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"Certe parole fanno piu' male dei pugni ma ce l'ho fatta e ho sconfitto il razzismo"
Di Fabrizio (del 16/11/2013 @ 09:03:20, in sport, visitato 1865 volte)

di LUIGI PANELLA su Repubblica (15 novembre 2013)

Domenico Spada, tra gli uomini di punta della boxe italiana a livello mondiale, si racconta. Di etnia rom, mille mestieri, l'ombra della discriminazione sempre presente, ma anche un grande riscatto sul ring e nella vita, con l'apertura di una palestra tutta sua e un possibile futuro da attore. "L'Inno di Mameli che suona per gli altri è anche il mio, darò il titolo del mondo all'Italia" LE FOTO - VIDEO
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Lo sguardo determinato non lascia spazio a movimenti delle palpebre, tipico di chi guarda avanti, concentrato sull'obiettivo, sempre deciso a saltare gli ostacoli. E Domenico Spada, uno dei pochi pugili in grado di dare lustro al panorama professionistico italiano, di ostacoli ne ha dovuti scavalcare parecchi prima di affermarsi come pugile e come uomo. A febbraio dovrebbe vedersela con il messicano dal pugno di pietra Marco Antonio Rubio (50 ko su 58 incontri vinti) per il Mondiale ad interim dei medi: "Rigorosamente all'estero, in Italia è difficile organizzare un match di quel livello, è difficile reperire soldi". In alternativa, il suo manager Franco Cherchi potrebbe offrigli una chance europea contro l'ucraino Maksim Bursak. L'asta per il match è fissata per metà dicembre.

All'estero. Perché Spada come pugile ha già dato tanto all'Italia, ricevendone in cambio poco. Si è battuto due volte per il titolo del mondo dei pesi medi, non accadeva dai tempi di Vito Antuofermo, il Paisà che fu capace di resistere quindici round all'assalto del 'meraviglioso' Hagler nonostante il volto devastato (ci vollero 33 punti di sutura). Ha perso entrambe le volte ai punti, non senza recriminazioni, contro il tedesco Zbik, ma è dovuto andare nella tana tedesca dove se non si vince per ko è tosta strappare il verdetto. Stesso discorso quando è andato in Inghilterra per l'Europeo: Barker è un bel pugile, ma l'arbitro gli ha dato la possibilità di fare ostruzionismo, poi i tre giudici hanno fatto il resto.

In attesa di cogliere l'attimo fuggente in chiave iridata, Domenico si è anche dedicato a prendere a calci le discriminazioni, lui che è di etnia rom. E non sono stati isolati gli episodi su qualche brutta frase riferita alle sue origini.

"Non mi piace la gente ignorante, irrispettosa delle culture degli altri. Quando sento pronunciata con rabbia, abbinata alla volgarità, la parola 'zingaro', quel tono dispregiativo, non ci vedo più dalla rabbia. Sono parole che fanno più male dei pugni".

Anche perché essere rom non significa essere delinquente...
"Io in vita mia non ho rubato nemmeno un centesimo. Ho preso la licenza media, poi prima di fare la boxe a livello professionistico ho fatto di tutto. Dal pasticciere al muratore, al parrucchiere".

Il parrucchiere?
"Si, ha capito bene, ma non tagliavo i capelli, ero shampista... Ho sempre cercato di aiutare in tutti i modi la mia famiglia. Io, i miei genitori, papà faceva il muratore, e cinque sorelle. Tutti in un appartamento di 40 metri quadrati. Va anche detto che nella nostra cultura, ma questo aspetto sta cambiando, le donne non lavorano. Quindi il peso economico della casa era tutto su me e mio padre. In casa e non in roulotte? Altro luogo comune, nella roulotte non ci ho vissuto un giorno in vita mia".

Si batte contro lo stereotipo del pugile violento, senza cultura, che fuori dal ring non riesce ad affermarsi
"Certo, basta. E' come la questione del rom sul ring. Viene strumentalizzata, l'inno di Mameli che suona per i calciatori è lo stesso che viene eseguito prima di un incontro titolato. La mia famiglia ha dato tanto alla bandiera. Tra i miei cugini Michele Di Rocco è attualmente campione d'Europa, Pasquale Di Silvio è stato campione italiano, Romolo Casamonica ci ha rappresentato alle Olimpiadi".

