EDITORIAL in Newspaper Information. Written by: Anna von Sperling .
09/07/2010
Al giorno d'oggi è difficile vendere una notizia senza immagini. Pertanto il
giornale Ekstra Bladet ha presentato nella sua edizione online un piccolo
videoclip di un frigorifero con avanzi di cibo all'interno.
Le immagini tutt'altro che eccitanti di quegli scaffali erano allegate alla
storia di 23 Rom che sono stati deportati dalla Danimarca con divieto di
ingresso per due anni. Il loro unico crimine è stato di accamparsi dove non
potevano farlo. Quello che saltò agli occhi era il titolo del giornale:
"Guardate in che schifo vivono gli Zingari ad Amager".
Può andar bene all'Ekstra Bladet per provocare. Probabilmente è quello lo
scopo del giornale. Ma non è bene farlo a spese del popolo più perseguitato
d'Europa - che dall'Ungheria all'Italia viene percosso, escluso e deportato. Il
mito dello zingaro sporco e criminale ha avuto terribili conseguenze nella
storia d'Europa. Anche l'Ekstra Bladet dovrebbe esserne consapevole.
Ma questo non cambia il fatto che la città di Copenhagen quest'estate ha dei
problemi, ed uno di questi è difficile da risolvere. Negli ultimi giorni i media
si sono focalizzati sul numero crescente di furti in aree particolari di Amager,
ed il dito è puntato verso i 300-400 Rom, soprattutto rumeni, che secondo le
valutazioni della polizia campeggiano d'estate sull'isola.
Ieri, su Newspaper Information, si poteva leggere di un'associazione di case
vacanze ad Amager, che ha subito un numero record di furti. Soprattutto, sono
stati rubati cavi elettrici e materiale metallico - cosa che suggerisce che i
ladri li rivendano come rottame. Ai residenti, crea insicurezza, frustrazione
con la polizia e sfiducia nel progetto europeo di libera circolazione delle
persone attraverso le frontiere, con la gente comune che non si rende conto di
quanto ci sarebbe da guadagnarne.
Ieri, l'Ufficio Immigrazione ha deportato dalla Danimarca i primi 12 Rumeni,
che abitavano in uno stabile abbandonato e parzialmente demolito, ed in seguito
altri 11 Rumeni che erano accampati sulla spiaggia di Amager. A tutti e 23 è
stato negato l'ingresso per due anni, in quanto disturbavano l'ordine e la pace
pubblica. Gli esperti stimano che vi siano i fondamenti di legge per le
espulsioni.
Ma questo non cambia il fatto che sia un caso spiacevole che dimostra ancora
che i Rom in Europa sono sempre persone non gradite. Mostra anche che in
apparenza ci sia un movimento molto particolare che dice a Rom: Andate via da
dove siamo noi altri.
Ole Hoff-Lund, portavoce di Amnesty International in Danimarca, ha detto ieri
a Information:
"I Rom non hanno pace in nessuna parte d'Europa. Sono nel gruppo di
popolazione più vulnerabile, perseguitato e discriminato nella UE. Non hanno
accesso al lavoro, alla casa, all'istruzione o alla sanità. Questo tipo di
discriminazione, i Rom ora la incontrano anche in Danimarca, persino dai più
alti livelli, come il Ministro della Giustizia."
Non si deve rubare. Farlo diventa un caso di polizia. Ma la frustrazione
nelle associazioni abitative è che la polizia non risponde alle denunce, perché
riguardano quasi sempre piccoli furti. Una risposta rapida richiede risorse, ma
se i Rom ad Amager sono considerati un peso, il tema dev'essere affrontato. Ma,
come sottolinea l'avvocato Bjørn Elmquist, il vero problema in questo caso è la
differenza di dare protezione ai cittadini danesi e a quelli di altri paesi.
Non vediamo l'ora di ascoltare le spiegazioni dei politici quando torneranno
dai loro cottage estivi. Perché, come abbiamo visto in precedenza, in estate
esplodono queste cose e sotto gli effetti della calura i politici reagiscono
risolutamente inviando la polizia per azioni spettacolari. Ma non è il caso di
ignorare tutti la decenza e la certezza della legge per un singolo gruppo perché
ad Amager sono mancati dei cavi elettrici e degli Iphone.
Ma ricordiamoci che, anche se Copenhagen sembra lontano da Bruxelles ed i
benefici del progetto europeo lo sembrano ancora di più, i fatti rimangono che
non si può approfittare dei benefici economici dell'apertura delle frontiere,
senza anche avere a che fare con chi viaggia in Europa, verso cui abbiamo
sentimenti meno caldi.
Come ha detto Maj Kastanje, operatore di strada del Progetto Outside, a
Information: "Non possiamo dire A al muratore polacco a buon mercato, senza dire
B a tutti quanti ai nostri occhi sembrano inutili".
Forse non c'è lavoro per tutti e forse, non tutti si preoccupano di lavorare
se è possibile fare soldi facili. Forse non c'è un ombrello sociale per tutti e
forse c'è chi preferisce un campo nascosto in posti squallidi.
Ma ciò non cambia il fatto che per tutti in Europa ci dev'essere la tutela
del diritto.
Di Fabrizio (del 18/07/2010 @ 09:41:54, in Italia, visitato 1471 volte)
Newsrimini.it Nella foto Bove, una manifestazione dei sinti riminesi. Ha fatto tappa oggi a Rimini la campagna nazionale “Dosta” promossa
dall'Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali per far conoscere, oltre i
pregiudizi, le comunità sinti e rom:
PROVINCIA | 15 luglio 2010 | le iniziative riminesi sono state l'occasione
per parlare di questioni locali.
A Rimini, i sinti del campo di via Islanda, chiedono di poter lavorare in
regola e di avere spazi. "Il lavoro storico dei sinti è la raccolta di
materiale ferroso - spiega Davide Gerardi, presidente dell'associazione Sucar
Mero - e aprire una cooperativa per fare lavorare queste persone sarebbe già una
buona iniziativa per non escluderle". L'Amministrazione si sarebbe già impegnata
per favorire dare ai sinti una cooperativa come riferimento lavorativo.
"L'altro problema che abbiamo - prosegue Gerardi - è quello del campo nomadi.
