Da quasi due settimane sono senza acqua nelle abitazioni le circa quaranta
famiglie che vivono nell'ex campeggio della polizia. Solo due fonti attive, con
una pressione molto flebile. Le famiglie: "Ci hanno detto che tra poco verranno
a sgomberarci". Africa Insieme: "Dove sono i 400mila euro stanziati dalla
Regione per questo campo?". L'assessore Ciccone risponde e annuncia querele: "I
soldi sono stati destinati a interventi concordati con la Regione"
Quello della Bigattiera è il campo dei bambini. Ne spuntano a gruppi di cinque o
sei da dietro i pini, dall'ombra delle costruzioni che sorgono su quello che un
tempo era conosciuto come il campeggio della polizia. Il mare è lì a due passi,
ma alle dodici non tira un filo d'aria. L'ombra è l'unico rifugio dall'afa, e
per per fortuna gli alberi ne offrono in buona quantità.
I bambini della Bigattiera rappresentano la maggioranza dei residenti, quasi una
"piccola repubblica" tra il vai e vieni delle loro madri. Sono quasi 90 su una
popolazione generale di 120. E considerato che in quel campo vivono circa
quaranta famiglie, si ha una media di poco più di due bambini per famiglia.
Quasi un'isola d'infanzia, se si considera che la maggior parte di questi sono
ultraminorenni.
Chiedono una foto, mostrano l'ultimo arrivato - uno smarrito cucciolo di gatto -
circondano con mille richieste i volontari di Africa Insieme che nella mattinata
di sabato hanno assistito le famiglie a indire una conferenza stampa, durante la
quale hanno raccontato la loro condizione, dopo che da quasi due settimane
vivono senza corrente elettrica, in seguito alla scelta da parte
dell'Amministrazione di disabilitare la centralina che alimentava il n° 13 della
Bigattiera.
Il panorama è presto detto: decine di famiglie private dell’accesso ai servizi
minimi. Un paio di piccole fontane, alimentate da un’autoclave che in assenza di
elettricità non funziona. Uomini, donne e bambini costretti a fare la fila per
lavarsi, utilizzando il filo d’acqua che esce dalla fonte. O ad andare al mare e
usare le docce pubbliche.
La luce, come già accennato, non è stata staccata dall’Enel a seguito del
mancato pagamento delle bollette, o comunque di qualche inadempienza da parte
delle famiglie. L’intervento è stato deciso direttamente dal Comune, che ha
voluto in questo modo avviare le operazioni di sgombero dell’insediamento. "Sono
venuti qui alcuni giorni fa - racconta Kamil, uno dei capifamiglia che abitano
nel campo - c’erano quelli del Comune accompagnati dalle forze dell’ordine.
Hanno staccato tutto senza dare alcuna spiegazione. Qualcuno ci ha detto poi che
tra poco verranno qui a sgomberare".
Le prime vittime di questa situazione sono proprio i bambini. "Ho tre figli
piccoli - racconta una giovane madre - è estate e fa caldo, come facciamo con
così poca acqua?". Oltre tutto, in assenza di luce elettrica i rom sono
costretti a illuminare le loro baracche con le candele: una situazione molto
pericolosa – come fanno notare gli abitanti del campo – perché molte baracche
sono di legno, e il verificarsi di un incendio non sarebbe un fatto
improbabile.
Non a caso proprio un paio di giorni fa ha preso fuoco un container. Una ragazza
del campo ci ha mostrato le pareti annerite della struttura: "Per fortuna
avevamo gli estintori, solo per caso non è successa una disgrazia". Le famiglie
del campo temono ora uno sgombero. "Continuano a dirci che verranno presto a
mandarci via - protestano - ma nessuno ci dice dove andare, nessuno ci propone
una soluzione alternativa".
