Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 21/04/2014 @ 09:03:25, in sport, visitato 2034 volte)
di Marco Beltrami su
CalcioFanPage 19 aprile 2014, 19:09 Il giovane attaccante di etnia Rom
della Primavera del Genoa alla prima in Serie A.
Ci sono storie che solo il calcio può raccontare. Una di queste è sicuramente
quella di Jason Orlando Held, giovane attaccante della Primavera del Genoa che
in occasione della
sfida contro il Cagliari, valida per la 34° giornata di Serie
A, è stato convocato in prima squadra da Giampiero Gasperini. Se il match non è
andato come nelle aspettative dei liguri, sconfitti per 1 a 2 dai sardi, la
giornata rimarrà comunque storica per il talento dei grifoni di origine Sinti,
un’etnia della popolazione Rom, che ha realizzato un sogno. Held infatti ha una
storia personale davvero particolare: la sua è stata un’infanzia di grandi
sacrifici e privazioni che lo ha temprato nel corpo e nello spirito.
La favola di Jason. Held che deve il cognome al nonno tedesco, ha iniziato a
giocare a calcio all’età di 7-8 anni nel campo nomadi di Bolzaneto. Il giovane
attaccante, come riportato dal Corriere Mercantile, utilizzava addirittura
carrelli della spesa come porte da gioco per inseguire il suo sogno di diventare
calciatore. Un sogno iniziato a 11 anni con il passaggio al Pontedecimo e poi al
Genoa dove ha vestito la maglia delle squadre giovanili. Una bella storia che
può essere esemplare per tanti ragazzi che coltivano il sogno di calcare i campi
della nostra Serie A.
Anche su
e
Di Fabrizio (del 30/03/2014 @ 09:03:25, in sport, visitato 1708 volte)
Per il match contro Rubio, valido per il Mondiale dei pesi medi, il pugile
romano rinuncia per protesta ai simboli dell'Italia: "E' il terzo mondiale che
faccio, e sempre all'estero. Mai una parola da un ministro dello sport, la
federazione non sta dalla parte dei professionisti, e neanche la tv ha
acquistato i diritti. Che combatto a fare per questo paese?"
di LUIGI PANELLA su
Repubblica, 28 marzo 2014
ROMA - La voce assonnata ("Qui sono le cinque e mezzo del mattino") si ravviva
in un lampo quando Domenico Spada urla dal Messico tutta la sua protesta. "Salgo
sul ring, ma stavolta non sventolerà nessuna bandiera italiana e non suonerà
l'inno di Mameli. Stavolta combatto solo per la mia gente, salirò sul quadrato
con la bandiera rom..." Sabato 5 aprile, il pugile romano di etnia rom sarà al
suo terzo tentativo mondiale: i primi due, falliti per poco (il primo per un
arbitraggio casalingo), contro Zbik in Germania. Ora il viaggio è ancora più
lungo: il match al Gran Estadio di Ciudad Delicias, una località dello stato di
Chihuahua, contro l'idolo di casa Marco Antonio Rubio. Un caso dunque. Vero che
la boxe italiana a livello professionistico soffre a livello organizzativo (ci
sono pochi soldi), ma va anche sottolineato che in un passato neanche troppo
remoto pugili che non valgono Spada (parere dello scrivente) hanno avuto le loro
chance davanti ai propri tifosi.
E allora Spada si sfoga: "Combatto all'estero, dovrei rappresentare l'Italia.
Quando il match conta sono sempre costretto ad andare all'estero. Non solo. Mai
una telefonata, un messaggio, una parola d'incoraggiamento da un ministro dello
sport qualsiasi...". Non solo. La televisione, solitamente presente in modo
dignitoso tra Rai, Mediaset e pay per view, nel coprire il panorama, stavolta...
"Nessuno ha acquistato i diritti del match, quindi in Italia non mi vedranno. Ai
mass media fa comodo parlare del pugile solo quando è coinvolto in qualche caso
di cronaca"
Ce n'è anche per la federazione: "Ormai sta abbandonando il professionismo, se
ne frega di quelli come me che fanno il vero pugilato. Il mio è un gesto di
protesta contro tutto questo sistema. Dico basta, perché io perchè dovrei
combattere per questo paese?". Marco Antonio Rubio, messicano dal pugno di
pietra (50 incontri su 58 vinti prima del limite) è avvertito. Avrà dalla sua il
pubblico, probabilmente una giuria pronta a dargli il verdetto in caso di match
equilibrato. Ma avrà anche di fronte un uomo ferito, solo contro tutti, dalla
grinta feroce.