Il problema dell'energia elettrica, dell'igiene, degli spazi. Tante persone sono
obbligate a comprare dei terreni privati per poter andare via dal campo, ma
comprando questi terreni agricoli viene fatto un abuso edilizio. Noi chiediamo
la regolarizzazione di questi appezzamenti di terra, Non chiediamo di poter
edificare, ma chiediamo la possibilità di poter vivere".
Altri comuni riminesi hanno situazioni da risolvere. La Provincia si impegna
a mettersi in campo, insieme alle altre istituzioni, per favorire il dialogo.
"La sfida è importante - afferma Mario Galasso, assessore provinciale ai
Servizi Sociali - Provincia, Comuni, ma anche la Prefettura e la Diocesi, in
questo percorso hanno già dichiarato che ci sono a poatto che da queste comunità
sia dimostrata la buona volontà di voler vivere insieme. In questo momento
stiamo lavorando a Coriano perché un insediamento di quattro famiglie, per un
totale di 23 persone, deve essere spostato per il passaggio della terza corsia
dell'autostrada, e si sta cercando un terreno adeguato dove farli spostare".
Storie di Fisarmoniche 1 "Il Maestro Jovica Jovic". Rho (Milano), Campo Comunale di Via Sesia. Il Maestro Jovica Jovic, Rom di origine Serba, vanta importanti
collaborazioni artistiche avendo suonato, tra gli altri, con Piero Pelù, Goran
Bregovic, Vinicio Capossela, Dario Fo, Moni Ovadia, Dijana Pavlovic, ed è il
leader, indiscusso, dei Muzikanti, una piccola orchestra multietnica. A marzo,
raccontano le cronache, è stato ricevuto dal Ministro dell'Interno (il bieco
Bobo Maroni), ricevendo dalle sue mani un "permesso di soggiorno provvisorio",
con la promessa di una rapida regolarizzazione della sua condizione di Wop (With
Out Passaport: così come venivano chiamati i migranti Italiani nell'America
degli anni ‘50). "Per meriti artistici" disse il Ministro, intrattenendosi
cordialmente con Jovica, al quale raccontò dei suoi trascorsi musicali. Oggi il
campo di Via Sesia, nonostante la piccola Chiesa costruita dallo stesso Jovica,
consacrata e benedetta da Sacerdoti cattolici ed ortodossi, rischia di sparire
per sempre. Al suo posto una discarica e l'incertezza che accompagna il futuro
delle Famiglie che lì vivevano e pregavano.
Storie di Fisarmoniche 2 "Aurel torna a suonare" Napoli, dormitorio pubblico di Via Duomo. Ad Aurel Serban, Rom di origine Rumena, da cinque anni a Napoli, la
settimana passata avevano rubato la fisarmonica. Avevano rubato la vita e adesso
si vergognava a chiedere la carità. La Società San Vincenzo dei Paoli, si è
fatta carico del problema acquistando per lui una bellissima "Paolo Soprani",
una delle migliori fisarmoniche presenti sul mercato. Il sorriso è tornato sul
faccione buono di Aurel che ha subito imbracciato la fisarmonica, accarezzandola
come si fa con una fidanzata ritrovata, ed intonando un splendido valzer. Poche
note per riappacificarsi con il Mondo e riacquistare la sua dignità di vecchio
orchestrale per le vie di Napoli, indossando sempre gli stessi pantaloni da
palcoscenico dell'Orchestra Rumena di cui faceva parte, suonando e regalando
sorrisi ai passanti.
Storie di Fisarmoniche 3 "Petru e la fisarmonica rinchiusa" Paradiso dei Musicisti Rom. Petru Birladeanu, Rom di origine Rumena, non riesce a trovare pace. Non si
da pace per Mirela, Petronela e Ricardo che ha dovuto lasciare su questa terra e
che oggi vivono nell'incertezza del proprio futuro. Si rattrista anche nel
vedere la sua fisarmonica rinchiusa in una teca di cristallo, nella stazione di Montesanto
a Napoli, dove due anni addietro perse la vita, vittima di camorra. Ucciso da un
commando di otto aggressori, in sella a quattro scooter: "skizzati",
imbottiti di cocaina, dirà un collaboratore di giustizia. L'arresto di Enrico
Ricci (suo figlio Marco è stato rinviato a giudizio per aver preso parte
all'omicidio di Petru) sulla stampa venne salutato come un colpo eccellente:
secondo il Dda di Napoli avevano "preso" la testa di ponte del Clan dei Sarno
tra i vicoli della collina napoletana. Non è passato neanche un anno ed oggi
viene scarcerato "per decorrenza dei termini", libero per un difetto di forma,
un banale cavillo: gli avvisi di conclusione delle indagini ai due difensori non
vennero notificati correttamente, quanto basta a far decorrere i tempi fino alla
scarcerazione.
01/07/2010 - "Sono molto arrabbiato," dice Milan Kováč, in visita agli uffici
dell'associazione Dženo.
"Devi impegnarti di più," lo prende sarcasticamente in giro una mia collega
d'ufficio e ridiamo tutti, ma la risata si tinge di un senso di delusione.
Kováč, con una laurea in economia, conosce cinque lingue e ha molti anni di
esperienza professionale in contesti che vanno dal non-profit al governo al
settore privato. Per esempio, ha lavorato come project manager sia al Ministero
della Gioventù e dello Sport sia nella non-profit Athinganoi, organizzazione
specializzata nel sostenere gli studenti romanì ad ottenere istruzione
secondaria e post-secondaria.
Da quando ha perso il lavoro otto mesi fa, sta cercando un'occupazione. Ha
fatto oltre sessanta domande ed è passato per una media di sette colloqui di
lavoro a settimana, senza alcun risultato.
Recentemente, ha fatto domanda per la posizione di Coordinatore Locale all'Agenzia
governativa per l'Inclusione Sociale nelle Località Rom, che su 25
dipendenti impiega un solo Rom. Col suo curriculum e Rom lui stesso, era
convinto che le sue possibilità fossero alte, specialmente considerando il fatto
che il ruolo dell'agenzia, tra l'altro, è di promuovere l'integrazione dei Rom
nelle regioni socialmente escluse dal mercato del lavoro.
Dopo avere completato con successo la prima fase delle interviste, Kováč
fu verbalmente invitato di nuovo. Ma venne presto a conoscenza di non essere
stato selezionato per il secondo turno di interviste.
