L'Alexian Group, fondato da Santino Spinelli, in arte Alexian per l'appunto, si è esibito in una performance di musica tradizionale romanì ieri 1 marzo 2014, sul palco dell'auditorium dell'Ex Gil in via Milano. Il concerto è stato organizzato dall'associazione Primo Marzo Molise in occasione della giornata contro il razzismo, come conclusione della manifestazione svoltasi in piazza Municipio. "I rom che sono presenti sul territorio molisano sono arrivati alla fine del 1300; sono qui da oltre 600 anni e in pratica ancora degli illustri sconosciuti".
Campobasso. Costumi tipici dalle tinte chiare e musica allegra dai toni orientali per combattere l'indifferenza, la discriminazione e il pregiudizio. L'Alexian Group, fondato da Santino Spinelli, in arte Alexian per l'appunto, si è esibito in una performance di musica tradizionale romanì ieri 1 marzo 2014, sul palco dell'auditorium dell'Ex Gil in via Milano. Il concerto è stato organizzato dall'Associazione Primo Marzo Molise in occasione della giornata contro il razzismo, come conclusione della manifestazione svoltasi ieri in piazza Municipio.
Alexian è un compositore, cantautore, insegnante, poeta, saggista rom italiano, nonché ambasciatore dell'arte e della cultura romanì che, con il suo gruppo di musicisti, diffonde le tradizioni del suo popolo in tutto il mondo. Alle 20 l'auditorium era già pieno e dopo un breve ringraziamento da parte di Aslan Hikmet uno dei membri dell'Associazione Primo Marzo Molise e la testimonianza di una badante ucraina trapiantata a Campobasso da 12 anni, ha fatto la sua comparsa sul palco Santino Spinelli che ha calorosamente salutato il pubblico augurando salute e fortuna in lingua romanì. "Sono tornato in questa città con immenso piacere - spiega Spinelli - quello di stasera sarà un viaggio nella storia e nella cultura di queste popolazioni che dall'India del Nord, attraverso la Persia, l'Armenia e l'Impero Bizantino, sono arrivati in Abruzzo e in Molise.
I rom che sono presenti sul territorio molisano sono arrivati alla fine del 1300; sono qui da oltre 600 anni e in pratica ancora degli illustri sconosciuti. Non c'è un interesse a conoscere le nostre tradizioni, né tantomeno la lingua - continua Spinelli - anche i più importanti intellettuali plurilaureati non saprebbero recitare una sola poesia in lingua romanì, né citare un solo autore rom o una sua opera; però al giorno d'oggi sembra che tutti sappiano tutto dei rom, tutte verità acquisite attraverso canali non ufficiali: questa non è informazione".
Una cultura, quella dei rom, ancora avvolta nel pregiudizio e nella diffidenza, eppure pregna di tradizioni millenarie, un popolo fiero che come tale cerca di emergere e far valere i propri diritti combattendo gli stereotipi fondati su false piste e manipolazioni. "Rom non è sinonimo di zingaro e noi non arriviamo in Italia come nomadi - spiega Spinelli - ma come migranti, forzati per giunta, esiliati. Il nomadismo è una forma culturale straordinaria, ma si può applicare ai berberi, ai tuareg, ai beduini del deserto che scelgono quel tipo di vita, ma non ai rom. Ebbene questo presunto nomadismo ancora oggi fa danni all'etnia rom perché tutti sono convinti che noi dobbiamo, e vogliamo, vivere nei campi nomadi, che in fondo ci stanno facendo un favore.
In realtà i campi nomadi non sono altro che una forma di segregazione razziale, di apartheid, indegna di un paese civile e nessuno denuncia questo scempio. Ed è chiaro ed evidente che nei ghetti non fiorisce il meglio ma il peggio di un popolo: qualsiasi etnia costretta a vivere solo con se stessa tende a deteriorarsi, è un fatto sociologico non culturale. Gli intellettuali italiani sono stati i primi a combattere per l'abolizione dell'apartheid in Sud Africa, tra i primi a combattere contro la pena di morte, come è possibile che non vedono ciò che sta accadendo sotto i loro occhi? Centinaia di persone, donne, bambini, anziani, privati di ogni diritto, manipolati dalle associazioni di pseudo volontariato, associazioni che si danno all'assistenzialismo più becero per trarre profitto da progetti che tutti pagano.
Tutte queste cose vanno assolutamente denunciate, l'opinione pubblica deve saperle poiché l'opinione pubblica è vittima tanto quanto i rom che sono costretti a vivere nei campi nomadi in condizioni disumane".