Di Fabrizio (del 26/02/2014 @ 09:01:11, in sport, visitato 2063 volte)
ROMEA Brno, 21.2.2014 19:18 - Comunicato stampa dal Museo della Cultura
Romani, tradotto da Gwendolyn Albert
La ginnasta Dana Beránková (nata Gažiová). (FOTO: Lenka Grosmannová, Museo
di Cultura Romanì)
Boxe e ginnastica sono le principali discipline in cui eccellono gli atleti
romanì Alcuni hanno anche rappresentato la Repubblica Ceca ai giochi olimpici.
Le storie di questi atleti sono state presentate in una nuova mostra al Museo di
Cultura Romanì di Brno. Anche atleti romanì che in passato hanno rappresentato
l'ex Cdecoslovacchia.
Il primo atleta romanì tra tutti a rappresentare la Cecoslovacchia fu Miroslav Šandor,
pugile classificatosi 17° alle Olimpiadi di Mosca del 1980. Un più ampio
contingente romanì doveva recarsi quattro anni dopo a Los Angeles a
rappresentare la Cecoslovacchia: composta dai pugili Stanislav Tišer e Miroslav Toráč,
e dalla ginnasta Dana Gažiová (oggi Dana Gažiová-Beránková).
I loro sogni di partecipazione furono distrutti dal boicottaggio cecoslovacco
dei giochi estivi. "Ogni atleta ad alto livello che lavora duramente ha le
Olimpiadi come meta," ricorda Gažiová–Beránková.
"Sfortunatamente, lo stato non ci fece gareggiare. E' questo che mi rammarica di
più di tutta la mia carriera, perché una seconda Olimpiade è davvero un
lungo periodo per una ginnasta," dice l'atleta, aggiungendo di non essere stata
l'unica a versare lacrime per quella decisione politica.
La successiva generazione di atleti romanì non arrivò sino alla Repubblica Ceca,
con due boxers, L'udovít Plachetka e Pavol Polakovič,
ad Atlanta nel 1996. Curiosamente, entrambe si classificarono noni.
Tutte queste storie vengono presentate al pubblico nella mostra MONDO SENZA
CONFINI - ROMANI' E SPORT (SVĚT BEZ HRANIC. ROMOVÉ A SPORT). "Lo sport romanì,
passato e attuale, è tuttora un argomento di studio. E' per questo che abbiamo
deciso di raccontare queste storie sull'immenso numero di questi atleti
talentuosi e focalizzati, alcuni dei quali hanno partecipato alle Olimpiadi,"
dice la curatrice Jana
Poláková.
La mostra presenta anche le generazioni più giovani e i possibili futuri
olimpionici, come l'undicenne Patrik Kroščen di Bohumín, Europeo junior master
di kick-boxe per sei volte. La mostra sarà visibile al Museo di Cultura Romanì
dal 20 marzo al 21 settembre.
Di Fabrizio (del 10/02/2014 @ 09:03:17, in sport, visitato 2129 volte)
Segnalazione di Nazzareno Guarnieri
di Marco Ratta su
IL CENTRO | Pescara
PESCARA. E' un pescarese di origine rom la nuova promessa della Formula Renault.
Loris Boggi Spinelli, campione del mondo di karting nel 2011, vuole ripercorrere
le orme di Trulli e Liuzzi ed entrare nel circo internazionale della Formula 1.
Le qualità di guida sembrano esserci tutte, ma per coronare il sogno occorre il
sostegno economico di qualche sponsor. Intanto disputerà questo campionato
europeo di Formula Renault nella quale i piloti possono imparare i segreti prima
di passare a formule superiori, come la Formula 3, la GP2 e la Formula 1.
Classe 1995 nativo di Atri e residente a Città Sant'Angelo, ha iniziato a
praticare attività sportiva ad appena quattro anni, quando il padre Adriano lo
ha portato per la prima volta in un circuito a Moscufo e, quando si è trattato
di scegliere tra auto e moto, Loris non ha avuto dubbi preferendo le quattro
ruote.
