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Repubblica Ceca
Di Fabrizio (del 18/02/2013 @ 09:09:35, in casa, visitato 1683 volte)

La frode immobiliare dietro lo scandalo degli alloggi di accoglienza - Ustì nad Labem, 8.2.2013 9:58, (ROMEA)
This article was also published by news server Denìkreferendum.cz. - Sasha Uhlova', translated by Gwendolyn Albert

Edificio nel quartiere di Predlice a Ustì nad Labem. Difficile da credere se non lo si vede di persona. Le fotografie nell'articolo sono di Sasha Uhlovà del news server Denìk referendum.

La stanza era illuminata dal fuoco attraverso un buco nel camino. In tutto l'edificio non c'era acqua corrente, era stata staccata la corrente elettrica e qualcuno aveva rimosso le impalcature d'acciaio, finite probabilmente in qualche discarica. La donna sconsolata nel letto non sapeva se l'edificio sarebbe potuto crollare, seppellendo lei e sua nipote tra le macerie.

Si era trasferita dal primo piano in un appartamento al pian terreno, perché i piedi le facevano troppo male nel salire le scale. Nel momento che me ne sono andata, hanno iniziato il saccheggio. Ogni notte c'è qualcuno. Non so chi sia, o cosa facciano di preciso, ho paura a a lasciare il mio appartamento," diceva Gizela su quelle condizioni. Il proprietario dell'edificio non si faceva vivo. Non c'era nessuno a cui pagare l'affitto, a cui chiedere le riparazione, o di proteggere la proprietà dai furti di metalli.

Nella stanza al buio ci raccontava della sua gioventù, quando lavorava in fabbrica, prima a fare le pulizie e poi promossa come operatrice alle macchine: "C'erano abbastanza soldi per mangiare, qualcuna ci cuciva i vestiti, non c'erano privazioni." Dopo il 1989 perse il lavoro: "E' così che sono finita qui. Campo con 3.400 corone [135 euro] al mese di assistenza. Non riesco a trovare lavoro. Sono vecchia. Anche i giovani non trovano lavoro. Vivo come una vagabonda. Ho 56 anni e non sono mai caduta così in basso in tutta la mia vita."

Proprio in fondo alla strada c'è la palestra dove la famiglia Chervenhàk dorme su delle brandine. Era di sabato, il 10 novembre 2012, vivevano lì da una settimana. Su una panchina c'era una piastra ed accanto un po' di polenta gialla poco invitante. In sala i bambini giocavano - gli attivisti erano arrivati da Praga per organizzare un giorno di divertimento. Gli adulti erano esausti e impauriti di ciò che poteva succedere. I bambini correvano, dipinti, felici che qualcuno fosse venuto a giocare con loro.


Gizela Karichkovà era rimasta nella sua stanza. Rifiutava di andare nella palestra, nonostante il rischio che l'edificio potesse crollare. Continuava a sperare di trovare un alloggio migliore e, alla fine forse ce l'ha fatta, perché aveva un alto punteggio nella lista di attesa. Con l'aiuto degli assistenti sociali, si è trasferita a metà dicembre in un nuovo appartamento. Era grata ai giornalisti di aver portato attenzione sul suo caso: "Prima di allora, l'ufficio assistenza non aveva mostrato alcun interesse, ma una volta che sono finita in televisione, improvvisamente vollero aiutarmi."

E' cominciato molto tempo fa
Lo scorso settembre, in un edificio di via Hrbotickèho a Ustì nad Labem, era crollato un soffitto seppellendo una giovane donna. Era madre di due bambini e la nipote della signora Karichkovà. Non era il primo edificio a colllassare nel quartiere Nové Predlice, ma per la prima volta qualcuno aveva perso la vita in un incidente simile. Forse a causa di ciò, l'Autorità sui Lavori Edili aveva accelerato le ispezioni in altri edifici della zona.

Venne trovato pericoloso un edificio in via Beneshe Lounského, i cui soffitti erano divorati dai tarli. Il proprietario non aveva agito e gli inquilini avevano iniziato a ripararli per conto loro, ma i loro sforzi non erano stati sufficienti. Per questo la famiglia Chervenhàk si era dovuta trasferire nella palestra.

Casa loro si trovav in un quartiere devastato, risultato delle privatizzazioni selvagge iniziate alla fine degli anni '90. Gli edifici, su cui per anni nessuno ha investito, poco a poco hanno seguito lo stesso destino. Ma per comprendere la situazione attuale, dobbiamo andare ancora indietro nel tempo.