L'esperienza di Kováč non è la sola. Uno
studio su
diversi paesi dell'European Roma
Rights Center, condotto in parte nella Repubblica Ceca, ha scoperto che questo
era il caso:
La maggiore incidenza della discriminazione nell'impiego contro i Rom è
nella fase della ricerca lavoro e nelle pratiche di assunzione applicate
dalle aziende. In pratica,una discriminazione diretta impedisce ai candidati
di raggiungere già la fase del colloquio. Molte compagnie hanno una politica
di esclusione totale riguardo l'impiego dei Rom e di distinzione assoluta
generale di pratica contro i candidati romanì. Come risultato, i Rom in
cerca di lavoro sono eliminati ed esclusi sin dall'inizio dal processo di
applicazione, a prescindere dall'istruzione, dalle qualifiche e dalle
competenze nel lavoro.
Nella sua lettera-appello, inviata nell'agenzia che l'ha rifiutato dopo il
primo turno di interviste, Kováč si chiede se le organizzazioni incaricate
di eliminare le barriere alla pari partecipazione nella società ceca affrontate
dai Rom, siano davvero [organizzazioni] "pro-Rom". Scrive:
L'Agenzia per l'Inclusione Sociale nelle Località Rom è stata fondata per
sostenere l'inclusione sociale dei Rom... Uno dei suoi ruoli è promuovere
l'inclusione dei Rom dalle comunità socialmente escluse nel mercato
lavorale. Ci sono anche tutta una serie di OnG ed organizzazioni non-profit
che si presentano come "pro-Rom". Si presentano con un atteggiamento aperto
da parte dei suoi operatori verso i Rom, con il generoso supporto del Fondo
Sociale Europeo. Queste stesse organizzazioni sono realmente aperte ad
impiegare Rom e stanno praticando nella realtà quanto predicano?
Quando venne criticato il fatto che non un solo Rom arrivò al secondo turno
delle interviste, Michael Kocáb, commissario ai diritti umani, che presiede il
Comitato di Controllo dell'Agenzia per l'Inclusione Sociale nelle Località Rom,
ha risposto di non essere a conoscenza che c'erano dei richiedenti rom tra gli
intervistati. Kocáb in passato aveva detto di essersi impegnato ad aumentare il
numero dei Rom impiegati nelle agenzie governative. Inoltre, a Kováč fu
promesso un appuntamento dove avrebbe potuto presentare il suo caso, ma questo
incontro non ha mai avuto luogo. Invece in passato, gli fu detto nella sala
dell'Ufficio del Governo gli fu detto dal direttore dell'agenzia che lui non era
stato scelto perché mancava delle qualificazioni necessarie, anche se prima era
stato chiaramente selezionato in quanto candidato promettente.
Molti studi, inclusa una
relazione del 2008 preparata congiuntamente dal Governo e dalla Banca
Mondiale, concludono che per i Rom le barriere nel mercato del lavoro sono
largamente dovute alla mancanza di capacità e qualificazione. Ma che dire dei
Rom che possiedono esperienze e competenze corrispondenti alla posizione
ricercata?
Il summenzionato
studio ERRC
del 2006, "Esclusione Sistematica dei Rom dall'Impiego", recita così:
La disoccupazione di massa dei Rom in età da lavoro è spesso percepita
come una questione riferita al mercato del lavoro, e l'alto livello di
disoccupazione è attribuito all'incapacità dei Rom a trovare un impiego, a
causa del loro basso livello di istruzione; capacità lavorative non
aggiornate e distacco dal mercato lavorale. Anche perché vasti segmenti
della comunità sono rimasti indietro durante la ristrutturazione economica
ed industriale avvenuta durante la transizione dal comunismo. Senza dubbio,
questi fattori creano barriere reali che riducono la possibilità di
occupazione ed escludono molti Rom dal lavoro, ma c'è un'altra dimensione -
la discriminazione - che aggrava significativamente la situazione e le cause
di esclusione sistematica dall'impiego per un gran numero di Rom in età da
lavoro.
Nella sua lettera, Kováč tocca la reale questione della discriminazione
anti-Rom:
Voglio che la società sappia che i Rom stanno continuando la loro
istruzione, crescendo le loro qualifiche, chiedendo un lavoro di qualità, ma
che esistono ancora barriere, fattori ed influenze che rendono impossibile
raggiungere il successo.
Disgraziatamente, tanto il clientelismo che il razzismo giocano ancora un
ruolo determinante nel processo decisionale in questo paese. Quelli con cui ho
parlato, che sono stati attivi per anni nella difesa dei diritti dei Rom,
confermano questa realtà, enumerata nello studio ERRC e illustrata da Kováč.
Un modo per combattere la discriminazione nella ricerca del lavoro e nella
fase di reclutamento, suggerisce l'ERRC, è dare mandato per la raccolta dei dati
disaggregati per etnia e di monitorare e rispondere, in maniera strutturale,
alle iniquità alla base di questi dati, per migliorare l'accesso al lavoro per i
richiedenti Rom qualificati. Questo ora non accade. Dichiara
ERRC:
Risulta evidente, dall'esperienza di paesi con le misure più efficaci nel
combattere la discriminazione razziale nell'impiego, che il monitoraggio
della forza lavoro, inclusa la raccolta di dati sull'etnia, è uno strumento
chiave per ottenere prove statistiche a sostenere le azioni positive per
affrontare la sotto-rappresentazione di gruppi etnici nei posti di lavoro e
più in generale, in professioni e settori specifici del mercato del lavoro.
Il monitoraggio, la registrazione, la notifica e la risposta alla
composizione etnica sul posto di lavoro sono fattori chiave che garantiscono
l'efficacia e l'efficienza delle politiche sulle pari opportunità. [...]
Di Fabrizio (del 15/07/2010 @ 09:30:09, in Italia, visitato 1824 volte)
La Repubblica Napolidi STELLA CERVASIO - Clochard, immigrati e
Rom fuggiti da Ponticelli nell'inferno dell'ex palazzo Iri nel campo nomadi di
Capodichino, di fronte all'aeroporto militare Niutta. Un mix di emarginazione
locale e immigrazione
IL RAGAZZO fa appena in tempo a dire "entrate", che un uomo in bermuda esce
dal cancello con la pompa e innaffia taccuino e macchina fotografica, bagnando i
presenti. Campo nomadi di viale Maddalena, di fronte l'aeroporto militare Niutta.
