Rom e Sinti da tutto il mondo

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La redazione
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 20/10/2010 @ 23:42:36, in Europa, visitato 2407 volte)

Notizia importante per quanti hanno seguito per un anno e mezzo gli sviluppi della storia della piccola Natálka: il tribunale ha emesso il proprio giudizio. Mi manca il tempo di tradurre le varie agenzie, questo il lancio di VIRGILIO notizie (segnalato da Alberto Maria Melis)

La foto è presa dalla BBC

Ventidue anni di carcere, ridussero in fin di vita una bimba

Praga, 20 ott. (Apcom-Nuova Europa) - Pena esemplare in Repubblica ceca per i quattro neonazisti che nella primavera del 2009 - con un attacco incendiario contro una casa abitata da una famiglia Rom - ridussero in fin di vita una bambina di due anni, Natalka, provocandole ustioni gravissime in tutto il corpo.

L'attentato fu compiuto come gesto dimostrativo per celebrare il 120esimo anniversario della nascita di Adolf Hilter. Il tribunale di Ostrava, nella Moravia del Nord, oggi ha inflitto 22 anni di carcere a tre degli attentatori, mentre il quarto - incensurato, che li aveva aspettati in auto, per fuggire dopo il raid - è stato condannato a 12 anni di detenzione. I quattro, di età compresa fra 22 e 25 anni, dovranno anche versare un risarcimento complessivo di 17 milioni di corone (circa 600 mila euro). I condannati hanno immediatamente impugnato la sentenza, con un ricorso in appello.

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Di Fabrizio (del 20/10/2010 @ 09:43:08, in Europa, visitato 2003 volte)

Da Roma_Francais

Euronews

14/10/2010 - Tony Gatlif è un uomo con una missione. Per 35 anni, Gatlif che è mezzo Cabilo (Algerino), mezzo zingaro, ha prodotto e diretto film sui Rom in Europa, un popolo che afferma è spesso incompreso e discriminato.

Il suo ultimo film, "Liberté", uscito quest'anno, è sui circa 30.000 Rom francesi che furono detenuti e deportati durante la II guerra mondiale.

Anche se Gatlif è arrabbiato per le espulsioni del presidente Sarkozy e per lo smantellamento dei campi rom illegali, insiste che quanto sta succedendo oggi non può in nessuna maniera essere comparato alle deportazioni della II guerra mondiale.

Ma ammonisce che è uno scomodo promemoria di ciò che accade quando un'intera razza o popolo è presa a bersaglio.

Valerie Zabriskie di Euronews si è incontrata col regista a Lione.

Tony Gatlif, lei è fermamente contrario allo smantellamento dei campi rom, anche se i sondaggi suggeriscono che il 60% dei Francesi appoggia questa politica di "smantellamento". La sorprende?

Non posso farci niente. L'unica cosa che posso fare, è spiegare a tutti quanti non capiscono questo problema sul popolo viaggiante - sono i termini amministrativi. Sono il popolo rom, zingari che sono in Francia da lungo, lungo tempo, sin da Francesco I, questi zingari, che sono nel sud della Francia e in Spagna. Tutto qui. E questo popolo che è qui in Europa dal Medio Evo, ha contribuito all'Europa, alla sua cultura, a tutto ciò che è europeo. Ed ora, vogliamo che diventino invisibili. Non vogliamo che esistano. Ma come può un popolo di 10 milioni semplicemente smettere all'improvviso di esistere? I capi di stato europei hanno deciso di approvare leggi contro di loro così che non possano più viaggiare. Questo significa che se non vuoi che un popolo si sposti, lo confini. E' quel che abbiamo fatto durante la guerra.

Ma ora che la Romania e la Bulgaria sono parte dell'Unione Europea, non si può più farlo. Hanno il diritto a spostarsi in altri paesi europei, ma se dopo tre mesi non hanno un lavoro o sono ritenuti un peso sociale, possono essere espulsi.

Questa legge è stata creata per loro, ma non è per tutti. Vicino a dove vivo io a Parigi, c'è una persona tedesca senza casa. E' lì da tre anni. Qualcuno gli ha detto che deve tornare in Germania? E' senza casa, è Tedesco, mi ha detto. Così queste leggi sono fatte per determinate persone, per i cittadini di "seconda classe" e poi ci sono leggi per i "veri" cittadini. E' così. E così io credo che queste leggi siano state create esclusivamente per gli zingari e poter dire, "attenzione, se apriamo i confini europei avremo tutti gli zingari che vorranno partire." Sanno che è quel che fanno sempre gli zingari. Così dicono che faranno queste leggi per bloccarli e rimandarli a casa dopo tre mesi.

Ma non pensa che ciò che è successo il mese scorso al vertice UE, tra il presidente Sarkozy ed il commissario europeo, mostri che la Commissione Europea stia iniziando a prestare a ciò che si chiama il problema rom in Europa?

Sono scioccati, penso, questi paesi sono scioccati perché la Spagna non agisce così, ci sono paesi UE che non fanno così. Neanche la Grecia. La Grecia ama i suoi zingari. Così la Francia, tutto d'improvviso, con queste leggi che hanno introdotto, vuole sradicare questo popolo, questi Rom che sono qui da non so quanto, forse tre o quattro anni. E li sgomberano e li espellono dalle loro baracche, dalle loro case di cartone, nei boschi, sotto i ponti, lungo le autostrade. E li spostano numerosi, in massa. E questo ci ricorda un trauma. Ci sono bambini seminudi, tra le braccia delle madri. C'è panico ovunque. Non hanno tempo di prendere le loro cose. E' il panico. Naturalmente non siamo agli estremi delle deportazioni del 1940, ma è ancora, la parte finale di un cuneo.

La gente si lamenta di vedere i Rom, gli zingari con i loro grossi caravan, le loro belle macchine e nel contempo si dipingono come vittime, le donne che mendicano per strada con i bambini...

Qui quando sono arrivato alla stazione di Lione, mi ha fermato una donna. Aveva occhi blu, non sembrava per niente straniera. Era Francese e mi ha chiesto dei soldi per i suoi bambini. Ha messo la sua miseria proprio di fronte a me, perché era povera e miserabile e non ho coperto i miei occhi. Ma lo zingaro che mendica, da fastidio a tutti. Perché? Perché ricorda loro la propria insicurezza? Forse si sentono molestati? Ma io mi sento molestato anche dai senza casa. Ma è normale che mi senta molestato. Sarebbe l'ultima frontiera, che muoiano di fronte a noi senza chiedere niente. Ma questo è com'è il mondo nuovo oggi. Il mondo moderno.

