Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Con questa traduzione, anche Barbara Breyhan inizia la
collaborazione con Mahalla. Benvenuta!
DORTMUND - Lavoratori ridotti in miseria - di Sibylle Fuchs, 5 febbraio 2013
Due settimane fa il programma televisivo ARD_Monitor ha trasmesso un
servizio sconvolgente,
che ha mostrato con quale freddezza sociale e con quale disprezzo la città di
Dortmund e le istituzioni ecclesiastiche in questa città, rispondano
all'indigenza dei lavoratori emarginati dell'Europa sudorientale.
L'estrema povertà dei paesi, da cui questi lavoratori cercano di
fuggire, è stata consapevolmente provocata dall'Unione Europea. La povertà serve
da leva affinché anche in paesi ancora benestanti, come Germania o Francia, il
tenore di vita della classe operaia si abbassi in maniera significativa.
I reporter Isabel Schayani ed Esat Mogul sono stati per una giornata insieme ad
Ercan, un Rom della città bulgara di Plovdiv, che ha inutilmente tentato di
trovare un lavoro malpagato tra quelli che vengono offerti nel cosiddetto "Arbeiterstrich"
nella Mallincksrodttrasse della città di Dortmund
("Arbeiterstrich" viene chiamato in tedesco un incrocio stradale nel quale
braccianti dell'Europa sudorientale ciondolano durante la giornata, aspettando
che qualcuno passi e offra loro un lavoro, quasi sempre sottopagato, ndr).
Da quando Ercan è arrivato, una settimana fa, è riuscito a trovare lavoro
soltanto un'unica volta. Con i soldi che ha guadagnato per un trasloco è
riuscito appena a ripagare i debiti contratti per il viaggio in autobus dalla
sua città d'origine fino in Germania.
Da quando i loro paesi di provenienza sono paesi membri dell'UE, i lavoratori
bulgari e rumeni che aspettano un lavoro sull'Arbeiterstrich soggiornano in
maniera regolare in Germania, ma finora è loro impedito un altrettanto regolare
lavoro. Nonostante ciò, soltanto nel 2011 sono arrivati in Germania 200.000 tra
bulgari e rumeni per prestare servizio come lavoratori a giornata.
Dall'entrata di bulgari e rumeni nell'UE nel 2007, anche a Dortmund ne sono
arrivati a migliaia. Giorno dopo giorno si mettono per strada e sperano che un
automobilista si fermi e li prenda con sé. Nei loro paesi di origine hanno perso
il lavoro con la liquidazione delle imprese statali ed hanno perso qualsiasi
speranza di lavoro. Se sono fortunati, sull'Arbeiterstrich viene offerto loro un
lavoro pesante per una paga misera. Questo estremo sfruttamento dei lavoratori
rom fa parte dell'intensificazione sistematica dello sfruttamento della classe
operaia in tutta l'Unione Europea.
Molti rom o non hanno un alloggio o sono costretti a vegetare in alloggi indegni
in abitazioni malandate, note a Dortmund come "Ekelhäuser" (case che fanno
ribrezzo, ndr.). O si tratta di abitazioni occupate, dalle quali possono essere
cacciati in qualsiasi momento, oppure sono costretti a pagare 30 euro a notte ai
proprietari di casa per un posto-letto, spesso solo dei lager con dei materassi
in appartamenti sovraffollati. Gli impianti sanitari e le cucine o sono guasti o
del tutto insufficienti per la moltitudine di persone stipate nelle case.
Il sovraffollamento delle abitazioni porta in breve tempo a sporcizia e
condizioni igieniche insostenibili. Di regola i proprietari di casa ordinano dei
contenitori per rifiuti troppo piccoli per l'immondizia creata dal gran numero
di inquilini. Si dice che in una casa fosse presente soltanto un servizio
igienico per 19 appartamenti e che fosse privo di acqua corrente.
Ercan ha lavorato per 22 anni come scaricatore in un'azienda, ma poi, come accade
per la maggior parte dei rom, è stato licenziato.
Ercan è a Dortmund da una settimana. Non ha nemmeno i soldi per telefonare a sua
moglie. Quando è arrivato qua, ha trovato un posto letto in una casa. Un rumeno
gli disse di essere il portiere e che avrebbe potuto pernottare nella casa per
quattro o cinque giorni. Ma quando la sera è rientrato per pernottare, ha
trovato porta e finestre sbarrate. Le sue cose sono rimaste dentro. Adesso gli
sono rimasti soltanto gli abiti che porta addosso.
Per via delle temperature sottozero ha bisogno di un posto dove farsi la doccia
e dove stare al caldo. La troupe televisiva lo accompagna, con telecamera
nascosta, alla Diaconia, l'ente assistenziale della chiesa evangelica. Viene
respinto. Un uomo gli mostra un foglio con scritto: "I bulgari qui non possono
farsi la doccia".
"Ma loro lo sanno benissimo", dice l'uomo, "ma ritornano sempre! E a me tocca
sempre mostrare di nuovo questo foglio! Sanno leggere? E' la loro lingua! Niente
doccia!".
Reporter: "Niente doccia. Allora, qui bulgari e rumeni non possono farsi la
doccia. Tutti gli altri sì?". Uomo: "Sì".
Da una responsabile dell'Diakonischen Werks Dortmund und Lünen i reporter hanno
ricevuto la spiegazione che, in effetti, esisterebbe presso il pronto soccorso
un servizio apposito per le emergenze per chi ha bisogno di farsi la doccia, ma
che al momento la Diaconia sarebbe equipaggiata in maniera molto ristretta per
quanto riguarda la disponibilità delle docce.
La troupe televisiva ed Ercan vengono quindi semplicemente rimandati all'ufficio
Consulenza Migrazione, aperto al pubblico alle ore 13:00 per un'ora. Alla
domanda della reporter sul perché Ercan non possa farsi la doccia si ha il
seguente dialogo.
Uomo: "Infatti, farsi la doccia assolutamente no". Reporter: "Perché no? Allora
chi può farsi la doccia?". Uomo: "Soltanto tedeschi, gli immigrati no".
Ci sarebbe un posto in cui anche agli immigrati è permesso farsi la doccia, ma
soltanto tre volte la settimana.
Mentre fuori ci sono temperature gelide, Ercan incontra gli stessi problemi per
il pernottamento. Accompagnato dai reporter, tenta di chiedere la possibilità di
pernottamento presso gli alloggi di fortuna dell'ufficio dell'assistenza sociale
per uomini. Anche qui è ospite indesiderato.
Uomo: "Bulgaro? Rumeno?". Ercan: "Bulgaro". Uomo: "Oh! No sleep here! Solo
Dortmund, only Germany". Reporter: "Perché?". Uomo: "E' solo per tedeschi, solo
per abitanti di Dortmund. Non per bulgari o rumeni. Purtroppo è così: non
possiamo permetterlo". Reporter: "Per questo esiste una spiegazione?". Uomo: "E'
così purtroppo. Queste sono le regole che ci arrivano dall'ufficio
dell'assistenza sociale della città di Dortmund".
L'unica cosa che l'uomo propone ad Ercan è di tornare alle ore 23:30: "A
quell'ora il collegio ed io decideremo se potremo lasciarlo dormire qui. A quel
punto, però, rappresenterebbe un'eccezione per questo singolo caso, se proprio
fuori dovesse fare troppo freddo. Okay? Di più non posso fare".
Ercan passa la notte in un internet café. La mattina seguente decide di
ritornare nel suo paese di origine. I reporter gli hanno dato il denaro
sufficiente.
Questo non è stato il primo servizio televisivo sulla condizione dei rom a
Dortmund. Due anni fa un altro caso ricevette l'attenzione della stampa. Una
giovane rom, che voleva provvedere al mantenimento della sua famiglia con il suo
lavoro di prostituta,venne lanciata fuori falla finestra da un suo brutale
cliente. Sopravvisse, ma restò invalida. Il corrispondente televisivo prese il
suo caso come occasione per richiamare l'attenzione sulle orribili condizioni di
vita dei rom. Mostrò anche la loro disperata situazione nei paesi di origine.
Molti dei rom arrivati a Dortmund con gli autobus provengono dal quartiere
Stolipinovo di Plovdiv. E' uno dei più grandi ghetti rom dei Balcani. Vi abitano
45.000 rom - che parlano soprattutto turco - in edifici prefabbricati senza
corrente elettrica né acqua.
Le loro condizioni di vita sono notevolmente peggiorate dal crollo dei regimi
stalinisti nell'Europa dell'Est, perché essi, per prima cosa, hanno perso il
lavoro.
Per poter restare in Germania per più di tre mesi, un bulgaro o un rumeno deve
poter presentare un contratto d'affitto, il permesso di soggiorno per cittadini
comunitari e un'assicurazione sanitaria. La maggior parte di coloro che arrivano
qua non hanno la più pallida idea di come ottenerli. Per i cittadini di questi
paesi, la totale libertà di circolazione e la garanzia legale di poter trovare
un lavoro varranno soltanto a partire dal 2014. Per ora possono trovare lavoro
soltanto in proprio. Alcuni tentano di lavorare come commercianti di rottami
metallici, ricavati da autovetture o vecchie pattumiere. Altri non trovano di
meglio che chiedere l'elemosina o essere introdotti nella criminalità.
Addirittura alle mense la maggior parte di loro non può ricevere niente, in
quanto va esibita una tessera con cui dimostrano di ricevere contributi sociali.
Molte donne hanno trovato di che vivere lavorando come prostitute. In passato
più di 700 donne avevano denunciato la loro attività lavorativa come prostitute;
nel Strassenstrich ("marciapiede", "quartiere a luci rosse" - in cui, in
Germania, è consentito esercitare la prostituzione, ndr.) della Ravensbergersrasse,
pensato originariamente per 50 donne, arrivavano a lavorare contemporaneamente
fino a 120 prostitute. Con i soldi guadagnati erano in grado di assicurare
un'esistenza dignitosa alle loro famiglie in Romania o Bulgaria.
Lo Strassenstrich è stato tuttavia chiuso nel 2011 e la prostituzione è stata
vietata su tutto il territorio della città di Dortmund. Il provvedimento avrebbe
dovuto scoraggiare un afflusso più ampio di immigrati dalla Bulgaria. Il
prefetto di Dortmund, Ingo Moldenhauer, spiegava: "Deve arrivare fino in
Bulgaria il segnale che qui non si può più guadagnarsi da vivere con la
prostituzione".