A 10 anni subito i primi risultati con il prestigioso successo nel campionato
italiano a squadre di minikart categoria 60, sulla pista della Val Vibrata. E
poi, uno dietro l'altro, altri importanti traguardi come la vittoria al torneo
di Primavera sul circuito di Desenzano del Garda e il quinto posto al campionato
internazionale WSK del 2009.
"La soddisfazione più bella", racconta Loris, maggiorenne da poco più di un
mese, "me la sono presa nel 2011 quando ho vinto il mondiale a Sarno davanti al
danese Sorensen. L'anno prima, per colpa di un contatto nella gara decisiva, non
ero andato al di là del sesto posto ma fortunatamente mi sono preso la
rivincita. Nel 2012 sono passato alla categoria 125 e ho ottenuto due podi nelle
gare di campionato italiano Csai.
L'anno scorso, invece, ho avuto l'occasione di partecipare ad una gara di
Formula Abarth dove mi sono piazzato terzo. Adesso c'è questa nuova opportunità
della Formula Renault con il team Jenzer che spero di sfruttare al meglio per
crescere".
Coraggio e freddezza sono le sue migliori qualità di guida, mentre come stile al
volante ricorda più Liuzzi che Trulli. "Purtroppo per emergere non basta la
bravura ma ci vuole anche fortuna", conclude Loris Boggi Spinelli, cugino del
campione di mini moto Nicholas Spinelli. "I primi test a Valencia sono andati
bene e spero di essere pronto per la prima prova stagionale che ci sarà a Monza
a metà aprile"
Di Fabrizio (del 24/11/2013 @ 09:04:28, in sport, visitato 2383 volte)
di Andrea De Benedetti, 22 novembre 2013 su
DONNEUROPA
Quattro ragazze italiane e quattro rom, unite da una maglia, partita dopo
partita. Un'associazione che in campo porta solidarietà e integrazione. Insieme
sono uno sport, il calcio, quando sa essere il più bello del mondo
C'è Sara, che pratica da anni ginnastica ritmica, ma non rinuncerebbe
all'allenamento del giovedì per tutto l'oro del mondo. C'è Florina, che sa di
essere bella e a volte fa un po' la leziosetta beccandosi gli implacabili
cazziatoni del mister. Ci sono Lucrezia e Serena, che una volta alla settimana
risalgono la corrente del traffico torinese da Sud a Nord per sudare e giocare
con Adelina e Lavinia. Ci sono Alice e Arianna, che secondo Sara sono le più
brave di tutte, o forse no, ma comunque sono quelle che tirano il gruppo. E c'è,
anzi c'era, Ionela, che tirava certe legnate da far paura, ma adesso è andata ad
abitare altrove e ha lasciato un vuoto grande così nel gruppo.
Insieme si chiamano New Team, e non c'è squadra, in Italia, che possa dirsi più
nuova di questa. Quattro ragazze rom e quattro italiane unite dalla stessa
maglia, un esperimento di integrazione sociale e convivenza con il pallone nel
ruolo che meglio gli si confà: quello di mediatore culturale. Perché il pallone,
là dove c'è da far dialogare mondi, la sua parte la fa sempre: non c'è link
sociale più efficace di un assist, non c'è modello di scambio culturale più
perfetto di una triangolazione ben riuscita.
Non che le otto ragazze abbiano ancora imparato a triangolare o a colpire la
palla come dio comanda: "Dico la verità: per il momento sono un mezzo disastro",
spiega Mister T, al secolo Timothy Donato, allenatore e presidente
dell'associazione Nessuno Fuorigioco di cui la New Team è il progetto cardine:
"è quasi un anno che cerco di insegnare loro a stoppare un pallone, e va già
bene se adesso si ferma a sei metri. Però hanno entusiasmo da vendere e
tantissima voglia di imparare e stare insieme: per noi è quello che conta".
