Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 01/10/2010 @ 09:31:24, in Europa, visitato 1691 volte)
di Dijana Pavlovic
Un racconto popolare rom descrive come si sente il popolo che i nazisti
volevano sterminare con gli ebrei e che tuttora viene discriminato e
perseguitato: anche un "maiale" si può sentire superiore a un rom.
Come dei maiali non si butta via nulla, così dei rom non ci si libera tanto meno
quanto più si strilla contro di loro. Da questo punto di vista Milano è la
capitale italiana della vigliaccheria e dell'ipocrisia. Nella primavera prossima
si vota per le amministrative e tempestivamente si è riaperta la questione rom:
il ministro leghista Maroni finanzia il piano rom di Milano (chiusura di 4 campi
regolari con circa 1000 tra adulti e minori di nazionalità italiana, rumena,
macedone e kossovara da sistemare), a luglio Regione, prefettura e assessore
alle politiche sociali del Comune firmano un contratto con relativo
finanziamento con le associazioni del terzo settore a luglio con l'assegnazione
di 25 case Aler fuori quota. Ora facendo finta di cadere dal pero lega e pdl
insorgono: non una casa ai rom, presidi per le strade, benzina sul disagio delle
periferie e via così verso il voto di primavera.
Ma i "nostri" non sono soli. In Francia Sarkozy di fronte al declino della sua
politica monarchica ha pensato bene di aprire la caccia al rom rumeno con un
editto che utilizza la direttiva europea che garantisce la libertà di movimento
sul territorio comunitario condizionandolo all'autosufficienza economica. Solo
che questo editto è applicato esclusivamente alla comunità rom caratterizzandosi
quindi come una vera e propria espulsione su base etnica e sollevando così le
proteste del parlamento europeo e attirandosi persino la reprimenda degli Stati
Uniti.
C'è in tutto questo un utilizzo dell'ondata xenofoba che percorre l'Europa,
un'ondata che ha lambito persino la civilissima Svezia, patria della tolleranza
e dell'accoglienza, che è molto pericoloso. Il calcolo elettorale di recuperare
voti coltivando il disagio, il sentimento xenofobo e la paura di fronte alla
crisi economica e di valori di questa fase storica ha la gravissima conseguenza
di legittimare le spinte razziste anziché contrastarle.
Si pensa che il gioco vale la candele di un pugno di voti che consenta di
vincere e forse che una volta al potere queste spinte si possano tenere sotto
controllo. Ma non è così: questo calcolo di breve respiro fa finta di non
accorgersi del veleno che diffonde nelle coscienze e dimentica le tragiche
esperienze del secolo scorso. La bestia razzista è più forte del padrone che
crede di tenerla al guinzaglio.
24 settembre 2010
Da
Roma_Francais
Campo rom accanto alla stazione Part-Dieu di Lione. | MAXPPP
Le Post par Emilio Rosso
"Il Sarkozy, vuole che noi ce ne andiamo così" inizia Sonia, 11 anni,
schioccando le dita per illustrare la sua affermazione. Con sua sorella e le sue
cugine, si eclissano dal campo Rom situato dietro la stazione della Part-Dieu a
Lione e mi trascinano in disparte: "Tu, sei giornalista, io ho molte cose da
dire ai francesi", spiega in un francese approssimativo. "Ma mio padre, non
vuole. Allora, cambia il mio[/] nome" avverte.
A soli 12 anni, Angéli è più informata della politica del governo che la
maggior parte dei francesi. "Noi guardiamo la TV. Mia nonna, legge i giornali e
ci spiega tutto" racconta Lauravaz di 10 anni e mezzo. "Sarkozy ha chiesto al
nostro capo, il capo dei rumeni (Traian Basescu) di mandare poliziotti rumeni
per farci del male" afferma Angéli, la paura negli occhi. "Sono molto cattivi,
ci metteranno in carcere solo per una parolaccia. E possono ucciderci" assicura
Bianca.
"Sappiamo che la polizia francese verrà, aspettiamo. Poi ci faranno spostare
continuamente, così non abbiamo più casa, e possono farci andare via in Romania"
analizza la giovane Rom con sorprendente perspicacia. "Siamo piccoli, ma
sappiamo tutto" dice ridendo Angéli. "Ma nonna dice che bisogna stare attenti,
perché se facciamo qualcosa di grave, ci faranno brutte cose". "Noi non rubiamo
mai!" giura Bianca. "Mendichiamo per comprare da mangiare, questo si", confessa
la cugina.
Malgrado la minaccia, le ragazzine mantengono il sorriso. Hanno difficoltà a
restare serie, magari sorpassate dall'ampiezza della situazione. Affermano in
coro di non avere paura. Eppure, il loro sguardo si vela. "Ci accuseranno di
tutto. Ci metteranno nell'aereo, e ci separeranno", confida Sonia a bassa voce,
tenendo fermamente la sua catenina, come fosse il suo bene più prezioso. "Un
giorno, la polizia ha picchiato mio padre, e gli ha strappato i suoi documenti
d'identità. Adesso non è più niente. Allora ho paura"
La loro comprensione della situazione si ferma qui. "Dici, perché i francesi non
ci amano?", chiede Bianca, con un reale desiderio di sapere. "Ho degli occhi
come te, ho dei capelli come te, allora perché?" insiste. "Noi amiamo tutte le
razze, non facciamo differenze. Vogliamo fare amicizia", aggiunge sua sorella.
Le piccole, spostate di quartiere in quartiere, di scuola in scuola, confessano
di avere difficoltà a legarsi con le compagne. "Dicono che siamo gitane. Ma non
è vero! Noi siamo Rom ", dichiara Bianca con fermezza.
Quando si parla loro del futuro, i loro sguardi brillano gridando "adoro la
scuola". "Io, voglio diventare una star" annuncia Sonia, birichina, prima di
intonare una canzone in francese."Io sarò insegnante", promette Angéli. "Io
voglio imparare l'algerino". Sono quindi coscienti che la riuscita scolastica è
la chiave della "vie en rose". "Provo a imparare la mia lezione, ma dimentico
tutto, sempre" rapporta Sonia, la quale gongola quando gli si chiede se fa bene
i compiti. "No, non posso a casa mia".
"Ci ricordiamo della Romania. Era bello. Vorremmo ritornarci, ma la Francia, è
meglio per noi ", confessa una di loro. "In Romania, c'è troppa povertà, e non
ci vogliono", dichiara Lauravaz.
"Abbiamo parlato abbastanza ora, non diciamo più niente", conclude Sonia,
decidendo che era riuscita a far passare il suo messaggio. Saltellando e
correndo, si rimettono in moto. "One, two, three, Viva Romania", canticchiano in
coro ritornando al campo.
Di Fabrizio (del 02/10/2010 @ 09:40:52, in Europa, visitato 1501 volte)
29 settembre 2010 - Presentato il Rapporto "Benvenuti da nessuna parte:
stop ai rimpatri forzati dei rom in Kosovo".
Benvenuti da nessuna parte: stop ai rimpatri forzati dei rom in Kosovo è il
nuovo Rapporto presentato da Amnesty International sulla violazione dei diritti
umani dei rom kosovari e delle altre minoranze del Paese.
L'organizzazione per i diritti umani durante la presentazione ha chiesto ai
Paesi dell'Unione europea di sospendere il rimpatrio forzato dei rom in Kosovo,
stop richiesto anche dalla Commissione immigrazione del Parlamento del Consiglio
d'Europa.
Il rapporto descrive come rom e appartenenti ad altre minoranze, anche coi
loro bambini, siano costretti con la forza a rientrare in Kosovo, spesso coi
soli vestiti che indossano, verso un possibile futuro di discriminazione e
violenza.
Secondo Sian Jones, uno degli autori del Rapporto, "i Paesi dell'Ue rischiano
di violare il diritto internazionale rinviando persone verso Paesi dove
potrebbero subire persecuzione. L'Ue, invece, dovrebbe continuare a dare
protezione internazionale ai rom e alle altre minoranze kosovare, fino a quando
non potranno tornare in condizioni di sicurezza". Per Jones inoltre, "le
autorità del Kosovo, a loro volta, devono garantire che i rom e le altre
minoranze possano rientrare in modo volontario e reintegrarsi a pieno nella
società".
