Segnalazione di Maria Grazia Dicati
Don Albino Bizzotto - Il mattino di Padova
Cari sindaci, cari carabinieri e vigili della polizia municipale, che cosa sta
succedendo? Far rispettare la legge può significare violare i diritti
fondamentali delle persone? E' possibile che un cittadino italiano non possa
materialmente esistere, perché non può disporre di nessun metro quadro di
territorio? A questo siamo arrivati di fatto oggi. Con le ultime leggi sulla
sicurezza i sindaci possono emanare ordinanze che precludono a chicchessia la
possibilità di stazionare sul proprio territorio. Ci sono in Italia persone che
vivono in roulottes o in camper. Generalmente sono sinti o rom. Esco dal
generico: vado al fatto, l'ultimo. Vengo chiamato d'urgenza. "Padre, ci sono
carabinieri e vigili che ci vogliono cacciare e non intendono ragioni. Venga,
faccia presto". Vado. E' vero: obbligo di sgombero. Per andare dove? Non
interessa. "Devono andare via di qua", dice un vigile. Ma per quale reato e
dove? "Siamo subissati dalle telefonate dei cittadini... Stamattina uno di
quelli delle roulottes ha fatto la pipì all'aperto. E' stato anche fotografato".
So, interrompo, che in questi giorni siete stati allertati per movimenti
sospetti attorno ad alcune case, ma vi garantisco che non si tratta di queste
persone.
Risposta di uno dei carabinieri: "Ma questi sono di quella gente, zingari".
Sarebbe come dire che anch'io sono ladro, visto che molti italiani cercano di
frodare con il "fai da te", dalle cricche politiche fino all'ultimo evasore.
Così si spara sul mucchio, invece di perseguire chi veramente delinque. "Ma che
vadano in zone attrezzate!". Appunto: tutti le reclamano ma nessuno si azzarda a
realizzarle nel proprio Comune. "Ma noi che possiamo fare? Dobbiamo eseguire gli
ordini". Certo. Ma chi coordina e dà gli ordini? Un panorama complesso, con
personalismi e varie fonti di potere. "Che si mettano d'accordo!". Mi offro di
andare dal sindaco immediatamente. Vado. Ho trovato comprensione e impegno.
Accetta di dilazionare l'intervento. Ma tutte le contraddizioni rimangono, con
rischio di spaccatura nella stessa coalizione di maggioranza. Ritorno al luogo
delle roulottes. Vedo la gazzella dei carabinieri e dietro il furgone della
polizia municipale. Cerco di raggiungerli per portare il messaggio del sindaco,
facendo i fari a intermittenza... Accelerano e se ne vanno. Le roulottes non ci
sono più ed è stata installata una sbarra con lucchetto per impedire l'entrata
nella zona libera. Neanche la pazienza di una verifica! Anche la beffa!
Ritelefono ai miei amici e li faccio comunque ritornare nella stessa zona,
assumendomi la responsabilità di una disobbedienza civile di fronte a questa
ingiustizia continua, nei confronti di 9 persone esasperate e perseguitate
quotidianamente nella loro patria con un perenne foglio di via: ma verso dove? E
molte volte trattate con aggressività e arroganza, non secondo legge! Stranieri
in patria!
Conosco tutta la loro Via Crucis senza fine da un luogo a un altro, un numero
interminabile di posti. Di mezzo c'è anche la perdita di una creatura per lo
stress che procura questo tipo di vita. Nessuno che si avvicini, né
un'assistente sociale, né qualche persona che si impegni a conoscere la
situazione e prendersela a cuore.
Ci sono 3 bambini ma che importa? Nei momenti di tregua cercano di racimolare
qualche soldo con la raccolta del ferro vecchio, ma con gli spostamenti continui
non ce la fanno. E' vero. Nella nostra società oggi c'è più attenzione e sono
più curati e protetti i cani e i gatti che questo tipo di persone. Eppure questi
miei amici, come tanti altri sinti e rom, sono dispostissimi a rinunciare alle
loro roulottes immediatamente, anche solo per un rudere di casa. Ma non possono
partecipare a nessun concorso di assegnazione di case, perché non hanno i
requisiti necessari, in particolare il reddito minimo e la residenza.