Il progetto è nato quasi due anni fa con la squadra maschile dei pulcini. Tutti
rom dei campi nomadi di Lungo Stura e di via Germagnano, a Torino, le zone rosse
di una marginalità sociale che i media si ostinano a declinare con le parole
spaventate di sempre: emergenza, allarme, problema. Timothy e gli altri (Marina,
Emanuele, Enrico, Sara) su quell'"emergenza" e su quel "problema" hanno
costruito un'opportunità di integrazione ed emancipazione. L'idea iniziale era
quella di allestire anche per i maschi una squadra mista, ma trovare famiglie
italiane disposte a lasciare i propri figli in compagnia di pericolosissimi
zingari, ancorché minuscoli, è stato più complicato del previsto.
Paradossalmente è stato più facile mettere insieme la squadra delle ragazze, e
anzi in quel caso le obiezioni principali non hanno avuto a che fare con il
pregiudizio etnico ma con quello di genere: "Mia mamma all'inizio non voleva che
giocassi a pallone", spiega Sara, l'unica delle quattro ragazze rom che vive in
appartamento e non nel campo nomadi: "diceva che non è uno sport da bambine, che
preferiva mi dedicassi a qualcos'altro: alla fine ha accettato, ma è stata
dura".
Fatta la squadra, il problema adesso è quello di trovare altre società con cui
organizzare un campionato femminile di calcio a 5 under 20 all'interno della
sezione Uisp torinese: finora hanno aderito in tre, ma la speranza è di
allargare il bacino di squadre per dare un senso all'enorme lavoro del mister e
dell'esercito di volontari che lo accompagnano. Anche se poi il senso vero di
questo progetto non consiste nel vincere i campionati, ma nel mettere in
comunicazione due mondi molto meno distanti di quanto non appaia: "All'inizio
c'era un po' di diffidenza - precisa ancora Sara - ma adesso andiamo
d'accordissimo: ci troviamo su Facebook, usciamo insieme, parliamo delle nostre
cose, siamo andate persino due giorni insieme a Venezia".
Amicizie autentiche, relazioni tra pari, normalità: il pallone rifugge la
retorica e offre cose concrete. Tutt'altra cosa rispetto alla melassa buonista e
velleitaria di altre esperienze analoghe fatte di sentimenti concessi in
elemosina: "Il rischio era un po' questo -ammette Mister T - le ragazze italiane
vengono tutte da esperienze con gli scout e avevo paura che fossero venute qui
per fare la classica buona azione. Invece grazie a quest'esperienza hanno
cambiato prospettiva rispetto all'idea del diverso. Ora il diverso non esiste
più. Esistono le persone". Poco importa se quelle persone non sanno ancora
stoppare un pallone. Prima o poi impareranno, forse.
Di Fabrizio (del 16/11/2013 @ 09:03:20, in sport, visitato 1865 volte)
di LUIGI PANELLA
su Repubblica (15 novembre 2013)
Domenico Spada, tra gli uomini di punta della boxe italiana a livello mondiale,
si racconta. Di etnia rom, mille mestieri, l'ombra della discriminazione sempre
presente, ma anche un grande riscatto sul ring e nella vita, con l'apertura di
una palestra tutta sua e un possibile futuro da attore. "L'Inno di Mameli che
suona per gli altri è anche il mio, darò il titolo del mondo all'Italia"
LE FOTO
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VIDEO
APPROFONDIMENTI
Lo sguardo determinato non lascia
spazio a movimenti delle palpebre, tipico di chi guarda avanti, concentrato
sull'obiettivo, sempre deciso a saltare gli ostacoli. E Domenico Spada, uno dei
pochi pugili in grado di dare lustro al panorama professionistico italiano, di
ostacoli ne ha dovuti scavalcare parecchi prima di affermarsi come pugile e come
uomo. A febbraio dovrebbe vedersela con il messicano dal pugno di pietra Marco
Antonio Rubio (50 ko su 58 incontri vinti) per il Mondiale ad interim dei medi:
"Rigorosamente all'estero, in Italia è difficile organizzare un match di quel
livello, è difficile reperire soldi". In alternativa, il suo manager Franco
Cherchi potrebbe offrigli una chance europea contro l'ucraino Maksim Bursak.
L'asta per il match è fissata per metà dicembre.