"La Regione - ha spiegato Sergio Bontempelli, presidente dell’associazione
Africa Insieme - ha stanziato 400mila euro per risolvere le situazioni più
critiche senza ricorrere a sgomberi". I volontari hanno mostrato la delibera
della Giunta Regionale n. 1009 del 21-11-2011, dove alla zona pisana viene
assegnata quella cifra per prevenire e contrastare le situazioni di emergenza
attraverso lo sviluppo di processi di inclusione sociale, con particolare
riferimento alle persone presenti nell’area cd. 'Bigattiera' ".
"Ci chiediamo - hanno concluso i volontari di Africa Insieme - che fine abbiano
fatto questi soldi. Ci chiediamo anche perché si continuano a fare sgomberi, in
contrasto con le politiche della Regione".
La situazione, con tutta evidenza, è di quelle che si presentano di difficile
gestione per l'attuale amministrazione. Tanto che, poche ore dopo la conferenza
stampa delle famiglie rom alla Bigattiera, giunge la smentita dell'assessore
alle politiche sociali e presidente della Società della Salute, Maria Paola
Ciccone: "Tutte le persone presenti alla Bigattiera che ne avevano diritto sono
state sistemate in alloggi, mentre per altri nuclei sono in corso trattative con
altri Comuni della Toscana per il rientro alle condizioni dell'ultimo accordo
siglato che prevede la solidarietà fra Comuni nell'accoglienza ai nuclei rom per
non gravare in modo sproporzionato solo su alcuni Comuni come quello di Pisa".
In particolare, l'assessore Ciccone, replicando ai rom che accusano il Comune di
voler sgomberare il campo senza offrire alternative, ricorda che il "protocollo
d'intesa firmato con la Regione Toscana nel 2009 prevede la chiusura degli
accampamenti abusivi e gli inserimenti abitativi solo per gli aventi diritto, in
regola con leggi" e sottolinea che l'amministrazione, negli ultimi due anni, "ha
consegnato alle famiglie rom 26 alloggi comunali di cui 17 appartamenti nuovi
appena edificati accogliendo in totale 134 cittadini macedoni".
Riguardo al distacco dell'energia elettrica l'assessore sottolinea che "la
fornitura è stata sospesa a seguito di un caso di morte per folgorazione di un
giovane macedone per allacci abusivi alla corrente elettrica e per la
reiterazione di questa rischiosissima pratica malgrado le diffide dalle autorità
competenti" mentre "i servizi idrici sono garantiti e anche i servizi sanitari
di base con il supporto della Asl 5 e del volontariato della Pubblica
assistenza".
Infine, sull'accusa dei volontari di Africa Insieme di non avere impiegato i 400
mila euro stanziati dalla Regione Toscana, l'assessore annuncia querele: "I
soldi erogati sono stati destinati a interventi concordati in sede di cabina di
regia regionale".
Di Fabrizio (del 31/07/2012 @ 09:07:09, in Europa, visitato 1656 volte)
Un Big Mac in salsa "razzista"
Un'agenzia Ansa riferisce di un episodio di razzismo che risale ad alcuni giorni
fa. Una signora decide di comprare qualcosa da mangiare a tre bambini rom di 5,
7 e 8 anni, che stanno giocando vicino al McDonald's di Novi Sad, nel nord della
Serbia. Un uomo della security del ristorante ferma i tre bambini, un
maschietto e due femminucce, sostenendo che non possono entrare. La donna gli fa
osservare che i tre bambini sono con lei e che avrebbe pagato personalmente. Ma
l'uomo vieta loro categoricamente l'ingresso, tanto che i piccoli rom finiscono
per consumare il pasto nel giardino all'aperto. La direzione del ristorante fa
sapere di aver avviato un'indagine interna sull'episodio di discriminazione. Il
ministro dell'Interno serbo condanna duramente l'episodio affermando che in
Serbia non vi è spazio per alcuna forma di discriminazione. Il Consiglio
nazionale della minoranza rom parla di ‘atto vergognoso' e chiede una rapida
inchiesta da parte delle autorità per punire i responsabili.