Adesso la prostituzione viene esercitata illegalmente in case-bordello. Le
assistenti sociali, che prima si occupavano delle prostitute aiutandole ad
ottenere mezzi contraccettivi o organizzando corsi di lingua tedesca, ora non
hanno più alcuna possibilità di aiutarle. Nel frattempo adesso si rincorrono
voci che potrebbe essere di nuovo autorizzato lo Strassenstrich.
Le terribili condizioni abitative negli "Ekelhäuser" hanno fornito un pretesto
per politici populisti e di destra per campagne sobillatrici contro immigrati
sia sulla stampa locale che sul web, campagne che nella terminologia ricordano
la propaganda nazionalsocialista.
Il telegiornale del 2 aprile 2011, in un servizio, così descriveva un gruppo di
inquilini rom: "Rubano, irrompono nelle case, lasciano danni da riparare e
confermano concretamente i pregiudizi esistenti su di loro." Hubert Scheuer, ex
sindacalista, è dell'opinione che chi non si difende, soccombe.
Invece di chiedere ai proprietari delle case di assumersi le proprie
responsabilità e di combattere contro lo strozzinaggio degli affitti
esorbitanti, si preferisce insultare i rom che vivono in condizioni disumane.
Alcuni rom che abitavano nelle "case problematiche" sono stati nel frattempo
sfrattati tramite le forze dell'ordine. L'impresa comunale della città di
Dortmund, la DOGEWO, ha comprato 7 case e sta risanando 65 alloggi. Ne
seguiranno altri. I rom senzatetto dell'Arbeiterstrich non saranno in grado di
pagare i prezzi d'affitto di questi alloggi.
Dortmund non è un caso unico. In molte grandi città della Germania accade la
stessa cosa. Nelle stesse condizioni vivono anche i rom a Duisburg, dall'altro
lato del territorio della Ruhr: più di 6000 rom, provenienti dalla Bulgaria e
dalla Romania, nelle stesse condizioni disumane.
I politici borghesi e i mezzi d'informazione rappresentano come responsabile
essa stessa, per la propria grave situazione, questa parte più povera della
popolazione che lavora e ne promuovono la deportazione. La campagna sobillatrice
razzista contro i rom viene fomentata consapevolmente dalla borghesia allo scopo
di dividere la classe operaia e di ostacolare la solidarietà di classe. I
lavoratori europei non lo devono permettere. Solo una difesa anche delle parti
più oppresse della classe operaia può impedire che questi attacchi non vengano
poi estesi a tutti gli altri e diano spazio a forze di destra e fasciste.
Di Fabrizio (del 20/02/2013 @ 09:08:18, in Regole, visitato 2057 volte)
Stranieriinitalia.it - Avv. Mascia Salvatore
Non è un opinione, è un crimine punito dalla legge. Ecco come riconoscerlo e
combatterlo
11 febbraio 2013 - Il convincimento che la razza, il colore, la discendenza, la
religione, l'origine nazionale o etnica siano fattori determinanti per nutrire
avversione nei confronti di individui o gruppi, è un pregiudizio, una forma
irrazionale di intolleranza, ma è anche e soprattutto un crimine punito dalla
legge italiana.
La costituzione italiana condanna ogni forma di razzismo, e all'articolo 3
recita: "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla
legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di
opinioni politiche, di condizioni personali e sociali". E per cittadini si
intendono anche quelli stranieri che si trovano nel nostro Paese.
Infatti, in base all'art. 2 del T.U. n. 286 del 1998, ai cittadini extraue
"comunque presenti sul territorio", lo Stato deve garantire il rispetto dei
diritti inviolabili dell'uomo, che rientrano nella categoria dei diritti civili.
L'uguaglianza tra le persone è alla base di ogni società democratica la quale
deve, quindi, provvedere attraverso le proprie istituzioni a prevenire e
tutelare l'intera collettività da atti o comportamenti discriminatori.
Espressione di questa esigenza sono le innumerevoli leggi a livello nazionale,
comunitario e internazionale, che nel corso degli anni hanno gettato le basi per
contrastare sempre più il razzismo (L. 654/1975; D. Lgs. 215/2003 e D. Lgs.
216/2003 attuativi di direttive comunitarie; D. Lgs. 198/2006).
Considerata la gravità di tale fenomeno, sono previste delle pene molto dure per
i colpevoli.
Secondo la legge n.654 del 1975 chi diffonde in qualsiasi modo idee fondate
sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o
commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o
religiosi, è punito con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa
fino a 6.000 euro.Mentre chiunque commette o istiga a commettere atti di
violenza o di provocazione alla violenza per gli stessi motivi, è punito con la
reclusione da sei mesi a quattro anni.
Riconoscere le discriminazioni
Ogni comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione,
esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore,
l'ascendenza, l'origine o la convinzione religiosa è considerato dalla legge
italiana discriminatorio (art.43 del d.lgs. 286/98).
Possono essere considerati fattori di discriminazione anche i motivi linguistici
o di provenienza geografica.
Si tratta di un comportamento illegittimo anche se non è intenzionale, perché
comunque distrugge o compromette il riconoscimento, il godimento o l'esercizio
dei diritti umani e delle libertà fondamentali.
Spesso è difficile valutare ciò che è considerata discriminazione e quindi
razzismo. Per questa ragione la legge si è preoccupata di definire meglio questo
concetto oltre che di fornire una tutela specifica per quelle discriminazioni
che si verificano nei luoghi di lavoro e nei rapporti con le pubbliche
amministrazioni o con esercenti commerciali.
Compie un atto di discriminazione:
1) il pubblico ufficiale che nell'esercizio delle sue funzioni compia o ometta
atti nei riguardi di un cittadino straniero che, soltanto a causa della sua
condizione di straniero o di appartenente ad un determinata razza, religione,
etnia o nazionalità, lo discriminino ingiustamente;
2) chiunque imponga condizioni più svantaggiose o si rifiuti di fornire beni o
servizi offerti al pubblico ad uno straniero soltanto a causa della sua
condizione di straniero o di appartenenza ad un determinata razza, religione,
etnia o nazionalità (prezzi differenziati al bar);
3) chiunque illegittimamente imponga condizioni più svantaggiose o si rifiuti di
fornire l'accesso al lavoro, all'abitazione, all'istruzione, alla formazione e
ai servizi sociali e socio assistenziali allo straniero regolarmente
soggiornante in Italia , soltanto in ragione della sua condizione di straniero o
di appartenente ad un determinata razza, religione, etnia o nazionalità
(locazione di immobili);
4) il datore di lavoro o i suoi preposti i quali compiano qualsiasi atto o
comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando, anche
indirettamente, i lavoratori in ragione della loro appartenenza ad una razza, ad
un gruppo etnico o linguistico, ad una confessione religiosa, ad una
cittadinanza.
Cosa fare quando si subisce una discriminazione
Azione Civile
Chi è stato vittima di un atto discriminatorio da parte di un privato o di un
ufficio pubblico può ricorrere all'autorità giudiziaria ordinaria per domandare
la cessazione del comportamento pregiudizievole e la rimozione degli effetti
della discriminazione.
A tal fine la vittima della discriminazione può presentare, personalmente o
avvalendosi di un Avvocato o di un associazione, un ricorso presso la
cancelleria del Tribunale Civile della città in cui dimora A supporto delle
prove fondamento del ricorso possono essere forniti anche elementi desunti da
dati di carattere statistico, dai quali si può presumere l'esistenza di atti,
patti o comportamenti discriminatori (es. assunzioni, regimi contributivi,
assegnazione delle mansioni e qualifiche, trasferimenti, licenziamenti, ecc.
dell'azienda interessata).Spetta poi al convenuto (colui che ha commesso l'atto
discriminatorio) provare l'insussistenza della discriminazione. Il giudice, una
volta accertato che c'è stato un atto discriminatorio, accoglie il ricorso
ordinando che si ponga fine al comportamento discriminatorio e che ne vengano
rimossi gli effetti. Potrà inoltre condannare il colpevole a risarcire i danni
eventualmente subiti, anche non patrimoniali Il giudice può, inoltre, ordinare
la pubblicazione del provvedimento, per una sola volta e a spese del convenuto,
su un quotidiano di tiratura nazionale. In caso di condanne a carico di datori
di lavoro che abbiano avuto dei benefici monetari sia statali che regionali, o
che abbiano contratti di appalto per l'esecuzione di opere pubbliche, servizi o
forniture, il giudice comunica i provvedimenti alle amministrazioni che hanno
disposto la concessione del beneficio o l'appalto. Il beneficio può, quindi,
essere revocato e, nei casi più gravi di discriminazione, può essere disposta
l'esclusione del responsabile per due anni da qualsiasi ulteriore concessione di
agevolazioni (finanziarie o creditizie) o da qualsiasi appalto.
Se l'ordinanza del giudice non viene appellata entro 30 giorni, diviene
definitiva a tutti gli effetti.
Azione Penale
Insieme al diritto di chiedere la cessazione del comportamento, è prevista la
possibilità di presentare una denuncia/querela al Tribunale Penale del luogo in
cui si è verificato l'evento oggetto del reato con cui chiedere l'arresto di chi
commette una discriminazione.
Anche in questo caso il giudice, dopo aver accertato la responsabilità di chi ha
commesso il reato, può disporre il risarcimento dei danni materiali e morali a
favore della vittima del reato che si sia costituito parte civile nel processo.
Inoltre il giudice può disporre, ulteriormente alla pena, sanzioni accessorie
che prevedono obblighi particolari per il colpevole.
Questi potrà essere obbligato a prestare attività non retribuita a favore della
collettività per finalità di pubblica utilità; potrà prevedersi la sospensione
della patente di guida, del passaporto e di documenti validi per l'espatrio per
un periodo non superiore ad un anno; potrà disporsi il divieto di partecipare ad
attività di propaganda elettorale per le elezioni politiche o amministrative.
Di Fabrizio (del 20/02/2013 @ 09:04:12, in Italia, visitato 1304 volte)
Corriere Immigrazione - di Sergio Bontempelli
Allarmi strategici, politiche securitarie ed esclusione dei migranti: una
ricerca sul caso di Pisa, ex città rossa molto tentata ormai dal rosa cipria.
Corriere Immigrazione si
è già occupato del "caso pisano". Piccola città
dell'Italia centrale, roccaforte dell'elettorato "rosso" e con una robusta
tradizione di sinistra, a suo tempo "patria" del Sessantotto e dei movimenti
studenteschi, negli ultimi anni Pisa è divenuta l'epicentro delle "politiche di
sicurezza": Marco Filippeschi, Sindaco Pd eletto nel 2008, ha dichiarato guerra
a rom e venditori ambulanti senegalesi, facendo delle "politiche securitarie" la
cifra del suo agire amministrativo.