All'estero. Perché Spada come pugile ha già dato tanto all'Italia, ricevendone
in cambio poco. Si è battuto due volte per il titolo del mondo dei pesi medi,
non accadeva dai tempi di Vito Antuofermo, il Paisà che fu capace di resistere
quindici round all'assalto del 'meraviglioso' Hagler nonostante il volto
devastato (ci vollero 33 punti di sutura). Ha perso entrambe le volte ai punti,
non senza recriminazioni, contro il tedesco Zbik, ma è dovuto andare nella tana
tedesca dove se non si vince per ko è tosta strappare il verdetto. Stesso
discorso quando è andato in Inghilterra per l'Europeo: Barker è un bel pugile,
ma l'arbitro gli ha dato la possibilità di fare ostruzionismo, poi i tre giudici
hanno fatto il resto.
In attesa di cogliere l'attimo fuggente in chiave iridata, Domenico si è anche
dedicato a prendere a calci le discriminazioni, lui che è di etnia rom. E non
sono stati isolati gli episodi su qualche brutta frase riferita alle sue
origini.
"Non mi piace la gente ignorante, irrispettosa delle culture degli altri. Quando
sento pronunciata con rabbia, abbinata alla volgarità, la parola 'zingaro', quel
tono dispregiativo, non ci vedo più dalla rabbia. Sono parole che fanno più male
dei pugni".
Anche perché essere rom non significa essere delinquente...
"Io in vita mia non ho rubato nemmeno un centesimo. Ho preso la licenza media,
poi prima di fare la boxe a livello professionistico ho fatto di tutto. Dal
pasticciere al muratore, al parrucchiere".
Il parrucchiere?
"Si, ha capito bene, ma non tagliavo i capelli, ero shampista... Ho sempre
cercato di aiutare in tutti i modi la mia famiglia. Io, i miei genitori, papà
faceva il muratore, e cinque sorelle. Tutti in un appartamento di 40 metri
quadrati. Va anche detto che nella nostra cultura, ma questo aspetto sta
cambiando, le donne non lavorano. Quindi il peso economico della casa era tutto
su me e mio padre. In casa e non in roulotte? Altro luogo comune, nella roulotte
non ci ho vissuto un giorno in vita mia".
Si batte contro lo stereotipo del pugile violento, senza cultura, che fuori
dal ring non riesce ad affermarsi
"Certo, basta. E' come la questione del rom sul ring. Viene strumentalizzata,
l'inno di Mameli che suona per i calciatori è lo stesso che viene eseguito prima
di un incontro titolato. La mia famiglia ha dato tanto alla bandiera. Tra i miei
cugini Michele Di Rocco è attualmente campione d'Europa, Pasquale Di Silvio è
stato campione italiano, Romolo Casamonica ci ha rappresentato alle Olimpiadi".
Ma torniamo al fatto della strumentalizzazione
"Sì, le cito qualche nome. Il grande Charlie Chaplin, la bella Rita Hayworth, il
carismatico Yul Brinner, Andrea Pirlo, Joquim Cortez. Sono tutti di etnia rom,
ma nessuno lo sottolinea. Poi magari sali sul ring, e tutti a ricamarci... La
mia gente è partita dall'India tanti secoli fa, ma ormai sono 600 anni che siamo
in Italia. Mio nonno Alizio ha fatto la Seconda Guerra Mondiale, è stato
prigioniero per anni, insomma...".
Ma la grande risposta è l'apertura di una palestra tutta sua
"La Vulcano Gym, a Santa Maria delle Mole. L'ho aperta anche grazie all'aiuto
dei miei genitori. Ci vengono pugili amici, ma anche e soprattutto tantissimi
amatori. Avvocati, dottori, studenti, tanta gente che vuole mantenersi in forma
e ama quel grandissimo sport che è la boxe".
Vulcano è il suo nome di battaglia, chi glielo ha dato?
"Me lo ha dato il padre del romeno Simon. Da dilettante avevo sconfitto il
figlio ma lui era rimasto colpito dal mio modo di combattere".
Da dilettante come mai non è andato alle Olimpiadi?
"Avevo vinto il titolo italiano nel 1999, poi feci quattro tornei vincendone
tre, battei il campione del mondo juniores, ma al momento delle selezioni per le
Olimpiadi di Sydney, il ct di allora, Patrizio Oliva, scelse Di Corcia".
E come andò a finire?
"Di Corcia fu battuto da Simon, proprio lui...".
A proposito di dilettanti, che pensa di Russo e Cammarelle, agli onori della
cronaca spesso più di lei?