Di Fabrizio (del 30/07/2012 @ 09:17:21, in conflitti, visitato 1682 volte)
Famiglia CristianaFurono almeno 500 mila i rom vittime della furia nazista.
Un tema su cui esiste ancora un vuoto storico, denuncia l'Opera nomadi. La
testimonianza di Goffredo Bezzecchi. Goffredo Bezzecchi, rom originario di Postumia, porta la sua testimonianza.
27/01/2012 Porrajmos, in romanes, significa "devastazione": è il nome con cui
rom e sinti ricordano lo sterminio, di cui anche loro sono stati vittime. Le
cifre degli storici parlano di almeno 500 mila zingari uccisi, ma per qualcuno
si può arrivare al milione. «Su questo tema c'è un enorme vuoto storico»,
sottolinea Maurizio Pagani, dell'Opera nomadi di Milano, «nessuno finora ha
fatto un tentativo di ricostruzione seria e i testimoni diretti ormai sono
pochissimi, poiché la vita media di un rom è inferiore rispetto a quella di un
italiano».
Tra i sopravvissuti, c'è Goffredo Bezzecchi detto Mirko, rom harvato nato a
Postumia di Grotte (Trieste), da madre rom e padre gagio (termine che in lingua
romanes indica i non-rom) «sposati regolarmente in chiesa», ci tiene a
sottolineare. Era bambino quando il padre partì soldato e non fece più ritorno,
non riesce nemmeno a ricordarne il volto. Con la madre si trasferirono dal
nonno, un fabbro stimato dai contadini della zona, che in cambio gli davano
pane, patate e qualche soldo. «Una sera, uno di loro venne ad avvisarci di
scappare, perché quella notte sarebbero venuti a bruciarci la casa. Facemmo
appena in tempo: vedemmo la casa in fiamme». Dì lì iniziò una lunga fuga a
piedi, fino a Udine, sotto i bombardamenti. «Ricordo le urla di mia madre, che
mi nascondeva dietro la sua ampia gonna perché io non vedessi i cadaveri a
pezzi. Una volta, hanno preso due dei nostri ragazzi, ci hanno obbligati a
scavare una fossa, fuori da un cimitero, li hanno legati col fil di ferro, gli
hanno sparato e li hanno buttati dentro. Una notte, io e il mio amico dormivamo
sotto un carro, sono arrivati due tedeschi ubriachi e ci hanno sparato. Mia
madre ha urlato vedendomi, ma il sangue che schizzava a frotte era del mio
amico, che è morto dissanguato la mattina dopo... C'era anche gente che ci
aiutava, qualcuno ci dava da dormire nella stalla, a proprio rischio, e ci
offriva un po' di polenta».
A Udine, anche Goffredo e la sua famiglia vengono catturati. Finiscono alla
Risiera di San Sabba, a Trieste, poi vengono mandati nel campo di Teramo. «Mia
zia invece è finita ad Auschwitz. È tornata, dopo la guerra, ma non era più
normale; non si poteva parlare di ciò che era successo, perché lei cominciava ad
urlare». A Teramo, Goffredo e i suoi vengono rinchiusi in baracche fetide, senza
latrine, senza possibilità di lavarsi, senza cibo. «Eravamo pieni di pidocchi,
arrivò anche il tifo». Da lì vengono spostati a Lipari, poi in Sicilia. Riescono
a scappare, raggiungono Genova e nel frattempo la guerra finisce. «Ci cercavano
perché siamo rom. Certo. È come oggi. Non lo dicono, ma è come una malattia: tu,
zingaro, sei sempre l'ultimo. Le mie figlie lavorano regolarmente, ma nessuno sa
chi sono!».