In un bel libro uscito da pochi giorni (Xenofobia, sicurezza, resistenze.
L'ordine pubblico in una città "rossa", edizioni Mimesis), il giovane
ricercatore Tindaro Bellinvia ha fatto di Pisa un vero e proprio "case study":
ricostruendo non solo gli eventi - ordinanze, campagne di stampa, sgomberi e
"retate" di polizia - ma anche il loro significato più ampio.
La volpe e il porcospino: due modelli di città
"Ci sono società urbane più simili alla volpe e altre che assomigliano al
porcospino: le prime favoriscono la varietà, la coltivano e la incrementano; le
seconde investono in una sola direzione, verso cui orientano il loro sviluppo".
Così l'antropologo Ulf Hannerz, citando un verso dell'antico poeta greco
Archiloco, identifica due modelli possibili di governo del territorio.
Secondo Bellinvia, le politiche locali a Pisa hanno guardato al modello del
"porcospino": hanno costruito cioè "un'economia tutta incentrata
sull'accoglienza dei turisti e delle élite in cerca di luoghi raffinati e
rassicuranti". Dismessa ogni vocazione industriale (Pisa è stata per decenni una
"città operaia" sede di importanti fabbriche), le politiche urbane si sono
rivolte al turismo, e ai connessi investimenti immobiliari: alberghi, ville,
residenze di lusso, persino un porto per gli yacht sul litorale tirrenico...
Il "marchio" della città e la sicurezza-spettacolo
In questo modello di governo locale, diventa decisivo il "marchio" della città.
O, per usare le parole di Bellinvia, il suo "rating". Si deve cioè diffondere la
fama di una sede tranquilla, immune da conflitti: un luogo ideale dove
un'azienda possa effettuare un investimento, una famiglia benestante trasferire
la propria residenza. L'"immagine" della città diventa un tassello decisivo per
il suo sviluppo.
In una logica di "marketing", bisogna quindi promuovere il "decoro", la
"rispettabilità". Le classi pericolose - i poveri, i migranti, i "marginali"
-
devono essere nascoste, come si nasconde la polvere sotto il tappeto:
allontanate dal centro, ammassate nei piccoli comuni del circondario, a loro
volta trasformati in "luoghi dell'eccedente umano".
Soprattutto, si dovranno mettere al bando le attività che compromettono
l'"immagine pubblica" di Pisa: l'elemosina, la vendita ambulante, i senza fissa
dimora che dormono alla Stazione, i rom che si "accampano" in periferia, i
poveri che fanno la fila alle mense della Caritas. E si dovranno compiere gesta
spettacolari: esibite al mondo, come si esibisce il "marchio" di un prodotto da
vendere.
Di qui la logica delle "ordinanze", finalizzate non al governo di fenomeni
sociali ma, appunto, all'esibizione spettacolare. Le "gesta"
dell'amministrazione comunale hanno un carattere provocatorio, a tratti persino
ridicolo (perché anche il ridicolo serve a far parlare di sé...). Per
allontanare i venditori ambulanti si emette l'ordinanza "antiborsoni", con
severissime sanzioni per chi si aggiri nel centro storico munito di grosse borse
(!); per cacciare i senza dimora si multa la suora che porta da mangiare ai
poveri della Stazione; per sbarazzarsi dei rom si fanno sgomberi in stile
militare; e per le prostitute si punisce l'abbigliamento femminile che "offenda
la pubblica decenza e il decoro".
"Volpi" pisane: c'è chi dice no
In questo modo Pisa - ma lo stesso fenomeno ha riguardato molte altre città - ha
perso una caratteristica fondamentale dell'"Italia di mezzo", cioè dei territori
"rossi" della Toscana e dell'Emilia: quella di "di far convivere diverse
tipologie di attività economiche e culturali". Per usare le parole di Hannerz,
Pisa diventa "porcospino" e dismette la sua storica identità di "volpe".
Ma le "volpi" continuano a esistere. Le politiche del Sindaco Filippeschi,
infatti, sono state fortemente contestate da un ventaglio molto ampio di
"cittadini attivi": studenti, professionisti ed esperti di urbanistica, docenti
universitari e intellettuali, organizzazioni di volontariato e comunità
migranti.
Il vero e proprio cuore pulsante di questa "resistenza" è stato, secondo
l'autore del volume, il Progetto Rebeldia: un network di trenta associazioni,
che fino al 2010 ha avuto sede nel quartiere della Stazione (molto frequentato
dai migranti e per questo "epicentro" degli interventi repressivi del Comune).
Le associazioni di Rebeldia hanno organizzato non solo un'opposizione radicale
alle politiche securitarie - avviando tra l'altro azioni legali contro le
ordinanze di Filippeschi - ma anche forme di socialità e di cultura alternative:
nel quartiere della Stazione, Rebeldia ha rappresentato un luogo di incontro tra
migranti e "nativi", concretizzatosi in momenti conviviali, feste, cene popolari
e competizioni sportive.
Una "guerra di simboli"
Rebeldia ha dunque mantenuto in vita l'idea di una città "volpe". Ma ha
soprattutto avviato quella che Anna Maria Rivera chiamerebbe una "guerra dei
simboli": ed è qui che l'analisi di Bellinvia si rivela particolarmente
originale e feconda. Per l'autore del volume, la "sicurezza" è un insieme di
discorsi e di significati socialmente costruiti. Solo per fare un esempio, non è
affatto naturale che un senza fissa dimora sia percepito come un problema di
"sicurezza", come una minaccia all'incolumità dei "cittadini": perché questo
avvenga, occorre che si diffonda un senso comune che associa la povertà alla
pericolosità. E proprio associazioni mentali di questo genere sono diffuse da
giornali e televisioni, così come da Sindaci e politici.
In altre parole, la "sicurezza" è un "codice simbolico": non un dato di fatto ma
una percezione, alimentata dalla comunicazione pubblica e dai mass-media. Per
contrastarla, dice Bellinvia, occorre "dotarsi di un codice simbolico
alternativo". E proprio questo hanno fatto le "volpi" che si sono opposte alle
politiche del Sindaco.
Per il momento, la guerra è stata vinta dai "porcospini", cioè
dall'amministrazione comunale. Ma Bellinvia dubita che si tratti di una vittoria
definitiva: "non crediamo", scrive, che "perseguitare sbandati e persone
sospette diminuirà l'insicurezza. Pensiamo piuttosto che questa ossessione per
il controllo porterà nuove paure e nuovi timori". La volpe, qui, sembra
destinata ad essere come la talpa di cui parlava Marx: avanza silenziosamente,
sembra sparita... e poi salta fuori quando meno te l'aspetti!
Di Fabrizio (del 19/02/2013 @ 09:07:44, in media, visitato 1394 volte)
La rabbia civile di Danis Tanovic' di
Nicola Falcinella | Berlino 15 febbraio 2013 -
Osservatorio Balcani & Caucaso
Un'immagine tratta dall'ultimo film di Danis Tanovic'
Si chiude domani la 63esima Berlinale. E tra i premiati potrebbe esserci il
bosniaco Danis Tanovic', con una storia che racconta il dramma di una famiglia
rom bosniaca. Lo abbiamo incontrato a Berlino
Tanovic' perché ha scelto di fare un film su questa storia?
Ero arrabbiato. E la rabbia mi ha fatto tornare a quando facevo i documentari
durante la guerra. Come può succedere che in un Paese dove durante la guerra si
rischiava la vita per salvare degli estranei, una donna rischi di morire e
nessuno la aiuta? Sono padre e marito e mi chiedo come possa succedere. Che
siano rom è casuale. Ci sono tante famiglie così in Bosnia. Là tanti sono
discriminati. Io non lo sono e sono fortunato. Ma in Bosnia non si può fare
niente, non ci sono strategie, non si pensa al futuro, non c'è un sistema
sanitario.
Come ha girato?
Ho avuto la folle idea di far recitare loro due. Avevo 10.000 euro e mi sono
detto: con un budget così piccolo, se funziona bene, se no pazienza. Ero
totalmente libero, non avevo produzione o limiti. Ho chiamato il mio direttore
della fotografia Erol Zubcevic', il suo assistente e pochi altri. Filmavo la
loro vita, li seguivo mentre mangiavano, gli dicevo di fare quel che dovevano
senza fare caso a me. Non c'è stata quasi messa in scena, quando dovevano
ricostruire l'episodio accaduto lo giravamo una o due volte, perché alla terza
avrebbero iniziato a recitare. Per il resto non c'erano luci, non c'era trucco,
non c'era catering: sul set solo con il direttore della fotografia e il fonico.
Il resto della piccola troupe stava in una stanza di fianco al freddo o fuori.
Purtroppo anche nel fare un film sono sempre i soldi a fare la differenza. Non
volevo aspettare due anni per mettere insieme una produzione, volevo girare
subito, così ho scelto questa soluzione. Ho fatto un film da boy-scout, il primo
sorpreso di essere in concorso a Berlino sono io. Zubcevic' [direttore della
fotografia di "Snijeg" e "Buon ano Sarajevo" e a Berlino anche con "A Stranger"
di Bobo Jelchic'] quando ha saputo che era presidente di giuria Wong Kar-Wai si
è arrabbiato perché lo ama e non voleva fargli vedere questo film.
I protagonisti del film sono tutti quelli reali?
Tutti tranne i dottori, per ovvi motivi, che ho preso tra i miei amici. Non ci
sono effetti, non c'è nulla, è tutto reale. Nazif aveva davvero fatto a pezzi la
sua auto per vendere i rottami così abbiamo dovuto comprare un'auto molto simile
per smontarla. Sono rimasto sbalordito quando l'ho visto. Non avevo mai assisto
alla scena di uno che taglia la sua auto con l'accetta.
Com'è lo stato d'animo dei bosniaci ora secondo lei? C'è ancora l'energia del
dopoguerra?
Il mood è sul depressivo, ma anche altrove non è che ci sia allegria. Però c'è
ancora una grande vitalità nella gente. Nazif mi piace perché combatte: i
protagonisti non sono per niente patetici perché lottano, ed è il motivo che me
li fa amare. Penso di essere una persona aperta, sono di sinistra, ma il mio
contatto con i rom era limitato agli incontri per strada quando mi lavavano il
vetro dell'auto o mi chiedevano soldi. Sono grato a questa famiglia per avermi
fatto entrare nel loro mondo: sono persone orgogliose, buone. Da noi le persone
sopravvivono perché si aiutano, ci sono ancora le relazioni familiari e di
vicinato. Un po' come accadeva in Italia prima che diventaste ricchi. Ma ora
state tornando indietro.