A cento metri il cantiere della Perimetrale di Scampia, la bretella che
collegherà Napoli all'asse mediano ricollocando in una nuova centralità la
periferia a ridosso di Capodichino. Campo nomadi anomalo, quello di viale
Umberto Maddalena, un mix di immigrazioni ed emarginazione locale, metà al
coperto metà open air. Trecento fra rom scappati da Ponticelli dopo gli incendi
di due anni fa, un gruppo di badanti polacche, immigrati africani, barboni, un
vedovo e un anziano senzatetto napoletani. Un condominio di disperati. Che
avrebbe dovuto trovare sistemazione nei campi del nuovo piano della prefettura.
Pronto per partire, ma non ancora avviato.
Il ragazzo che invita a entrare nei capannoni ex Iri avrà sedici diciassette
anni, la camicia sbottonata e il gel nei capelli. Un accenno modaiolo che appare
paradossale all'ingresso del campo, dove l'acqua esce a getto continuo da un
idrante e i più grandi fanno la doccia a un esercito di bambini da zero a dieci
anni. Il viavai è continuo dal cancello, a bordo di miniscooter, auto e furgoni.
Le madri arrivano con le borse della spesa. Le badanti dell'est escono ben
vestite a prendere il bus, per entrare in servizio. L'odore di degrado e sporco
è ai limiti della sopportazione umana. I rom abitano intorno ai capannoni in
precedenza occupati dall'Angifap, dove si tenevano i corsi per Lsu, ora
proprietà di un'immobiliare pugliese che ha fatto ricorso al tribunale per
riaverne la disponibilità. Nel guscio vuoto, dove già si erano insediati i
barboni locali, hanno trovato riparo i rom di Ponticelli in una situazione per
loro insolita. Gli occupanti hanno ostruito i finestroni orizzontali, ognuno
"personalizzato" con compensato, vecchie travi e silicone oppure tendoni da
camion o lastre di plexiglas. All'interno hanno allestito un dormitorio. Invaso
dai rifiuti. Non c'è da stupirsi se, come dice il presidente della Municipalità
San Carlo Arena, Alfonso Principe, "la Asl qui ha riscontrato alcuni casi di
tubercolosi". Probabilmente si tratta di positività, molto comune nei paesi
dell'est. Per questo va facilitato l'accesso alle strutture sanitarie e
migliorata la loro situazione igienica. Ma al momento niente bagni e niente
fogne. L'intervento è sicuramente reso più difficile dal fatto che la struttura
è di proprietà di privati.
"Viviamo benissimo", dice una giovane donna con due incisivi d'oro. Il cancello
viene aperto per far entrare un furgone Ape per la raccolta del ferro e una
Lancia della polizia di Poggioreale che controlla tutti i campi nomadi. "Almeno
- commenta la pattuglia - questo è asfaltato".
"Sono gente tranquilla, non danno nessun fastidio. Ma non potete immaginare i
topi che ci sono", dice il negoziante di scale che confina con il capannone.
"Abbiamo chiamato la Asl, abbiamo consumato centinaia di bustine di veleno per
topi, il giorno dopo non le trovavamo più. A volte l'odore è insopportabile: con
gli altri abitanti del quartiere ci arrampichiamo sulle mie scale e le
impalcature per lanciare bottiglie di creolina".
La scorsa settimana la Municipalità ha partecipato a un Comitato per l'ordine e
la sicurezza pubblica nel corso del quale si è parlato del rischio tubercolosi e
dell'emergenza caldo. Un copione che si ripete da due anni. "Ho scritto a
sindaco e prefetto - racconta Principe - per chiedere un intervento urgente di
bonifica. L'assessore Riccio sostiene che la competenza è del prefetto che però
dice di essere delegato solo per i nuovi campi da costruire. Da tre anni
l'emergenza estiva si ripropone tale e quale. L'anno scorso all'aeroporto ci fu
un black-out, si scoprì che la cabina elettrica era franata sotto un bagno
costruito dai Rom".
I soli ad avere accesso al campo sono i volontari della Comunità Sant'Egidio. I
"reduci" delle battaglie di Ponticelli hanno paura di dover lasciare anche
questo ricovero. "Collaboriamo con i medici dell'associazione "Don Chisciotte"
per tenere sotto monitoraggio costante questa delicata situazione. Finora
nessuna alternativa", dice Antonio Mattone, portavoce della comunità. Andar via
da Ponticelli non ha aiutato l'integrazione. Alcuni bambini sono iscritti alla
scuola "Ammaturo", ma solo due su sei hanno frequentato. D'estate puntualmente
la priorità viene conquistata dall'allarme igiene. Principe sta molto attento a
non chiedere sgomberi. "Bisogna metterli in condizione di vivere da persone,
quella non è una vita decorosa", spiega il presidente della Municipalità.
Il cancello si apre e un uomo va verso la fermata del bus, indossa una maglia
azzurra con la scritta Italia. Rom? "No, napoletano. Sono vedovo da quattro
anni, da allora ho lasciato la casa di San Pietro a Patierno e abito qui. A
quest'ora sono costretto a uscire, me ne vado in giro per non sentire l'odore
dei rifiuti. Devo aspettare ancora due mesi: mio figlio ha trovato lavoro e mi
ospiterà". Mostra il braccio sinistro, gli manca la mano fino a metà
avambraccio. "L'ho persa il primo giorno di lavoro da falegname: avevo 13 anni".
Domenica sera tardi nel nord est dell'Ungheria una casa unifamiliare abitata
da Rom è stata data alle fiamme. Secondo l'agenzia MTI non ci sono stati feriti.
Negli ultimi anni i Rom in Ungheria sono diventati il bersaglio di diversi
attacchi durante i quali sono morte almeno otto persone, tra cui un bambino di
cinque anni (vedi
QUI ndr).
Una donna ed il suo bambino stavano dormendo nella loro casa nel villaggio di
Olaszliszka quando è avvenuto l'attacco. La donna dice di essere stata svegliata
da tre forti colpi. I proiettili hanno colpito il muro della facciata.