60 macedoni costretti ad accettare il trasferimento volontario nel campo della
Barbuta, con la minaccia di rimanere in mezzo alla strada se non avessero
firmato volontariamente. I loro container, di proprietà pubblica e ben
mantenuti, invece di essere adoperati per i 300 rom rimasti vengono abbattuti
come deterrente per lo sgombero che sta tanto a cuore al "duo monnezza" che
purtroppo ancora comanda Roma Capitale. La politica romana sui rom in questa
legislatura si conclude come era iniziata: promesse, ricatti e minacce, è ora
che vadano a casa e paghino alla giustizia i gravi danni che hanno e stanno
provocando.
24 LUGLIO 2012 - Si chiama Gang Styler Boys ed è una crew nata
nell'insediamento regolare di via Novara a Novara [SIC]. I giovani dell'ormai ex
campo rom hanno trovato le parole e il ritmo giusto per raccontare, con un brano
rap, cosa significa vivere in un insediamento nomade. Il brano è stato
pubblicato in streaming sul sito del giornale di strada
Scarp de' tenis. Vita da
rap, è questo il titolo del pezzo, parla dei topi e della sporcizia, del
desiderio di una vita migliore, dell'ambizione per la fama e la notorietà,
desideri legittimi di ogni adolescente. Ora che il campo comunale sta per
chiudere - il definitivo smantellamento è annunciato a fine luglio - la canzone
è anche il saluto a un periodo della vita raccontato nel libro I ragazzi (e le
ragazze) di via Novara. L'avventura educativa in un campo rom di Milano
(edizioni In Dialogo), in cui si riassume l'intervento educativo degli operatori
della Caritas Ambrosiana nei confronti degli adolescenti divenuti grandi lungo
questo vialone alla periferia della città
Di Fabrizio (del 28/07/2012 @ 09:07:38, in media, visitato 1849 volte)
Dopo il successo di
Milanomondo
(grazie ancora a tutti gli intervenuti), continua la rassegna (totalmente
autoprodotta ed autofinanziata)HAI MAI PROVATO IN VIA IDRO?
Sabato 4 agosto ore 18.00 proiezione in ANTEPRIMA NAZIONALE del film "La
canzone di Rebecca" - ore 20.00 Cena - a seguire
balkan disco Comunità Rom Harvati -
via Idro 62, Milano
I colori, le luci, la forza d'animo, il sorriso di Rebecca.
La Milano violenta e la Milano accogliente, gli sgomberi, la
vita per strada e la conquista di una casa. Partendo da
una baracca di periferia per giungere nell'aula di un liceo
artistico. Dove proseguirà?
Ne parliamo, dopo il film, seduti a tavola, con la protagonista
Rebecca Covaciu ed il regista Roberto Malini(ricordo che per la
cena E' NECESSARIO PRENOTARE)
Ingresso gratuito e proiezione al coperto. Tempo
permettendo, si cena all'aperto al
Marina Social Rom (in caso di maltempo, in luogo coperto), primi e
secondi, contorno, piatti freddi estivi e piatti
vegetariani - una bevanda a scelta. Cena SOLO SU PRENOTAZIONE, costo tra i 10 ed i 15 euro (confermare QUI
o al 347-717.96.02 le presenze
entro giovedì 2 agosto). Grazie e buona serata a tutti!
Evento realizzato con la collaborazione del gruppo
EveryOne
The LocalNegata la pensione alla vedova di un Sinto vittima ad Auschwitz
Published: 24 Jul 12 16:03 CET Romani Rose (a sinistra) ad Auschwitz
E' stata negata la pensione alla vedova di una vittima di Auschwitz, dopo
che le autorità avevano consultato i referti medici di 40 anni prima, che
dicevano che il suo cattivo stato di salute era dovuto ai due anni passati nei
campi nazisti.
[...] A suo marito, che chiameremo soltanto Anton B., fu concessa la pensione
di vittima nel 1957, che mantenne senza problemi sino alla morte avvenuta nel
2009. Ma quando la vedova ha chiesto la reversibilità di quei 600 € mensili, le
è stato detto che il referto dei dottori nel 1957 era sbagliato, e che ciò
annullava futuri psagamenti.