Come ho già detto altre volte, non ho televisore e non so se il festival di San
Remo sia già terminato. Mi è giunta voce che quest'anno era dedicato al
cantautorato italiano. Rispetto al passato, ricordo alcune canzoni di 30-40 anni
fa:
Prendi questa mano, zingara
Il cuore è uno zingaro
Ho visto anche gli zingari felici
Due zingari
che, con
evidenti limiti, dovuti anche alla conoscenza di quei periodi, davano
comunque un'immagine positiva degli zingari. Recentemente, non mi ricordo
più chi, diceva che oggi scrivere pezzi simili sarebbe molto più difficile,
perché, crisi dell'industria discografica a parte, è proprio l'argomento che da
allora è diventato impopolare.
Voi, OGGI, sapreste scrivere il testo di una simile canzone?
E' stata una settimana impegnativa, e non ho avuto tempo per le
segnalazioni.
Godetevi il video proposto dall'amico Ceda (@antanas82), dedicato,
da parte mia, a chi crede che la mia musica rom sia solo balcanica, flamenco o
jazz manouche.
Lo Spirito nomade: viaggio nella religiosità dei rom e dei sinti
Con Giorgio Bezzecchi, Graziano Halilovic, Daniele Degli Innocenti, Lucia La
Santina e Viola Della Santa Casa
Ancora uno sguardo di Uomini e Profeti fissato su ciò che è minoritario,
laterale, recessivo nella scala di valori della cultura ufficiale e dei grandi
dibattiti. Nella puntata di oggi ci incamminiamo lungo le strade percorse dallo
Spirito nomade, per entrare nella religiosità che abita i margini, quelli lungo
i quali si spostano e si soffermano le carovane dei rom e dei sinti. Una
religiosità permeabile che accoglie ciò che incontra e lo assorbe, facendone una
devozione semplice e forte, che non ha nulla di esotico, proprio come i campi
nomadi in cui viene vissuta, o per dirla in modo più politicamente corretto, le
microaree. Le microaree come quella dei sinti evangelici del quartiere di San
Basilio, nella periferia di Roma, dove abbiamo incontrato il pastore evangelico
Daniele Degli Innocenti, Lucia La Santina e Viola Della Santa Casa, che parlano
con discrezione e consapevolezza della loro fede, del loro risveglio, della loro
chiesa costruita con le proprie mani, nella quale ci siamo seduti a parlare,
mentre i rumori del vicino raccordo anulare e un pauroso nubifragio rendeva la
periferia romana ancora più livida.
Con gli ospiti in studio, Giorgio Bezzecchi, Graziano Halilovic rom khorakhanè,
ovvero musulmano, arricchiremo di ulteriori tessere il mosaico di
un'appartenenza religiosa mutevole come le terre che attraversa.
Suggerimenti di lettura
L. Narciso, La maschera e il pregiudizio. Storia degli zingari, Melusina 1996
L. Piasere, Un mondo di mondi. Antropologia delle culture rom, L'Ancora del
Mediterraneo 1999
L. Piasere, Italia Romanì, vol I, II, III, Cisu edizioni, 1996, 1999, 2002
A. Luciani, Un popolo senza territorio e senza nazionalismi: gli zingari
dell'Europa orientale, in A. Roccucci, Chiese e culture nell'Est europeo, Ed.
Paoline 2007, pp.275-326
Stojka Ceija, Forse sogno di vivere. Una bambina rom a Bergen-Belsen, Giuntina
2007
Parole Cvava sero po tute
i kerava jek sano ot mori
i taha jek jak kon kasta vasu ti baro nebo
avi ker kon ovla so mutavia kon ovla ovla kon ascovi
me gava palan ladi
me gava palan bura ot croiuti
Poserò la testa sulla tua spalla
e farò
un sogno di mare
e domani un fuoco di legna
perché l'aria azzurra
diventi casa
chi sarà a raccontare
chi sarà
sarà chi rimane
io seguirò questo migrare
seguirò
questa corrente di ali Versi in lingua romanés tratti da Khorakhanè, di Fabrizio De André e Giorgio
Bezzecchi
Musica Minor swing- Django Reinhardt (1910-1953), chitarrista di origine sinti,
ideatore e maggiore esponente storico del Jazz Manouche (Dal cd Retrospective et.
SAGA/038 164-2)
Perché
Quello che leggerete, è già stato pubblicato negli ultimi anni, sul mio blog
Mahalla ed anche da altre parti. Niente di nuovo, se non il tentativo di fare
ordine e cercare il filo del discorso.
Di fatti accaduti 70 anni fa, e che spesso hanno radici più antiche.