Ma con tutta la copertura dei media sulle espulsioni di quest'estate, forse lei non è ottimista, ma non spera che ci sia ora maggiore pressione sui capi di stato europei per affrontare questo problema che è europeo?

Non ho paura dei capi di stato europei. Non ho paura di chi governa l'Europa. Ho paura degli Europei. Una volta che un governo come quello della Francia - che è un paese a cui tutta l'Europa guardava durante l'era comunista perché era il paese dei diritti umani - una volta che la Francia, il paese dei diritti umani, inizia a puntare il dito contro gente che è fragile, mi preoccupa la reazione a catena. Mi preoccupa che la gente di altri paesi dirà di voler fare la stessa cosa perché questi Rom non sono buoni. E quel che ha detto il governo francese, che ha detto il presidente francese, o meglio, non ha detto che non erano buoni, ma che erano problematici. Quindi dal suo punto di vista, in paesi come la Romania, o la Bulgaria o l'Ungheria ed altrove, anche lì si può dire: "Sì, abbiamo un problema con questa gente (i Rom).

Questo mese c'è un summit a Bucarest, sull'integrazione dei Rom in Europa. Cosa ti aspetti che verrà fuori da questo tipo di vertice? Cosa speri?

Che lascino in pace questa gente. Questi Rom non chiedono niente. Non hanno mai fatto guerre, non si sono mai armati, mai usato bombe. Vogliono solo vivere. Quindi lasciamoli vivere e troviamo i mezzi per aiutarli a farlo, come chiunque altro in Europa. E smettiamo di appiccicargli etichette sulla schiena, o di creare leggi che vanno contro il loro modo di vivere.

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Di Fabrizio (del 19/10/2010 @ 09:46:14, in Europa, visitato 1769 volte)

Da Nordic_Roma (sull'argomento: 1, 2, 3, 4, 5)

YLE.fi Il ministro degli esteri finnico Alexander Stubb ha condannato i piani per rendere illegale l'accattonaggio per strada. Ha invece chiesto ai leader UE di fornire appoggio alla minoranza rom d'Europa.

09/10/2010 - Parlando nel programma di discussione domenicale Ykkösaamu di YLE, Stubb ha detto che i problemi affrontati dai gruppi rom d'Europa, i principali praticanti dell'accattonaggio, devono essere supportati da programmi finanziari, come i fondi d'appoggio a livello UE.

Il ministro degli esteri ha chiesto agli stati membri UE di stanziare fondi per i Rom nel corso dei prossimi negoziati di bilancio. Ha proposto la creazione di fondi comuni ed una maggiore enfasi sulla formazione per i Rom.

Ha dichiarato: "Tutto dipende da considerazioni finanziarie in un senso o nell'altro. I Rom sono importanti come qualsiasi altro gruppo di minoranza."

Stubb ha anche puntualizzato che il diritto alla libera circolazione nella regione è una libertà fondamentale nella UE.

"Non è una questione delle sole Romania, Bulgaria o Francia. Tutti noi abbiamo una responsabilità comune," ha aggiunto.

Il ministro ha detto che ognuno dovrebbe considerare il modo migliore per eliminare l'accattonaggio dalle strade cittadine. Ha aggiunto che un divieto colpirebbe solo il sintomo e non la causa del problema.

"Sono molto scettico su un divieto assoluto dell'accattonaggio. La povertà non è un crimine. Se è legato alla criminalità organizzata, possiamo intervenire usando le normali vie legali."

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Di Fabrizio (del 19/10/2010 @ 09:40:00, in Italia, visitato 1725 volte)

Donatella Ascari - Segretaria Ass.Them Romanò Onlus - Reggio Emilia

Con Dosta! La Campagna del Consiglio d'Europa per dire basta al razzismo, ci siamo messi in piazza a disposizione di tutti coloro che volessero chiederci della nostra vita, del nostro lavoro, volevamo farci conoscere per combattere i pregiudizi che ci accompagnano da secoli solo perché, unici e rari, ci consideriamo cittadini del mondo. Abbiamo suonato con i nostri violini, abbiamo offerto cibo, mostrato le roulotte e, alla politica, abbiamo chiesto precisamente si essere coinvolti nelle decisioni che ci riguardano, di partecipare alla gestione dei campi, di avere voce. E' invece partita una assurda polemica in cui, ancora una volta, nessuno ci ha consultato. Tutti ci parlano addosso e nessuno ci ascolta, è proprio questo che non sopportiamo più. Noi siamo cittadini reggiani solo quando, in campagna elettorale, vengono a chiederci i voti, poi ridiventiamo un fastidio, un problema che, addirittura il signor Sindaco paragona a tossicodipendenti e carcerati. Vorremmo chiarire che la vita nomade è una scelta, una cultura, un diritto che abbiamo difeso in centinaia di anni di persecuzioni fino ai campi di sterminio. Nessuno è obbligato a vivere da sinto o rom, tutti possono decidere altrimenti, ma non è concepibile che si pretenda di "normalizzarci" come se il nostro stile di vita fosse una colpa. Noi vogliamo l'uguaglianza non essere tutti uguali, quando tutti sono uguali si chiama totalitarismo e noi ricordiamo meglio di voi cosa vuol dire. Non abbiamo chiesto case popolari, chi vuole può fare domanda come tutti gli altri, ma la maggioranza di noi preferisce vivere con il proprio nucleo famigliare non in campi di concentramento ma in situazioni dignitose. Per questo chiediamo che si trovi il modo ci legalizzare le nostre residenze in piccoli appezzamenti di terreno che abbiamo acquistato, senza il contributo di nessuno, intorno alla città e su cui viviamo da decenni. Noi amiamo vivere all'aria aperta, girare con le nostre giostre tra sagre e fiere a contatto con la gente, come pensate che potremmo parcheggiare una giostra nel garage di una casa popolare? Volete anche che cambiamo lavoro, volete spegnere il circo, i Luna Park? Già si sta andando su questa strada: a Rubiera, a Sant'Ilario e a Poviglio si vogliono spostare le giostre lontano da dove sono i bambini e il nostro pubblico, perché si cerca di mettere in difficoltà interi nuclei famigliari che di questo vivono, volete creare nuovi disoccupati? Ogni volta che cerchiamo di mantenerci con le nostre sole forze, si cerca di emarginarci, perché noi dobbiamo essere quelli che chiedono l'elemosina. Già combattiamo contro i pregiudizi dei cittadini ma se la politica, che dovrebbe portare equilibrio, ci indica come problema, come si potrà creare un clima positivo in città? Siamo molto delusi ma non vogliamo richiuderci tra noi, noi abbiamo offerto la nostra disponibilità, spetta alla politica e alla città fare la sua parte, noi siamo già cittadini del mondo e non solo dell'Europa, la nostra casa è la famiglia non una costruzione in mattoni e non c'è nessuna porta tra noi e chiunque voglia conoscerci.