Aveva qualche modello di altri film mentre girava?
I miei film preferiti sono italiani, quelli vecchi, i classici. In questo caso
ho pensato a "Ladri di biciclette". Piango ogni volta che lo rivedo.
Il film uscirà in sala?
Č difficile distribuirlo, ne sono consapevole. Il pubblico chiede
intrattenimento, non vuole andare al cinema per vedere la vita reale, purtroppo.
Quanto aiuta vincere l'Oscar?
Aiuta molto se sei a Hollywood. A me al massimo danno un posto migliore in
aereo. Sono uno straniero, sono un regista bosniaco, uno si aspetta che sia
milionario e faccia film che costano milioni. Invece ogni volta è difficile e
bisogna ricominciare.
Su cosa sarà il prossimo film?
Non dico nulla, se non che sarà diverso. Già venerdì (oggi, ndr) inizio a girare
qui a Berlino per qualche giorno. Č una città molto affascinante, per me è come
New York, è bella, ha un'atmosfera impressionante, soprattutto la notte. Č
l'unico posto in cui mi sento a casa già prima di essere sceso dall'aereo.
E il suo impegno politico? Continuerà con il suo partito?
Mi sono dimesso dal Parlamento un mese fa perché dovevo fare il film. La
politica prende tempo, è un impegno grosso, richiede energie e io sono un
filmmaker. Ma la Bosnia è piccola, si è tutti vicini, per me la politica è
essere cittadino, far parte della comunità. E i miei amici e compagni di partito
continuano a lavorare per cambiare il paese, per estendere i diritti, anche ai
rom. Oggi se non sei musulmano o serbo o croato non hai rappresentanza e
dobbiamo cambiare.
Si sente ottimista o pessimista sulla Bosnia?
Sono profondamente ottimista e profondamente pessimista. Ho una relazione di
amore e odio con il mio paese, ci sono tornato a vivere da cinque anni, ho i
miei genitori, i miei amici. Anche i caffè sono importanti, a volte parliamo,
altre volte stiamo in silenzio e ciascuno legge il giornale per conto suo. Sono
un modo per stare insieme. Mia moglie è francese e si sorprende, ma noi stiamo
zitti senza che sia un problema puoi rimanere in silenzio solo con la gente con
cui stai bene.
Il festival e Tanovic
Danis Tanovic'
Una storia realmente accaduta, interpretata dagli stessi protagonisti della
vicenda reale. Č la soluzione adottata dal bosniaco Danis Tanovic' per
raccontare il dramma vissuto da una famiglia rom bosniaca. "Epizoda u dzivotu
beracha dzeljeza - An Episode in the Life of an Iron Picker" è il quinto
lungometraggio del regista di "No Man's Land" e "Cirkus Columbia" ed è in
concorso alle 63 Berlinale che si conclude domani sera. Al fianco di quello
Tanovic' vi è un altro film dei Balcani, il romeno "Poziţia Copilului - Child's
Pose" di Cialin Peter Netzer. Entrambe pellicole che hanno chance di premio, il
romeno soprattutto per l'interpretazione di Luminita Gheorghiu madre assillante
di un trentenne che ha causato un incidente stradale.
Tanovic' racconta invece di Senada e Nazif, che vivono con due figli piccoli nel
remoto villaggio di Polijce. Č inverno, fa freddo, c'è un po' di neve. In casa i
bambini guardano la televisione ma non c'è legna per la stufa. Il padre, che
lavora raccogliendo rottami di ferro con un parente, va nel bosco, taglia un
albero, lo fa a pezzi e ne porta alcuni per riscaldare la piccola abitazione.
Una scena semplice che dichiara tutto: la famiglia vive di pochissimo, non ha
nulla da parte, non può programmare, la coppia deve continuamente risolvere i
problemi quotidiani man mano che si presentano. Senada da parte sua prepara da
mangiare, accudisce i bambini, lava a mano i vestiti. Mentre stende il bucato,
la donna si sente male, cade, si rialza, è sola, raggiunge il divano e si mette
a riposo. A quel punto lo spettatore scopre che Senada è incinta per la terza
volta. I dolori non passano, il marito rientra, si interessa a lei, che resiste
stoicamente. Solo quando è troppo tardi salgono tutti sull'auto scassata per
raggiungere Tuzla.
Dall'ambulatorio la mandano all'ospedale, il bambino è perso, ma è necessario un
intervento chirurgico. Per chi non è coperto da assicurazione sanitaria
l'operazione costa 980 marchi (490 euro) e va pagata in anticipo. I medici sono
impermeabili alle richieste e alle preghiere dell'uomo, preoccupato per la
moglie. Ai due non resta che tornare mestamente a casa tra mille sofferenze di
lei. Nazif si mette a raccogliere ferro più che può, ma recupera pochi marchi.
Fanno un secondo tentativo in città ma va a vuoto, neppure l'intervento
dell'associazione che aiuta i rom può nulla. Non resta che chiedere a una
parente che ha la polizza e tentare all'ospedale di Doboj.
Č un film molto bello, molto intenso, che fa sentire allo spettatore,
fisicamente, la dedizione e l'affetto di lui, vero protagonista, e la sofferenza
di lei. Un film minimale e aderente ai personaggi, uno stile che sembra
documentaristico ma non lo è, Tanovic' si discosta molto dai precedenti per
cercare l'essenziale, il nocciolo del rapporto tra i due, fatto di piccoli
gesti, intese tacite, una relazione rafforzata dalla condivisione delle
sofferenze. E in più le discriminazioni e soprattutto l'esclusione sociale: i
soldi salvano la vita.
Un film che ha qualcosa del Vittorio De Sica di "Ladri di biciclette" e "Umberto
D", che ricorda "La morte del signor Lazarescu" di Cristi Puiu per l'odissea
sanitaria, il cinema del pedinamento dei fratelli Dardenne e la testardaggine
dei ragazzini dei film iraniani anni '90 di Abbas Kiarostami o Jafar Panahi.
Nazif chiede aiuto ma non pietà, ha una grande dignità, una caparbietà senza
pari. E il regista lo mostra tal quale, nella sua vita reale, senza orpelli e
senza ricatti morali. Non c'è commiserazione ma c'è compassione, nel senso che
l'ora e 20 scarsa di film è di sofferenze insieme ai protagonisti. E il finale è
un ricominciare nella sopravvivenza.
Di Fabrizio (del 18/02/2013 @ 09:10:14, in media, visitato 2217 volte)
Lunedì 25 febbraio, ore 18.00
Biblioteca Crescenzago via don Orione 19 - 20132 Milano
Introduce e modera: Paolo Melissi (associazione Pluriversi)
Fabrizio Casavola (autore di Vicini Distanti) con alcuni abitanti del campo
rom comunale di via Idro, tutti nei panni degli imputati, risponderanno alle
vostre domande su perché gli zingari siano colpevoli di ogni malefatta. Se
avanza tempo, si racconterà anche come si vive e cosa si fa in un campo rom, e
sul rapporto che si è creato col mondo intorno.
Vicini Distanti (edizioni Ligera - 2012) è la cronaca di 20 anni di vita di una
comunità rom da sempre presente a Milano. Attraverso interventi di mediatrici
culturali, insegnati, giornalisti, dei Rom stessi, scorrono i vari aspetti della
loro vita: infanzia, scuola, lavoro... con gli innumerevoli tentativi, alcuni
riusciti e altri meno, di instaurare un dialogo e un modo di convivere con la
città attorno.
Dello stesso autore:
-
Luoghi comuni, guida turistica semiseria ai segreti, le
bellezze, i monumenti del campo rom comunale di via Idro.
-
Cocci: viaggio nell'Italia del 2012
PluriVersi è una associazione di promozione sociale che dedica le sue attività
al benessere psicofisico delle persone, e alla qualità dell'abitare e del
fruire di un luogo. Si occupa di promozione della culture e di valorizzazione
del patrimonio, ma anche di servizi per il benessere della persona, organizzando
servizi di supporto. L'associazione opera utilizzando un approccio
pluridisciplinare e pluriculturale.
Di Fabrizio (del 18/02/2013 @ 09:09:35, in casa, visitato 1683 volte)
La frode immobiliare dietro lo scandalo degli alloggi
di accoglienza - Ustì nad Labem, 8.2.2013 9:58, (ROMEA)
This article was also published by news server
Denìkreferendum.cz.
-
Sasha Uhlova', translated by Gwendolyn Albert
Edificio nel quartiere di Predlice a Ustì nad Labem. Difficile da credere se
non lo si vede di persona. Le fotografie nell'articolo sono di Sasha Uhlovà del
news server Denìk referendum.
La stanza era illuminata dal fuoco attraverso un buco nel camino. In tutto
l'edificio non c'era acqua corrente, era stata staccata la corrente
elettrica e qualcuno aveva rimosso le impalcature d'acciaio, finite
probabilmente in qualche discarica. La donna sconsolata nel letto non sapeva se
l'edificio sarebbe potuto crollare, seppellendo lei e sua nipote tra le macerie.
Si era trasferita dal primo piano in un appartamento al pian terreno, perché i
piedi le facevano troppo male nel salire le scale. Nel momento che me ne sono
andata, hanno iniziato il saccheggio. Ogni notte c'è qualcuno. Non so chi sia, o
cosa facciano di preciso, ho paura a a lasciare il mio appartamento," diceva Gizela su
quelle condizioni. Il proprietario dell'edificio non si faceva vivo.
Non c'era nessuno a cui pagare l'affitto, a cui chiedere le riparazione, o di
proteggere la proprietà dai furti di metalli.
Nella stanza al buio ci raccontava della sua gioventù, quando lavorava in
fabbrica, prima a fare le pulizie e poi promossa come operatrice alle macchine:
"C'erano abbastanza soldi per mangiare, qualcuna ci cuciva i vestiti, non
c'erano privazioni." Dopo il 1989 perse il lavoro: "E' così che sono finita qui.
Campo con 3.400 corone [135 euro] al mese di assistenza. Non riesco a trovare
lavoro. Sono vecchia. Anche i giovani non trovano lavoro. Vivo come una
vagabonda. Ho 56 anni e non sono mai caduta così in basso in tutta la mia vita."