Il caso ha indignato i gruppi rom e sinti tedeschi - 500.000 di loro furono
uccisi dai nazisti durante l'Olocausto, ha scritto martedì il giornale taz.
A 67 anni dall'Olocausto, questa è una svolta incredibile ed inaccettabile
degli eventi," scrive Romani Rose, capo del Consiglio Centrale dei Sinti e dei
Rom Tedeschi, in una lettera ad Hannelore Kraft, premier del Nord Reno-Westfalia.
"Non permetteremo questo degradare le vittime di Auschwitz."
Anton B. aveva 19 anni, quando nel marzo 1943 il capo delle SS Heinrich Himmler
diede l'ordine di ammassare tutti i Sinti e i Rom ancora liberi nei territori
occupati dalla Germania e deportarli nel famigerato campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau
in Polonia.
Scrive il giornale che i dieci tra fratelli e sorelle di Anton, furono tra i
17.000 che lì morirono. Ma un anno dopo, lo stesso Anton venne ritenuto ancora
abile al lavoro, dai dottori delle SS, e venne trasferito nel 1944 nel campo di
concentramento di Buchenwald, ai lavori forzati in miniera e poi, alla
costruzione dei razzi V2.
Nel 1957, dodici anni dopo, esaminando Anton i dottori confermarono che i due
anni passati nei campi nazisti gli avevano direttamente causato danni permanenti
tanto al cuore che al sistema nervoso. Sulla base dei risultati degli esami, ad
Anton venne garantita una pensione d'invalidità, compensatoria da parte dello
stato.
Scrive sempre il giornale che nel 1975, Eva incontrò Anton: lui aveva 51 anni
e lei 25. Nonostante la differenza d'età, si innamorarono e poco dopo si
sposarono.
Anton morì nel 2009 ad 85 anni, continua il giornale, ed Eva, che allora ne
aveva 59, fece richiesta di pensione come vedova , avendo lei diritto a 600 € al
mese. Ma la richiesta venne rigettata dal distretto di
Düsseldorf, dicendo che avevano studiati i referti medici degli anni '50,
decidendo che era stato un errore affermare che le condizioni cardiache di Anton
B. fossero un risultato diretto dell'internamento nel campo di concentramento.
Ci sono regole complicate riguardo alle vedove di vittime dello stato
nazista, per cui la vittima non solo deve avere sofferto di una malattia
derivante direttamente dalla persecuzione, ma questa malattia deve averle
portate alla morte. Di solito, scrive il giornale, casi simili portano al
rifiuto se la vittima non muore del disturbo stesso, ma stavolta, stranamente, è
stata messa in discussione la diagnosi iniziale.
"E' comprensibile che per la vedova del signor B. la decisione sia difficile
da accettare," ha detto al giornale un portavoce del dipartimento degli interni
del Nord Reno-Westfalia. Ma non c'era "margine di discrezionalità".
Dopo tre anni di lotte con le autorità locali, Eva, che ora ha 62 anni,
porterà il suo caso davanti alla Corte distrettuale di Düsseldorf il 7 agosto.
La sentenza definitiva è attesa nel mese di settembre.
"Non voglio la carità," ha detto Eva B. al giornale, "voglio giustizia."
FOCUS Information agencyComune della Bulgaria invia denaro per
salvare raccoglitori rom di frutta dalle condizioni inumane in cui vivono in
Svezia - Foto: Биопрограма
20/07/2012 - 40 Rom provenienti dalla città di Tran, sono sopravvissuti in
condizioni inumane in Svezia per dieci giorni, ha detto a Focus
il sindaco della città, Stanislav
Nikolov, che sta cercando di farli tornare in patria.
