La Repubblica Napoli di STELLA CERVASIO - Clochard, immigrati e
Rom fuggiti da Ponticelli nell'inferno dell'ex palazzo Iri nel campo nomadi di
Capodichino, di fronte all'aeroporto militare Niutta. Un mix di emarginazione
locale e immigrazione
IL RAGAZZO fa appena in tempo a dire "entrate", che un uomo in bermuda esce
dal cancello con la pompa e innaffia taccuino e macchina fotografica, bagnando i
presenti. Campo nomadi di viale Maddalena, di fronte l'aeroporto militare Niutta.
A cento metri il cantiere della Perimetrale di Scampia, la bretella che
collegherà Napoli all'asse mediano ricollocando in una nuova centralità la
periferia a ridosso di Capodichino. Campo nomadi anomalo, quello di viale
Umberto Maddalena, un mix di immigrazioni ed emarginazione locale, metà al
coperto metà open air. Trecento fra rom scappati da Ponticelli dopo gli incendi
di due anni fa, un gruppo di badanti polacche, immigrati africani, barboni, un
vedovo e un anziano senzatetto napoletani. Un condominio di disperati. Che
avrebbe dovuto trovare sistemazione nei campi del nuovo piano della prefettura.
Pronto per partire, ma non ancora avviato.
Il ragazzo che invita a entrare nei capannoni ex Iri avrà sedici diciassette
anni, la camicia sbottonata e il gel nei capelli. Un accenno modaiolo che appare
paradossale all'ingresso del campo, dove l'acqua esce a getto continuo da un
idrante e i più grandi fanno la doccia a un esercito di bambini da zero a dieci
anni. Il viavai è continuo dal cancello, a bordo di miniscooter, auto e furgoni.
Le madri arrivano con le borse della spesa. Le badanti dell'est escono ben
vestite a prendere il bus, per entrare in servizio. L'odore di degrado e sporco
è ai limiti della sopportazione umana. I rom abitano intorno ai capannoni in
precedenza occupati dall'Angifap, dove si tenevano i corsi per Lsu, ora
proprietà di un'immobiliare pugliese che ha fatto ricorso al tribunale per
riaverne la disponibilità. Nel guscio vuoto, dove già si erano insediati i
barboni locali, hanno trovato riparo i rom di Ponticelli in una situazione per
loro insolita. Gli occupanti hanno ostruito i finestroni orizzontali, ognuno
"personalizzato" con compensato, vecchie travi e silicone oppure tendoni da
camion o lastre di plexiglas. All'interno hanno allestito un dormitorio. Invaso
dai rifiuti. Non c'è da stupirsi se, come dice il presidente della Municipalità
San Carlo Arena, Alfonso Principe, "la Asl qui ha riscontrato alcuni casi di
tubercolosi". Probabilmente si tratta di positività, molto comune nei paesi
dell'est. Per questo va facilitato l'accesso alle strutture sanitarie e
migliorata la loro situazione igienica. Ma al momento niente bagni e niente
fogne. L'intervento è sicuramente reso più difficile dal fatto che la struttura
è di proprietà di privati.
"Viviamo benissimo", dice una giovane donna con due incisivi d'oro. Il cancello
viene aperto per far entrare un furgone Ape per la raccolta del ferro e una
Lancia della polizia di Poggioreale che controlla tutti i campi nomadi. "Almeno
- commenta la pattuglia - questo è asfaltato".
"Sono gente tranquilla, non danno nessun fastidio. Ma non potete immaginare i
topi che ci sono", dice il negoziante di scale che confina con il capannone.
"Abbiamo chiamato la Asl, abbiamo consumato centinaia di bustine di veleno per
topi, il giorno dopo non le trovavamo più. A volte l'odore è insopportabile: con
gli altri abitanti del quartiere ci arrampichiamo sulle mie scale e le
impalcature per lanciare bottiglie di creolina".
La scorsa settimana la Municipalità ha partecipato a un Comitato per l'ordine e
la sicurezza pubblica nel corso del quale si è parlato del rischio tubercolosi e
dell'emergenza caldo. Un copione che si ripete da due anni. "Ho scritto a
sindaco e prefetto - racconta Principe - per chiedere un intervento urgente di
bonifica. L'assessore Riccio sostiene che la competenza è del prefetto che però
dice di essere delegato solo per i nuovi campi da costruire. Da tre anni
l'emergenza estiva si ripropone tale e quale. L'anno scorso all'aeroporto ci fu
un black-out, si scoprì che la cabina elettrica era franata sotto un bagno
costruito dai Rom".
I soli ad avere accesso al campo sono i volontari della Comunità Sant'Egidio. I
"reduci" delle battaglie di Ponticelli hanno paura di dover lasciare anche
questo ricovero. "Collaboriamo con i medici dell'associazione "Don Chisciotte"
per tenere sotto monitoraggio costante questa delicata situazione. Finora
nessuna alternativa", dice Antonio Mattone, portavoce della comunità. Andar via
da Ponticelli non ha aiutato l'integrazione. Alcuni bambini sono iscritti alla
scuola "Ammaturo", ma solo due su sei hanno frequentato. D'estate puntualmente
la priorità viene conquistata dall'allarme igiene. Principe sta molto attento a
non chiedere sgomberi. "Bisogna metterli in condizione di vivere da persone,
quella non è una vita decorosa", spiega il presidente della Municipalità.
Il cancello si apre e un uomo va verso la fermata del bus, indossa una maglia
azzurra con la scritta Italia. Rom? "No, napoletano. Sono vedovo da quattro
anni, da allora ho lasciato la casa di San Pietro a Patierno e abito qui. A
quest'ora sono costretto a uscire, me ne vado in giro per non sentire l'odore
dei rifiuti. Devo aspettare ancora due mesi: mio figlio ha trovato lavoro e mi
ospiterà". Mostra il braccio sinistro, gli manca la mano fino a metà
avambraccio. "L'ho persa il primo giorno di lavoro da falegname: avevo 13 anni".
(14 luglio 2010)