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La Corte europea dei diritti dell'uomo accoglie ricorso proposto da cittadino italiano di etnia sinta per violazione art.6 CEDU
Di Fabrizio (del 12/07/2010 @ 09:32:22, in Regole, visitato 1846 volte)

Segnalazione di Pierluigi Umbriano

La Corte europea dei diritti umani (CEDU) ha accertato, nel caso Udorovic c. Italia, la violazione dell'art. 6, par. 1, della Convenzione che garantisce l'equità della procedura, in relazione ad una domanda giudiziaria di un cittadino italiano di etnia sinta avverso lo sgombero di un campo nomadi.

Con sentenza del 18 maggio 2010, la Corte europea dei diritti umani (CEDU) ha accertato, nel caso Udorovic c. Italia, la violazione dell'art. 6, par. 1, della Convenzione che garantisce l'equità della procedura, in relazione ad una domanda giudiziaria di un cittadino italiano sinto avverso lo sgombero di un campo nomadi.

La vicenda riguarda nello specifico un cittadino italiano, appartenente alla comunità dei Sinti, abitante in un campo nomadi di Roma. Sebbene il campo fosse stato autorizzato al comune in un primo momento, successivamente ne era stato ordinato lo sgombero, in quanto il campo non era fornito di acqua potabile e non era dotato di fognature.

Contro i provvedimenti del Comune, il ricorrente aveva quindi promosso un ricorso davanti all'autorità giudiziaria amministrativa, per l'annullamento, previa sospensiva, del provvedimento impugnato, ed altra azione davanti all'autorità giudiziaria ordinaria, ai sensi degli artt. 43 e 44, D.Lgs. n. 286 del 1998, lamentando il carattere discriminatorio dell'azione amministrativa.

Il giudizio amministrativo si era concluso con la sospensiva del provvedimento impugnato, confermata dal Consiglio di Stato; il giudizio innanzi al giudice ordinario aveva invece visto soccombere l'attore, in quanto il tribunale, con ordinanza del 12 marzo 2001, aveva ritenuto che i provvedimenti impugnati non erano discriminatori, avendo essi lo scopo di garantire la salute pubblica dei cittadini residenti vicino al campo nonché quella degli occupanti dello campo stesso (ed il giudizio dinanzi alla Corte d'Appello di Roma aveva quindi confermato la decisione di prime cure).

Il ricorrente era però ricorso alla Corte europea dei diritti umani, lamentando la discriminatorietà del provvedimento, e deducendo l'iniquità della procedura svoltasi davanti all'autorità giudiziaria ordinaria dato che il processo si era svolto in camera di consiglio e che la corte non si era pronunciata sul provvedimento amministrativo del sindaco di Roma, di alcuni anni precedente allo sgombero, che precisava le regole dei campi nomadi in città (e, in particolare, prevedeva, per le famiglie di Rom e Sinti, che coloro che avevano figli in età scolare e frequentanti corsi di istruzione obbligatori avevano il diritto di risiedere nei campi nomadi collegati alla città).

La Corte europea dei diritti umani (CEDU) ha quindi accertato, con la decisione in epigrafe, la violazione dell'art. 6, par. 1 della Convenzione, ed il diritto ad un equo processo, perché la Corte d'Appello non aveva statuito sulla parte della domanda proposta dal ricorrente riguardante proprio la decisione sindacale precedente, inerente la regolamentazione dei campi nomadi in città.

Di: Giulia Malinconico