L'incidente di sabato è avvenuto non lontano da un'altro villaggio dove,
nell'ottobre 2006, un non-Rom investì e ferì una ragazza rom. I suoi genitori si
vendicarono picchiandolo a morte sul posto. In seguito a ciò otto Rom vennero
condannati a diversi anni di carcere. Riporta MTI che László Fercsák,
rappresentante dell'auto-governo della minoranza locale, ha rilasciato domenica
una dichiarazione, dicendo che i residenti della casa assalita a Olaszliszka non
hanno collegamento con i fatti di quattro anni fa.
I recenti attacchi a Rom sono avvenuti soprattutto di notte, mentre
dormivano. L'agosto scorso, una donna rom di 45 anni fu colpita a morte nel
villaggio di Kisléta, nell'est del paese; nell'attacco venne seriamente ferita
anche sua figlia di 13 anni. A novembre 2008, gli assalitori uccisero una coppia
romanì con una bomba a mano nella città meridionale di Pécs. Lo stesso mese, due
Rom nel villaggio di Nagycsécs, nel nord est Ungheria, persero la vita, quando
gli assalitori gettarono delle molotov nelle loro case e poi gli spararono con
dei fucili mentre scappavano dalle fiamme.
La comunità rom è la più grande minoranza in Ungheria, tra il cinque e il
sette per cento dei 10 milioni di abitanti. Con la crescita della disoccupazione
e dei problemi economici nel paese, sempre più frequentemente i Rom sono
bersaglio di attacchi sediziosi dei partiti estremisti, come il Movimento per
un'Ungheria Migliore (Jobbik), che dopo le recenti elezioni ora hanno loro
rappresentanti in Parlamento.
Czech Press Agency, translated by Gwendolyn Albert
IL PREMIO GRAN MAESTRO disonora quella persona che si erge sopra tutti gli
altri anti-eroi in questa tragedia senza senso. Uno dei fan di Kouchner ha
scritto questo a proposito di lui su Internet: "Per essere onesto... per essere
morale... per essere, in poche parole, vicino a ciò che consideriamo perfetto...
questa è la definizione di quanto la gente definisce un eroe...
Bernard Kouchner è una di queste persone... uno dei più amati filantropi
francesi. Ha scritto nove libri, ed ha rivoluzionato l'umanitarismo in tutto il
mondo."
Nato il 1 novembre 1939 ad Avignone in Francia, Kouchner divenne dottore e
subito finì in Biafra (Nigeria) per assistere un paese in carestia, dicendo
"Sono corso in Biafra perché ero troppo giovane per Guernica, Auschwitz, Oradour
e Setif." Nel 1970 co-fondò Medecins sans Frontieres (Dottori senza Frontiere),
che venne premiata nel 1999 col Premio Nobel per la Pace, e poi Medecins du
Monde (Dottori del Mondo) il decennio successivo. Negli anni '80 organizzò
diverse operazioni umanitarie, la più famosa fu Restore Hope in Somalia, dove
assistette personalmente al trasporto di sacchi di riso. Capitalizzandola sua
fama umanitaria, entrò nella politica francese e fu Ministero di Stato dal 1998
al 1991, diventando Ministro della Sanità l'anno dopo. Più tardi fu membro del
Parlamento Europeo e Presidente della Commissione sullo Sviluppo e la
Cooperazione. Nel luglio1999, divenne Rappresentante Speciale del Segretario
Generale delle Nazioni Unite e Capo della Missione ONU in Kosovo.
Sfortunatamente, le azioni di Kouchner in Kosovo furono molto differenti dal
suo passato, dato che scelse la convenienza agli ideali umanitari. In un momento
particolare, Kouchner assalì un inviato dei diritti umani ONU in visita,
dicendogli di "tenere la bocca chiusa" su quanto aveva visto.
Nella primavera del 2000, come capo della Missione ONU in Kosovo (UNMIK),
Kouchner istruì la sua squadra medica a Mitrovica nord guidata dal dr. Andrej
Andrejew (un cittadino tedesco), di compiere urgentemente uno studio ambientale
sull'area, dopo che si ammalarono gravemente dei soldati danesi e francesi.
Campioni sanguigni raccolti e inviati a Copenhagen mostrarono alti livelli di
avvelenamento da piombo. L'esercito francese fu così preoccupato da
commissionare diversi studi all'Istituto di Salute Pubblica di Parigi. In
seguito, diversi soldati furono rimpatriati perché non c'erano possibilità in
Kosovo di curare l'avvelenamento da piombo.
A novembre 2000, il rapporto del dr. Andrejew fu sottoposto personalmente a
Kouchner. Sulla base dei campioni di sangue presi dal dr. Andrejew (ed inviati
ad un ben conosciuto laboratorio in Belgio), venne disegnata una mappa che
mostrava tre aree: A, B, e C. L'area A aveva i più alti livelli di piombo nel
sangue. Le uniche persone che vivevano in quell'area erano dei due campi di
rifugiati per Rom e Askali. Infatti, i livelli dei Rom (specialmente nei
bambini) erano così alti che il laboratorio in Belgio chiamò il dr. Andrejew e
gli chiese di ricontrollare quei campioni, perché il laboratorio non aveva mai
visto livelli di piombo così alti nella storia della letteratura medica.
Nel suo rapporto scritto, il dr. Andrejew diceva che era evidente che i campi
rom erano nel posto sbagliato e che dovevano essere spostati ed i Rom curati.
Kouchner disse al suo staff che come dottore era perfettamente cosciente del
pericolo dell'avvelenamento da piombo e giurava che avrebbe provveduto. Un
tossicologo polacco coinvolto in questa discussione raccomandò l'evacuazione e
le cure all'estero dato che non era possibile trattare l'avvelenamento da piombo
in Kosovo. Kouchner pose il veto sulla proposta.
Poi Kouchner decise di diffondere la storia che i Rom soffrivano di
avvelenamento da piombo cronico e dovevano solo convivervi. I bambini rom
concepiti e nati nei campi non avevano avvelenamento cronico anche se i loro
livelli di piombo erano i più alti mai registrati.
Quando vennero costruiti i campi rom nel settembre 1999, ci furono forti
proteste da diverse agenzie internazionali, perché era evidente ad occhio nudo
che i campi erano stati piazzati accanto a milioni di tonnellate di rifiuti
tossici. Il capo dell'UNHCR in Kosovo promise personalmente ai rifugiati che
sarebbero rimasti sui terreni tossici per 45 giorni, ed in quel periodo
sarebbero state ricostruite le loro case distrutte (che a differenza di quanto
si disse, non erano mai state bruciate) o portati in un paese terzo. Undici anni
dopo, i Rom sono ancora là ed i risultati sono stati tragici: 86 morti e
centinaia di aborti spontanei dovuti a complicazioni dall'avvelenamento da
piombo, mentre quasi tutti i bambini sono nati con danni irreversibili al
cervello.