(Red.)
Di Fabrizio (del 06/10/2010 @ 09:11:33, in Europa, visitato 2477 volte)
Da
Romanian_Roma
SETimes.com
I Rom di Romania necessitano di una miglior rappresentazione politica e di
un efficace movimento civico, dice a SETimes l'attivista Margareta Matache.
By Paul Ciocoiu for Southeast European Times in Bucharest
Margareta Matache parla con Paul Ciocoiu, corrispondente del SETimes. [Victor Barbu/SETimes]
27/09/2010 - Margareta Matache è direttrice esecutiva del Centro Rom per
l'Intervento e gli Studi Sociali (CRISS). Ha parlato con SETimes sulla polemica
in corso riguardo alle espulsioni francesi dei Rom, sul progresso
dell'integrazione in Romania e gli ostacoli che restano.
SETimes: Descrivi CRISS e le sue attività.
Margareta Matache: CRISS è un'organizzazione per i diritti umani
fondata nel 1993 per difendere e promuovere i diritti dei Rom. Le priorità di
CRISS sono [ottenere] l'accesso alla sanità ed all'istruzione, ma abbiamo anche
un dipartimento ricerca ed offriamo consulenza legale nei casi di
discriminazioni, abusi e violenza.
Alcuni casi vengono adoperati per far pressione nel cambiare le leggi. Per
esempio, nel 2003, contro la segregazione nelle scuole, dove i bambini rom erano
spostati in classi o edifici separati. Nel 2007, dopo un colloquio con noi, il
ministero dell'istruzione ordinò la desegregazione delle scuole.
CRISS lavora con organizzazioni partner locali in Romania, che abbiamo
aiutato nello sviluppo. Di solito viviamo delle donazioni delle ambasciate, ma
lavoriamo anche in partnership con l'Open Society Institute e Central East European Trust.
SETimes: Puoi commentare sulle "misure di sicurezza pubblica" delle
autorità francesi, culminate con le espulsioni dei gruppi rom?
Matache: Osserviamo due serie di misure. La prima, il programma di
rimpatri volontari che la Francia ha sviluppato per diversi anni, prima dell'1
settembre. E' una forma camuffata di espulsione tramite denaro - 300 euro per
adulto e 100 euro per bambino - una compravendita del diritto di movimento.
Esaminiamo anche i programmi economici di cui i rimpatriati potrebbero essere
parte. Avrebbero dovuto ricevere 3.500 euro per iniziare un'attività, ma in
molti casi non sono nemmeno stati informati. Abbiamo persino scritto un rapporto
nel 2008 dopo una visita in Francia e nella regione di Timisoara, dove ai Rom fu
promesso che sarebbero stati inclusi nel programma.
Secondo, esaminiamo le violazioni della Francia dopo settembre della legge
comunitaria e dei principi e valori europei - per esempio, le impronte digitali
dei Rom espulsi. Alcuni lo accettano liberamente perché [attraverso le
pressioni] non è difficile ottenere il consenso.
Funziona così: all'inizio la polizia francese ammonisce i Rom che demoliranno
il loro campo entro una settimana e li espelleranno se non se ne andranno. Pochi
giorni più tardi, i funzionari dell'immigrazione informano i Rom che li
pagheranno per partire e - possibilmente - essere messi in lista di un programma
di reinserimento. I Rom sono d'accordo per ottenere alcuni benefici, invece di
essere sgomberati brutalmente, con le loro baracche demolite.
SETimes: La Francia sostiene di aver anche intrapreso misure per
proteggersi da pratiche illegali, come il traffico di persone.
Matache: Ci sono dei Rom coinvolti nel traffico di persone così come
Rom che ne sono vittime - e non solamente in Francia. Non penso che le soluzioni
risiedano nel restringere i diritti di una comunità etnica, ma nelle leggi
francesi e degli altri paesi. Ci sono leggi che affrontano crimini come il
traffico di persone.
SETimes: Ogni caso di infrazione della legge può essere trattato
individualmente?
Matache: Infatti, è ciò che prevede la direttiva europea sulla libertà
di movimento ed è così in tutto il mondo. la criminalità viene giudicata
individualmente.
SETimes: Quale paese porta le maggiori responsabilità riguardo la
questione rom?
Matache: I Rom sono cittadini rumeni e le maggiori responsabilità
ricadono sulla Romania. Prima dell'accesso nella UE del 2007, quando era
monitorata da vicino, Bucarest si sforzava di convincere la UE che il processo
d'integrazione dei Rom stava progredendo. Dopo il 2007, la questione rom è
diventata visibile in tutta Europa.
Mentre la Francia è molto concentrata nell'espellere i Rom e la Commissione
Europea ha autorizzato la discussione del documento sui Rom, le autorità rumene
sinora non hanno familiarità con i problemi della comunità e non hanno ancora
fissato la loro mente a risolverli.
L'argomento che i Rom non siano un problema nazionale ma europeo è andato
avanti per anni in Romania. Questo perché non abbiamo rappresentanti né a
livello politico o nelle organizzazioni rom internazionali che sono capaci di
negoziare col governo.
Comunque, trovo strano che la Francia decida sugli affari interni della
Romania - la nomina di un segretario di stato rumeno sui Rom è avvenuta su
richiesta della Francia. Entrambe sono membri UE ed hanno pari diritti, ma qui
la Francia impone la propria volontà.
SETimes: Non sono i leader rom che dovrebbero mediare e razionalizzare
il processo di integrazione?
Matache: Ci sono grosse discrepanze sul modo in cui i leader rom
affrontano l'integrazione nelle numerose comunità rom sparse nel paese. Incontro
leader locali ce esercitano il controllo sulla comunità. ma preferiscono
nascondere i problemi o non porvi interesse, a causa della loro posizione nei
municipi o nelle prefetture, dove agiscono in qualità di esperti.
Dato che sono una singola persona in un grande sistema, è più facile cercare
di mantenere il proprio incarico ed ignorare i problemi dei Rom. Durante un
conflitto tra Rom e Rumeni in Transilvania, nessuno della comunità rom riconobbe
la propria rappresentante presso la prefettura quando si presentò, perché non
era mai stata là.
Ci sono leader rom che hanno ottenuto rispetto tanto dalle autorità locali
che dalla comunità. Ma soprattutto, manchiamo di leader forti, specialmente
nella politica. Per esempio, non ci sono state reazioni nel parlamento rumeno
riguardo ai recenti sviluppi in Francia, o in Italia un anno fa. Includo qui
anche le istituzioni collegate come l'Agenzia Governativa Nazionale per i Rom.
Su 200 organizzazioni rom, solo 20 sono attive. Alcune sono state create da
leader che le chiamano "la mia organizzazione" e la usano per auto-legittimarsi
nelle loro relazioni con le autorità locali, ma non investono nelle persone o
generano programmi.
C'è sempre chi accetta cosa dice e cosa fa il governo. Le autorità presto
hanno capito che era facile dividerci. Possiamo generare unità attorno alla
lingua romanì, per esempio, nonostante il fatto che in seguito al comunismo
quasi il 40% non lo parla più. La storia rom potrebbe anche generare unità, ma
dev'essere inclusa nel libri di storia rumeni.
Non abbiamo un'agenda politica, i Rom non sono motivati a votare per un
politico rom, è per questo che c'è un solo rappresentante rom in parlamento.
A livello locale, c'è un desiderio generale di tenere dipendenti i Rom
perché, da un punto di vista elettorale, sono comprabili molto facilmente ed a
buon mercato. In breve, il problema riguarda la rappresentanza e la creazione di
un vero movimento civico rom. Finché non avremo dei buoni negoziatori, il
governo non si preoccuperà di integrarci.
SETimes: Come rispondete ai pregiudizi della maggioranza verso i Rom
nella loro integrazione?