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Di Fabrizio (del 18/10/2010 @ 09:49:43, in Europa, visitato 2214 volte)

Da Roma_und_Sinti

Wsws.org By Martin Kriekenbaum

02/10/2010 - Durante una conferenza stampa, proprio dopo il summit UE di Bruxelles due settimane fa, il presidente francese Nicolas Sarkozy causò una tempesta diplomatica, quando dichiarò che la cancelliera tedesca Angela Merkel gli aveva segnalato "la sua intenzione di smantellare i campi (rom) nelle settimane a venire". Questa dichiarazione venne immediatamente smentita dal governo tedesco, che si giustificò dicendo che in Germania non c'erano campi rom.

Anche i politici tedeschi d'opposizione hanno appoggiato la cancelliera, aggiungendosi alle critiche verso Sarkozy. Olaf Scholz (SPD - socialdemocratici) ha accusato il presidente francese di voler distrarre la gente dai suoi problemi politici interni. Gregor Gysi (Die Linke - sinistra) ha presunto che "lei (Merkel) non poteva aver pronunciato un simile non senso, perché in Germania non abbiamo quel tipo di campi".

In effetti, in Germania non ci sono campi comparabili a quelli francesi. Le autorità disperdono immediatamente gli insediamenti di fortuna a Berlino e Francoforte quando Rom disperati dalla Bulgaria e dalla Romania li allestiscono a cielo aperto. Tuttavia, il governo tedesco sta pianificando la deportazione dei Rom su scala di massa - ma verso il Kosovo piuttosto che la Romania. La disumanità di tale impegno da parte delle autorità tedesche non è certo meno preoccupante di quella del governo francese. Questo in modo particolare perché i Rom, assieme agli Ebrei, furono il bersaglio principale del genocidio nazista.

Il 14 aprile, il ministro degli interni Thomas de Maizière (CDU - cristiano democratici) ha firmato un accordo con la controparte kosovara, obbligando il Kosovo a riprendersi 14.000 rifugiati. Circa 10.000 di questi saranno Rom (vedi "Germany prepares to deport 14,000 refugees to Kosovo"), che erano fuggiti durante la guerra nella ex Jugoslavia, patrocinata dalla Germania. In quel periodo, le milizie del Kosovo alleate della NATO, espulsero oltre i due terzi dei 150.000 Rom dal Kosovo.

Ora saranno costretti al ritorno, anche se non hanno alcuna possibilità di una vita normale in Kosovo. Indagini condotte nel paese dal politologo Peter Widmann,  mostrano che la disoccupazione tra i Rom in Kosovo sfiora il 100%, e di solito le famiglie rom sono segregate. Particolarmente sono colpiti i 2.000 bambini rom che il governo tedesco intende deportare. Alcuni di loro sono nati in Germania e non parlano una parola di albanese. Secondo Widmann, tre quarti dei bambini dei rifugiati deportati in Kosovo non stanno frequentando la scuola.

Ciò nonostante, il governo tedesco insiste che le condizioni dei Rom in Kosovo negli anni recenti è migliorata. Secondo il ministro federale degli interni, non esiste "pericolo imminente, derivante unicamente dall'appartenenza ad un particolare gruppo etnico", ed aggiunge anche che "le condizioni economiche e sociali nello stato, volte a riprendere i rimpatriati" sono irrilevanti nel processo di deportazione. Però, secondo l'UNICEF le procedure di deportazione violano nella pratica la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti dell'Infanzia, perché non permettono di assicurare il mantenimento dell'esistenza umana.

Rispondendo ad una interrogazione di Die Linke, il ministro tedesco degli interni ha recentemente confermato che starebbe rispettando i propri piani di deportazione come riportati un anno fa dal giornale Süddeutsche Zeitung (...).Si può pertanto presumere che Sarkozy non si sia semplicemente inventato il commento della Merkel, ma che sia stato informato della prossima deportazione di Rom.

Vessazioni contro i rifugiati

Le vessazioni nei confronti dei Rom in Germania non si limitano a quanti saranno a breve deportati. Si trovano ad affrontare discriminazioni sociali anche i Rom a cui permesso a fatica di rimanere nel paese, quanti possiedono la cittadinanza tedesca e famiglie che vivono in Germania da generazioni.

Un totale di circa 50.000 cercarono rifugio in Germania dalle guerre in Jugoslavia negli anni '90. Oltre i due terzi non sono stati riconosciuti come rifugiati - è stato cioè negato loro un diritto al soggiorno sicuro e sono lì solo in sofferenza, in attesa di ulteriori sviluppi. Il diritto alla residenza temporanea viene rilasciato di volta in volta soltanto per brevi periodi di tempo, normalmente non più di 6 mesi, così questi rifugiati corrono il rischio di essere rimpatriati in qualsiasi momento.

In linea con questo tipo si status di residenti temporanei, è escluso l'accesso a quasi tutti i benefici sociali statali. Non hanno diritto a partecipare a programmi di integrazione e corsi di lingua, non è permesso loro di viaggiare fuori dal comune o dal distretto amministrativo assegnatogli. Chi non rispetta queste restrizioni di movimento è passibile di severe punizioni.

Inoltre, dato che sono rifugiati, la legge che copre la previdenza sociale per i richiedenti asilo consente loro solo una ridotta quantità di sostegno sociale. I singoli capifamiglia quindi ricevono solo circa 230 € al mese e gli altri famigliari solo 200 €. Comunque, le amministrazioni comunali spesso pagano in contanti solo l'importo minimo legalmente specificato di 40 €, e forniscono il resto sotto forma di beni tangibili essenziali. Questi rifugiati inoltre non hanno diritto ad assegni per figli o genitori, e non hanno assicurazione sanitaria, ricevendo solo cure mediche d'urgenza.

Per dissuadere reclami dai rifugiati, sono assegnati in ostelli ed alloggi provvisori, alle periferie estreme delle città o in zone industriali. In alcuni comuni vengono impiantate per i Rom le cosiddette "stazioni di container di detenzione" - nel porto di Amburgo per l'accoglienza di 200 rifugiati venne adoperata una nave. In altri casi, vecchi edifici scolastici, alberghi malandati e siti dell'amministrazione servono come ostelli per rifugiati, tutti caratterizzati da povere condizioni strutturali, carenza di attrezzature di base e assenza di assistenza sociale.