Nessuna pretesa di un scrivere un documento storico, solo vorrei vedere allo
specchio questa Memoria. Cercare, attraverso testimonianze di personaggi noti e
altri che non lo sono mai stati, di capire dopo tutto questo tempo come la
memoria può convivere, quanto ci appartiene e quanto invece sia distante.
Fate conto di fare una chiacchierata, seduti ad un tavolo, magari con una
tazza di brodo caldo in mano. Per capirsi, per condividere. Per sapere dove si
può finire. Pagine di canzoni, poesie e qualche riflessione.
La memoria è un lusso, il dialogo una necessità. Quindi, dopo averci pensato un
attimo, ho pensato bene che chiunque potesse scaricare gratis questi appunti.
Sperando che il lettore alla fine mi scriva... una lettera, un pensiero o una
cartolina.
Ringraziamenti
La foto di copertina è di Cristina Simen, e anche quelle del campo di
Rho dopo la demolizione. Le foto del campo di Rho in festa sono di Ivana
Kerecki, sua anche la registrazione del video finale della festa dello
Zecchino d'Oro
Voglio inoltre ringraziare: Doriana Chierici Casadio, Gaia Moretti, Carlo
Stasolla, Luca Bravi, Carlo Berini, Sergio Franzese, Federico Bevilacqua e
Alessandro Morazzini per i contributi e le istruttive e civili discussioni.
Infine, un ringraziamento particolare al Teatro Officina per la
calda ospitalità che mi ha offerto.
Copyright Attribuzione Creative Commons 2.0 Pubblicato il 21 gennaio 2014 Lingua Italiano Pagine 31 Formato del file PDF Dimensioni del file 1.08 MB
Dove ricercheremo noi le corone di fiori
Le musiche dei violini e le fiaccole delle sere
Dove saranno gli ori delle pupille
Le tenebre, le voci - quando traverso il pianto
Discenderanno i cavalieri di grigi mantelli
Sui prati senza colore, accennando. E di noi
Dietro quel trotto senza suono per le valli
D'esilio irrevocabili, seguiranno le immagini.
Ma il più distrutto destino è libertà
Odora eterna la rosa sepolta.
Dove splendeva la nostra fedele letizia
Altri ritroverà le corone di fiori.
Franco Fortini - Foglio di via (Einaudi 1946 - 1980)
Chi era Franco Fortini (la domanda è d'obbligo per i lettori più giovani)? Uno
dei maggiori intellettuali ed operatori culturali italiani della seconda metà
del secolo scorso. Rileggete la sua poesia con un occhio al
testo (in italiano)
di Gelem Gelem, e ditemi se non suonano simili.
Ne avevo già scritto
qualche settimana fa: c'è
anche una memoria nostra, recente - non occorre tornare alla preistoria, che era
capace di interloquire, di intercettare (quindi di iniziare a comprendere),
motivi profondi della cultura (la domanda ricorre:
cosa è la cultura
e a cosa serve?)
romanì, tanto di quelli che vivono senza speranza nei ghetti e nei campi, che di
quella fascia minoritaria di classe intellettuale.
Può essere, uso termini semplicistici, cultura alta (come in Franco Fortini),
cultura pop e folk (come con Bob Dylan), o soltanto memoria popolare (vedi
l'anno scorso). Le divisioni in generi non mi interessano, vanno tenute
assieme con la medesima dignità.
Scrivo, avendo in mente che la nostra cultura del recente passato,
aveva radici più antiche, ugualmente condivise. Ma queste radici possono
inaridirsi, anche dove sembrava avessero attecchito:
in difesa popolazione rom? Vi assicuro che qui in Italia i rom ci sono, e
sono proprio le persone più spregevoli e disoneste, maleducate e cattive che io
abbia mai visto. Non fraintendete, il fatto che abbiano subito un genocidio
durante l'ultima guerra mondiale non li giustifica affatto, non giustifica il
loro comportamento. Il degrado in cui vivono (e dove vogliono stare e continuare
a viverci) è frutto delle loro colpe,
Lorenzo Cardinali
Non bisogna avere paura delle parole, basta siano corrette. I rom, nella
stragrande maggioranza, vivono di di furti, per questo non sono simpatici a
nessuno, ma pochi, pubblicamente, lo ammettono. IC redazione
Nessuno stupore: può accadere a chiunque, forse in futuro persino a Rom e
Sinti. La responsabilità di percorrere assieme un pezzo di strada o di
allontanarci, è nostra.