Matache: Oltre alle campagne TV dirette alla maggioranza per mostrare
i Rom in maniera differente, abbiamo organizzato attività di strada come il "razzistometro"
quando abbiamo usato apparecchio per la misurazione della pressione sanguigna,
mentre ponevamo domande sui Rom. Ovviamente, l'apparecchio è stato usato
simbolicamente, ma le domande erano ben calibrate.
Dopo anni di campagne, abbiamo concluso che la gente ama gli spot TV o
visuali, ma è molto difficile influenzare la mente del Rumeno medio. Alcuni
pregiudizi derivano dalla mancanza di informazione. Alcuni Rumeni non hanno mai
incontrato un Rom, o li hanno solo visti mendicare, offendendoli per strada.
Questo si ferma nelle loro menti e diventa un punto di riferimento per i Rom in
generale. Ma se noi riduciamo il milione e mezzo di Rom in Romania solo a quelli
[svantaggiati] che sono visibili, non sapremo creare e sviluppare politiche di
integrazione.
Il cambio di mentalità inizia con l'istruzione. Fintanto ci sarà una forte
diversità culturale nelle scuole rumene, la maggioranza non potrà pensare ai Rom
diversamente.
Di Fabrizio (del 06/10/2010 @ 09:33:21, in Europa, visitato 1583 volte)
Osservatorio Balcani e Caucaso
Rom (foto
Francesco Paraggio /flickr)
Mustafa Canka | Ulcinj 27 settembre 2010
Anche il Montenegro sloggia i rom. Il comune di Podgorica ha comunicato che
verranno demoliti due quartieri alla periferia della città dove vivono circa
2.500 profughi rom provenienti dal Kosovo. Il parallelo con la Francia e le
reazioni del Consiglio nazionale dei rom e degli egiziani
"La cosa che più ci preoccupa è che nemmeno nelle note si parla di una soluzione
alternativa per queste persone", dicono al Consiglio nazionale dei rom e degli
egiziani del Montenegro.
Il vicepresidente dell'organizzazione, Muhamend Uković, ha dichiarato ad
Osservatorio Balcani e Caucaso che è sintomatico che questa azione del governo
di Podgorica sia stata decisa proprio dopo il trasferimento di centinaia di rom
dalla Francia. "A noi sembra proprio un'azione sincronizzata, che ha come scopo
far ritornare tutti i rom da dove sono venuti. Ci aspettiamo che i
rappresentanti del governo montenegrino si esprimano sulla questione, perché se
il quartiere dei profughi ‘Konik' viene smantellato, in pratica ciò significa
che i rifugiati rom e egiziani dovranno da soli assicurarsi un tetto nel caso
volessero rimanere in Montenegro. Se questi sono standard democratici, allora
non abbiamo proprio nessun commento da fare", ha detto Uković.
Il quartiere dei profughi "Konik" si trova nella periferia della capitale
montenegrina. Qui, in baracche provvisorie e in condizioni estreme vivono oltre
duemila profughi rom provenienti dal Kosovo, giunti in Montenegro nel 1999.
Nelle vicinanze del campo vivono anche un centinaio di rom con domicilio. Tutti
però vivono sull'orlo della soglia di sopravvivenza, mentre gli aiuti delle
organizzazioni umanitarie montenegrine e internazionali sono praticamente
esauriti. Per sopravvivere, i profughi sono costretti a fare quei lavori che la
maggior parte dei cittadini del Montenegro rifiuta di fare.
La maggior parte dei rom, arrivati in Montenegro 11 anni fa, si sono in seguito
trasferiti in altri paesi dell'Europa occidentale oppure sono tornati in Kosovo.
Ultimamente, però, il processo dei ritorni è diventato più difficile.
"Per questo la decisione del governo di Podgorica di demolire questi due campi è
preoccupante e estremamente disumana", sostiene il redattore del settimanale
indipendente "Monitor" Veseljko Koprivica e aggiunge: "I rom e gli egiziani per
la seconda volta diventano vittime di chi ha il potere di decidere sul destino
altrui. Prima queste persone sono state vittime della guerra, fatto che li ha
portati a Podgorica, ora di nuovo saranno dei senzatetto perché, per quanto si
sa, il governo di Podgorica non offre alcuna soluzione alternativa per la
sistemazione delle 300 famiglie di questo quartiere".
Recentemente il governo montenegrino ha adottato un piano d'azione col quale
prevede di risolvere entro la fine dell'anno prossimo lo status dei circa 10mila
rifugiati kosovari presenti in Montenegro.
Per questo Uković chiede di risolvere il prima possibile il problema dei
profughi rom del Kosovo con accordo con tutte le parti. "Noi non vogliamo
pregiudicare alcun tipo di soluzione, ma non dobbiamo dimenticare il fatto che
si tratta di persone che in Kosovo hanno perso tutto quello che avevano. Perciò
crediamo che sia necessario condurre un dialogo basato sugli standard
democratici e sulle convenzioni internazionali sui diritti umani. I rom e gli
egiziani fuggiti dal Kosovo non devono essere una preoccupazione esclusiva delle
istituzioni montenegrine, ma anche di quelle internazionali e kosovare, perché
si tratta di cittadini del Kosovo", ritiene Uković.
Al Consiglio nazionale dei rom e degli egiziani si aspettano che il governo
montenegrino, comunque, non permetterà al comune di Podgorica di demolire i due
campi profughi, e pensano inoltre che una richiesta del genere arriverà anche
dall'Unione europea.
Secondo le parole del capo dell'Agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati a
Podgorica (UNHCR) Serge Ducas, il problema dei campi profughi di "Konik" non è
soltanto un problema del comune di Podgorica, del governo montenegrino oppure
delle organizzazioni internazionali. "Tutti noi dobbiamo metterci al tavolino
per trovare una soluzione", ha ribadito Ducas.
"L'amministrazione di Podgorica legittimamente chiede la restituzione dei
terreni dove sono situati i campi, per i motivi urbanistici e per lo sviluppo
della città. Dall'altra parte, però, il Montenegro ha degli obblighi verso
queste persone, ma anche verso la comunità internazionale, quindi tutti insieme
dobbiamo trovare un luogo alternativo e la soluzione della questione", ha
dichiarato il responsabile dell'UNHCR di Podgorica, concludendo che non ci si
può aspettare che più di un quarto dei profughi rom dei campi profughi di "Konik"
torni in Kosovo di sua spontanea volontà.
Da
British_Roma
Irish Central by Mary Catherine Brouder
Non importa dove vai: nel centro di Dublino o di altre grandi città; troverai
quasi sempre persone sedute per strada a elemosinare per sopravvivere. Ci sono
giovani scappati di casa, tossicodipendenti, e poi ci sono i Rom, ai quali
spesso ci si rivolge come "zingari".
Nonostante il fatto che i Rom generalmente non mostrino dipendenze da droghe,
che portino i figli con loro e che mantengano un aspetto curato pur con i loro
scarsi mezzi, è proprio di loro che i miei amici e i miei vicini irlandesi si
lamentano di più.
Da quando di recente la Francia ha dato inizio alla deportazione di centinaia di
famiglie Rom, ho preso parte a non poche conversazioni interessanti.
Alcuni dei miei amici erano, come me, inorriditi da questo provvedimento, ma
sono rimasto sorpreso nel vedere che molte persone appoggiano pienamente l'idea
delle deportazioni forzate.
Un amico si era lanciato in una tirata sugli orrori dei "gypos". Quando ho
insistito perché mi spiegasse da dove proveniva questo suo modo di pensare,
decisamente negativo, nei confronti dei Rom (forse un'esperienza personale?), mi
ha risposto con il solito: "I Rom sono così rozzi e così ignoranti".
Inoltre, ha spiegato, "I Rom picchiano i loro figli per poter avere maggiori
possibilità di raccogliere più denaro dall'accattonaggio".
Aveva qualche prova che supportasse una tale accusa? Nessuna.
A me sembra che crescere per strada un figlio disabile, piuttosto che uno in
perfetta salute, richieda logicamente molta più attenzione da parte dei
genitori. E, in quanto a ciò, le cure e i trattamenti per tutta la vita non
costerebbero ai genitori più di quello che possono sperare di guadagnare
chiedendo l'elemosina?