Anche se alcuni comuni hanno iniziato a fornire ai Rom appartamenti in affitto, per la grande maggioranza dei rifugiati la situazione alloggio è cambiata di poco.

Come i rifugiati, anche i Rom sono soggetti a restrizioni nell'ottenere un impiego o nel prendere parte a programmi formativi e di perfezionamento. Di conseguenza, le prospettive sono poche, soprattutto per i giovani rom. Particolarmente sono colpiti i bambini, negli stati dell'Hesse e dello Saarland viene loro rifiutato il diritto di frequentare la scuola.

Eppure, spesso anche quei bambini che possono frequentarla non riescono a ricevere un'istruzione decente. Le autorità si aggrappano a "specificità culturali" relative ai Rom, denigrati per "non essere interessati alla scuola" e per il loro "anticonformismo". Le ragioni devono essere individuate nelle condizioni di vita dei bambini, determinate dalle stesse autorità statali.

La rilocazione e la chiusura degli ostelli per rifugiati obbliga continuamente i Rom a spostarsi tra i vari alloggi. Per i bambini, questo spesso comporta cambio di scuole e un rinnovato sforzo di integrazione. Così le de-registrazioni e le mancate nuove registrazioni portano ad una frequenza scolastica irregolare ed alla perdita della lezioni.

Tuttavia i genitori - per cui non ci sono corsi di lingua e che spesso hanno loro stessi una bassa scolarità o non hanno mai frequentato le scuole - sono vigorosamente rimproverati di non prendersi cura dei figli. Come risultato, i bambini dei rifugiati rom sono considerati poco propensi ad imparare e quindi, senza alcun test diagnostico, destinati alle scuole speciali, quando in effetti viene loro negata ogni possibilità di formazione professionale.

La discriminazione nel sistema educativo e nei mercati della casa e del lavoro, porta molti Rom all'isolamento sociale. Anche le esperienze negative con le autorità ufficiali portano alla sfiducia ed all'alienazione. Tutto ciò a sua volta viene portato a prova da parte dei demagoghi di destra "sull'incapacità di integrazione" dei Sinti e dei Rom.

Persecuzione dei Rom e dei Sinti

Oltre ai rifugiati dall'Europa orientale, in Germania ci sono anche Sinti e Rom che vi hanno vissuto da generazioni, la maggior parte in possesso di cittadinanza tedesca. Secondo la Carta UE sui Diritti Fondamentali e la Convenzione Quadro della Commissione Europea per la Protezione delle Minoranze Nazionali, Sinti e Rom sono riconosciuti come una minoranza, titolare di protezione e diritti speciali.

E' quindi sorprendente quanto poco si sappia sulla loro situazione sociale. Questo è evidente in primo luogo riguardo alla dimensione di questo gruppo di popolazione. Dato che viene registrata la sola cittadinanza e non l'etnia, si può solo stimare il numero di Sinti e Rom con passaporto tedesco. Di solito si stimano in 70.000 persone. Aggiunti a questi, circa 50.000 rifugiati dalla ex Jugoslavia e dal Kosovo, tra cui ci sono circa 20.000 bambini. Però, altre stime contano 200.000 Rom e Sinti in Germania.

Sinti e Rom di sicuro non appartengono ad un gruppo etnicamente omogeneo. Hanno storie di insediamento differenti e parlano lingue distinte. I Sinti arrivarono in Germania circa 600 anni fa, ed i Rom nel XIX secolo. Quel che hanno in comune, è una storia tormentata con la discriminazione.

Dopo la fondazione dello stato nazionale tedesco nel 1871 e la conseguente espansione del sistema amministrativo, aumentarono le persecuzioni delle minoranze. Nel 1899 a Monaco venne fondata una squadra speciale, il cosiddetto "[Ufficio] Centrale Zingaro". Ufficialmente chiamato "Ufficio Centrale per la Lotta Contro l'Inquinamento Zingaro", la sua giurisdizione venne estesa a coprire l'intero impero tedesco nel 1929. Il compito principale di questa branca delle forze di polizia era di compilare un registro sistematico dei Sinti e dei Rom - un'operazione che il regime nazista fu capace di estendere per costruire la sua segregazione razziale ed i programmi di sterminio.

Subito dopo la presa del potere di Hitler, i nazisti istituirono "campi zingari" in città e paesi, e pubblicò il "Decreto Circolare per Combattere la Piaga Zingara". Col 1942, iniziarono deportazioni programmate di massa verso i campi di sterminio di Auschwitz e Birkenau, dove furono uccisi 500.000 Sinti e Rom da tutta Europa. Dei circa 25.000 Sinti e Rom che ancora vivevano in Germania allo scoppio della II guerra mondiale, oltre 15.000 furono uccisi dal regime di terrore nazista.

Tuttavia, la persecuzione e l'assassinio di Sinti e Rom venne messa a tacere e negata per decenni dopo la guerra. Occasionalmente, le autorità continuarono le inumane politiche naziste. In Baviera nel 1953, venne stabilita la "Centrale Vagabondi" come diretta continuazione del "Centrale Zingaro". Era guidata da Josef Eichberger, che in precedenza era stato responsabile del Centro del Reich di Scambio per la Deportazione di Sinti e Rom. La Centrale Vagabondi  si serviva abitualmente di vecchi documenti nazisti. Numerosi Sinti e Rom, diventati apolidi sotto il regime nazista, dovettero attendere gli anni '80 per ottenere nuovamente la cittadinanza tedesca.

Anche le autorità tedesche continuarono l'ideologia di persecuzione impiegata dal regime nazista. Hanno sostenuto che tutti i Sinti e Rom erano incapaci di integrazione, a causa della loro razza e cultura, che erano guidati da istinto nomade; e che avevano tendenze criminali.

Anche se generalmente i Sinti e i Rom hanno subito pressioni per rimanere in un posto, le rispettive autorità municipali hanno tentato di prevenire gli insediamenti nei loro rispettivi distretti amministrativi.

Alternativamente vittime di ghettizzazioni e sgomberi, ai sopravvissuti ai campi di concentramento da alcuni comuni furono solo garantiti spazi dove parcheggiare le roulotte, senza acqua o elettricità; o altrimenti mandati in aree residenziali degradate ed isolate.

Nonostante ciò, la gran maggioranza dei Sinti e dei Rom è diventata da tempo stanziale. Però, solo una piccola parte di loro è stata in grado di migliorare il suo stile di vita. La deplorevole situazione sociale dei Sinti e dei Rom è stata evidenziata da due studi completi di scienze sociali del 1978 e del 1982. Non vennero effettuati ulteriori studi di questo tipo, ma indagini ristrette localmente rivelano che continuava la situazione precaria di Sinti e Rom. I risultati mostrano che sino al 30% dei bambini è piazzato in scuole speciali, il 30% degli adulti non ha avuto istruzione scolastica, mentre un altro 50% ha lasciato la scuola prima di ottenere un diploma. Lo standard residenziale per una larga parte dei Sinti e dei Rom è risultato essere inferiore al livello minimo accettato.