Impossibile trovare un imprenditore disposto a provare a impiegarli in un
lavoro. Tutti pretendiamo che si integrino nella società, ma non offriamo
nessuna possibilità se non quella di essere mandati via. Sono tanti i sinti e
rom analfabeti che desiderano un futuro migliore per i loro bambini e desiderano
mandarli a scuola. Ma non si parte dai bambini per affrontare la situazione
sociale. Ho raccolto le lacrime di qualcuna di queste mamme che non ce la fanno
più. Sono lacrime proprio come quelle delle altre mamme, con qualche peso in
più.
Eppure le leggi ci sono perché possano trovare un po' di pace: art 16 della
Costituzione, Legge 328 - 2000, (Legge quadro per la realizzazione del sistema
integrato di interventi e servizi sociali) Legge 1228 del '54 sull'iscrizione
anagrafica. Ma è meglio ignorarle e stare alle ultime ordinanze. Spero vengano
presto dichiarate illegittime, perché non possono prevalere sui diritti
fondamentali della persona.
Mi premono due considerazioni:
1) Il fulcro del problema sta in noi. Parlo prima di tutto per me; anch'io,
figlio di contadini, sono cresciuto con il pregiudizio e la paura degli
"zingari". Sono cambiato quando ho accettato di conoscere le persone con i loro
problemi. Il pregiudizio e la paura regola ancora i nostri "non rapporti" con i
sinti e i rom, percepiti come più pericolosi degli immigrati. Le pressioni più
forti sui sindaci e sulle forze dell'ordine vengono dalla popolazione stessa,
che pretende sicurezza non affrontando i problemi, ma rifiutando in blocco
questa categoria di persone. Non si fanno né distinzioni, né differenze e quindi
non si accettano posizioni problematiche. I tentativi di soluzione vengono visti
come una ingiustizia: "Vengono aiutati i delinquenti e non noi che fatichiamo
tanto e siamo onesti". Anche le comunità ecclesiali sono in difficoltà, si
delega qualche persona di buona volontà della Caritas, ma le comunità non
vogliono saperne. Così anche i preti si rassegnano e si comportano come i
sindaci. Se la gente si ribella che cosa possono farci? Se qualche prete si
espone e richiama a un atteggiamento più umano, si ritrova con una parte dei
fedeli che abbandona la messa. Quello dei più poveri e maltrattati pone un serio
problema di fede.
2) E qui avviene il corto circuito della politica. Molti politici hanno
ottenuto il consenso elettorale puntando sulla paura e andando a gara con la
promessa della sicurezza. Più gli amministratori si mostrano intransigenti, più
ottengono consenso. Ma la sicurezza delegata alle sole forze dell'ordine e alle
case chiuse a chiave come casseforti non costruisce né fiducia né convivenza. I
problemi vengono semplicemente rimossi e i pregiudizi e la paura rimangono e
vengono scaricati sui più deboli socialmente, trattati come capri espiatori. Una
riprova del disagio della nostra società si riscontra nelle esplosioni di
violenza che avvengono con sempre più frequenza nelle nostre case. Oggi prevale
la politica che cura soprattutto i serbatoi di voti. Sarà fatica, ma
amministrare e governare significa anche oggi curare il bene di tutta la
comunità, non solo la maggioranza, puntando alla convivenza con tutte le persone
esistenti in un territorio, senza selezionare o scartare settori di società. A
nessuno piacciono i problemi gravi in casa, ma quando ci sono bisogna
affrontarli. E nella famiglia la sicurezza non si realizza con i controlli e gli
interventi della polizia, ma con i rapporti di fiducia tra le varie persone,
anche e soprattutto nei momenti più difficili. Questo come regola vale anche per
la costruzione di qualsiasi altra forma di convivenza comunitaria. Proviamoci!