Segnalazione di Pierluigi Umbriano
La Corte europea dei diritti umani (CEDU) ha accertato, nel caso Udorovic c.
Italia, la violazione dell'art. 6, par. 1, della Convenzione che garantisce
l'equità della procedura, in relazione ad una domanda giudiziaria di un
cittadino italiano di etnia sinta avverso lo sgombero di un campo nomadi.
Con sentenza del 18 maggio 2010, la Corte europea dei diritti umani (CEDU) ha
accertato, nel caso Udorovic c. Italia, la violazione dell'art. 6, par. 1, della
Convenzione che garantisce l'equità della procedura, in relazione ad una
domanda giudiziaria di un cittadino italiano sinto avverso lo sgombero di un
campo nomadi.
La vicenda riguarda nello specifico un cittadino italiano, appartenente alla
comunità dei Sinti, abitante in un campo nomadi di Roma. Sebbene il campo fosse
stato autorizzato al comune in un primo momento, successivamente ne era stato
ordinato lo sgombero, in quanto il campo non era fornito di acqua potabile e non
era dotato di fognature.
Contro i provvedimenti del Comune, il ricorrente aveva quindi promosso un
ricorso davanti all'autorità giudiziaria amministrativa, per l'annullamento,
previa sospensiva, del provvedimento impugnato, ed altra azione davanti
all'autorità giudiziaria ordinaria, ai sensi degli artt. 43 e 44, D.Lgs. n. 286
del 1998, lamentando il carattere discriminatorio dell'azione amministrativa.
Il giudizio amministrativo si era concluso con la sospensiva del provvedimento
impugnato, confermata dal Consiglio di Stato; il giudizio innanzi al giudice
ordinario aveva invece visto soccombere l'attore, in quanto il tribunale, con
ordinanza del 12 marzo 2001, aveva ritenuto che i provvedimenti impugnati non
erano discriminatori, avendo essi lo scopo di garantire la salute pubblica dei
cittadini residenti vicino al campo nonché quella degli occupanti dello campo
stesso (ed il giudizio dinanzi alla Corte d'Appello di Roma aveva quindi
confermato la decisione di prime cure).
Il ricorrente era però ricorso alla Corte europea dei diritti umani, lamentando
la discriminatorietà del provvedimento, e deducendo l'iniquità della procedura
svoltasi davanti all'autorità giudiziaria ordinaria dato che il processo si era
svolto in camera di consiglio e che la corte non si era pronunciata sul
provvedimento amministrativo del sindaco di Roma, di alcuni anni precedente allo
sgombero, che precisava le regole dei campi nomadi in città (e, in particolare,
prevedeva, per le famiglie di Rom e Sinti, che coloro che avevano figli in età
scolare e frequentanti corsi di istruzione obbligatori avevano il diritto di
risiedere nei campi nomadi collegati alla città).
La Corte europea dei diritti umani (CEDU) ha quindi accertato, con la decisione
in epigrafe, la violazione dell'art. 6, par. 1 della Convenzione, ed il diritto
ad un equo processo, perché la Corte d'Appello non aveva statuito sulla parte
della domanda proposta dal ricorrente riguardante proprio la decisione sindacale
precedente, inerente la regolamentazione dei campi nomadi in città.
Di: Giulia Malinconico