Alla metà degli anni '80 inizio un cambio delle politiche comunali, che portò a scuole speciali e formazione del lavoro, come pure a programmi di edilizia locale, a misura delle popolazioni rom e sinte. Tuttavia, la situazione sociale è migliorata solo lievemente per questa gente, che ha vissuto in Germania per generazioni.

Uno studio del 2007 dell'UNICEF sulla condizione dei bambini di famiglie rom in Germania, ha presentato un quadro fosco sulle prospettive per i giovani, dato che "hanno grande difficoltà nel creare una vita di successo per loro stessi, in condizioni dove i corsi di formazione ed il mercato lavorale non sono favorevoli ai giovani. In molti casi, il continuare a diffondere notizie sugli stereotipi degli zingari ostacolano ed impediscono la ricerca di un lavoro o della formazione".

Inoltre, i Sinti ed i Rom che ottengono successo socialmente e professionalmente si trasferiscono dai loro vecchi insediamenti, che di conseguenza corrono il rischio di diventare "aree rifugio per perdenti... Ciò che accade rispetto alla minoranza dei Sinti tedeschi è uno sviluppo conosciuto in tutta la società: la tendenza verso la segregazione urbana secondo livelli economici".

Sinti e Rom, immigrati dopo l'espansione orientale della UE, continuano a vivere in condizioni estremamente miserabili, nonostante, al contrario di Francia e Italia, in Germania non ci siano baraccopoli o campi sosta su larga scala.

I Rom fuggiti da Bulgaria e Romania si sono riuniti l'anno scorso a Berlino. Si guadagnavano da vivere pulendo i vetri delle macchine ferme ai semafori delle circonvallazioni cittadine. Mancando di un alloggio regolare, passavano la notte all'aperto nei parchi, prima di essere impacchettati dalle autorità comunali in un ostello per richiedenti asilo. I Rom dell'Europa sud-orientale si sono nuovamente accampati quest'anno nei parchi di Berlino.

Secondo un rapporto della radio bavarese, almeno 500 Rom sono stati assunti come giornalieri. Dato che il diritto di "libertà di circolazione per i lavoratori" è stato applicato nella sola Germania - a differenza della Francia - da quest'anno sono stati loro negati i permessi di lavoro, anche se sono cittadini dell'Unione Europea. Sono quindi obbligati al "mercato del lavoro nero" nelle costruzioni o nelle imprese di pulizie. La loro residenza in Germania è quindi vista dallo stato come illegale, e si trovano ad affrontare continue molestie da parte delle autorità cittadine.

Considerando i Rom in Europa, il saggista Karl-Markus Gauss ha osservato su der Zeit che "[A] parte il periodo relativamente breve della persecuzione nazista, in tutta la loro storia la situazione non è mai stata così brutta" come adesso. Non solo in Francia i Rom sono diventati bersaglio di campagne razziste; sono già stati oggetto di attacchi omicidi in Slovacchia e Ungheria. E' significativo che il summit di Bruxelles abbia risolto "di cercare di sviluppare una strategia a lungo termine al prossimo incontro così da trovare una soluzione al problema". Così, la UE ricorda anche nell'uso del linguaggio l'era buia della persecuzione dei Rom, quando il "problema" era visto esclusivamente nei termini di etnia.

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Di Fabrizio (del 18/10/2010 @ 09:43:05, in scuola, visitato 1732 volte)


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Di Fabrizio (del 17/10/2010 @ 09:39:53, in Italia, visitato 1813 volte)


I rom a Lecce non sono di passaggio, ma le istituzioni non sembrano capirlo
10 ottobre 2010 - Andrea Aufieri (direttore rivista Palascìa_l'informazione migrante)
Fonte: Palascìa_l'informazione migrante, Anno I numero 2, maggio-settembre 2010 - 10 ottobre 2010

Antonio Ciniero, ricercatore dell'Osservatorio provinciale sull'immigrazione della Provincia di Lecce, ci racconta storia e quotidianità del campo "Panareo".
«La situazione che vivono i rom a Lecce è il risultato di discutibili scelte fatte negli scorsi anni. Lo stereotipo più diffuso è quello di credere che siano un gruppo omogeneo, ma più che parlarne in generale bisognerebbe considerare i singoli gruppi. Quello dei rom è "un mondo di mondi", per dirla con Piasere. Nel caso della comunità di campo "Panareo" si tratta di rom khorakhanè shqiptare, rom di tradizione musulmana di provenienza montenegrina e kosovara. Vengono soprattutto da Podgorica, e hanno capito cosa significa vivere in roulotte o in baracca solo qui, visto che in patria vivevano nelle proprie case. Il loro arrivo è avvenuto sulla base dei flussi migratori che hanno seguito la dissoluzione della Jugoslavia, vista la tragica contingenza di guerre fratricide impropriamente chiamate etniche. Molti di loro hanno scelto di non imbracciare le armi e di spostarsi. La scelta del Salento non è stata casuale: alcuni commercianti di abbigliamento compravano qui dei capi di vestiario per rivenderli sulle coste montenegrine, che proprio in quegli anni divenivano meta di flussi turistici. Nel '95-'96, durante la guerra del Kosovo, arriva un secondo gruppo, ma nessuno se ne interessa, se non il volontariato locale e in particolare la Caritas. Che chiede l'intervento delle istituzioni per migliorare le loro condizioni di vita, ma l'ottica dell'intervento istituzionale resta quella securitaria: si effettuano sgombri delle zone occupate accampando motivi di igiene e ordine pubblico. Le uniche risposte istituzionali sono quelle di realizzare un "campo sosta": dapprima si individua l'ex-campeggio di Solicara (1995) e poi dal 1998 si individua la Masseria Panareo».

«Oltre a quella demagogica non si cerca mai una reale soluzione. Si sorvola sul fatto che molti rom siano richiedenti asilo, che meriterebbero tutele che di fatto non hanno: alcuni non possono neanche tornare in Montenegro, dove pure hanno delle case di proprietà, perché risulterebbero disertori. È impossibile non ritenere che quello dell'approccio alla questione dei rom sia un errore di gestione politica. Un esempio di approccio errato alla "questione rom" è l'emanazione dell'ultimo regolamento del campo approntato dalla commissione per i servizi sociali del Comune di Lecce, che li considera ancora soggetti nomadi. Questo perché non ci si è relazionati con la realtà. È dovuto intervenire il portavoce della comunità, Benfik "Beni" Toska, che ha fatto presente che le stesse persone che si credono nomadi sono qui da venticinque anni».

