaricarsi su di loro tutte le frustrazioni, le insicurezze e le infelicità della popolazione maggioritaria e vengano usati come capri espiatori nella quotidiana fatica di vivere che si fa sempre più acuta negli attuali scenari della crisi che ci sta tutti travolgendo. Ma la loro debolezza è anche la loro forza: sono capaci sempre di ripartire da zero, dallo zero in cui vengono ricacciati.

Sono stanchi ma non sconfitti. Hanno un allenamento che dura da secoli, nella tenacia della volontà di sopravvivere.

Il 50% di questo popolo è fatto di bambini e ragazzi, questo dà loro la determinazione di guardare al futuro.

Collana: Libri - FMA
Formato: 21x16 cm
Pagine: 123
Prezzo: 10.00 €
Data pubblicazione: luglio 2012

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Di Fabrizio (del 25/07/2012 @ 09:16:48, in Italia, visitato 1845 volte)



SABATO 21 LUGLIO 2012 - "Entrano nella mia roulotte, se lo tirano fuori e mi dicono di succhiarli se non voglio le botte". La prima volta che ha sentito questa storia, Valter Halilovic, mediatore culturale e animatore della comunità rom di Torino, quasi non ci voleva credere. Ma, nel corso delle ultime settimane, le testimonianze di minacce e violenze ai danni di omosessuali e bisessuali all'interno della comunità rom sono diventate più numerose e gravi. Halilovic ha deciso di denunciare la situazione dopo che l'altroieri notte sono stati diagnosticati quattordici giorni di prognosi ad un amico che aveva accompagnato al pronto soccorso: lo avevano ripetutamente colpito in testa con i pugni avvolti in catene di ferro. "E ad altri è andata anche peggio, con un mese di prognosi. Se va avanti così, ci scappa il morto" racconta Halilovic a Il grande colibrì.

La banda di violenti sarebbe composta da ragazzi del campo nomadi "Aeroporto". "Hanno dai 25 ai 32 anni, girano in cinque-sette alla volta, colpiscono membri della comunità sia nel loro campo sia nel campo di via Germagnano". Il gruppo avrebbe iniziato le proprie scorribande violente circa un anno fa, quando uno di loro è uscito dal carcere. Le loro vittime, tutte rom, sono "i più disgraziati, quelli che non possono reagire", racconta ancora il mediatore culturale: tra di loro sembra ci siano anziani, disabili, intere famiglie che vengono malmenate, senza che siano risparmiati né i bambini piccoli né le donne. Halilovic ha raccolto in particolare le testimonianze dirette di tre omosessuali e di un bisessuale.

Uno di questi ragazzi, dopo essere stato più volte picchiato e derubato, dopo che la banda gli ha distrutto l'automobile e l'ha costretto ad abbandonare la casa faticosamente conquistata, è fuggito da Torino e spera di non essere più rintracciato dai suoi aguzzini. Gli altri tre vivono in una situazione angosciosa di costanti angherie. Solo in due, però, hanno sporto denuncia alle autorità: se in un caso il processo non si è ancora aperto, nell'altro il giudice ha vietato ai componenti del gruppo di avvicinarsi alla loro vittima. Ovviamente, purtroppo, il divieto non è stato mai rispettato: "A questi non gliene frega niente delle autorità".

La mancata applicazione delle sentenze penali, tuttavia, spiega solo in parte perché gli altri due ragazzi angariati non abbiano sporto denuncia: i loro timori sono tanti, da quello di vedersi rovinata la reputazione rivelando il proprio orientamento sessuale alla possibilità di ritorsioni contro se stessi o contro le proprie famiglie. E alla mancanza reale o percepita di tutele legali (l'assenza dell'aggravante di omofobia per i reati è spesso sentita dalle vittime come una manifestazione di disinteresse dello stato) si aggiunge il silenzio della propria comunità: "Tutti sanno tutto, persino nelle comunità rom di origini bosniache delle altre città, ma nessuno fa niente. Quelli della banda appartengono a famiglie molto numerose e potenti e la fiducia nello Stato è molto bassa".

La situazione, insomma, è complessa. Per ragioni contestuali, con le forze dell'ordine che, purtroppo, appaiono molto più impegnate negli inumani sgomberi fatti a scopi mediatici ed elettoralistici che in attività di integrazione. E per ragioni interne alla cultura rom, perché, come spiega Halilovic, "la comunità non ti dà nessuno spazio per ribellarti". E allora cosa possono fare queste persone sole, che non sanno più cosa fare e dove andare? Dopo averne parlato con loro, il mediatore culturale ha deciso: "E' tempo di parlare. E abbiamo scelto Il grande colibrì, perché magari gli altri media avrebbero puntato tutto sul sensazionalismo". I rom sanno bene quanto le loro storie, quando finiscono nelle mani di un giornalista, possano essere usate non per risolvere problemi, ma per diffondere paura ed emarginazione...

E invece questa storia è piena di violenza, ma è anche un esempio importante di volontà di non stare più a tacere e di cambiare in meglio il proprio e l'altrui destino, come riconosce anche Paolo Hutter, giornalista e attivista gay da sempre attento anche al contrasto del razzismo: "Valter Halilovic è una figura nuova, che prende parola senza paura contro la violenza e l'omofobia. E' un esempio di come si possono promuovere i diritti all'interno delle minoranze etniche: mantiene salda la solidarietà con la propria comunità, ma non accetta che diventi omertà".

Ora dobbiamo dimostrare tutti che davvero i diritti sono universali, che la loro violazione non può essere intesa come un problema di un gruppo nel quale non ci si riconosce, ma invece ci riguarda tutti personalmente. Hutter è ottimista: "Con le sue strutture comunali, con la sua società civile, con le sue associazioni, Torino saprà rispondere nel migliore dei modi". Coinvolgendo positivamente, si spera, l'intera comunità rom.

Pier - Copyright©2012ilgrandecolibri.com

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