"Non voglio fare polemica, ma restando dilettanti saranno sempre pugili
incompleti. Stanno facendo come facevano i pugili sovietici o come fanno i
cubani: prendono lo stipendio dallo stato (azzurri quasi tutti nelle forze
armate, ndr) e non passano prof. Certo, vanno alle Olimpiadi e quindi la
federazione pugilistica li tutela, ma non va dimenticato che anche noi
professionisti quando combattiamo per un titolo le tasse alla Fpi le paghiamo
eccome...".
Nuova provocazione. Altri pugili, a nostro avviso non al suo livello, hanno
avuto chance più importanti sul ring della Capitale
"Provocazione che raccolgo volentieri. Nella precedente amministrazione
comunale, nel mio sogno di combattere per il titolo a Roma, ho avuto quattro
anni di promesse puntualmente disattese, chissà perché... (ghigno). Ora spero
che con il sindaco Marino cambi qualcosa".
Qualcuno dice che lei ha la faccia d'attore?
"Sicuramente la pensa così Aureliano Amadei, il regista di '20 sigarette'. Con
lui ho girato un documentario che si intitola 'L'incontro della vita', stiamo
attendendo che possa venire distribuito, questione di fondi"
Dunque le piacerebbe lavorare nel cinema?
"Perché no. In fondo la passione per il cinema è un po' una tradizione di
famiglia. Da bambino ho partecipato al film di Sergio Rubini 'Il viaggio delle
sposa'. Parecchi miei parenti hanno avuto parti con Sergio Leone, Pier Paolo
Pasolini. Sono stati accanto ad attori come Marcello Mastroianni e Alberto
Sordi".
Visto che ha sempre denotato una certa precocità, il piccolo Spada è subito
salito sul ring?
"No, ma ci ho messo poco per capire la strada maestra, visto che già dai novizi
primeggiavo. In precedenza ho provato a giocare a pallone con una società
oratoriale, la Juvenilia 88, ma non era cosa per me".
Altra curiosità, Spada nella vita privata?
"Sto da anni con Claudia che presto sposerò, abbiamo tre figli maschi".
E se uno dei tre volesse diventare pugile?
"Non mi opporrei, anche se mi piacerebbe una società più meritocratica, ma qui
non parlo solo di boxe. Vorrei andasse avanti chi lo merita, con le proprie
forze. E' una società ideale, lo so. Ma io ci credo".
Di Fabrizio (del 13/10/2013 @ 09:06:31, in sport, visitato 1869 volte)
(Ndr interessante: leggo che "lo stesso trattamento,
[...], era stato riservato a parti invertite a Sofia")
Da
Goal
Razzismo anche in Armenia, i tifosi di casa accolgono la Bulgaria in
maniera poco amichevole: "Zingari!" La polizia è dovuta intervenire
per fermare il lancio di uova e petardi all'aeroporto di Yerevan. Il ct bulgaro
Penev: "Non ci fanno paura".
La piaga del razzismo colpisce continuamente. E non soltanto in Italia. Stavolta
accade in Armenia, dove i tifosi di casa hanno accolto l'arrivo
nel Paese della
Bulgaria, avversaria domani sera a Yerevan, effettuando un fitto lancio di
uova e intonando cori discriminatori.
All'aeroporto della Capitale, vari tifosi della nazionale di casa hanno rivolto
epiteti come "bulgari zingari" agli avversari. Lo stesso trattamento, secondo
loro, era stato riservato a parti invertite a Sofia, l'11 settembre 2012, quando
la Bulgaria vinse per 1-0 e le squadre terminarono in 10 contro 9.
La polizia in tenuta antisommossa è dovuta intervenire per evitare il peggio. I
sostenitori armeni, infatti, hanno lanciato petardi e fumogeni e tentato di
colpire i giocatori bulgari, in attesa di salire sul pullman una volta scesi
dall'aereo, lanciando loro delle uova.
Il commissario tecnico della Bulgaria, l'ex attaccante Lubo Penev, non si
preoccupa. "Se pensano di farci paura in questa maniera, hanno sbagliato" le sue
parole. La sua nazionale ha ancora delle chances di arrivare seconda nel gruppo
dell'Italia, mentre l'Armenia è già eliminata.