«La soluzione dei campi è adottata solo in Italia, la prima cosa che invece dicono i rom è che vogliono uscire fuori dal campo. Il campo e un'istituzione totalizzante sul soggetto. Chi assume un rom in "sosta temporanea"? Il campo non fa che riprodurre i meccanismi della stigmatizzazione e dell'emarginazione sociale. La sua stessa collocazione sembra studiata ad arte, a 7 km da Lecce e da Campi, 4 da Novoli e da Surbo, 5 da Trepuzzi, senza collegamento pubblico con le città. Una situazione di questo genere porta all'emarginazione. Qui c'è l'intera quarta generazione nata e cresciuta all'interno del campo. Quella del campo è una scelta imposta. Ancora oggi, in materia di decisioni politiche, si assiste al solito canovaccio per cui prima si decide cosa e come fare, ma poi ci si deve adeguare a quanto deliberato. In una società democratica, non è possibile prescindere dal costante coinvolgimento e dal confronto con i cittadini rom -in questo caso- ogni qualvolta un'istituzione è chiamata in causa per prendere decisioni che li riguardano direttamente. Per pianificare le politiche migratorie territoriali, esiste poi un luogo istituzionale preposto per legge. È la prefettura con i Consigli territoriali per l'immigrazione. A Lecce questa istituzione latita. Sono anni che si chiede uno specifico tavolo tematico che appronti, assieme a tutti gli attori, istituzionali e non, le questioni poste dalla presenza dei rom sul territorio, per individuare insieme a loro concrete e praticabili soluzioni che vadano nella direzione dell' inclusione sociale».

«È in questo quadro che l'Opi svolge le sue indagini avvalendosi della metodologia della ricerca/azione. Una ricerca militante, che mira alla conoscenza della realtà sociale per poterla modificare insieme ai soggetti/oggetti di ricerca e alle istituzioni locali. Trovare il capro espiatorio nel solo Comune di Lecce, che ha individuato nel campo sosta la soluzione alloggiativa per questo gruppo di cittadini, sarebbe molto facile ma altrettanto sbagliato. La richiesta che viene dal campo è quella di risiedere nel tessuto urbano e sociale dei comuni della provincia. Chi è già uscito dal campo ha visto che la qualità della propria vita è migliorata. Il problema è di riuscire a concertare e pianificare percorsi praticabili a livello istituzionale». «Riguardo al lavoro, uno degli stereotipi più diffusi tra i gagè è quello che i rom rifiuterebbero il lavoro per "cultura". I rom del "Panareo" si danno da fare, eccome. Sono quasi tutti organizzati con la vendita delle piante presso tutta la provincia, con regolare licenza. Un lavoro congiunturale, però,che richiede autonomia, mobilità, capacità di compravendita, con il quale spesso non si riesce a far fronte alle esigenze economiche di una famiglia. Nel corso del tempo, poi, si ravvisano molte modifiche. Per esempio è venuta meno la logica del manghel (chiedere il denaro per strada), perché i ragazzini nati e cresciuti qui si vergognano di praticarlo. In Italia ancora si attende il riconoscimento dei rom e dei sinti come minoranze linguistico-culturali, come avvenuto per altre realtà. Nel variegato panorama sociale italiano il gruppo più debole è proprio quello dei rom, che pagano gli effetti di un razzismo strisciante presente nella società italiana. Come ci insegna la storia, la logica razzista si basa sul prendere a oggetto il gruppo più facilmente attaccabile, l'anello più debole della catena, per poi colpire gli altri. Quando è andato al potere il governo più xenofobo dal dopoguerra a oggi, da subito i rom sono stati "oggetto d'attenzione", partita con la montatura come quella del "tentato rapimento" di un bambino a Ponticelli a opera di una ragazzina rom, che ha scatenato un vero e proprio pogrom, con l'avallo politico delle opposizioni (ricordiamo il vergognoso volantino redatto dal Pd di Napoli che sosteneva i pogrom!) che è culminata con l'emanazione di decreti e atti chiaramente razzisti, come l'Europa, in generale, e l'Italia, in particolare, hanno conosciuto solo durante il triste periodo dei totalitarismi».

Note:
Link alla rivista Palascìa_l'informazione migrante, sfogliabile gratuitamente all'indirizzo
http://www.metissagecoop.org

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Di Fabrizio (del 17/10/2010 @ 09:25:40, in musica e parole, visitato 2681 volte)

sabato 23 ottobre · 19.00 - 23.30
presso: Affabulazione - Piazza Marco - Vipsanio Agrippa 7h - Ostia Lido, Roma
INGRESSO LIBERO

In occasione della quinta edizione del Dialog Festival a cura dell'Ass.ne Le Sirene, l'Ass. Cult. Affabulazione e Amnesty International Municipio XIII, in collaborazione con il Centro giovanile Lo Spazio, presentano per il secondo anno consecutivo FESTA ROM.

Programma
Ore 19:00 * Mostra fotografica sul campo rom di Acilia Sud a cura di Amnesty International

Ore 20:00 * cena a sottoscrizione con piatti tipici rom a cura di Dragan e Michela

Ore 21:00 * Spettacolo teatrale “Volisma?” con Sara Aprile : CantaStorie – Autrice e Francesca Romana Fioravanti : Violino.
"Volisma" in romanì significa: “mi vuoi bene?” questa è solo una delle tante cose che ho appreso dai Rom…incontrandoli, conoscendoli da vicino, cuore a cuore… “Volisma” non è uno spettacolo rom-antico né sdolcinato, è un racconto nato da mille racconti, è un modo per incontrare un popolo che vive accanto a noi ma che spesso non vediamo…o non vogliamo vedere…. Ma c’è! Attraverso i racconti di donne, Donne Rom, si abbattono pregiudizi, si comprende la storia…la vita, nelle piccole cose, in quelle belle e in quelle brutte, buffe o strane…dure, magiche o vere… e si crea una via… nuova! Raccontare storie è da sempre, per ogni popolo una via per tramandare… per ricordare, per non dimenticare...