Proprio in fondo alla strada c'è la palestra dove la famiglia Chervenhàk dorme
su delle brandine. Era di sabato, il 10 novembre 2012, vivevano lì da una
settimana. Su una panchina c'era una piastra ed accanto un po' di polenta gialla
poco invitante. In sala i bambini giocavano - gli attivisti erano arrivati da
Praga per organizzare un giorno di divertimento. Gli adulti erano esausti e
impauriti di ciò che poteva succedere. I bambini correvano, dipinti, felici che
qualcuno fosse venuto a giocare con loro.
Gizela Karichkovà era rimasta nella sua stanza. Rifiutava di andare nella
palestra, nonostante il rischio che l'edificio potesse crollare. Continuava a
sperare di trovare un alloggio migliore e, alla fine forse ce l'ha fatta, perché
aveva un alto punteggio nella lista di attesa. Con l'aiuto degli assistenti
sociali, si è trasferita a metà dicembre in un nuovo appartamento. Era grata ai
giornalisti di aver portato attenzione sul suo caso: "Prima di allora, l'ufficio
assistenza non aveva mostrato alcun interesse, ma una volta che sono finita in
televisione, improvvisamente vollero aiutarmi."
E' cominciato molto tempo fa
Lo scorso settembre, in un edificio di via Hrbotickèho a Ustì nad Labem, era
crollato un soffitto seppellendo una giovane donna. Era madre di due bambini e
la nipote della signora
Karichkovà. Non era il primo edificio a colllassare nel quartiere Nové Predlice,
ma per la prima volta qualcuno aveva perso la vita in un incidente simile. Forse
a causa di ciò, l'Autorità sui Lavori Edili aveva accelerato le ispezioni in
altri edifici della zona.
Venne trovato pericoloso un edificio in via Beneshe Lounského, i cui soffitti
erano divorati dai tarli. Il proprietario non aveva agito e gli inquilini
avevano iniziato a ripararli per conto loro, ma i loro sforzi non erano stati
sufficienti. Per questo la famiglia Chervenhàk si era dovuta trasferire nella
palestra.
Casa loro si trovav in un quartiere devastato, risultato delle privatizzazioni
selvagge iniziate alla fine degli anni '90. Gli edifici, su cui per anni nessuno
ha investito, poco a poco hanno seguito lo stesso destino. Ma per comprendere la
situazione attuale, dobbiamo andare ancora indietro nel tempo.
La vicenda ha radici negli anni '80, quando la maggior parte degli originari
abitanti del quartiere si trasferirono in seguito all'assegnazione di nuovi
edifici residenziali. Fu allora che i primi occupanti romanì, oggi vengono
chiamati "i veterani", iniziarono a spostarsi negli appartamenti lasciati vuoti.
Un'altra ondata di romanì vi si insediò subito dopo il 1989. Un paio di famiglie
era della Slovacchia, ma la maggior parte erano famiglie cacciate da parte più
lucrose della città. Sono quelli indicati oggi come "i nuovi arrivati". I due
gruppi si vedevano di mal'occhio, prima che un terzo gruppo li riunificasse.
Il terzo gruppo era composto da famiglie romanì benestanti, originarie della
Moldavia, che avevano acquistate alcuni di questi edifici durante le
privatizzazioni tra il 1998 e il 2002, obbligando gli inquilini a firmare
contratti vessatori. Altri edifici vennero acquistati tempo dopo dalla Spobyt.
Spobyt era la cooperativa edificatrice dell'impresa Spolchemie. Dopo che
vendette alcuni degli edifici, si fuse la Investimenti Immobiliare Ceca (CPI).
Nel 2010 smise di esistere e la CPI rilevò tutto il suo patrimonio immobiliare.
Oggi CPI detiene più di 2.000 appartamenti nella sola Ustì nad Labem.
Jan Cherny' di People in Need (Chlovek v tìsni), che all'epoca dirigeva la sezione di Ustì,
ricorda la vendita: "Una società di Praga acquistò in blocco parte del
quartiere. Un'intera sezione. Era un tizio piccolino, con stivali rossi e sei
telefonini. Poi rivendette gli appartamenti dall'altra parte della
strada. La gente gli dava il denaro e firmavano il contratto appoggiati al
cofano della sua macchina. Alcuni appartamenti vennero acquistati da gente del
posto, altri da un gruppo organizzato di Dvur Kràlové. Si son fatti prestare
soldi usando dei prestanome utilizzando questi edifici e facendoli valutare in
modo fraudolento e fasullo. Ora la situazione è tale che tecnicamente non si può
più fare nulla a riguardo. Queste rovine sono in mano alle banche ed i
proprietari o sono sotto processo, oppure già in prigione."
Durante gli ultimi 15 anni, molti degli edifici più volte sono passati di mano
in mano. Alcun i di questi sono stati oggetto di frodi creditizie, in maniera
simile: L'edificio viene "venduto" per finta - senza alcuno scambio monetario -
ad un "proprietario", di solito un tossicodipendente o un senza dimora, per un
importo più volte superiore il suo valore reale. Il nuovo "proprietario" - che
di solito non capisce in cosa è stato coinvolto - prende in prestito una
somma giustificata dal falso prezzo dell'immobile. Dopo aver girato l'importo
del prestito agli organizzatori della frode, sparisce senza restituire la somma
del prestito. La banca potrebbe rivalersi pignorando l'immobile, che tuttavia ha
un valore parecchio inferiore alla somma erogata.
Spiega Jan Cherny': "Abbiamo avuto una cliente ad Ostrava. Era una
tossicodipendente appena uscita dalla riabilitazione. L'abbiamo trovata dalle
parti di Olomouc. Ripulita, con un nuovo taglio di capelli, le avevano dato un
nuovo documento d'identità e "venduto" un edificio a Predlice. Poi l'avevano
portata a Nàchod, dove aveva ottenuto un prestito di 2,5 milioni di corone
[99.000 euro], usando l'edificio come garanzia e consegnando la somma ai
truffatori. La ragazza si rivolse a noi chiedendo cosa poteva fare a questo
punto, perché aveva timore che la potessero uccidere. Se l'avessero accoltellata
e poi buttata nel fiume Morava, nessuno avrebbe fatto caso alla sua scomparsa."
Talvolta durante queste vendite i proprietari si sbarazzano dei loro inquilini,
perché gli edifici si svuotino per un dato periodo. Alcuni rimuovono persino
porte e finestre prima di rivenderli, lasciandoli completamente accessibili. Ciò
fornisce un'opportunità a chi tratta metalli usati, per prendersi parte degli
infissi.
Le strade su cui si affacciano questi edifici privatizzati, sembrano una zona di
guerra dopo un bombardamento. Palazzi appena ricostruiti stanno fianco a fianco
con altri in rovina o che sono diventati mucchi di rottame. Gli abitanti della
zona dicono che lo stato degli edifici cambia rapidamente. Dove si ergeva una
villa di lusso, ora resistono un paio di pareti semi smantellate.
Un rudere può essere momentaneamente ristrutturato - almeno esternamente, per
renderlo simile ad un posto abitabile. Durante i tre mesi in cui è stato scritto
il rapporto, molti edifici del circondario si sono trasformati. Alcuni sono
deteriorati ulteriormente, quelli ben conservati lo erano ancora, ma si poteva
notare che su qualcuno di questi erano state investite piccole somme per
riparazioni sommarie o dar loro una mano di intonaco colorato.
Nessuna soluzione se non demolire
Veronika Kamenickà, consulente locale dell'Agenzia Governativa per l'Inclusione
Sociale, attiva nel quartiere dalla fine del 2012, non vede molti spiragli di
speranza. Secondo il suo parere, la città non possiede quasi più edifici, perché
negli anni '90 privatizzò tutto il possibile: "Qui non esiste il concetto di
housing sociale. Presto altre 40 famiglie potrebbero finire per strada, e le
conseguenze sarebbero una crisi di nervi per qualche operatore di ostelli
residenziali. La città non ne possiede neanche uno sotto gestione propria."
Kamenickà spiegava che dato che i proprietari non si curano dei loro edifici, il
comune murava per ragioni di sicurezza gli ingressi al pian terreno, cercando di
recuperare i costi dai proprietari stessi. "Non solo non si prendono cura di
niente," diceva, "ma non vengono mai assicurati alla giustizia."
"L'intera via di Na Nivàch ospita 20 edifici vuoti, tutti dello stesso
proprietario, che quando li acquistò promise di fare qualcosa per risistemarli.
Poi è emigrato in Svizzera, da cui è scomparso questo febbraio. Se la città
dovesse demolirli, costerebbe circa 20 milioni di corone [792.000 euro]. Così si
preferisce appendere fuori un cartello che vieta l'ingresso," dice Kamenickà.
Alla domanda su cosa si dovrebbe fare del ghetto, da una risposta laconica: "Lo
demolirei. Non c'è altra soluzione."
Mi ucciderei se me li portassero via
Dopo essere stata 10 giorni nella palestra, la famiglia Chervenhàk si traserì in
un ostello nel quartiere Kràsné Brezno. Non volevano spostarsi nel primo posto
che capitava, perché avevano paura di rimanere bloccati lì. I lughi corridoi
scuri erano vuoti, eccetto che per gli scarafaggi.
Dice Iveta: "L'assistente sociale minacciò di sottrarci i bambini se non fossimo
andati lì. I miei figli sono la cosa più cara che ho. Mi ucciderei se me li
togliessero."
Un altro fatto spiacevole fu che i burocrati municipali li informarono
immediatamente dopo il trasferimento, del cambiamento del loro indirizzo di
residenza. Le stesse autorità che avevano minacciato di portar via loro i figli,
premevano perché sulle loro carte di identità venisse subito registrato che ora
risiedevano ed erano a carico del municipio di Ustì nad Labem. "Altrimenti
avremmo perso i benefici sociali," spiega Iveta, ovviamente esausta e prossima a
perdere la speranza.
Miroslav Brozh dell'associazione Konexe è stato spesso a fianco delle famiglie
dopo il loro trasferimento forzato nell'ostello, facendo del suo meglio per
svolgere lì il proprio lavoro comunitario. E' un'attività volontaria, che per il
momento non sembra essere altrimenti strutturata. Passa il suo tempo con la
gente dell'ostello, ascoltandoli e facendo del suo meglio per consigliarli.
E' fortemente critico verso People in Need, che accusa di inazione e di essere
collegata con le alte cariche cittadine. Zuzana
Kailovà, attuale vice sindaco di Ustì nad Labem, è una ex dipendente di People
in Need.