Dato che il nostro gran maestro degli anti-eroi, il dr. Bernard Kouchner, non
fece niente per salvare queste vite umane, ogni altro capo delle Nazioni Unite
in Kosovo ha seguito l'esempio catastrofico di Kouchner e rifiutato di evacuare
questi campi tossici, nonostante ripetuti appelli per agire in questo senso da
parte dell'OMS, dell'ICRC (Comitato Internazionale della Croce Rossa ndr)
e di infinite OnG.
Oggi in Kosovo questi campi tossici sono chiamati l'Inferno di Kouchner dai
rifugiati che sono obbligati a viverci, inclusi molti che sono stati riportati a
forza in Kosovo dopo aver vissuto in Germania per quindici anni.
Il dr. Bernard Kouchner è stato tre volte Ministro della Sanità in Francia,
ed attualmente è Ministro degli Affari Esteri del governo francese. In una
recente risposta ad una nostra lettera in cui gli chiedevamo perché non avesse
mai salvato queste persone, replicava: "Vi assicuro che considererò finito
questo doloroso capitolo solo con la definitiva chiusura di questi due campi.
Nel contempo l'Ambasciata francese a Pristina continuerà a tenermi informato
sull'evoluzione della situazione sul campo, e monitorerà da vicino l'attuazione
degli impegni." QUALI IMPEGNI? NESSUNO DA KOUCHNER.
Di Fabrizio (del 13/07/2010 @ 08:51:10, in Italia, visitato 3654 volte)
In alcuni casi è la sacrosanta verità. Però, anche un ladro ha una sua
dignità, un suo onore. Sabato pomeriggio mi sono trovato con
Jovica Jovic (chi
legge la Mahalla lo conosce bene e sa che lui non ruba), perché volevo capire
qualcosa di più su di un grosso furto che lui e gli altri Rom del campo di via
Sesia a Rho (MI) stanno subendo, da parte della "nostra gente". Ecco
cosa mi ha raccontato (leggete con calma e attenzione):
Sino a 5 anni fa, abitavamo a Lucernate, una frazione di Rho. Ci abbiamo
vissuto 12/13 anni. Erano terreni nostri, comprati dai miei suoceri e dai loro
figli, in tutto oltre 3.000 mq., abitati da 7/8 famiglie. Io andavo in giro per
l'Europa a suonare.
All'inizio su quei terreni avevamo messo dei prefabbricati, che pian piano
abbiamo rinnovato da noi. Abbiamo tirato la luce, l'acqua, abbiamo recintato. E'
costato oltre 100.000 euro. Abbiamo poi pagato il condono in tre rate, altri
180.000 euro, ho ancora tutte le ricevute. Dicevano che erano area protetta, ma
ora che li abbiamo lasciati, tutti quei terreni sono diventati edificabili.
Morto mio suocero, era rimasta sua moglie, che era malata di cuore, ma non le
dettero il permesso di soggiorno per motivi sanitari. Anche se eravamo in Italia
da più di 40 anni, praticamente 3 generazioni erano senza documenti.
A questo punto si presentò l'Opera Nomadi, con alcuni consiglieri del comune
di Rho; allora la sindaca era la signora Pessina. Ci fecero più o meno questa
proposta:
Noi vi aiutiamo se lasciate i terreni. Venite nel comune di Rho e vi
costruiremo un campo, che sarà vostro e potrete restarci per tutto il tempo
che vorrete. Ed in più ci sarebbero state opportunità di lavoro e avrebbero
concesso i permessi di soggiorno. Le "unità abitative" sarebbero state
composte da cucina, bagno e camera da letto.
Ci diedero un mese per riflettere. Decidemmo di firmare e aspettammo che si
finisse il campo.
Ma fummo fregati una prima volta! Trovammo invece dei container di 30 mq,
immagina lì dentro una famiglia di 2 adulti e 7 bambini!
Con l'Opera Nomadi e la Caritas (che gestivano il campo) andammo in Comune ed
in risposta venne stilato un regolamento che tra l'altro diceva:
Ogni unità abitativa per piazzola può allargarsi a seconda delle
esigenze familiari.
Venne anche deciso che i gestori avrebbero avuto un loro presidio nel campo.
C'è da dire che da questo punto in avanti, l'Opera Nomadi è scomparsa,
allontanata dalla gestione che è rimasta tutta alla Caritas.
Non si poteva fare più niente: piantare alberi (il campo è tutto al sole),
nemmeno mettere un vaso di fiori, figuriamoci allargare lo spazio per le
famiglie.
Dal Comune avanzavano 170.000 euro per terminare i lavori nel campo, ma mi
ricordo solo l'arrivo di una cucina, che venne divisa per 11 famiglie, ci
dissero che il resto sarebbe stato portato dopo.
Io sono entrato nel campo il 4 aprile 2007. Mi ricordo che c'era il contatore
della luce che serviva tre casette e il palo della luce, che illumina tutto il
campo. Mi son ritrovato a pagare 5.000 euro di arretrati! Ho fatto mettere un
contatore solo per la me. Sono anche riuscito ad allargare lo spazio per la mia
famiglia e quella di mio figlio.
Col cambiamento della giunta comunale, è arrivato un nuovo regolamento. Tutti
i documenti precedenti li aveva l'ex sindaca.
Due parole sulla chiesetta al campo (ne parla più ampliamente il video
seguente, ndr): avevo ottenuto il permesso per costruirla, ed ero felice.
Era stata benedetta da otto parrocchie della zona e da un sacerdote ortodosso
della Croazia. Una chiesa aperta a tutte le religioni, per distruggere il male
col bene. Ce l'ho fatta ed ha avuto una caduta positiva nel campo. Adesso non
riesco a farmene una ragione, che vogliano mandarci via e al posto della nostra
chiesa mettere la quinta discarica di Rho! E' una grave offesa a Dio e agli
uomini...
Intanto al campo le ragazze hanno seguito corsi di cucito e cucina, i giovani
vanno alle scuole superiori; c'è anche chi si allena a calcio con la società del
Milan.
