di Andrea De Benedetti, 22 novembre 2013 su
DONNEUROPA
Quattro ragazze italiane e quattro rom, unite da una maglia, partita dopo
partita. Un'associazione che in campo porta solidarietà e integrazione. Insieme
sono uno sport, il calcio, quando sa essere il più bello del mondo
C'è Sara, che pratica da anni ginnastica ritmica, ma non rinuncerebbe
all'allenamento del giovedì per tutto l'oro del mondo. C'è Florina, che sa di
essere bella e a volte fa un po' la leziosetta beccandosi gli implacabili
cazziatoni del mister. Ci sono Lucrezia e Serena, che una volta alla settimana
risalgono la corrente del traffico torinese da Sud a Nord per sudare e giocare
con Adelina e Lavinia. Ci sono Alice e Arianna, che secondo Sara sono le più
brave di tutte, o forse no, ma comunque sono quelle che tirano il gruppo. E c'è,
anzi c'era, Ionela, che tirava certe legnate da far paura, ma adesso è andata ad
abitare altrove e ha lasciato un vuoto grande così nel gruppo.
Insieme si chiamano New Team, e non c'è squadra, in Italia, che possa dirsi più
nuova di questa. Quattro ragazze rom e quattro italiane unite dalla stessa
maglia, un esperimento di integrazione sociale e convivenza con il pallone nel
ruolo che meglio gli si confà: quello di mediatore culturale. Perché il pallone,
là dove c'è da far dialogare mondi, la sua parte la fa sempre: non c'è link
sociale più efficace di un assist, non c'è modello di scambio culturale più
perfetto di una triangolazione ben riuscita.
Non che le otto ragazze abbiano ancora imparato a triangolare o a colpire la
palla come dio comanda: "Dico la verità: per il momento sono un mezzo disastro",
spiega Mister T, al secolo Timothy Donato, allenatore e presidente
dell'associazione Nessuno Fuorigioco di cui la New Team è il progetto cardine:
"è quasi un anno che cerco di insegnare loro a stoppare un pallone, e va già
bene se adesso si ferma a sei metri. Però hanno entusiasmo da vendere e
tantissima voglia di imparare e stare insieme: per noi è quello che conta".
Il progetto è nato quasi due anni fa con la squadra maschile dei pulcini. Tutti
rom dei campi nomadi di Lungo Stura e di via Germagnano, a Torino, le zone rosse
di una marginalità sociale che i media si ostinano a declinare con le parole
spaventate di sempre: emergenza, allarme, problema. Timothy e gli altri (Marina,
Emanuele, Enrico, Sara) su quell'"emergenza" e su quel "problema" hanno
costruito un'opportunità di integrazione ed emancipazione. L'idea iniziale era
quella di allestire anche per i maschi una squadra mista, ma trovare famiglie
italiane disposte a lasciare i propri figli in compagnia di pericolosissimi
zingari, ancorché minuscoli, è stato più complicato del previsto.
Paradossalmente è stato più facile mettere insieme la squadra delle ragazze, e
anzi in quel caso le obiezioni principali non hanno avuto a che fare con il
pregiudizio etnico ma con quello di genere: "Mia mamma all'inizio non voleva che
giocassi a pallone", spiega Sara, l'unica delle quattro ragazze rom che vive in
appartamento e non nel campo nomadi: "diceva che non è uno sport da bambine, che
preferiva mi dedicassi a qualcos'altro: alla fine ha accettato, ma è stata
dura".
Fatta la squadra, il problema adesso è quello di trovare altre società con cui
organizzare un campionato femminile di calcio a 5 under 20 all'interno della
sezione Uisp torinese: finora hanno aderito in tre, ma la speranza è di
allargare il bacino di squadre per dare un senso all'enorme lavoro del mister e
dell'esercito di volontari che lo accompagnano. Anche se poi il senso vero di
questo progetto non consiste nel vincere i campionati, ma nel mettere in
comunicazione due mondi molto meno distanti di quanto non appaia: "All'inizio
c'era un po' di diffidenza - precisa ancora Sara - ma adesso andiamo
d'accordissimo: ci troviamo su Facebook, usciamo insieme, parliamo delle nostre
cose, siamo andate persino due giorni insieme a Venezia".
Amicizie autentiche, relazioni tra pari, normalità: il pallone rifugge la
retorica e offre cose concrete. Tutt'altra cosa rispetto alla melassa buonista e
velleitaria di altre esperienze analoghe fatte di sentimenti concessi in
elemosina: "Il rischio era un po' questo -ammette Mister T - le ragazze italiane
vengono tutte da esperienze con gli scout e avevo paura che fossero venute qui
per fare la classica buona azione. Invece grazie a quest'esperienza hanno
cambiato prospettiva rispetto all'idea del diverso. Ora il diverso non esiste
più. Esistono le persone". Poco importa se quelle persone non sanno ancora
stoppare un pallone. Prima o poi impareranno, forse.