Raccomanda: "Fate due passi attraverso Predlice, dove hanno lavorato per 10
anni, e parlate con i Rom di lì. La loro immagine brillante e PR cadrà in 10'
come un castello di carte."
All'inizio di tutto questo scandalo, Brosh fece del suo meglio per attivare gli
altri residenti di Nové Predlice. Voleva fare pressione verso il municipio sui
problemi del quartiere. Sottolineava che erano diversi i palazzi che avrebbero
potuto collassare da un momento all'altro. Fece del suo meglio perché il
problema non fosse ridotto al solo edificio di via Beneshe Lounského.
Si chiede Brozh: "Questo è un problema strutturale. Le OnG sono obbligate ad
essere fedeli ai gruppi che hanno influenza sulle concessioni delle sovvenzioni;
sono dipendenti dall'appoggio politico. Ciò contraddice la loro lealtà a questi
clienti impoveriti, i cui diritti spesso vengono calpestati proprio dai medesimi
gruppi. Chi si assumerà la responsabilità della catastrofe di Predlice?"
Brozh ritiene che la situazione delle comunità romanì impoverite si stia
deteriorando giorno dopo giorno e, quel che è peggio, che il deterioramento stia
accelerando. Presumibilmente, a prescindere dall'applicazione delle politiche di
integrazione sociale o dagli sforzi delle associazioni civiche.
Nell'ufficio della sezione di Ustì di People in Need siedono due impiegati, Vìt Kuchera
and Jakub Michal, che mostrano abbastanza rassegnazione. Descrivono la
catastrofica situazione e spiegano che l'attuale maggioranza è meglio di quella
precedente. Difendono il classico approccio al lavoro sociale, criticato da
Brozh, in cui i soggetti, come modello di funzionamento, vengono trattati su
base individuale.
Inoltre considerano controproducente l'attività di Brosh. Pensano che "sollevi
inutilmente speranze esagerate" tra la gente. Considerano un successo che si
possa mantenere lo status quo. Spiegano: "Stiamo facendo del nostro meglio per
mantenere la riconciliazione sociale."
Non parlate coi giornalisti
Il comune di Ustì nad Labem è tristemente noto perché i suoi consiglieri ed
impiegati con comunicano coi media. Secondo i giornalisti del luogo, dipende da
tendenze municipali poco trasparenti, ma il metodo del silenzio è stato
applicato anche in questo caso, che il municipio vede solo come un piccolo
scandalo. Mentre la consigliera Zuzana Kailovà
(Partito Socialdemocratico Ceco - CSSD) mi rispondeva al telefono, subito mi
indirizzava verso l'addetta cittadina alla stampa, appena le chiedevo
dell'edificio in via Beneshe Lounského, riattaccando il telefono.
Il sindaco era indisponibile e anche gli altri dipendenti municipali rifiutavano
di parlare, mentre altri condizionavano il loro consenso ad un'intervista solo
su autorizzazione dall'alto. Tutti mi riferivano di rivolgermi all'addetta
stampa. Il direttore dell'Autorità sui Lavori Edili, che naturalmente non è
parte dell'amministrazione ma dipende dallo stato, mi disse apertamente: "Mi è
impedito comunicare coi media, chieda all'addetta stampa."
Romana Macovà, l'addetta stampa, per telefono si disse d'accordo ad incontrami,
ma richiamandomi un'ora dopo: "Ho parlato con la signora Kailovà," disse.
"Non è possibile che le mi faccia le domande, mi mandi una mail e vedremo."
Dopo che le domande furono inviate, arrivo la seguente risposta: "Le invieremo
una risposta appena possibile. Per cui, non c'è bisogno di incontrarci domani."
Le risposte arrivarono effettivamente qualche giorno dopo ma, naturalmente,
erano inutilizzabili perché troppo vaghe.
L'unica occasione in cui i cittadini di Ustì nad Labem possono farsi sentire, è
durante le sedute consiliari, accessibili al pubblico. Ovviamenti, gli
interessati devono sorbirsi diverse ore di dibattito prima che il punto "varie
ed eventuali" venga trattato e siano in grado di porre le loro domande.
Iveta Jaslovà ha preso parte alla riunione di dicembre, assieme a molti parenti
ed attivisti. Dopo aver cercato di ascoltare ore di interventi riguardo milioni
di corone, alla fine ha preso la parola con altri cittadini impegnati sulla
situazione di Predlice. La risposta suscitata dall'intervento, però ha mostrato
come i socialdemocratici siano sotto stretta supervisione dell'opposizione, che
li ha criticati per spendere soldi nello spostare gli occupanti nell'edificio
della palestra, per mandarli solo dopo nell'ostello.
"Ritengo che vadano aiutate le persone che lo meritano," ha insistito un
consigliere del partito Salute Sport e Prosperità (Strana Zdravì Sportu a Prosperity).
"La seconda cosa che vorrei chiedere è quanto questa azione costerà ai
contribuenti." Secondo lui, se altri si fossero trovati in una situazione
simile, nessuno se ne sarebbe curato.
"Il nostro compito era di aiutare questa gente," spiegava Kailovà, trovandosi
improvvisamente nella posizione di chi aveva fatto "troppo" per gli evacuati.
L'intera operazione non era costata che 200.000 corone [7.900 euro]. Il
municipio cercherà di recuperare il costo da Klement Buncìk, il proprietario
della villa di lusso che non parla coi giornalisti e non si cura delle sue
proprietà. Mentre lasciamo la seduta, qualcuno dice a bassa voce: "Qui si
occupano di milioni e stanno a lesinare quando si tratta di 200.000 corone."
Solo tre giorni per lasciare Kràsné Brezno
Lunedì 28 gennaio 2013, l'appena creata Alloggio per Tutti ha tenuto una
manifestazione di fronte al ministero del lavoro e degli affari sociali.
L'ostello di Kràsné Brezno sarebbe stato chiuso a fine mese, per i debiti
dell'operatore e l'incapacità di prendersene cura.
Diverse centinaia di persone hanno preso parte ad una dimostrazione pacifica.
Verso la fine, una quindicina di attivisti si sono diretti verso il palazzo
ministeriale per "parlare" col ministro, senza successo, e per sollevare
l'attenzione dei media, cosa che invece è riuscita.
Qual è la situazione del diritto alla casa? La Repubblica Ceca ha firmato la
"Convenzione Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali.
Adottandola, lo stato ha riconosciuto il diritto di ognuno ad un etto sulla sua
testa. Il governo è responsabile verso la comunità internazionale per applicare
gli obblighi derivanti dalla Convenzione," ha detto nel comizio Anna Shabatovà,
presidente del Czech Helsinki Committee. Questo spiega perché una manifestazione
per il diritto all'alloggio si è tenuta di fronte al ministero del lavoro e
degli affari sociali.
Secondo l'art. 35 della legge sui comuni, un comune ha lo scopo di creare
condizioni per lo sviluppo dell'assistenza sociale e soddisfare i bisogni dei
propri cittadini. Quando il comune non adempie ai suoi obblighi, la
responsabilità di farlo ricade sullo stato. Lo stato garantisce che nessuno
dovrebbe finire in mezzo a una strada. Dice la legge: "Ciò riguarda
primariamente soddisfare le esigenze abitative, tutela e sviluppo della salute,
trasporti e comunicazioni, la necessità dell'informazione, l'educazione dei
figli, lo sviluppo culturale complessivo, la tutela dell'ordine pubblico."
Dove? Ovunque! Forse all'Hotel Freedom
Il 30 gennaio c'era tensione all'ostello. Si immaginava che il giorno dopo la
polizia venisse a sgomberare, e le famiglie avevano anche paura che gli
assistenti sociali avrebbero portato via loro i bambini. Quel mercoledì
arrivavano mano a mano anche gli attivisti, e la sera con gli occupanti avevano
concordato un comune atteggiamento. Veniva delineato uno scenario critico, se le
famiglie allargate fossero state divise.
Se fosse successo, ognuno dei nuclei familiari si sarebbe trasferito in
un appartamento differente. C'era qualcosa di sbagliato in tutto ciò - uno non
aveva il riscaldamento, l'altro mancava di elettricità, altri avevano affitti
troppo alti. Una famiglia si trovava di fronte al rischio di capitare in un
malfamato ostello dal poetico nome di "Freedom Hotel".
A Ustì nad Labem ci sono diversi ostelli dedicati a clienti socialmente
svantaggiati. Non offrono grande confort anche se gli affitti sono abbastanza
cari. I loro operatori sono specializzati soprattutto nella raccolta degli
affitti, nient'altro. Freedom Hotel è uno di questi.
La mattina dopo la confusione nell'ostello era ancora maggiore. Tutti erano
nervosi. I bambini battevano sui tamburi portati dagli attivisti e le
percussioni risuonavano in tutto l'edificio. Alcuni degli occupanti che facevano
parte della famiglia Chervenhàk e ancora non sapevano dove sarebbero andati, o
che erano rischio di finire in appartamenti troppo cari e degradati, erano
parecchio stressati. Uno degli uomini commentava con rabbia ciò che
accadeva intorno a lui: "Sono venuti qui a suonare, ma non abbiamo un posto dove
vivere!"
Col passare delle ore l'atmosfera diventava ancora più opprimente. Tuttavia,
erano infondate le preoccupazione per un raid della polizia - che non intendeva
intervenire - il loro portavoce aveva anche elencato una lista di posti dove gli
occupanti avrebbero potuto trasferirsi.
All'inizio della settimana, People in Need aveva disdetto unilateralmente
l'accordo di collaborazione con le famiglie dell'ostello. In un comunicato
stampa emesso giovedì, diceva che le famiglie avevano rifiutato nove
appartamenti adeguati. Per quanti osservavano la situazione dall'esterno, il
comunicato era la conferma che le famiglie allargate fossero irriconoscenti, ed
il sentimento antizigano contro di loro veniva rafforzato da altre informazioni.
Il comunicato di People in Need veniva utilizzato anche dal vicesindaco Kailovà.
Dopo che gli attivisti avevano fatto del loro meglio per incontrarla venerdì
mattina, lei aveva convocato i giornalisti davanti al municipio, leggendo loro
una dichiarazione che accusava le famiglie di aver rifiutato dozzine di
appartamenti offerti loro, in quanto erano state manipolate dagli attivisti.