Anche se l'affermazione del mio amico non aveva molto senso, lui aveva un altro
motivo per i suoi pregiudizi.
"Quando tu dai loro dei soldi, loro li raccolgono da ogni punto in cui si
trovano nella città, e quando fanno ritorno al campo li dividono".
Questo sembra essere un buon senso per gli affari, o almeno fare una buona
suddivisione, difficilmente sembra essere una prova di inganno e di innata
disonestà, come il mio amico avrebbe voluto farmi credere.
Qualche mese fa, mentre lavoravo a un documentario sui Rom, passai del tempo con
loro. Il mio co-produttore ed io abbiamo viaggiato in Ungheria, in alcuni delle
più povere e miserabili baraccopoli che avevo mai visto.
E da allora non ho più incontrato persone più desiderose di aprire la porta
della propria casa ed il loro cuore a me, un perfetto sconosciuto con una video
camera, quanto i Rom di quelle zone.
Tutte le famiglie che abbiamo incontrato ci hanno dato tre baci sulle guance –
un'usanza ungherese – e ci hanno offerto caffè e, letteralmente, ogni singolo
boccone di cibo che conservavano nelle loro dispense.
Un'anziana signora ci diceva di avere a malapena il denaro sufficiente per
comprare fette di pane per sfamare la sua famiglia, e rideva all'idea di avere
la possibilità di comprare carne da mettere fra quelle fette. Ci fu un silenzio
imbarazzato, pieno di vergogna e di pena, da parte mia e dei miei collaboratori.
Avevamo mangiato panini a pranzo e consumato carne ogni sera di quella
settimana.
I Rom non solo sono poveri. Vivono in case senza un riscaldamento adeguato,
senza elettricità né sanitari.
Vivono in condizioni che nessun essere umano dovrebbe sopportare, e non vi
sarebbero costretti se fossero qualcosa d'altro di un comodo capro espiatorio
per i problemi finanziari dell'Europa.
Ho incontrato il Prof. Jack Greenberg, un avvocato che si è battuto per i
diritti civili in Sud Africa durante l'apartheid.
In questi anni il professore, ha anche visitato diversi campi Rom e i territori
circostanti.
Egli descrive le condizioni di vita dei Rom come peggiori di quelle viste nelle
bidonville del Sud Africa.
I Rom più fortunati se ne vanno dai luoghi dove storicamente sono stati in
schiavitù, hanno subito genocidi, discriminazioni, emarginazione, per iniziare
una nuova vita in posti come la Francia o l'Irlanda. E quando arrivano devono
lottare per ogni centesimo raccolto.
E' vero, molti sono aggressivi quando chiedono soldi o cibo. Anche io ho avuto
qualche esperienza spiacevole con i Rom, spingendoli via da me quando mi
chiedevano l'elemosina o quando rispondevano con ingratitudine alla mia offerta.
Ma mi sono sempre domandata quanto prepotente sarei io se dovessi dipendere
dalla carità altrui per nutrire i miei figli.
Penso che combatterei con le unghie e con i denti per ottenere tutti i soldi
possibili dal mio prossimo. Probabilmente non sarei tanto educato se vedessi la
gente attorno a me sprecare cibo e indossare abiti costosi, mentre io passo i
miei giorni preoccupandomi che la mia famiglia non vada a dormire affamata.
Qualche giorno fa ho incontrato un Ungherese che vive in Irlanda. Così gli ho
raccontato del viaggio che ho fatto nella sua terra per documentare le
condizioni di vita del popolo Rom. L'espressione del suo viso è cambiata in una
smorfia di disgusto.
"I Rom?" ha detto sbuffando. "Sei mai stato in una prigione in Ungheria?".
Beh, no.
"Le prigioni sono piene di Rom".
Ho cominciato a parlare di come un retaggio di povertà, di discriminazione e di
emarginazione porti all'abbandono della speranza, e di come spesso questo
conduca a compiere crimini. Lui mi ha interrotto.
"Là la polizia ha paura ad arrestare chiunque, perché quelli dicono: Hey, mi
stai arrestando perché sono Rom?".
Ha sottolineato questa sua affermazione con un'imitazione soddisfatta di una
persona che si gioca la carta del "povero me".
Ci ho pensato su un momento, quindi ho realizzato che ciò non aveva alcun senso.
Così gli ho chiesto: "le prigioni sono piene di Rom, oppure i poliziotti hanno
paura ad arrestarli? Non possono essere vere le due cose".
Non mi ha risposto.
Lui, come milioni di altre persone nel mondo, è stato nutrito con un mucchio di
sciocchezze sulle persone diverse da lui, ed essendo incline a disprezzare ciò
che non gli è familiare, fornisce qualunque giustificazione per supportare le
sue teorie.
Anche quando queste sono letteralmente contraddittorie e illogiche.
La discriminazione non è mai logica. E nemmeno accettabile.
Di Fabrizio (del 12/10/2010 @ 09:50:35, in Europa, visitato 2352 volte)
Ultimamente i martedì sono stati dedicati alla vicenda
raccontata da "Negligenza mortale". Credo, senza modestia, di essere
stato fra i primi a parlare in Italia di Paul Polansky. Ho ritrovato nel gruppo
di discussione
Arcobaleno a Foggia il primo articolo di Polansky che tradussi in italiano.
Sono passati solo 6 anni. Una testimonianza di come si vive(va?) in Kosovo.
8 luglio 2004
Ieri sera stavo cenando quando alcune donne Romnia hanno iniziato ad urlare che
un bambino di 10 anni si era seriamente ferito giocando a calcio. Sono uscito,
in tempo per incrociare un signore che a braccia trasportava un bambino in stato
di incoscienza. Il bambino vestiva calzoncini, T-shirt ed era senza scarpe. Il
braccio era rotto in due punti, trattenuti a malapena da qualche lembo di pelle.
C'è una piccola clinica serba a solo 4 chilometri, ma i genitori hanno voluto
che li accompagnassi a un altro ospedale più grande, a 10 Km., nella speranza
che fosse attrezzato per curare la frattura.
Alle 19.30 siamo arrivati in quello che è chiamato l'ospedale Greco di
Grachanica. Tre anni fa, era stato costruito da Medicine du Monde di Grecia, per
donarlo alla comunità serba. Mentre parcheggiavo il furgone, Dija, la nostra
interprete, era già balzata a terra col bimbo in braccio, che nel frattempo era
rinvenuto e stava piangendo.
Ho aspettato 45 minuti nel parcheggio e alla fine Dija è tornata, sempre con il
bambino il cui braccio era nelle condizioni di prima, tenuto assieme da una
steccatura di fortuna. Pochi passi dietro ai due, camminava la madre piangendo
lentamente nelle pieghe del suo velo.
Dija era furiosa: accusava i medici di averli presi in giro. Appena arrivata
nella sala per le emergenze, aveva spiegato di cosa si trattasse, mentre il
medico di servizio sarcasticamente le chiedeva se fosse lei il dottore. Dija
aveva rimarcato le condizioni del braccio, ma il medico, soccorso da un nuovo
collega, aveva disposto che prima era necessario fare una radiografia, e il
radiografo era a casa.
Due ambulanze erano nel piazzale, ma entrambe i conducenti erano impegnati
altrove, così quello che sembrava il primario dell'ospedale di Grachanica ha
detto a Dija che avrebbe dovuto andare lei a recuperare il dottore, che vive a
parecchi chilometri di distanza. Disse che avevano provato a telefonargli, ma
nessuno rispondeva al suo cellulare. Una volta rintracciato il radiografo, ci
saremmo dovuti recare ad un'altra clinica, perché la loro era sfornita del gesso
per immobilizzare il braccio. A questo punto, riaccompagnato il radiografo a
casa, avremmo dovuto riportare il bambino a Grachanica per le cure del caso.
Nessuno aveva l'indirizzo del dottore che avremmo dovuto rintracciare, sapevamo
solo che viveva nei pressi di Kisnica. Abbiamo incrociato diversi pedoni per
avere informazioni e 20 minuti dopo abbiamo raggiunto casa sua. Ormai era buio.