Sono circa 400 i Bulgari truffati, e 40 di loro arrivano da Tran. Sono andati in
la Svezia per la raccolta dei mirtilli, senza nessun contratto di lavoro. Hanno
scoperto in seguito la miseria delle condizioni. Sono abbandonati nei prati a
vivere in tenda, vengono loro forniti acqua e cibo ogni due giorni, dice il
sindaco.
Nove dei 40 Rom sono riusciti a fuggire e raggiungere l'ambasciata bulgara a
Stoccolma. [Il sindaco (suppongo, ndr.)] è entrato in contatto con
l'ambasciata, che li fornisce di cibo ed acqua, ed ora il comune di Tran sta
inviando denaro per riportarli a casa in aereo via Belgrado, e da lì col treno
verso Sofia. Aggiunge di non sapere nulla degli altri 31, sempre residenti a
Tran.
Secondo l'ambasciata, sono arrivati da loro altri 30 del distretto meridionale
di Plovdiv che erano stati ingannati nello stesso modo. L'ambasciatore Svetlan Stoev
controllerà cosa sta succedendo. In linea di principio, i Bulgari stanno
lavorando illegalmente. Tuttavia, non è ancora il momento, perché i mirtilli
sono verdi. E allora stanno frugando nei bidoni della spazzatura, aggiunge,
perché non hanno né da mangiare né i soldi per fare ritorno a casa.
Stiamo assistendo al crescere dell’interesse e dell’attenzione nei confronti dei
rom. Forse è proprio una reazione dei "giusti" alle persecuzioni particolarmente
accanite di cui sono stati oggetto negli ultimi anni nel nostro paese.
È un fatto che si stiano moltiplicando iniziative per farli conoscere nelle loro
caratteristiche genuine, senza la lente deformante del pregiudizio quando non
del vero e proprio razzismo.
Ciò non toglie che tuttora sia in Italia che in molti altri paesi europei
continuino a scaricarsi su di loro tutte le frustrazioni, le insicurezze e le
infelicità della popolazione maggioritaria e vengano usati come capri espiatori
nella quotidiana fatica di vivere che si fa sempre più acuta negli attuali
scenari della crisi che ci sta tutti travolgendo. Ma la loro debolezza è anche
la loro forza: sono capaci sempre di ripartire da zero, dallo zero in cui
vengono ricacciati.
Sono stanchi ma non sconfitti. Hanno un allenamento che dura da secoli, nella
tenacia della volontà di sopravvivere.
Il 50% di questo popolo è fatto di bambini e ragazzi, questo dà loro la
determinazione di guardare al futuro.
Collana: Libri - FMA
Formato: 21x16 cm
Pagine: 123
Prezzo: 10.00 €
Data pubblicazione: luglio 2012
Di Fabrizio (del 25/07/2012 @ 09:16:48, in Italia, visitato 1845 volte)
SABATO 21 LUGLIO 2012 - "Entrano nella mia roulotte, se lo tirano fuori e mi
dicono di succhiarli se non voglio le botte". La prima volta che ha sentito
questa storia, Valter Halilovic, mediatore culturale e animatore della comunità
rom di Torino, quasi non ci voleva credere. Ma, nel corso delle ultime
settimane, le testimonianze di minacce e violenze ai danni di omosessuali e
bisessuali all'interno della comunità rom sono diventate più numerose e gravi. Halilovic ha deciso di denunciare la situazione dopo che l'altroieri notte sono
stati diagnosticati quattordici giorni di prognosi ad un amico che aveva
accompagnato al pronto soccorso: lo avevano ripetutamente colpito in testa con i
pugni avvolti in catene di ferro. "E ad altri è andata anche peggio, con un mese
di prognosi. Se va avanti così, ci scappa il morto" racconta Halilovic a Il
grande colibrì.
La banda di violenti sarebbe composta da ragazzi del campo nomadi "Aeroporto".