Ma torniamo al fatto della strumentalizzazione
"Sì, le cito qualche nome. Il grande Charlie Chaplin, la bella Rita Hayworth, il carismatico Yul Brinner, Andrea Pirlo, Joquim Cortez. Sono tutti di etnia rom, ma nessuno lo sottolinea. Poi magari sali sul ring, e tutti a ricamarci... La mia gente è partita dall'India tanti secoli fa, ma ormai sono 600 anni che siamo in Italia. Mio nonno Alizio ha fatto la Seconda Guerra Mondiale, è stato prigioniero per anni, insomma...".

Ma la grande risposta è l'apertura di una palestra tutta sua
"La Vulcano Gym, a Santa Maria delle Mole. L'ho aperta anche grazie all'aiuto dei miei genitori. Ci vengono pugili amici, ma anche e soprattutto tantissimi amatori. Avvocati, dottori, studenti, tanta gente che vuole mantenersi in forma e ama quel grandissimo sport che è la boxe".

Vulcano è il suo nome di battaglia, chi glielo ha dato?
"Me lo ha dato il padre del romeno Simon. Da dilettante avevo sconfitto il figlio ma lui era rimasto colpito dal mio modo di combattere".

Da dilettante come mai non è andato alle Olimpiadi?
"Avevo vinto il titolo italiano nel 1999, poi feci quattro tornei vincendone tre, battei il campione del mondo juniores, ma al momento delle selezioni per le Olimpiadi di Sydney, il ct di allora, Patrizio Oliva, scelse Di Corcia".

E come andò a finire?
"Di Corcia fu battuto da Simon, proprio lui...".

A proposito di dilettanti, che pensa di Russo e Cammarelle, agli onori della cronaca spesso più di lei?
"Non voglio fare polemica, ma restando dilettanti saranno sempre pugili incompleti. Stanno facendo come facevano i pugili sovietici o come fanno i cubani: prendono lo stipendio dallo stato (azzurri quasi tutti nelle forze armate, ndr) e non passano prof. Certo, vanno alle Olimpiadi e quindi la federazione pugilistica li tutela, ma non va dimenticato che anche noi professionisti quando combattiamo per un titolo le tasse alla Fpi le paghiamo eccome...".

Nuova provocazione. Altri pugili, a nostro avviso non al suo livello, hanno avuto chance più importanti sul ring della Capitale
"Provocazione che raccolgo volentieri. Nella precedente amministrazione comunale, nel mio sogno di combattere per il titolo a Roma, ho avuto quattro anni di promesse puntualmente disattese, chissà perché... (ghigno). Ora spero che con il sindaco Marino cambi qualcosa".

Qualcuno dice che lei ha la faccia d'attore?
"Sicuramente la pensa così Aureliano Amadei, il regista di '20 sigarette'. Con lui ho girato un documentario che si intitola 'L'incontro della vita', stiamo attendendo che possa venire distribuito, questione di fondi"

Dunque le piacerebbe lavorare nel cinema?
"Perché no. In fondo la passione per il cinema è un po' una tradizione di famiglia. Da bambino ho partecipato al film di Sergio Rubini 'Il viaggio delle sposa'. Parecchi miei parenti hanno avuto parti con Sergio Leone, Pier Paolo Pasolini. Sono stati accanto ad attori come Marcello Mastroianni e Alberto Sordi".

Visto che ha sempre denotato una certa precocità, il piccolo Spada è subito salito sul ring?
"No, ma ci ho messo poco per capire la strada maestra, visto che già dai novizi primeggiavo. In precedenza ho provato a giocare a pallone con una società oratoriale, la Juvenilia 88, ma non era cosa per me".

Altra curiosità, Spada nella vita privata?
"Sto da anni con Claudia che presto sposerò, abbiamo tre figli maschi".

E se uno dei tre volesse diventare pugile?
"Non mi opporrei, anche se mi piacerebbe una società più meritocratica, ma qui non parlo solo di boxe. Vorrei andasse avanti chi lo merita, con le proprie forze. E' una società ideale, lo so. Ma io ci credo".