Ma... mia figlia nata in Italia lavora da tre anni e mezzi, tramite la
Caritas o la parrocchia di Rho. Guadagna 120 euro al mese. Se non andava al
corso, non avrebbe trovato più posto al campo. Lo stesso, le hanno rifiutato la
cittadinanza perché non aveva la residenza. Tre giorni fa era con me in
macchina; ci hanno fermato e ha rischiato di finire al CIE di via Corelli.
Nel frattempo man mano chi non rispettava il nuovo regolamento veniva
allontanato. Basta poco per essere messi alla porta. Eravamo in 80, ora siamo
rimasti in 30. Vengono allontanati vecchi, giovani, non fa nessuna differenza,
tutti sotto i ponti. Uno è morto in
Germania, qualcun altro va avanti e indietro tra Pero e Rho...
Adesso ci è arrivata una lettera, con tre possibilità:
o ci accompagnano tutti alla frontiera (gratis!),
o ci danno 4.000 euro e ci arrangiamo,
donne e malati avranno assistenza per 3 mesi.
E' uscito anche un articolo sul giornale di Rho, si dice:
Distruggeremo il campo entro tre mesi. Cacceremo tutti. Su questo terreno
sorgerà una discarica.
Io personalmente non so cosa fare. Per una casa chiedono tanti soldi
d'anticipo e la busta paga. Io sono musicista, dove le trovo le buste paga?
Mi hanno detto: se tratti avrai qualcosa, se non vuoi trattare non avrai
niente. Lunedì (12 luglio) mi parleranno. Se mi state leggendo, significa
che è andata male, e così ho deciso di raccontare almeno la mia storia.
Spero che qualcuno possa domandarsi se sono davvero "gli zingari" i ladri in
Italia. A me invece, dopo quella chiacchierata resta parecchia tristezza. Per
chiudere bene questo spazio, propongo questo video suggerito da
Giancarlo Ranaldi. Glielo devo (a Jovica, intendo)
Le parole di Jovica Jovic sono una lezione di tolleranza, di convivenza, di
fratellanza, persino di identità Europea, quella che la moneta unica non ha di
certo fortificato in tutti i noi, d’altronde le monete non hanno anima, forse
solo portafoglio. Fermarsi ad ascoltare chi ha la possibilità di donare saggezza
con le sue parole è fondamentale in una società che vive di corsa, che non
aspetta, che non ha tempo per chi vorrebbe prendersi un momento per guardarsi
intorno. Il maestro Jovica Jovic ha viaggiato molto e si è fermato altrettanto,
la vita di un musicista rom nato in Serbia, passato dall’Austria,
dall’Inghilterra e giunto in Italia è un peregrinare continuo, è muoversi in un
unica terra, in un unica casa che è il mondo. Purtroppo le visioni romantiche
non coincidono mai con quelle burocratiche, populiste e demagogiche di chi urla
"padroni a casa propria!" e affini slogans,che fanno della paura del diverso il
mezzo per avere manciate di voti. Poi si corre al capezzale degli ultimi al
momento dello sgombro, con la faccia imbrattata di pietà, con le mostrine
governative luccicanti e si dona un permesso di soggiorno provvisorio
promettendo una regolarizzazione per meriti artistici. Jovica Jovic si fida, è
un uomo di parola, di fronte ad un riconoscimento tanto ufficiale, è il ministro
Maroni con cui ha parlato. Noi forse siamo diffidenti perché sappiamo di che
pasta siamo fatti, perché troppo spesso dimentichiamo molto in fretta, qualsiasi
sia il colore con cui dipingiamo le nostre idee o convinzioni. Sarà questa
monocromia che ci rende tanto bigotti e chiusi, poco inclini al confronto e al
conseguente apprendimento. Fino a che rimarremo inchiodati alle nostre
convinzioni non saremo mai in grado di definirci tolleranti o accoglienti,
depositando i nuovi arrivati nel sottobosco fangoso della privazione e del
degrado da cui è difficile emergere legalmente, in cui si è destinati ad
affondare. Ci sono immigrati che lavorano, che hanno figli nati in Italia,
educati in Italia, che parlano italiano e sono perfetti sconosciuti e
clandestini ai nostri occhi, sans papier senza capirne il motivo. La storia del
maestro di musica Jovica Jovic è molto interessante e molteplici sono le
testimonianze sulla rete; le collaborazioni musicali con Piero Pelù, Goran
Bregovic e Vinicio Capossela, la collaborazione con Moni Ovadia per la mostra di
De Andrè, la creazione di un’orchestra multietnica in stile musicale balcanico,
stanno a dimostrare quanto sia integrato quest’uomo. La sua voce è il megafono
di tutte le voci, di una comunità che chiede rispetto e cittadinanza, non
continui sgombri di stampo politico e appelli abbattuti dalle ruspe e dalla
sordità della giunta della sua città, Rho. Jovica Jovic ha costruito anche una
chiesa, consacrata e benedetta, sul terreno che diventerà una discarica. Deliri
di onnipotenza oramai permettono di prevaricare anche un baluardo italiano, la
fede, o forse è solo perché vogliamo essere dei perfetti "cristiani, in chiesa
propria!". Andiamo in pace e ascoltiamo Jovica!
Di Fabrizio (del 12/07/2010 @ 09:32:22, in Regole, visitato 1845 volte)
Segnalazione di Pierluigi Umbriano
La Corte europea dei diritti umani (CEDU) ha accertato, nel caso Udorovic c.
Italia, la violazione dell'art. 6, par. 1, della Convenzione che garantisce
l'equità della procedura, in relazione ad una domanda giudiziaria di un
cittadino italiano di etnia sinta avverso lo sgombero di un campo nomadi.
Con sentenza del 18 maggio 2010, la Corte europea dei diritti umani (CEDU) ha
accertato, nel caso Udorovic c. Italia, la violazione dell'art. 6, par. 1, della
Convenzione che garantisce l'equità della procedura, in relazione ad una
domanda giudiziaria di un cittadino italiano sinto avverso lo sgombero di un
campo nomadi.
La vicenda riguarda nello specifico un cittadino italiano, appartenente alla
comunità dei Sinti, abitante in un campo nomadi di Roma. Sebbene il campo fosse
stato autorizzato al comune in un primo momento, successivamente ne era stato
ordinato lo sgombero, in quanto il campo non era fornito di acqua potabile e non
era dotato di fognature.