"Hanno dai 25 ai 32 anni, girano in cinque-sette alla volta, colpiscono membri
della comunità sia nel loro campo sia nel campo di via Germagnano". Il gruppo
avrebbe iniziato le proprie scorribande violente circa un anno fa, quando uno di
loro è uscito dal carcere. Le loro vittime, tutte rom, sono "i più disgraziati,
quelli che non possono reagire", racconta ancora il mediatore culturale: tra di
loro sembra ci siano anziani, disabili, intere famiglie che vengono malmenate,
senza che siano risparmiati né i bambini piccoli né le donne. Halilovic ha
raccolto in particolare le testimonianze dirette di tre omosessuali e di un
bisessuale.
Uno di questi ragazzi, dopo essere stato più volte picchiato e derubato, dopo
che la banda gli ha distrutto l'automobile e l'ha costretto ad abbandonare la
casa faticosamente conquistata, è fuggito da Torino e spera di non essere più
rintracciato dai suoi aguzzini. Gli altri tre vivono in una situazione
angosciosa di costanti angherie. Solo in due, però, hanno sporto denuncia alle
autorità: se in un caso il processo non si è ancora aperto, nell'altro il
giudice ha vietato ai componenti del gruppo di avvicinarsi alla loro vittima.
Ovviamente, purtroppo, il divieto non è stato mai rispettato: "A questi non
gliene frega niente delle autorità".
La mancata applicazione delle sentenze penali, tuttavia, spiega solo in parte
perché gli altri due ragazzi angariati non abbiano sporto denuncia: i loro
timori sono tanti, da quello di vedersi rovinata la reputazione rivelando il
proprio orientamento sessuale alla possibilità di ritorsioni contro se stessi o
contro le proprie famiglie. E alla mancanza reale o percepita di tutele legali
(l'assenza dell'aggravante di omofobia per i reati è spesso sentita dalle
vittime come una manifestazione di disinteresse dello stato) si aggiunge il
silenzio della propria comunità: "Tutti sanno tutto, persino nelle comunità rom
di origini bosniache delle altre città, ma nessuno fa niente. Quelli della banda
appartengono a famiglie molto numerose e potenti e la fiducia nello Stato è
molto bassa".
La situazione, insomma, è complessa. Per ragioni contestuali, con le forze
dell'ordine che, purtroppo, appaiono molto più impegnate negli inumani
sgomberi
fatti a scopi mediatici ed elettoralistici che in attività di integrazione. E
per ragioni interne alla cultura rom, perché, come spiega Halilovic, "la
comunità non ti dà nessuno spazio per ribellarti". E allora cosa possono fare
queste persone sole, che non sanno più cosa fare e dove andare? Dopo averne
parlato con loro, il mediatore culturale ha deciso: "E' tempo di parlare. E
abbiamo scelto Il grande colibrì, perché magari gli altri media avrebbero
puntato tutto sul sensazionalismo". I rom sanno bene quanto le loro storie,
quando finiscono nelle mani di un giornalista, possano essere usate non per
risolvere problemi, ma per diffondere paura ed emarginazione...
E invece questa storia è piena di violenza, ma è anche un esempio importante di
volontà di non stare più a tacere e di cambiare in meglio il proprio e l'altrui
destino, come riconosce anche Paolo Hutter, giornalista e attivista gay da
sempre attento anche al contrasto del razzismo: "Valter Halilovic è una figura
nuova, che prende parola senza paura contro la violenza e l'omofobia. E' un
esempio di come si possono promuovere i diritti all'interno delle minoranze
etniche: mantiene salda la solidarietà con la propria comunità, ma non accetta
che diventi omertà".
Ora dobbiamo dimostrare tutti che davvero i diritti sono universali, che la loro
violazione non può essere intesa come un problema di un gruppo nel quale non ci
si riconosce, ma invece ci riguarda tutti personalmente. Hutter è ottimista:
"Con le sue strutture comunali, con la sua società civile, con le sue
associazioni, Torino saprà rispondere nel migliore dei modi". Coinvolgendo
positivamente, si spera, l'intera comunità rom.
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