Bronisława Wajs - detta Papusza, poetessa dimenticata, incompresa e sconosciuta,
è stata riscoperta nel 2013 grazie alla pubblicazione della sua storia scritta
dalla giornalista Angelika Kuzhniak e intitolata Papusza. In più il film scritto
e diretto da Joanna Kos-Krauze e di Krzysztof Krauze "Papusza" (i coniugi-autori
del premiato "Nikifor" del 2004) ha fatto riscoprire l'eccezionalità di
quest'artista così insolita.
Bronisława Wajs nasce... non si sa quando. Gli zingari non prendono nota delle
date sul calendario, regolano il passare del tempo in base al ritmo della
natura. Bronisława nacque nel giorno in cui gli agricoltori terminarono la
mietitura del grano, metà agosto del 1910 (o 1908 o 1909, secondo le diverse
testimonianze). Il padre rimane una figura sconosciuta, la madre è una zingara
galiziana. La ragazza cresce in mezzo alla natura, osserva attentamente gli
alberi, i fiori, gli uccelli. Di sera siede al ruscello e canta. Sa anche
ballare bene. Conosce il potere magico delle erbe. E' bellissima, la chiamano "Papusza",
cioè "Bambola".
Zingarella povera, giovane,
bella come un mirtillo,
denti bianchi come perle,
occhi brillanti come l'oro vero.
Gli orecchini fatti di foglie, eccoli
Come oro genuino son belli (frammento di "Orecchino di foglia", p. 57)
Impara a leggere e a scrivere da sola, comprando (e pagando con galline rubate)
qualche minuto di lezione dai ragazzi che frequentano le scuole e da una
commessa ebrea. Conosce Jerzy Ficowski (1924-2006) - poeta, critico, scrittore,
traduttore, studioso di Bruno Schulz e della cultura zingara ed ebrea - che dopo
aver letto le sue poesie, s'impegna a promuoverla, a tradurla in polacco
(mantenendo l'asprezza dello stile), a farla pubblicare (e dunque guadagnare) e
a iscriverla all'Associazione dei Letterati Polacchi con tutti i privilegi che
ne derivano, inclusa la pensione. Grazie a Ficowski incontra Julian Tuwim
(1894-1953) - uno dei fondatori del movimento poetico "Skamander", forse uno dei
più grandi poeti polacchi - che trova le poesie della Wajs piene d'innocenza e
di onestà, virtù che lui stesso cerca di trasmettere. Le creazioni di Papusza
sono apprezzate anche da altri, tra cui Wisława Szymborska.
Fino a questo punto la vita di Papusza sembra una favola. La realtà però non è
il mondo delle fiabe e così ben presto arriva un'ombra che offusca e distrugge
questo mondo idilliaco.
Prima la seconda guerra mondiale, con la persecuzione e la strage degli zingari
(il numero totale degli zingari ammazzati in Europa Orientale rimane
sconosciuto). L'esistenza ridotta al minimo: la fame attenuata con qualche
corteccia, le notti passate fra le canne con le gambe in acqua gelata, il tifo,
la morte delle persone care. Dopo il massacro arriva il nuovo regime, nuove
regole, nuove persecuzioni. E' sterile, adotta un bambino (che chiama Tarzan,
affascinata dall'immagine di un ragazzo selvaggio seduto su un ramo accanto a
una fanciulla), figlio di uno zingaro e una gagi. Dopo la pubblicazione di
qualche articolo sulla cultura zingara di Ficowski e qualche poesia di Papusza,
gli zingari smettono di fidarsi di lei, cominciano a trattarla come una spia,
traditrice dei loro segreti. La Wajs è costretta a fuggire con il figlio e il
marito arpista (in effetti suo zio, fratello del patrigno, molto più grande di
lei), ma le persecuzioni continueranno per tutta la vita e la porteranno
all'esaurimento nervoso. Bronisława Wajs muore... questa volta la data è certa -
l'8 febbraio 1987. Le infermiere diranno che poco prima di morire, Papusza si
toccava le orecchie in cerca dei suoi orecchini preferiti, fatti con le galle di
quercia:
Dov'è il mio orecchino preferito?
Si sarà nascosto nel bosco selvatico?
Quanto mancano agli occhi neri
Questi miei orecchini cari! (frammento di "Orecchino di foglia", p. 56).
Papusza è considerata la più grande poetessa zingara polacca. Zingara, sì, e
fiera di esserlo, addirittura rideva quando si sentiva chiamare con quella
parola politicamente corretta e artificiale "rom". Zingara polacca, anche se
spesso si sentiva dire di tornare "nel suo paese". Le poesie trasmettono un
senso di pace, anche quando descrivono le persecuzioni più atroci. Saranno i
suoi occhi da bambina, meravigliata di fronte allo spettacolo del creato, a
diffondere questa unica sensazione di quiete. Proprio come una bambina chiede
alle stelle di rendere ciechi i nemici:
Ah, tu, la mia buona stellina! [...]