Contro i provvedimenti del Comune, il ricorrente aveva quindi promosso un
ricorso davanti all'autorità giudiziaria amministrativa, per l'annullamento,
previa sospensiva, del provvedimento impugnato, ed altra azione davanti
all'autorità giudiziaria ordinaria, ai sensi degli artt. 43 e 44, D.Lgs. n. 286
del 1998, lamentando il carattere discriminatorio dell'azione amministrativa.
Il giudizio amministrativo si era concluso con la sospensiva del provvedimento
impugnato, confermata dal Consiglio di Stato; il giudizio innanzi al giudice
ordinario aveva invece visto soccombere l'attore, in quanto il tribunale, con
ordinanza del 12 marzo 2001, aveva ritenuto che i provvedimenti impugnati non
erano discriminatori, avendo essi lo scopo di garantire la salute pubblica dei
cittadini residenti vicino al campo nonché quella degli occupanti dello campo
stesso (ed il giudizio dinanzi alla Corte d'Appello di Roma aveva quindi
confermato la decisione di prime cure).
Il ricorrente era però ricorso alla Corte europea dei diritti umani, lamentando
la discriminatorietà del provvedimento, e deducendo l'iniquità della procedura
svoltasi davanti all'autorità giudiziaria ordinaria dato che il processo si era
svolto in camera di consiglio e che la corte non si era pronunciata sul
provvedimento amministrativo del sindaco di Roma, di alcuni anni precedente allo
sgombero, che precisava le regole dei campi nomadi in città (e, in particolare,
prevedeva, per le famiglie di Rom e Sinti, che coloro che avevano figli in età
scolare e frequentanti corsi di istruzione obbligatori avevano il diritto di
risiedere nei campi nomadi collegati alla città).
La Corte europea dei diritti umani (CEDU) ha quindi accertato, con la decisione
in epigrafe, la violazione dell'art. 6, par. 1 della Convenzione, ed il diritto
ad un equo processo, perché la Corte d'Appello non aveva statuito sulla parte
della domanda proposta dal ricorrente riguardante proprio la decisione sindacale
precedente, inerente la regolamentazione dei campi nomadi in città.
Di Fabrizio (del 12/07/2010 @ 09:21:33, in Italia, visitato 1554 volte)
Del fatto avevo letto in settimana. Ecco un articolo che
qualche dubbio lo solleva
IL LEVANTE - DOMENICA 11 LUGLIO 2010 07:51 DI SONIA DI MAURO
Via Martirano, zona alla periferia di Milano, è lo scenario dello "strano" furto
di cui è stato vittima lo scorso 6 giugno, Igor Iezzi, segretario della
Lega Nord Milano, insieme ad una giornalista con la quale organizzava un
documentario sui rom.
Ancora poco chiari i fatti. Secondo il racconto del diretto interessato, il
leghista Iezzo, si trovava insieme alla giornalista nel campo rom, quando,
durante l'organizzazione delle riprese, sono stati avvisati della presenza dei
vigili che stavano multando le loro automobili parcheggiate poco distante.
Recatisi sul posto, il segretario e la giornalista, hanno appreso che in realtà
i vigili erano lì perché insospettiti dall'armeggiare di alcuni rom intorno
alle auto. "A me hanno spaccato il vetro e rubato due cellulari, mentre alla
giornalista hanno forzato il baule portando via la borsa con tutti i documenti,
un navigatore e mille euro in contati. Poi è arrivata la polizia e tutta la
refurtiva è stata recuperata. Tutta tranne i mille euro che la giornalista aveva
con sé perché sarebbe dovuta andare a pagare l'affitto" racconta Iezzi.
Diversa la ricostruzione dei fatti fornita da diversi giornali locali che
parlano di un invito ad allontanarsi, che le due vittime avrebbero ricevuto da
un rom e al quale sarebbe seguito la scoperta del furto. Solo dopo sarebbe stata
chiamata la Polizia locale che avrebbe condotto una "lunga ‘trattativa' con i
nomadi" fino a giungere "al ‘ritrovamento' di gran parte del bottino".
Al di là di qualche strana incongruenza, (i vigili c'erano o non c'erano?), è
inevitabile porsi qualche quesito: se la Polizia ha contrattato a lungo con i
nomadi, come mai si legge che "nessuno è stato riconosciuto"? e soprattutto,
come mai non c'è stato alcun arresto?e le telecamere che riprendevano il campo
per il documentario?
Senza contare che è altresì strano che un uomo tanto ostile agli immigrati di
ogni razza ed intenzionato a "continuare con gli sgomberi", come lui
stesso ha più volte affermato, lasci due cellulari in macchina nelle immediate
vicinanze di un campo rom.
La scarsa simpatia che Iezzo già provava per i rom è deducibile, inoltre, dalle
affermazioni che hanno immediatamente seguito il furto: "Questa è la
dimostrazione che i rom se ne devono andare e che non hanno alcuna intenzione di
integrarsi. Dobbiamo proseguire con la politica degli sgomberi perché l'unico
numero da associare alla parola nomadi deve essere lo zero".
Gli fa eco l'assessore alla Sicurezza della Provincia di Milano, Stefano
Bolognini il quale afferma che il furto "dimostra ancora una volta che
nonostante il contributo per l'integrazione predisposto dal ministro Roberto
Maroni, questa gente preferisca delinquere piuttosto che intraprendere la strada
della legalità. Il piano che prevede da qui al 2011 la chiusura dei campi nomadi
- aggiunge Bolognini - deve andare avanti in modo più deciso. E coloro che
non rispettano il patto della legalità devono essere espulsi con fermezza".
Solidarietà anche da parte del presidente del Consiglio regionale Davide Boni
che con toni più pacati prosegue sulla scia dell'assessore milanese : "Tutta
la mia solidarietà al segretario Iezzi - ha affermato - per la brutta
vicenda che l'ha visto protagonista e che ancora una volta ha evidenziato come
qualcuno non sappia minimamente cosa significhi vivere nel rispetto delle regole".
Se zero valgono i rom, zero varranno anche i dubbi di coloro che hanno
riflettuto sull'accaduto eppure la libertà di pensiero dovrebbe essere ancora
consentita.
Disclaimer - agg. 17/8/04 Potete
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