Nel cortile di fronte a casa una donna, presumibilmente sua moglie, stava
spazzando e vistasi arrivare incontro un gruppo di zingari con un ragazzo ferito
in gravi condizioni, ci ha richiuso il cancello in faccia dicendo che non aveva
idea di dove fosse suo marito, né di quando sarebbe tornato.
Di solito, ho una soluzione per ogni cosa. Dopo 5 anni di Kosovo, conosco
l'ambiente in cui devo lavorare. Ma questa volta non mi veniva in mente niente
da fare. Il bambino era ripiombato nel coma. I genitori piangevano
silenziosamente. Dija a questo punto è letteralmente esplosa: accusando tutti i
Serbi, soprattutto i dottori. "Se questo bambino fosse un Serbo, sono sicura che
qualsiasi dottore avrebbe potuto aiutarlo".
Tornando all'ospedale, abbiamo intravisto un jeep svedese della KFOR, davanti a
un monastero ortodosso. Grachanica in questi periodi è ancora sotto presidio
armato. Ho parlato con i soldati, giovani e gentili, spiegando la situazione.
Sapevo che la base KFOR ha due ospedali: uno gestito dagli inglesi vicino a
Pristina sulla strada di Kosovo Polje e quello dei finlandesi a Lipjan. Entrambi
a 15 minuti di strada ma, purtroppo, non aperti al pubblico.
I soldati hanno chiamato il comando col telefono da campo. Nel frattempo,
bisbigliavo nelle loro orecchie come i miei antenati fossero arrivati in America
dalla Svezia nel 1880, da un piccolo villaggio di pescatori della costa
meridionale. Pensavo che questa storia potesse esserci d'aiuto, e invece dopo un
lungo colloquio telefonico, ci venne detto che questo povero zingaro dal braccio
rotto poteva essere ricoverato solo all'ospedale albanese di Pristina... Tutti i
Rom intendono l'ospedale albanese come una sentenza di morte. La storia a cui si
sommano le leggende, parlano di Zingari e Serbi morti tra le mani dei dottori
albanesi. Ho chiesto ai soldati da quanto erano in Kossovo. Un mese, mi hanno
risposto.
Ho guidato nuovamente verso l'ospedale. Stavolta, ho accompagnato io il padre
con suo figlio fuori conoscenza, mentre Dija e la madre rimanevano a discutere
su quanto fosse inutile la KFOR in Kosovo. Comunque anni fa erano presenti,
quando gli Albanesi bruciarono la loro casa assieme a tutto il villaggio. E
c'erano anche quando gli Albanesi distrussero 39 chiese serbe e oltre 7000 case
di Serbi e Rom. La KFOR rispondeva che il suo compito non era di proteggere le
persone, ma di evacuarle.
Di nuovo al Pronto Soccorso, raccontammo quanto c'era successo, ma non trovammo
simpatia tra i medici in servizio. Non avevano niente da offrirci, solo di
aspettare il giorno dopo. Oppure, ci rimaneva di guidare sino a MItrovica, un
viaggio di oltre un'ora. Rifiutarono di accogliere il bambino, ormai
incosciente, tra i loro degenti. D'altronde, era solo uno zingaro. Non lo
dissero, non potevano ammetterlo. Ma il linguaggio dei loro corpi e degli occhi
era molto eloquente.
Siamo tornati al villaggio, perché i genitori prendessero il loro Visto, anch'io
ho recuperato il mio visto e la patente. Ne ho approfittato anche per un caffè
forte; ormai erano le 22.00 e a quell'ora vado a dormire.
Una folla di Rom musulmani ha circondato il furgone per pregare. Una giovane
nipote, in preda all'isteria, non voleva lasciare il portello ed è stata
allontanata a forza. Tutti avevamo paura degli agguati notturni. Dopo cinque
anni di occupazione NATO, chi ha la pelle scura o può essere confuso con uno
zingaro non ha libertà di movimento. Per arrivare a Mitrovica, bisogna
attraversare il territorio controllato dagli Albanesi. Molti suggerivano di
attendere mattina, ma c'era il rischio che il ragazzo non sopravvivesse.
Non avevo paura della strada per Mitrovica. L'ho fatta per cinque anni, anche
due volte la settimana accompagnando i Rom all'ospedale. Al collo porto il
tesserino KFOR, che gli Albanesi rispettano ancora.
Partimmo infine alle 22.30. Metà villaggio ci accompagnò sino all'imbocco
dell'autostrada. Le donne urlavano e piangevano, gli uomini in silenzio
trattenevano le lacrime.
I viaggio fu movimentato. Appena lasciata Mitrovica Sud fummo fermati da una
pattuglia della polizia kosovara albanese. La prima loro parola fu "Rom"; io
risposi "KFOR" mostrando loro chiaramente il mio tesserino di riconoscimento.
Guardarono chi c'era nel pullmino ancora una volta, mi batterono la mano sul
ginocchi e in inglese mi dissero "Puoi andare, KFOR"
Un chilometro avanti iniziava una lunga fila di veicoli, diretti a Mitrovica
NOrd, i territorio serbo. Era un altro controllo patente da parte degli
Albanesi, che durante i controlli ne approfittavano per lanciare pietre alle
vetture o picchiare gli occupanti che non fossero in regola.
Fummo all'ospedale di Mitrovica Nord poco prima di mezzanotte. Il parcheggio era
vuoto, ma le luci dell'ospedale erano ancora accese. All'ingresso un'infermiera
fumava una sigaretta. Mentre io rimanevo di guardia al furgone, Dija e famiglia
accompagnarono il bambino, che nel frattempo aveva ripreso conoscenza, sulle
scale dell'ospedale.
Dija ritornò poco dopo, raccontandomi quanto fosse stato gentile e cortese tutto
lo staff dell'ospedale. L'avevano accompagnato per la radiografia. Tutti si
erano preoccupati per lui e non era mai stato lasciato solo.
La radiografia confermava che l'osso s'era rotto in due punti. Il dottore
curante aveva richiesto che il ragazzo passasse la notte in ospedale, gli aveva
fatto anche delle iniezioni di calmante. Ma il ragazzo voleva tornare a casa,
nonostante si sentisse in un ambiente amico. Aveva bisogno della sicurezza del
villaggio.
Col braccio finalmente ingessato, salì sul nostro furgone con le sue gambe e
riprendemmo la strada. Trovammo anche un "kebab-bar" dove ci rifocillammo. Il
ragazzo aveva ritrovato l'appetito.
Alle due eravamo a casa. Quanto ho raccontato è ciò che si chiana vivere in un
villaggio Rom amministrato dall'ONU
Paul Polansky
Head of Mission
Kosovo Roma Refugee Foundation
Di Fabrizio (del 18/10/2010 @ 09:49:43, in Europa, visitato 2215 volte)
Da
Roma_und_Sinti
Wsws.org By Martin Kriekenbaum
02/10/2010 - Durante una conferenza stampa, proprio dopo il summit UE di
Bruxelles due settimane fa, il presidente francese Nicolas Sarkozy causò una
tempesta diplomatica, quando dichiarò che la cancelliera tedesca Angela Merkel
gli aveva segnalato "la sua intenzione di smantellare i campi (rom) nelle
settimane a venire". Questa dichiarazione venne immediatamente smentita dal
governo tedesco, che si giustificò dicendo che in Germania non c'erano campi
rom.
Anche i politici tedeschi d'opposizione hanno appoggiato la cancelliera,
aggiungendosi alle critiche verso Sarkozy. Olaf Scholz (SPD - socialdemocratici)
ha accusato il presidente francese di voler distrarre la gente dai suoi problemi
politici interni. Gregor Gysi (Die Linke - sinistra) ha presunto che "lei (Merkel)
non poteva aver pronunciato un simile non senso, perché in Germania non abbiamo
quel tipo di campi".
In effetti, in Germania non ci sono campi comparabili a quelli francesi. Le
autorità disperdono immediatamente gli insediamenti di fortuna a Berlino e
Francoforte quando Rom disperati dalla Bulgaria e dalla Romania li allestiscono
a cielo aperto. Tuttavia, il governo tedesco sta pianificando la deportazione
dei Rom su scala di massa - ma verso il Kosovo piuttosto che la Romania. La
disumanità di tale impegno da parte delle autorità tedesche non è certo meno
preoccupante di quella del governo francese. Questo in modo particolare perché i
Rom, assieme agli Ebrei, furono il bersaglio principale del genocidio nazista.