Acceca gli occhi ai tedeschi!
Torci le loro vie!
Non mostrargli la strada giusta!
Conducili per il sentiero infido,
perché sopravviva il bambino ebreo e zingaro. (frammento di "Lacrime di sangue -
cosa abbiamo vissuto al tempo dei nazisti in Volinia nel '43 e '44", p. 68).
E come una bambina non tratta seriamente i propri versi, anzi, si stupisce ogni
volta che qualcuno la considera una persona importante: "Son venuti a parlare
con me? Ci sono poeti, ci sono poesie belle, favole meravigliose, ma io son
niente. Non possiedo nessuna istruzione, nessuna scuola. Cosa può dire una
vecchia Zingara che assomiglia ad un porcino dimenticato nel bosco di autunno?
Sono una ragazza povera, vivo sotto il cespuglio. Nervosa, ho un'anima
piccolissima. Sono una persona ordinaria, forse peggiore degli altri" (p. 20).
Ovvero: "[Dicono che scrivo] poesie, ma non sono poesie. Canzoni. Le poesie son
roba diversa. Ci vogliono le rime, la canzone è semplice. La canzone è
inferiore. E la poesia è in alto, ci vuole gente istruita. Ci vuole l'università
ed io non ho finito neanche una classe. Non posso scrivere poesie". (p. 70).
Come una bambina commette molti errori di ortografia, di sintassi, di
interpunzione. Nelle lettere indirizzate a Ficowski o a Tuwim si scusa della
calligrafia che considera racchia. Ma è proprio grazie a questo suo modo di
scrivere unico che il lettore riesce a vedere meglio il mondo descritto, riesce
anch'egli a diventare bambino.
Quello che scrive rimane sempre legato alla sua identità, al suo essere zingara,
che la porta a delle considerazioni sorprendenti: "Oggi se una Zingara è brava,
sa leggere meglio il futuro, se è scema non sa più farlo. Dice qualsiasi cosa
per guadagnare e andare avanti. Io per esempio leggo il futuro in modo psichico:
riconosco se una persona non è di umore giusto e quando è amata e innamorata,
riconosco dalla sua fronte che tipo di persona può essere; se è buona o cattiva,
se saggia o stupida, se caratterizzata da una forte volontà oppure debole.
Quando leggo le carte assumo un'espressione seria e leggo il futuro con la
serietà. Lo stesso fa un poeta, penso. Ci deve essere qualche spirito, qualche
respiro e subito si sa tutto". (p. 65). La capacità di osservazione e lo spirito
di curiosità la portano alla riflessione sull'origine, sul significato e sul
senso della parola: "La mia canzone è silenziosa come una lacrima. Io canto a me
stessa, non a qualcuno. Da quando ero bambina qualcosa in me non andava bene.
Avevo paura perché non sapevo da dove provenivano le parole, chi me le ha
insegnate. Diciamo "foglia", "uccello", "prato", ma è vero quello che diciamo?
Forse Dio ha fatto sì che noi ci siamo accordati a parlare così?". (p. 82).
Dopo molti anni,
ma forse molto prima, tra poco,
le tue mani troveranno la mia canzone.
Da dove è venuta?
Nel giorno o nel sonno?
E mi ricorderai, mi penserai -
era una favola
o vero era?
E ti scorderai
delle mie canzoni
e di tutto. ("Canzone", p. 83).
Il 2013 è stato l'anno di Papusza in Polonia. Il libro di Angelika Kuzhniak è una
forma di reportage dove i frammenti degli scritti della Wajs, le trascrizioni
delle vecchie interviste e il racconto della Kuzhniak si intrecciano senza un
particolare ordine cronologico, ma con la tenerezza di qualcuno che vuole bene
al soggetto che sta cercando di ritrarre. Il film di Joanna Kos-Krauze e
Krzysztof Krauze, assolutamente fenomenale e girato in bianco e nero, si
concentra sull'eccezionalità della figura di Papusza, una donna straordinaria
che ha avuto il coraggio di essere se stessa. La pellicola è stata già
apprezzata durante il Festival internazionale del cinema di Karlovy Vary.
***
Tutte le citazioni provengono da Papusza di Angelika Kuzhniak (ed. Czarne,
Wołowiec 2013).
Le poesie provengono dalla raccolta Lesie, ojcze moj [Bosco, padre mio] di Papusza (ed. Nisza, Warszawa 2013).
Trailer del film
Papusza (diretto da Joanna Kos-Krauze, Krzysztof Krauze, 2013):
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