Info: 06 45432479
Ass.Cult.Affabulazione

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Di Fabrizio (del 16/10/2010 @ 09:22:06, in Italia, visitato 1610 volte)

Segnalazione di Maria Grazia Dicati

Don Albino Bizzotto - Il mattino di Padova

Cari sindaci, cari carabinieri e vigili della polizia municipale, che cosa sta succedendo? Far rispettare la legge può significare violare i diritti fondamentali delle persone? E' possibile che un cittadino italiano non possa materialmente esistere, perché non può disporre di nessun metro quadro di territorio? A questo siamo arrivati di fatto oggi. Con le ultime leggi sulla sicurezza i sindaci possono emanare ordinanze che precludono a chicchessia la possibilità di stazionare sul proprio territorio. Ci sono in Italia persone che vivono in roulottes o in camper. Generalmente sono sinti o rom. Esco dal generico: vado al fatto, l'ultimo. Vengo chiamato d'urgenza. "Padre, ci sono carabinieri e vigili che ci vogliono cacciare e non intendono ragioni. Venga, faccia presto". Vado. E' vero: obbligo di sgombero. Per andare dove? Non interessa. "Devono andare via di qua", dice un vigile. Ma per quale reato e dove? "Siamo subissati dalle telefonate dei cittadini... Stamattina uno di quelli delle roulottes ha fatto la pipì all'aperto. E' stato anche fotografato". So, interrompo, che in questi giorni siete stati allertati per movimenti sospetti attorno ad alcune case, ma vi garantisco che non si tratta di queste persone.

Risposta di uno dei carabinieri: "Ma questi sono di quella gente, zingari". Sarebbe come dire che anch'io sono ladro, visto che molti italiani cercano di frodare con il "fai da te", dalle cricche politiche fino all'ultimo evasore. Così si spara sul mucchio, invece di perseguire chi veramente delinque. "Ma che vadano in zone attrezzate!". Appunto: tutti le reclamano ma nessuno si azzarda a realizzarle nel proprio Comune. "Ma noi che possiamo fare? Dobbiamo eseguire gli ordini". Certo. Ma chi coordina e dà gli ordini? Un panorama complesso, con personalismi e varie fonti di potere. "Che si mettano d'accordo!". Mi offro di andare dal sindaco immediatamente. Vado. Ho trovato comprensione e impegno. Accetta di dilazionare l'intervento. Ma tutte le contraddizioni rimangono, con rischio di spaccatura nella stessa coalizione di maggioranza. Ritorno al luogo delle roulottes. Vedo la gazzella dei carabinieri e dietro il furgone della polizia municipale. Cerco di raggiungerli per portare il messaggio del sindaco, facendo i fari a intermittenza... Accelerano e se ne vanno. Le roulottes non ci sono più ed è stata installata una sbarra con lucchetto per impedire l'entrata nella zona libera. Neanche la pazienza di una verifica! Anche la beffa! Ritelefono ai miei amici e li faccio comunque ritornare nella stessa zona, assumendomi la responsabilità di una disobbedienza civile di fronte a questa ingiustizia continua, nei confronti di 9 persone esasperate e perseguitate quotidianamente nella loro patria con un perenne foglio di via: ma verso dove? E molte volte trattate con aggressività e arroganza, non secondo legge! Stranieri in patria!

Conosco tutta la loro Via Crucis senza fine da un luogo a un altro, un numero interminabile di posti. Di mezzo c'è anche la perdita di una creatura per lo stress che procura questo tipo di vita. Nessuno che si avvicini, né un'assistente sociale, né qualche persona che si impegni a conoscere la situazione e prendersela a cuore.

Ci sono 3 bambini ma che importa? Nei momenti di tregua cercano di racimolare qualche soldo con la raccolta del ferro vecchio, ma con gli spostamenti continui non ce la fanno. E' vero. Nella nostra società oggi c'è più attenzione e sono più curati e protetti i cani e i gatti che questo tipo di persone. Eppure questi miei amici, come tanti altri sinti e rom, sono dispostissimi a rinunciare alle loro roulottes immediatamente, anche solo per un rudere di casa. Ma non possono partecipare a nessun concorso di assegnazione di case, perché non hanno i requisiti necessari, in particolare il reddito minimo e la residenza. Impossibile trovare un imprenditore disposto a provare a impiegarli in un lavoro. Tutti pretendiamo che si integrino nella società, ma non offriamo nessuna possibilità se non quella di essere mandati via. Sono tanti i sinti e rom analfabeti che desiderano un futuro migliore per i loro bambini e desiderano mandarli a scuola. Ma non si parte dai bambini per affrontare la situazione sociale. Ho raccolto le lacrime di qualcuna di queste mamme che non ce la fanno più. Sono lacrime proprio come quelle delle altre mamme, con qualche peso in più.

Eppure le leggi ci sono perché possano trovare un po' di pace: art 16 della Costituzione, Legge 328 - 2000, (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali) Legge 1228 del '54 sull'iscrizione anagrafica. Ma è meglio ignorarle e stare alle ultime ordinanze. Spero vengano presto dichiarate illegittime, perché non possono prevalere sui diritti fondamentali della persona.

Mi premono due considerazioni:

1) Il fulcro del problema sta in noi. Parlo prima di tutto per me; anch'io, figlio di contadini, sono cresciuto con il pregiudizio e la paura degli "zingari". Sono cambiato quando ho accettato di conoscere le persone con i loro problemi. Il pregiudizio e la paura regola ancora i nostri "non rapporti" con i sinti e i rom, percepiti come più pericolosi degli immigrati. Le pressioni più forti sui sindaci e sulle forze dell'ordine vengono dalla popolazione stessa, che pretende sicurezza non affrontando i problemi, ma rifiutando in blocco questa categoria di persone. Non si fanno né distinzioni, né differenze e quindi non si accettano posizioni problematiche. I tentativi di soluzione vengono visti come una ingiustizia: "Vengono aiutati i delinquenti e non noi che fatichiamo tanto e siamo onesti". Anche le comunità ecclesiali sono in difficoltà, si delega qualche persona di buona volontà della Caritas, ma le comunità non vogliono saperne. Così anche i preti si rassegnano e si comportano come i sindaci. Se la gente si ribella che cosa possono farci? Se qualche prete si espone e richiama a un atteggiamento più umano, si ritrova con una parte dei fedeli che abbandona la messa. Quello dei più poveri e maltrattati pone un serio problema di fede.