Il 14 aprile, il ministro degli interni Thomas de Maizière (CDU - cristiano
democratici) ha firmato un accordo con la controparte kosovara, obbligando il
Kosovo a riprendersi 14.000 rifugiati. Circa 10.000 di questi saranno Rom (vedi
"Germany
prepares to deport 14,000 refugees to Kosovo"), che erano fuggiti durante la
guerra nella ex Jugoslavia, patrocinata dalla Germania. In quel periodo, le
milizie del Kosovo alleate della NATO, espulsero oltre i due terzi dei 150.000
Rom dal Kosovo.
Ora saranno costretti al ritorno, anche se non hanno alcuna possibilità di
una vita normale in Kosovo. Indagini condotte nel paese dal politologo Peter
Widmann, mostrano che la disoccupazione tra i Rom in Kosovo sfiora il
100%, e di solito le famiglie rom sono segregate. Particolarmente sono colpiti i
2.000 bambini rom che il governo tedesco intende deportare. Alcuni di loro sono
nati in Germania e non parlano una parola di albanese. Secondo Widmann, tre
quarti dei bambini dei rifugiati deportati in Kosovo non stanno frequentando la
scuola.
Ciò nonostante, il governo tedesco insiste che le condizioni dei Rom in
Kosovo negli anni recenti è migliorata. Secondo il ministro federale degli
interni, non esiste "pericolo imminente, derivante unicamente dall'appartenenza
ad un particolare gruppo etnico", ed aggiunge anche che "le condizioni
economiche e sociali nello stato, volte a riprendere i rimpatriati" sono
irrilevanti nel processo di deportazione. Però, secondo l'UNICEF le procedure di
deportazione violano nella pratica la Convenzione delle Nazioni Unite sui
Diritti dell'Infanzia, perché non permettono di assicurare il mantenimento
dell'esistenza umana.
Rispondendo ad una interrogazione di Die Linke, il ministro tedesco degli
interni ha recentemente confermato che starebbe rispettando i propri piani di
deportazione come riportati un anno fa dal giornale Süddeutsche Zeitung (...).Si
può pertanto presumere che Sarkozy non si sia semplicemente inventato il
commento della Merkel, ma che sia stato informato della prossima deportazione di
Rom.
Vessazioni contro i rifugiati
Le vessazioni nei confronti dei Rom in Germania non si limitano a quanti
saranno a breve deportati. Si trovano ad affrontare discriminazioni sociali
anche i Rom a cui permesso a fatica di rimanere nel paese, quanti possiedono la
cittadinanza tedesca e famiglie che vivono in Germania da generazioni.
Un totale di circa 50.000 cercarono rifugio in Germania dalle guerre in
Jugoslavia negli anni '90. Oltre i due terzi non sono stati riconosciuti come
rifugiati - è stato cioè negato loro un diritto al soggiorno sicuro e sono lì
solo in sofferenza, in attesa di ulteriori sviluppi. Il diritto alla residenza
temporanea viene rilasciato di volta in volta soltanto per brevi periodi di
tempo, normalmente non più di 6 mesi, così questi rifugiati corrono il rischio
di essere rimpatriati in qualsiasi momento.
In linea con questo tipo si status di residenti temporanei, è escluso
l'accesso a quasi tutti i benefici sociali statali. Non hanno diritto a
partecipare a programmi di integrazione e corsi di lingua, non è permesso loro
di viaggiare fuori dal comune o dal distretto amministrativo assegnatogli. Chi
non rispetta queste restrizioni di movimento è passibile di severe punizioni.
Inoltre, dato che sono rifugiati, la legge che copre la previdenza sociale
per i richiedenti asilo consente loro solo una ridotta quantità di sostegno
sociale. I singoli capifamiglia quindi ricevono solo circa 230 € al mese e gli
altri famigliari solo 200 €. Comunque, le amministrazioni comunali spesso pagano
in contanti
solo l'importo minimo legalmente specificato di 40 €, e forniscono
il resto sotto forma di beni tangibili essenziali. Questi rifugiati inoltre non
hanno diritto ad assegni per figli o genitori, e non hanno assicurazione
sanitaria, ricevendo solo cure mediche d'urgenza.
Per dissuadere reclami dai rifugiati, sono assegnati in ostelli ed alloggi
provvisori, alle periferie estreme delle città o in zone industriali. In alcuni
comuni vengono impiantate per i Rom le cosiddette "stazioni di container di
detenzione" - nel porto di Amburgo per l'accoglienza di 200 rifugiati venne
adoperata una nave. In altri casi, vecchi edifici scolastici, alberghi malandati
e siti dell'amministrazione servono come ostelli per rifugiati, tutti
caratterizzati da povere condizioni strutturali, carenza di attrezzature di base
e assenza di assistenza sociale.
Anche se alcuni comuni hanno iniziato a fornire ai Rom appartamenti in
affitto, per la grande maggioranza dei rifugiati la situazione alloggio è
cambiata di poco.
Come i rifugiati, anche i Rom sono soggetti a restrizioni nell'ottenere un
impiego o nel prendere parte a programmi formativi e di perfezionamento. Di
conseguenza, le prospettive sono poche, soprattutto per i giovani rom.
Particolarmente sono colpiti i bambini, negli stati dell'Hesse e dello Saarland
viene loro rifiutato il diritto di frequentare la scuola.
Eppure, spesso anche quei bambini che possono frequentarla non riescono a
ricevere un'istruzione decente. Le autorità si aggrappano a "specificità
culturali" relative ai Rom, denigrati per "non essere interessati alla scuola" e
per il loro "anticonformismo". Le ragioni devono essere individuate nelle
condizioni di vita dei bambini, determinate dalle stesse autorità statali.
La rilocazione e la chiusura degli ostelli per rifugiati obbliga
continuamente i Rom a spostarsi tra i vari alloggi. Per i bambini, questo spesso
comporta cambio di scuole e un rinnovato sforzo di integrazione. Così le
de-registrazioni e le mancate nuove registrazioni portano ad una frequenza
scolastica irregolare ed alla perdita della lezioni.
Tuttavia i genitori - per cui non ci sono corsi di lingua e che spesso hanno
loro stessi una bassa scolarità o non hanno mai frequentato le scuole - sono
vigorosamente rimproverati di non prendersi cura dei figli. Come risultato, i
bambini dei rifugiati rom sono considerati poco propensi ad imparare e quindi,
senza alcun test diagnostico, destinati alle scuole speciali, quando in effetti
viene loro negata ogni possibilità di formazione professionale.
La discriminazione nel sistema educativo e nei mercati della casa e del
lavoro, porta molti Rom all'isolamento sociale. Anche le esperienze negative con
le autorità ufficiali portano alla sfiducia ed all'alienazione. Tutto ciò a sua
volta viene portato a prova da parte dei demagoghi di destra "sull'incapacità di
integrazione" dei Sinti e dei Rom.
Persecuzione dei Rom e dei Sinti
Oltre ai rifugiati dall'Europa orientale, in Germania ci sono anche Sinti e
Rom che vi hanno vissuto da generazioni, la maggior parte in possesso di
cittadinanza tedesca. Secondo la Carta UE sui Diritti Fondamentali e la
Convenzione Quadro della Commissione Europea per la Protezione delle Minoranze
Nazionali, Sinti e Rom sono riconosciuti come una minoranza, titolare di
protezione e diritti speciali.
E' quindi sorprendente quanto poco si sappia sulla loro situazione sociale.
Questo è evidente in primo luogo riguardo alla dimensione di questo gruppo di
popolazione. Dato che viene registrata la sola cittadinanza e non l'etnia, si
può solo stimare il numero di Sinti e Rom con passaporto tedesco. Di solito si
stimano in 70.000 persone. Aggiunti a questi, circa 50.000 rifugiati dalla ex
Jugoslavia e dal Kosovo, tra cui ci sono circa 20.000 bambini. Però, altre stime
contano 200.000 Rom e Sinti in Germania.