"E' una bugia," rispondeva Iveta, ma non c'era nessuna sala, riunione,
trattativa per dibattere. Dopo aver letto la sua dichiarazione, Kailovà
aggiungeva poche parole e se ne andava. Le porte del municipio si chiudevano con
l'inizio del fine settimana.
I Chervenhàk si difesero dalle accuse. "Mai sentito di nessuna lista e nessuno
ci ha offerto appartamenti. Abbiamo chiesto per telefono a People in Need di
cercarne e ne abbiamo trovati due. Uno era distrutto e l'altro era di un mafioso
(in italiano nel testo, ndr.)," spiegava Iveta Jaslovà.
La situazione peggiora tra venerdì 1 febbraio e sabato 2. Venerdì la CPI
scollegò elettricità, acqua e riscaldamento. Gli attivisti riuscirono a
recuperare una stufa a gas e una bombola per alimentarla. C'era preoccupazione
che il Dipartimento dell'Assistenza Sociale e la Protezione Infantile potesse
prendere in custodia i bambini. Sabato gli attivisti contattarono il Centro di
Consulenza per la Cittadinanza, perché non avevano un avvocato e la situazione
sembrava disperata.
Un avvocato del Centro di Consulenza si consultò con loro e altri impiegati del
centro coinvolti in una frenetica ricerca di appartamenti. Quella sera il
direttore di un edificio recentemente ristrutturato si presentò con sua moglie
all'ostello. Avevano seguito lo scandalo attraverso i media, e offrivano uno
spazio agli occupanti.
Un lieto fine per il momento, ma con altri episodi sulla strada
Lunedì 4 febbraio le ultime famiglie hanno lasciato l'ostello per la nuova
residenza. Nonostante la vittoria, alcuni degli attivisti sono tornati a casa
con sentimenti contrastanti.
"Non consideravamo che potesse anche finire male, che avrebbero potuto portare
loro via i bambini," confidava un attivista di Praga. Altre riflessioni
riguardavano la mancanza di preparazione durante tutto l'evento, il fatto che
non fossero presenti avvocati e che non ci fosse un progetto su cosa si voleva
fare.
Miroslav Brozh traccia un bilancio tutto sommato positivo di questa frenetica
esperienza: "Lentamente, stiamo iniziando a capire cosa sia successo a Kràsné Brezno.
Sinora eravamo stati da criticare per i vicoli ciechi e le proposte che non
portavano a niente, adesso sappiamo di essere capaci di risolvere queste
situazioni," conclude.
Un momento triste di tutta questa vicenda è stato l'incapacità delle
organizzazioni e delle iniziative civiche nell'unire le proprie forze per
risolvere la situazione. I comunicati stampa volavano violenti e veloci, e non
era facile per osservatori esterni orientarsi su chi effettivamente si desse da
fare e chi sfruttava il lavoro altrui.
La scena della sinistra radicale è all'inizio di un viaggio. Sinora, i suoi
attivisti non avevano dedicato molta attenzione ai problemi dei Rom impoveriti.
Sembra che qualcosa stia cambiando. Dalle conclusioni sul manifesto pubblicato
alla fine della vicenda, possiamo aspettarci sviluppi interessanti:
"Saremo stronzi, disturberemo e cattivi con chiunque neghi a chi è povero,
dignità e diritti. Comunicheremo quanto abbiamo imparato a Kràsné
Brezno. Torneremo nei posti dove meno i potenti si aspettano e dove la gente in
fondo al barile intende battersi per i propri diritti e una vita dignitosa, per
i diritti dei loro figli, per la casa e contro il razzismo. Poi torneremo
tranquilli, metteremo da parte le nostre bandane e nelle tenebre ci manterremo
vigili."
La nouvelle Republique Viaggiatori: una nuova era "aiffricana"
09/02/2013 05:38
Il sito è stato inaugurato ieri a mezzogiorno da Geneviève Gaillard (al
centro) insieme a numerose personalità.
Una nuova era si apre ad Aiffres per la gens du voyage, con l'area di accoglienza
nuova fiammante di 20 posti, appena inaugurata.
Neanche un solo posto libero. "E' sempre pieno, afferma Serge Morin, Sindaco di
Aiffres. Abbiamo perfino dovuto stabilire delle prenotazioni anticipate ad
agosto, prima dell'apertura". A colpo sicuro, si tratta di un'era nuova che si
apre per le persone della comunità dela gens du voyage ad Aiffres.
Ieri è stata inaugurata una nuova area, aperta a settembre. Un'area che
comprende 10 zone (di 2 posti di 100mq ciascuno), ognuno equipaggiato con un
blocco sanitario con doccia, WC e tettoia semi-chiusa a uso lavanderia/cucina.
1,1 milioni di euro
Una realizzazione che sarà costata 1,1 milioni di euro, in gran parte (851.000
€) finanziata dalla CAN, con diversi aiuti (213.000 € dallo Stato, 20.000 €
dalla CAF e 15.000 € dal Dipartimento)
"Come tutti i cittadini della nostra città"
Gli eletti hanno l'uno dopo l'altro salutato questo progetto diventato realtà,
con un pensiero verso Alain Mathieu "il quale vi era molto legato".
"Possiamo
oramai accogliere la gens du voyage come tutti i cittadini della nostra città,
rispettando il loro stile di vita", si è rallegrato Serge Morin. La
presidentessa della CAN ha ricordato quanto questo fascicolo "non fosse facile".
E di spiegare: "Per alcuni concittadini, è sempre un problema, non vogliono
avere queste popolazioni nei pressi di casa loro". Il presidente del
Dipartimento Eric Gautier, così come il prefetto Pierre Lambert, hanno del resto
ricordato i soprannomi sentiti in altri tempi, come "zingari" e "gitani".
"Un
modo di mettere una distanza, che non mostrava altro che una mancanza di
conoscenza degli uni e degli altri". Questa area è la terza sul territorio della
CAN, con quelle della Mineraie e di Noron a Niort. Non resta altro che
realizzare quella di Chauray, per rispondere agli obblighi della legge Besson
del 2000, la quale impone una area in ogni comune di più di 5.000 abitanti.
"Spero che potremo realizzarla a breve scadenza", ha dichiarato la
presidentessa.
Di Fabrizio (del 16/02/2013 @ 09:06:39, in lavoro, visitato 1399 volte)
CASTELLI today Polemiche a Frascati per l'assegnazione a una ragazza di
etnia rom di una borsa lavoro del comune - di Francesca Ragno - 13 febbraio
2013
Fa le pulizie al centro anziani del Comune di Frascati ed è assegnatrice di
una borsa lavoro comunale, fin qui non ci sarebbe nulla di male se non fosse che
la ragazza in questione è di etnia rom.
L'etnia della donna ha sollevato un vespaio politico di cui si è fatto paladino
il Popolo delle libertà di Frascati e così il gruppo consigliare pidiellino ha
chiesto un incontro immediato nella giornata del febbraio con il settore servizi
sociali del comune di Frascati: "Č nostro intendimento verificare che tutto si
sia svolto secondo legge", scrivono in una nota i consiglieri comunali.
Intanto sui social network il dibattito è acceso e duro, il consigliere Mirko
Fiasco da Facebook intende chiarire che il PDL non è razzista, ma intanto è
meglio non assumere una "zingara": "Non siamo razzisti, siamo per
l'integrazione, ma quanti padri di famiglia frascatani sono senza lavoro?Quanti
attendono un sussidio? Sindaco Di Tommaso l'unica via sono le dimissioni". Il
PDL è sicuro andrà "fino in fondo a questa storia".
Di Fabrizio (del 15/02/2013 @ 09:04:23, in Europa, visitato 1211 volte)
EXBERLINER "Posso dirlo perche' sono ebreo. Dei Rom e dei Sinti non
importa." by Ruth Schneider
(NdR. Una nascita tormentata:
gennaio 2008,
gennaio 2011,
agosto 2011)
Dani Karavan e la cancelliera Angela Merkel alla cerimonia di inaugurazione
del memoriale lo scorso 24 ottobre. Photo by Stephanie Drescher
Il 24 ottobre 2012, dopo 20 anni di controversie politiche e logistiche, il
Memoriale per i Rom ed i Sinti Uccisi è stato finalmente svelato nel Tiergarten
di fronte al Reichstag. Tra il pubblico, sopravvissuti ottuagenari,
rappresentanti romanì e membri del governo tra cui la stessa cancelliera Merkel.
Fine di ignoranza, pregiudizio e ostracismo?
Il Memoriale per i Rom ed i Sinti Uccisi, progettato da Dani Karavan. Photo by
Marta Domínguez
* Viene ancora discussa la vecchia cifra di
500.000 vittime. Mi chiedo se c'è un ordine del giorno. (Vedi la
precedente intervista a
Ian Hancock)
Mentre il 58% dei tedeschi, ancora nel XXI secolo rifiuta di avere "zingari"
come vicini - e la Germania è attualmente impegnata nella deportazione di 10.000
Sinti e Rom (inclusi quelli nati e cresciuti in Germania) verso il Kosovo che
lasciarono due decenni fa - il destino del popolo più perseguitato d'Europa non
sembra preoccupare la nazione che, 70 anni fa, cercò di sterminarli.
In aggiunta, si susseguono cifre e dibattiti raccapriccianti, mentre i romanì
lottano ancora per essere ascoltati come le "altre" vittime dell'Olocausto
nazista.
Abbiamo chiesto a Dani Karavan, progettista del memoriale, di condividere le sue
opinioni sull'argomento.
* "Gli ho detto che si fosse trattato di Ebrei, avrebbero
spostato la fermata del bus in una settimana. Ma di Sinti e Rom non si
preoccupano."
Allo scultore israeliano Dani Karavan fu commissionato il memoriale nel 1992, su
suggerimento personale di Germani Rose, capo del Consiglio Centrale Tedesco per
i Rom e Sinti. L'artista conosciuto in tutto il mondo era autore di molti
monumenti e memoriali simili in tutto il globo - da Israele al Giappone sino
alla Francia. Molti di questi sono collegati ai diritti umani e si mescolano con
gli elementi circostanti in un unico riflesso che interseca natura, storia e
spazio. A 82 anni, l'artista sempre in viaggio per il mondo non ha perso il suo
morso.
E' da parecchio che stavi lavorando a questo memoriale...
Ci sono abituato. Esistono i problemi politici, le elezioni... Ma, è vero,
stavolta c'è voluto molto tempo perché, prima c'è stata una discussione
durata otto anni tra l'amministrazione e il consiglio centrale dei Sinti e dei
Rom. L'argomentare era che i primi volevano adoperare la parola Zingari,
che i secondi trovavano denigratoria.