2) E qui avviene il corto circuito della politica. Molti politici hanno ottenuto il consenso elettorale puntando sulla paura e andando a gara con la promessa della sicurezza. Più gli amministratori si mostrano intransigenti, più ottengono consenso. Ma la sicurezza delegata alle sole forze dell'ordine e alle case chiuse a chiave come casseforti non costruisce né fiducia né convivenza. I problemi vengono semplicemente rimossi e i pregiudizi e la paura rimangono e vengono scaricati sui più deboli socialmente, trattati come capri espiatori. Una riprova del disagio della nostra società si riscontra nelle esplosioni di violenza che avvengono con sempre più frequenza nelle nostre case. Oggi prevale la politica che cura soprattutto i serbatoi di voti. Sarà fatica, ma amministrare e governare significa anche oggi curare il bene di tutta la comunità, non solo la maggioranza, puntando alla convivenza con tutte le persone esistenti in un territorio, senza selezionare o scartare settori di società. A nessuno piacciono i problemi gravi in casa, ma quando ci sono bisogna affrontarli. E nella famiglia la sicurezza non si realizza con i controlli e gli interventi della polizia, ma con i rapporti di fiducia tra le varie persone, anche e soprattutto nei momenti più difficili. Questo come regola vale anche per la costruzione di qualsiasi altra forma di convivenza comunitaria. Proviamoci!

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Di Fabrizio (del 16/10/2010 @ 09:07:38, in Italia, visitato 1897 volte)

Segnalazione di Stefano Pasta

IncrociNews.it 14.10.2010 di Silvio MENGOTTO
Un "mosaico" di storie di accoglienza e di ospitalità nate dalla generosità di parrocchie, famiglie, maestre, volontari e associazioni

Il laboratorio "Taive" realizzato da Caritas e Cooperativa Intrecci

In questi ultimi anni attorno ai rom di Milano è cresciuta una rete di presenze formata da parrocchie, famiglie, maestre, volontari, associazioni e cittadini, quale segno concreto di vicinanza e accompagnamento.

Numerose, in particolare, le esperienze di sostegno scolastico dei bambini rom nonostante i ripetuti sgomberi. Racconta Flaviana Robbiati, maestra elementare che ha ospitato una bambina rom con la madre: "Alcuni nostri alunni rom vivono in casa, altri sono temporaneamente ospiti in un capannone messo a disposizione dal sindaco di Segrate, una famiglia è ospite di una parrocchia".

Come molti altri parroci, anche don Marco Recalcati, dopo lo sgombero del campo abusivo di via S. Dionigi, per diverse notti ha ospitato alcuni uomini rom nella chiesa di San Giorgio alle ferriere, a Sesto San Giovanni. Oggi le Caritas di Sesto e Cinisello propongono alle istituzioni cammini integrativi della popolazione rom. Ogni domenica i volontari della Comunità di S. Egidio accompagnano i bambini rom presso lo spogliatoio di una società sportiva del quartiere per lavarsi e indossare vestiti puliti.

Un gruppo di Acquisto Solidale di via Feltre da mesi organizza una merenda fuori dalla scuola "Due volte alla settimana per i bambini rom, ma anche per tutti quelli che vogliono - spiega ancora Flaviana Robbiati -. È un'occasione per avvicinarsi e scoprire che siamo un po' diversi, ma anche "molto uguali". I genitori hanno organizzato anche un corso di teatro aperto a tutti i bambini".

L'inverno scorso è stato durissimo, sia per il gelo, sia per gli sgomberi. "Lo sforzo di far venire i bambini a scuola da parte delle famiglie rom è stato enorme - continua la maestra –. Spesso andavamo a prenderli al campo. Altre volte si fermavano a dormire a casa dei compagni o delle maestre".

Dopo lo sgombero di via Rubattino, Anna Cossovich ha conosciuto i bambini e le loro mamme: "Hanno avuto dei nomi e delle facce, hanno raccontato le loro storie crude e io, insieme ad altre famiglie, abbiamo fatto cerchio intorno a loro". Anna ha conosciuto una bambina "che viveva insieme a tanti altri, nel fango e al buio di un campo abusivo, ma che non ha mai saltato un giorno di scuola nonostante i numerosi sgomberi. Ora la bimba ha una casa, i suoi genitori stanno imparando un lavoro che darà loro la possibilità di mantenersi, potrà continuare ad andare a scuola, forse i suoi fratellini andranno all'asilo. Durante l'estate questa bimba è partita con me e la mia famiglia per la montagna, perché ormai è di casa da noi, ha fatto il suo primo pic-nic e la sua prima gita sulla barca al lago, è la compagna di giochi, di studi e di storie della mia bambina".

Guido Maffioli, papà milanese di tre bambini in età scolare, ha conosciuto Florin, un papà rom con tre figli anche loro provenienti dallo sgombero di via Rubattino. "Florin e la sua famiglia - dice - sono stati ospiti prima da don Piero Cecchi, parroco in via Padova; poi hanno trovato una vera casa in affitto, con l'aiuto degli scout di zona. Florin ha trovato un lavoro regolare con cui sostenere la spesa. Una borsa-lavoro sta dando una preziosa opportunità anche al suo figlio maggiore. Ci sono bimbi rom che hanno trascorso insieme alle famiglie dei propri compagni di classe le prime vacanze fuori dal campo".

Al campo rom di Segrate, dove sono arrivate le famiglie sgomberate da via Rubattino, Paola Binni ha conosciuto Alina e i suoi quattro figli. "Alina è una donna rom molto coraggiosa, determinata a integrarsi nella vita milanese per dare ai suoi figli una vita degna di essere vissuta. L'ho assunta per fare le pulizie, uscendo serenamente mentre lei rendeva lucidi i pavimenti. Insieme ai genitori e insegnanti della scuola elementare del quartiere e alla Comunità di S. Egidio, abbiamo deciso di aiutare Alina a trovare una casa per non dover affrontare un nuovo inverno al freddo e al gelo. Noi come gruppo di volontari siamo diventati garanti del contratto d'affitto, certi che tra un anno Alina e suo marito Sandu possano adempiere al pagamento delle spese necessarie. Per noi è una piccola spesa in confronto a "tutto quello che ci possiamo permettere"; per loro è la felicità di poter vivere finalmente una vita decorosa".

Da un anno Alberto Proietti ha conosciuto genitori, insegnanti, volontari di associazioni e cooperative sociali, scoprendo "molte cose sui rom e su Milano". "Personalmente - dice Alberto - ho seguito la vicenda di una famiglia rom con tre figli che dopo aver vagato in vari "campi" ha avuto la possibilità di iniziare un percorso di inserimento sociale: hanno trovato una sistemazione in un appartamento e in pochi mesi, grazie a delle borse lavoro, i due genitori hanno cominciato a lavorare rispondendo egregiamente alle richieste loro fatte".

A Milano, in via Bezzecca 3, è sorto "Taive" (che in lingua rom significa filo), un laboratorio di piccola stireria e sartoria che dà lavoro e integrazione a otto donne rom. Un nuovo progetto realizzato da Caritas in collaborazione con Cooperativa Intrecci

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