Sinti e Rom di sicuro non appartengono ad un gruppo etnicamente omogeneo.
Hanno storie di insediamento differenti e parlano lingue distinte. I Sinti
arrivarono in Germania circa 600 anni fa, ed i Rom nel XIX secolo. Quel che
hanno in comune, è una storia tormentata con la discriminazione.
Dopo la fondazione dello stato nazionale tedesco nel 1871 e la conseguente
espansione del sistema amministrativo, aumentarono le persecuzioni delle
minoranze. Nel 1899 a Monaco venne fondata una squadra speciale, il cosiddetto
"[Ufficio] Centrale Zingaro". Ufficialmente chiamato "Ufficio Centrale per la
Lotta Contro l'Inquinamento Zingaro", la sua giurisdizione venne estesa a
coprire l'intero impero tedesco nel 1929. Il compito principale di questa branca
delle forze di polizia era di compilare un registro sistematico dei Sinti e dei
Rom - un'operazione che il regime nazista fu capace di estendere per costruire
la sua segregazione razziale ed i programmi di sterminio.
Subito dopo la presa del potere di Hitler, i nazisti istituirono "campi
zingari" in città e paesi, e pubblicò il "Decreto Circolare per Combattere la
Piaga Zingara". Col 1942, iniziarono deportazioni programmate di massa verso i
campi di sterminio di
Auschwitz e Birkenau, dove furono uccisi 500.000 Sinti e Rom da tutta Europa.
Dei circa 25.000 Sinti e Rom che ancora vivevano in Germania allo scoppio della
II guerra mondiale, oltre 15.000 furono uccisi dal regime di terrore nazista.
Tuttavia, la persecuzione e l'assassinio di Sinti e Rom venne messa a tacere
e negata per decenni dopo la guerra. Occasionalmente, le autorità continuarono
le inumane politiche naziste. In Baviera nel 1953, venne stabilita la "Centrale
Vagabondi" come diretta continuazione del "Centrale Zingaro". Era guidata da Josef Eichberger,
che in precedenza era stato responsabile del Centro del Reich di Scambio per la
Deportazione di Sinti e Rom. La Centrale Vagabondi si serviva abitualmente
di vecchi documenti nazisti. Numerosi Sinti e Rom, diventati apolidi sotto il
regime nazista, dovettero attendere gli anni '80 per ottenere nuovamente la
cittadinanza tedesca.
Anche le autorità tedesche continuarono l'ideologia di persecuzione impiegata
dal regime nazista. Hanno sostenuto che tutti i Sinti e Rom erano incapaci di
integrazione, a causa della loro razza e cultura, che erano guidati da istinto
nomade; e che avevano tendenze criminali.
Anche se generalmente i Sinti e i Rom hanno subito pressioni per rimanere in
un posto, le rispettive autorità municipali hanno tentato di prevenire gli
insediamenti nei loro rispettivi distretti amministrativi.
Alternativamente vittime di ghettizzazioni e sgomberi, ai sopravvissuti ai
campi di concentramento da alcuni comuni furono solo garantiti spazi dove
parcheggiare le roulotte, senza acqua o elettricità; o altrimenti mandati in
aree residenziali degradate ed isolate.
Nonostante ciò, la gran maggioranza dei Sinti e dei Rom è diventata da tempo
stanziale. Però, solo una piccola parte di loro è stata in grado di migliorare
il suo stile di vita. La deplorevole situazione sociale dei Sinti e dei Rom è
stata evidenziata da due studi completi di scienze sociali del 1978 e del 1982.
Non vennero effettuati ulteriori studi di questo tipo, ma indagini ristrette
localmente rivelano che continuava la situazione precaria di Sinti e Rom. I
risultati mostrano che sino al 30% dei bambini è piazzato in scuole speciali, il
30% degli adulti non ha avuto istruzione scolastica, mentre un altro 50% ha
lasciato la scuola prima di ottenere un diploma. Lo standard residenziale per
una larga parte dei Sinti e dei Rom è risultato essere inferiore al livello
minimo accettato.
Alla metà degli anni '80 inizio un cambio delle politiche comunali, che portò
a scuole speciali e formazione del lavoro, come pure a programmi di edilizia
locale, a misura delle popolazioni rom e sinte. Tuttavia, la situazione sociale
è migliorata solo lievemente per questa gente, che ha vissuto in Germania per
generazioni.
Uno studio del 2007 dell'UNICEF sulla condizione dei bambini di famiglie rom
in Germania, ha presentato un quadro fosco sulle prospettive per i giovani, dato
che "hanno grande difficoltà nel creare una vita di successo per loro stessi, in
condizioni dove i corsi di formazione ed il mercato lavorale non sono favorevoli
ai giovani. In molti casi, il continuare a diffondere notizie sugli stereotipi
degli zingari ostacolano ed impediscono la ricerca di un lavoro o della
formazione".
Inoltre, i Sinti ed i Rom che ottengono successo socialmente e
professionalmente si trasferiscono dai loro vecchi insediamenti, che di
conseguenza corrono il rischio di diventare "aree rifugio per perdenti... Ciò
che accade rispetto alla minoranza dei Sinti tedeschi è uno sviluppo conosciuto
in tutta la società: la tendenza verso la segregazione urbana secondo livelli
economici".
Sinti e Rom, immigrati dopo l'espansione orientale della UE, continuano a
vivere in condizioni estremamente miserabili, nonostante, al contrario di
Francia e Italia, in Germania non ci siano baraccopoli o campi sosta su larga
scala.
I Rom fuggiti da Bulgaria e Romania si sono riuniti l'anno scorso a Berlino.
Si guadagnavano da vivere pulendo i vetri delle macchine ferme ai semafori delle
circonvallazioni cittadine. Mancando di un alloggio regolare, passavano la notte
all'aperto nei parchi, prima di essere impacchettati dalle autorità comunali in
un ostello per richiedenti asilo. I Rom dell'Europa sud-orientale si sono
nuovamente accampati quest'anno nei parchi di Berlino.
Secondo un rapporto della radio bavarese, almeno 500 Rom sono stati assunti
come giornalieri. Dato che il diritto di "libertà di circolazione per i
lavoratori" è stato applicato nella sola Germania - a differenza della Francia -
da quest'anno sono stati loro negati i permessi di lavoro, anche se sono
cittadini dell'Unione Europea. Sono quindi obbligati al "mercato del lavoro
nero" nelle costruzioni o nelle imprese di pulizie. La loro residenza in
Germania è quindi vista dallo stato come illegale, e si trovano ad affrontare
continue molestie da parte delle autorità cittadine.
Considerando i Rom in Europa, il saggista Karl-Markus Gauss ha osservato su
der Zeit che "[A] parte il periodo relativamente breve della persecuzione
nazista, in tutta la loro storia la situazione non è mai stata così brutta" come
adesso. Non solo in Francia i Rom sono diventati bersaglio di campagne razziste;
sono già stati oggetto di attacchi omicidi in Slovacchia e Ungheria. E'
significativo che il summit di Bruxelles abbia risolto "di cercare di sviluppare
una strategia a lungo termine al prossimo incontro così da trovare una soluzione
al problema". Così, la UE ricorda anche nell'uso del linguaggio l'era buia della
persecuzione dei Rom, quando il "problema" era visto esclusivamente nei termini
di etnia.
Comment this on
http://euyouthspeak.org/roma/?p=14847
Di Fabrizio (del 19/10/2010 @ 09:46:14, in Europa, visitato 1770 volte)
Da
Nordic_Roma (sull'argomento:
1,
2,
3,
4,
5)
YLE.fi Il ministro degli esteri finnico Alexander Stubb ha condannato i
piani per rendere illegale l'accattonaggio per strada. Ha invece chiesto ai
leader UE di fornire appoggio alla minoranza rom d'Europa.