Davvero volevano usare quella parola?
Quello era il concetto del ministro alla cultura. Si diceva che nessun documento
storico del nazismo avesse mai menzionato di uccidere Rom e Sinti ma solo gli
Zigeneur. Questa era una discussione. L'altra riguardava quanti Rom e
Sinti fossero stati uccisi. Il governo voleva indicarne 100.000, mentre Sinti e
Rom dicevano che eraano almeno 500.000.
Ma 500.000 non è già una cifra al ribasso?
C'è chi pensa che sia una stima elevata, per motivi politici. Il comitato per i
diritti di Sinti e Rom al Parlamento Europeo mi disse che sarebbero stati circa
un milione. Così ho sostenuto l'idea che il memoriale dovesse assolutamente
menzionare almeno mezzo milione. E fui criticato da un professore
dell'università di Haifa in Israele, che diceva fossero molto meno! Durante
tutta la discussione con l'amministrazione tedesca, ho preso le parti dei Sinti
e Rom.
Qual è stata la tua relazione con l'amministrazione?
Sono stato obbligato a lavorare con gente del senato di Berlino, dipartimento
pianificazione cittadina, che non era professionale. Quando vedi cosa è
successo con l'aeroporto, con la Topografia del Terrore... sono cose fatte
miseramente. Hanno trattato il mio progetto in modo tale che iniziai a credere
che fosse una forma di razzismo. Non gli importava cosa veniva fatto, il
materiale da adoperare, l'impresa che doveva incaricarsi del lavoro. Hanno agito
come se fossi irrilevante, in maniera sgradevolmente aggressiva.
Come spieghi questa mancanza di professionalità?
Non so spiegarmelo. Ho fatto molti lavori nella mia vita. Mai avuto problemi
simili. Sono stati anni d'inferno, e non sono un giovanotto. Ho iniziato che
avevo 68 anni, ora ne ho 82. E' impossibile accettare cosa hanno fatto. Ho
raccontato l'intera storia e nessuno crede che questo sia successo in Germania.
I tedeschi dovrebbero chiedersi: chi ha sepeso questi soldi, perché c'è voluto
tutto questo tempo? Secondo me è gente che dovrebbe essere portata in tribunale.
Il tuo budget era abbastanza limitato, vero? 2,8 milioni di euro?
Anche di meno, ma poi hanno dovuto spendere di più perché non potevano fare
il lavoro correttamente. Hanno cambiato il concetto. L'ingresso doveva essere
sul lato del Reichstag, ma lì c'era una fermata d'autobus. Per questo hanno
cambiato la posizione dell'ingresso. Ti immagini, non poter spostare una fermata
d'autobus per l'ingresso principale al memoriale dei Sinti e Rom?! Gli ho detto
che se si fosse trattato di Ebrei, avrebbero spostato la fermata in una
settimana. Posso dirlo perché sono Ebreo. Ma di Sinti e Rom non gliene importa.
Finché non è intervenuto il governo federale...
Sì... anche Wim Wenders ha detto che se non fosse cambiato, sarebbe stato un
grande scandalo internazionale. Alla fine hanno passato la responsabilità dal
senato di Berlino al ministero federale delle Costruzioni, con gente molto
seria, che aveva rispetto per il progetto e per i Sinti e i Rom. Mi hanno
rispettato e commissionato il progetto ad uno studio di architettura di Berlino.
Dobbiamo ringraziare il ministro della cultura Bernd Naumann. Quando capì, tutto
cambiò. Altrimenti, il memoriale non sarebbe mai stato terminato.
Come ebreo israeliano, cosa è significato per te lavorare ad un
monumento per le vittime dimenticate dell'Olocausto?
Credo che dovrebbe esserci stato un solo memoriale dell'Olocausto per tutti.
Non divisi.
La comunità ebraica si è opposta...
Non mi importa. E' la mia opinione. Come Ebreo ho tutto il diritto di dir
loro che dovrebbe essere per tutti Li hanno uccisi tutti assieme. Per questo
sento che sono miei fratelli e sorelle. All'inaugurazione ho detto in ebraico
che sento come se la mia famiglia sia stata uccisa e cremata con i Sinti e i Rom
nelle medesime camere a gas e che le loro ceneri sono andate col vento nei
campi. Così siamo assieme. E' il nostro destino.
Personalmente, quanto sei soddisfatto del risultato di tutti questi
anni di infernale lavoro?
Sono stato colpito dalla reazione della gente. L'inaugurazione è stata
davvero imponente, grazie alla cancelliera e al ministro della cultura.
Storicamente, è stato un evento davvero importante. Tuttora ricevo commenti da
parte di chi si è sentito toccato. Davvero, la mia sofferenza è valsa la pena!
Nel suo discorso, la cancelliera Merkel ha detto di essersi dedicata
al benessere di Sinti e Rom. Nel contempo, la Germania sta deportando Romanì che
hanno vissuto in Germania per 20 anni. Non è ipocrita? Immagineresti se la
Germania deportasse oggi gli Ebrei?
Penso che tu abbia ragione. In un certo senso gli Ebrei sono privilegiati,
perché dopo la guerra l'Olocausto è entrato nella loro cultura. Talvolta, è una
mia opinione, alcuni ebrei lo adoperano in modo sbagliato. La loro influenza e
posizione sono forti. Per questa ragione è stato così importante per me, Ebreo
israeliano, fare meglio che potessi questo lavoro per i Sinti e i Rom.
Il memoriale nelle parole del suo creatore:
"Ho avuto l'idea che il memoriale dovesse essere solo un fiore, ma per
proteggere il fiore dovevo avere l'acqua. L'acqua è diventata parte integrale
del memoriale. I riflessi scuri nell'acqua la rendono simile ad un buco nella
terra. Riflette gli alberi e il Reichstag, e chi si avvicina all'acqua diviene
parte del memoriale. Per me è molto importante. Il visitatore non solo osserva,
ma ne è parte. Anche il fiore è molto importante, perché Sinti e Rom sono
sepolti in enormi cimiteri, senza tombe, senza targhe, solo fiori. Non sappiamo
dove. Forse solo le radici dei fiori lo sanno. Il fiore è un triangolo, che
rappresenta il triangolo che portavano sul loro corpo. Nel momento in cui
portavano quel segno, perdevano ogni diritto come esseri umani. Questo è il
concetto." Dani Karavan
Di Fabrizio (del 15/02/2013 @ 09:04:00, in lavoro, visitato 2157 volte)
La Stampa Protesta dei "ferramiu" contro le nuove norme alla presentazione del Piano Città
- di PAOLO COCCORESE
Il "business" del riciclo:
Un'ottantina di persone hanno manifestato contro le nuove norme
del mercato del rottame che dà da mangiare a quasi 5 mila "ferramiu"
"Futuro" è stata la parola d'ordine dell'assemblea pubblica di presentazione del
Piano Città, la serie di interventi da 11 milioni di euro che, a partire dai
prossimi mesi, avvieranno il rilancio di Falchera.
La parola "futuro" l'ha pronunciata il sindaco Piero Fassino, ed è apparsa su
uno dei cartelli di protesta esposti dall'ottantina di persone, nella stragrande
maggioranza nomadi del quartiere, che durante la serata hanno manifestato contro
il blocco del mercato del recupero del rottame. Lavoro, che in tempo di crisi,
dà da mangiare a quasi 5 mila "ferramiu".
Il rilancio del quartiere
Futuro, come sinonimo del recupero della Falchera e Pietra Alta. A gennaio, la
Città si è aggiudicata i fondi statali per i progetti di riqualificazione
urbana. Denaro pubblico che diverrà volano per investimenti privati.
"Falchera è un quartiere che ha enormi potenzialità ambientali che si sono
trasformate in focolare di degrado - dice il presidente della Circoscrizione
Conticelli -. Con il Piano Città si potrà invertire la rotta". Non mancano le
critiche - "porterete solo cemento", la più diffusa -, ma il Piano si svilupperà
su due principi: "Un ridisegno complessivo della zona e un riqualificazione
basata sulla sostenibilità ambientale". Tra i progetti: la bonifica dei
laghetti, la ristrutturazione delle scuole e dei palazzi Atc, il nuovo
cavalcavia per il "secondo accesso" e la sistemazione di piazza Astengo.
La paura
Futuro, invece, inteso come incertezza per chi vive recuperando e vendendo
rottami di rame, acciaio o bronzo. Nelle ultime settimane il mercato si è quasi
fermato. Alle officine specializzate nell'acquisto del metallo di recupero,
centri simili a "compro oro", è stata recapitata una lettera della Provincia
dove si chiedono maggior controlli per arginare il riciclaggio del rame rubato.
Diktat che rischia di affamare migliaia di ferramiu di fortuna, raccoglitori
ambulanti che vivono riciclando rottami dei cantieri e svuotando le cantine.
"Da lunedì non possiamo più lavorare - dice Zajim Halilovic, ferramiu della
Falchera -. Pretendono l'iscrizione alla camere di commercio, autorizzazioni
Inal e Inps, omologare i furgoni. Guadagno 700 euro al mese e ne dovrei pagare
1500". Ma chi vive vendendo rottami? Sono in tanti: ditte specializzate, ma
anche tanti ambulanti. Chi svuota i cassonetti, i pensionati e, soprattutto, i
nomadi. In tanti hanno protestato davanti al sindaco Fassino.
Problema sociale
Il mercato del rottame è un limbo tra chi rispetta le regole e chi vive di furti
e mercato nero. Gli oggetti di metallo (dalle grondaie, ai cavi elettrici) sono
rifiuti e richiedono autorizzazioni particolari che il trasporto. "E' ingiusto
qualificarci come ditte - aggiunge un altro ferramiu, Ottavio Piramide -. Se ci
sequestrano il furgone siamo costretti ad andare a rubare". La lettera della
Provincia rischia di diventare un problema sociale. "La nostra intenzione è
limitare il fenomeno dei furto di rame - dicono dall'Assessorato all'Ambiente -.
La lettera era funzionale a questo scopo, non era nostra intenzione generare il
blocco della vendita".
I nomadi, dopo aver protestato davanti Fassino sono pronti per fare un sit-in
davanti alla sede di corso Inghilterra. "Nei prossimi giorni ci sarà un incontro
con la Regione per trovare una soluzione - aggiungono dalla Provincia -.
Pensiamo a direttive che permettano l'attività per tutti nel rispetto delle
regole".
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