Di Fabrizio (del 27/09/2013 @ 09:06:44, in sport, visitato 1768 volte)
24 settembre 2013 - Iniziativa dell'Università Ca' Foscari e
dell'Associazione italiana calciatori.
Osservatorio calciatori sotto tiro è la risposta del mondo del calcio ai cori e
agli episodi di razzismo. Presentato ieri a Venezia, nel corso del convegno
Calcio e culture. Uniti contro il razzismo, è un'iniziativa dell'Università Ca'Foscari
di Venezia e dell'Associazione italiana calciatori (Aic).
L'Osservatorio nasce per sensibilizzare l'opinione pubblica, in primis i
giovani, sulla necessità di contrastare qualsiasi gesto di intimidazione, offesa
e minaccia rivolta a giocatori a livello sia agonistico sia dilettantistico. Nel
concreto, l'osservatorio si occuperà di analizzare i casi di razzismo che si
verificano in tutte le categorie. Ma l'attività di denuncia sarà affiancata
dall'impegno a scoprire e diffondere il positivo che esiste. "Per fare questo -
ha spiegato Pierpaolo Romani, coordinatore nazionale di Avviso pubblico, cui è
affidato l'osservatorio - abbiamo bisogno di un'alleanza con il mondo delle
scuole. Il nostro messaggio è che contrastare la violenza e difendere il calcio
pulito è compito di tutti coloro che amano lo sport e non può essere delegato".
Damiano Tommasi, presidente dell'Aic, ha spiegato l'importanza di "partire dai
ragazzi, imparando da loro: nemmeno si chiedono se Balotelli è italiano o meno,
non si pongono il problema del colore della pelle e sono incuriositi, non
spaventati, dalla diversità". Sugli episodi di razzismo che segnano il calcio ha
spiegato che "il rischio di chiusura degli spalti mette le società in allerta e
pronte a intervenire e condannare: in un mondo che ragiona cinicamente solo di
profitto il pericolo di perdere il guadagno rende tutti molto sensibili e questo
comunque ci fa gioco". Lilian Thuram, campione del mondo 1998, autore di
Le mie
stelle nere e creatore in Francia della fondazione Education contre le racisme,
ha sottolineato che "tante volte chiudiamo le persone dentro il colore della
pelle o dentro al loro genere e non andiamo oltre".
(Red.)
Di Fabrizio (del 04/09/2013 @ 09:04:06, in sport, visitato 1836 volte)
Segnalazione di Paolo Teruzzi
E' lo sponsor sulla nuova maglia
Calcio, il presidente del Monza con la bozza della maglia con la scritta
"Stop racism" (Foto by RADAELLI)
Il cittadino MONZA BRIANZA
Monza - "Stop racism". Non ci sarà uno sponsor commerciale
sulla maglia del Monza per la stagione 2013-2014, ma un messaggio importante:
"Stop al razzismo". Lo ha annunciato il presidente Anthony Armstrong-Emery
lunedì in municipio in occasione della presentazione di "Playing for Children",
in programma mercoledì 4 settembre allo stadio Brianteo alle 20.30.
In programma la presentazione della squadra di mister Asta e di tutte le
giovanili, la partita tra la Nazionale Piloti e i Giornalisti Sky (che
trasmetterà l'evento) per il centenario dell'Ac Monza Brianza. Il presidente ha
acquistato i biglietti di entrambe le curve per l'intero evento, per regalarli
ai tifosi e trasformare la partita in una festa dello sport. Il ricavato
sostiene il Comitato Maria Letizia Verga Onlus e l'Associazione Dynamo Camp per
il progetto Radio Dynamo in aiuto ai bambini ricoverati in ospedale.
Il presidente ha già chiamato più volte a raccolta i monzesi dalla sua pagina
facebook.
VIDEO
Di Fabrizio (del 27/06/2013 @ 09:08:00, in sport, visitato 1848 volte)
Se Pirlo non ammetterà mai di essere Sinto (mah... ce ne
faremo una ragione), consoliamoci con un vero Manouche (ndr.)
Eric Cantona con la maglia dello United nel 1996.