09/10/2010 - Parlando nel programma di discussione domenicale Ykkösaamu di
YLE, Stubb ha detto che i problemi affrontati dai gruppi rom d'Europa, i
principali praticanti dell'accattonaggio, devono essere supportati da programmi
finanziari, come i fondi d'appoggio a livello UE.
Il ministro degli esteri ha chiesto agli stati membri UE di stanziare fondi
per i Rom nel corso dei prossimi negoziati di bilancio. Ha proposto la creazione
di fondi comuni ed una maggiore enfasi sulla formazione per i Rom.
Ha dichiarato: "Tutto dipende da considerazioni finanziarie in un senso o
nell'altro. I Rom sono importanti come qualsiasi altro gruppo di minoranza."
Stubb ha anche puntualizzato che il diritto alla libera circolazione nella
regione è una libertà fondamentale nella UE.
"Non è una questione delle sole Romania, Bulgaria o Francia. Tutti noi
abbiamo una responsabilità comune," ha aggiunto.
Il ministro ha detto che ognuno dovrebbe considerare il modo migliore per
eliminare l'accattonaggio dalle strade cittadine. Ha aggiunto che un divieto
colpirebbe solo il sintomo e non la causa del problema.
"Sono molto scettico su un divieto assoluto dell'accattonaggio. La povertà
non è un crimine. Se è legato alla criminalità organizzata, possiamo intervenire
usando le normali vie legali."
Di Fabrizio (del 20/10/2010 @ 09:43:08, in Europa, visitato 2003 volte)
Da
Roma_Francais
Euronews
14/10/2010 - Tony Gatlif è un uomo con una missione. Per 35 anni, Gatlif che
è mezzo Cabilo (Algerino), mezzo zingaro, ha prodotto e diretto film sui Rom in
Europa, un popolo che afferma è spesso incompreso e discriminato.
Il suo ultimo film, "Liberté", uscito quest'anno, è sui circa 30.000 Rom
francesi che furono detenuti e deportati durante la II guerra mondiale.
Anche se Gatlif è arrabbiato per le espulsioni del presidente Sarkozy e per
lo smantellamento dei campi rom illegali, insiste che quanto sta succedendo
oggi non può in nessuna maniera essere comparato alle deportazioni della II
guerra mondiale.
Ma ammonisce che è uno scomodo promemoria di ciò che accade quando un'intera
razza o popolo è presa a bersaglio.
Valerie Zabriskie di Euronews si è incontrata col regista a Lione.
Tony Gatlif, lei è fermamente contrario allo smantellamento dei campi rom,
anche se i sondaggi suggeriscono che il 60% dei Francesi appoggia questa
politica di "smantellamento". La sorprende?
Non posso farci niente. L'unica cosa che posso fare, è spiegare a tutti
quanti non capiscono questo problema sul popolo viaggiante - sono i termini
amministrativi. Sono il popolo rom, zingari che sono in Francia da lungo, lungo
tempo, sin da Francesco I, questi zingari, che sono nel sud della Francia e in
Spagna. Tutto qui. E questo popolo che è qui in Europa dal Medio Evo, ha
contribuito all'Europa, alla sua cultura, a tutto ciò che è europeo. Ed ora,
vogliamo che diventino invisibili. Non vogliamo che esistano. Ma come può un
popolo di 10 milioni semplicemente smettere all'improvviso di esistere? I capi
di stato europei hanno deciso di approvare leggi contro di loro così che non
possano più viaggiare. Questo significa che se non vuoi che un popolo si sposti,
lo confini. E' quel che abbiamo fatto durante la guerra.
Ma ora che la Romania e la Bulgaria sono parte dell'Unione Europea, non si
può più farlo. Hanno il diritto a spostarsi in altri paesi europei, ma se dopo
tre mesi non hanno un lavoro o sono ritenuti un peso sociale, possono essere
espulsi.
Questa legge è stata creata per loro, ma non è per tutti. Vicino a dove vivo
io a Parigi, c'è una persona tedesca senza casa. E' lì da tre anni. Qualcuno gli
ha detto che deve tornare in Germania? E' senza casa, è Tedesco, mi ha detto.
Così queste leggi sono fatte per determinate persone, per i cittadini di
"seconda classe" e poi ci sono leggi per i "veri" cittadini. E' così. E così io
credo che queste leggi siano state create esclusivamente per gli zingari e poter
dire, "attenzione, se apriamo i confini europei avremo tutti gli zingari che
vorranno partire." Sanno che è quel che fanno sempre gli zingari. Così dicono
che faranno queste leggi per bloccarli e rimandarli a casa dopo tre mesi.
Ma non pensa che ciò che è successo il mese scorso al vertice UE, tra il
presidente Sarkozy ed il commissario europeo, mostri che la Commissione Europea
stia iniziando a prestare a ciò che si chiama il problema rom in Europa?
Sono scioccati, penso, questi paesi sono scioccati perché la Spagna non
agisce così, ci sono paesi UE che non fanno così. Neanche la Grecia. La Grecia
ama i suoi zingari. Così la Francia, tutto d'improvviso, con queste leggi che
hanno introdotto, vuole sradicare questo popolo, questi Rom che sono qui da non
so quanto, forse tre o quattro anni. E li sgomberano e li espellono dalle loro
baracche, dalle loro case di cartone, nei boschi, sotto i ponti, lungo le
autostrade. E li spostano numerosi, in massa. E questo ci ricorda un trauma. Ci
sono bambini seminudi, tra le braccia delle madri. C'è panico ovunque. Non hanno
tempo di prendere le loro cose. E' il panico. Naturalmente non siamo agli
estremi delle deportazioni del 1940, ma è ancora, la parte finale di un cuneo.
La gente si lamenta di vedere i Rom, gli zingari con i loro grossi
caravan, le loro belle macchine e nel contempo si dipingono come vittime, le
donne che mendicano per strada con i bambini...
Qui quando sono arrivato alla stazione di Lione, mi ha fermato una donna.
Aveva occhi blu, non sembrava per niente straniera. Era Francese e mi ha chiesto
dei soldi per i suoi bambini. Ha messo la sua miseria proprio di fronte a me,
perché era povera e miserabile e non ho coperto i miei occhi. Ma lo zingaro che
mendica, da fastidio a tutti. Perché? Perché ricorda loro la propria
insicurezza? Forse si sentono molestati? Ma io mi sento molestato anche dai
senza casa. Ma è normale che mi senta molestato. Sarebbe l'ultima frontiera, che
muoiano di fronte a noi senza chiedere niente. Ma questo è com'è il mondo nuovo
oggi. Il mondo moderno.
Ma con tutta la copertura dei media sulle espulsioni di quest'estate,
forse lei non è ottimista, ma non spera che ci sia ora maggiore pressione sui
capi di stato europei per affrontare questo problema che è europeo?
Non ho paura dei capi di stato europei. Non ho paura di chi governa l'Europa.
Ho paura degli Europei. Una volta che un governo come quello della Francia - che
è un paese a cui tutta l'Europa guardava durante l'era comunista perché era il
paese dei diritti umani - una volta che la Francia, il paese dei diritti umani,
inizia a puntare il dito contro gente che è fragile, mi preoccupa la reazione a
catena. Mi preoccupa che la gente di altri paesi dirà di voler fare la stessa
cosa perché questi Rom non sono buoni. E quel che ha detto il governo francese,
che ha detto il presidente francese, o meglio, non ha detto che non erano buoni,
ma che erano problematici. Quindi dal suo punto di vista, in paesi come la
Romania, o la Bulgaria o l'Ungheria ed altrove, anche lì si può dire: "Sì,
abbiamo un problema con questa gente (i Rom).
Questo mese c'è un summit a Bucarest, sull'integrazione dei Rom in Europa.
Cosa ti aspetti che verrà fuori da questo tipo di vertice? Cosa speri?
Che lascino in pace questa gente. Questi Rom non chiedono niente. Non hanno
mai fatto guerre, non si sono mai armati, mai usato bombe. Vogliono solo vivere.
Quindi lasciamoli vivere e troviamo i mezzi per aiutarli a farlo, come chiunque
altro in Europa. E smettiamo di appiccicargli etichette sulla schiena, o di
creare leggi che vanno contro il loro modo di vivere.
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