A destra la copertina del libro di Daniele Manusia - Nel libro di Daniele Manusia
la parabola dell'ex campione
tra colpi di genio e gesti folli
Cantona story:
gol capolavoro
e follie in campo
FILIPPO FEMIA -
LA STAMPA
Come si diventa una leggenda del calcio? I piedi buoni e la classe non bastano,
questo è certo. Sono fondamentali carattere, istinto e genialità (dentro e fuori
dal campo). Ma anche una buona dose di follia. Tutte caratteristiche che nel
"pedigree" di Eric Cantona non mancavano. Anzi. Nel libro "Cantona, come è
diventato leggenda" in uscita il 27 giugno (Add Editore, 14 euro) Daniele
Manusia ripercorre la storia di un campione indimenticabile. Una parabola
lastricata di gol, polemiche, trionfi, scivoloni e ritorni trionfali. Senza
dimenticare quelli che Manusia definisce i "grandi brutti gesti", che hanno
segnato la carriera del francese. "Cantona è un calciatore che ha sbagliato, si
è redento, è inciampato di nuovo, ha deluso alcuni tifosi, ne ha mandati in
delirio altri: è un enorme contenitore di storie, una più complessa dell'altra",
spiega l'autore.
Il suo ego smisurato emerge già al liceo, quando i compagni lo vedono aggirarsi
per i corridoi urlando "I am the king!". A 17 anni e mezzo debutta nella serie A
francese con la maglia dell'Auxerre, dopo essere stato scartato dal Marsiglia
perché "troppo lento". Il rapporto con i compagni è problematico, quello con gli
avversari turbolento. Eric è un personaggio schivo: vive in mezzo a un bosco,
legge Freud, dipinge e scrive poesie. Ed è estremamente suscettibile. A farlo
infuriare è il senso dell'ingiustizia: quando crede che qualcosa stia prendendo
una piega sbagliata, sente di dover reagire. Spesso nel peggiore dei modi. Come
nel 1991, quando in disaccordo con alcune decisioni dell'arbitro gli scaglia il
pallone addosso. Viene squalificato un mese, poi dà degli idioti ai membri della
commissione disciplinare, che aumenta la pena a tre mesi. E' qui che Cantona
sorprende tutti: "Mi ritiro". Ha solo 24 anni.
Michel Platini, ct francese e suo grande estimatore, lo convince a fare marcia
indietro e a trasferirsi oltremanica. Lo compra il Leeds, dove diventa presto un
idolo dei tifosi. E rivoluziona un calcio ancorato alla vecchia tattica del kick
and rush: ha un'eleganza impensabile per il suo metro e ottantotto, un fisico da
panzer con movenze da cigno. Uno dei primi attaccanti moderni. "Cantona ha
mostrato cose che fino ad allora nessuno aveva provato. Era un visionario:
faceva gol e assist che tutti credevano impossibili", spiega Manusia. Un vero e
proprio esteta nel rettangolo di gioco: "Non sono ossessionato dal gol,
preferisco fare un assist che spingere il pallone in rete a porta vuota: godo
troppo a toccare il pallone per limitarmi a segnare", diceva il francese.
Manusia descrive con minuzia le magie sportive del francese, ma ha il merito di
indagarne il lato più intimo, il Cantona uomo. Dall'ossessione per la follia -
"Non potrò mai essere altro che pazzo, perché ne ho bisogno per essere felice",
ripeteva -, alla fragilità esorcizzata con le spacconate.
Il suo punto più alto - e più basso insieme - lo raggiunge a Manchester, dove si
consacra con la maglia dello United. Riporta al successo una squadra a digiuno
da 26 anni, aprendo uno dei cicli più travolgenti della storia inglese. E ha la
forza di ripartire anche dopo il famigerato calcio da kung-fu rifilato a un
tifoso del Crystal Palace, in seguito al quale è squalificato otto mesi. Poi
l'uscita di scena discreta, con quell'assist di "rabona" per Yordi Cruyff,
figlio del suo unico mito d'infanzia. Quando si ritira non ha neanche 31 anni.
"Ha lasciato al top, mentre era ancora protagonista, evitandosi il lento declino
di molti colleghi", dice Manusia. I tifosi, coscienti di aver potuto ammirare
uno dei calciatori più forti della storia, sono in lacrime. "Il Re se n'è
andato, lunga vita al Re", recitano i cori e gli striscioni. E inizia la
leggenda Cantona.
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