La vicenda ha radici negli anni '80, quando la maggior parte degli originari abitanti del quartiere si trasferirono in seguito all'assegnazione di nuovi edifici residenziali. Fu allora che i primi occupanti romanì, oggi vengono chiamati "i veterani", iniziarono a spostarsi negli appartamenti lasciati vuoti.

Un'altra ondata di romanì vi si insediò subito dopo il 1989. Un paio di famiglie era della Slovacchia, ma la maggior parte erano famiglie cacciate da parte più lucrose della città. Sono quelli indicati oggi come "i nuovi arrivati". I due gruppi si vedevano di mal'occhio, prima che un terzo gruppo li riunificasse.

Il terzo gruppo era composto da famiglie romanì benestanti, originarie della Moldavia, che avevano acquistate alcuni di questi edifici durante le privatizzazioni tra il 1998 e il 2002, obbligando gli inquilini a firmare contratti vessatori. Altri edifici vennero acquistati tempo dopo dalla Spobyt.

Spobyt era la cooperativa edificatrice dell'impresa Spolchemie. Dopo che vendette alcuni degli edifici, si fuse la Investimenti Immobiliare Ceca (CPI). Nel 2010 smise di esistere e la CPI rilevò tutto il suo patrimonio immobiliare. Oggi CPI detiene più di 2.000 appartamenti nella sola Ustì nad Labem.

Jan Cherny' di People in Need (Chlovek v tìsni), che all'epoca dirigeva la sezione di Ustì, ricorda la vendita: "Una società di Praga acquistò in blocco parte del quartiere. Un'intera sezione. Era un tizio piccolino, con stivali rossi e sei telefonini. Poi rivendette gli appartamenti dall'altra parte della strada. La gente gli dava il denaro e firmavano il contratto appoggiati al cofano della sua macchina. Alcuni appartamenti vennero acquistati da gente del posto, altri da un gruppo organizzato di Dvur Kràlové. Si son fatti prestare soldi usando dei prestanome utilizzando questi edifici e facendoli valutare in modo fraudolento e fasullo. Ora la situazione è tale che tecnicamente non si può più fare nulla a riguardo. Queste rovine sono in mano alle banche ed i proprietari o sono sotto processo, oppure già in prigione."

Durante gli ultimi 15 anni, molti degli edifici più volte sono passati di mano in mano. Alcun i di questi sono stati oggetto di frodi creditizie, in maniera simile: L'edificio viene "venduto" per finta - senza alcuno scambio monetario - ad un "proprietario", di solito un tossicodipendente o un senza dimora, per un importo più volte superiore il suo valore reale. Il nuovo "proprietario" - che di solito  non capisce in cosa è stato coinvolto - prende in prestito una somma giustificata dal falso prezzo dell'immobile. Dopo aver girato l'importo del prestito agli organizzatori della frode, sparisce senza restituire la somma del prestito. La banca potrebbe rivalersi pignorando l'immobile, che tuttavia ha un valore parecchio inferiore alla somma erogata.

Spiega Jan Cherny': "Abbiamo avuto una cliente ad Ostrava. Era una tossicodipendente appena uscita dalla riabilitazione. L'abbiamo trovata dalle parti di Olomouc. Ripulita, con un nuovo taglio di capelli, le avevano dato un nuovo documento d'identità e "venduto" un edificio a Predlice. Poi l'avevano portata a Nàchod, dove aveva ottenuto un prestito di 2,5 milioni di corone [99.000 euro], usando l'edificio come garanzia e consegnando la somma ai truffatori. La ragazza si rivolse a noi chiedendo cosa poteva fare a questo punto, perché aveva timore che la potessero uccidere. Se l'avessero accoltellata e poi buttata nel fiume Morava, nessuno avrebbe fatto caso alla sua scomparsa."

Talvolta durante queste vendite i proprietari si sbarazzano dei loro inquilini, perché gli edifici si svuotino per un dato periodo. Alcuni rimuovono persino porte e finestre prima di rivenderli, lasciandoli completamente accessibili. Ciò fornisce un'opportunità a chi tratta metalli usati, per prendersi parte degli infissi.

Le strade su cui si affacciano questi edifici privatizzati, sembrano una zona di guerra dopo un bombardamento. Palazzi appena ricostruiti stanno fianco a fianco con altri in rovina o che sono diventati mucchi di rottame. Gli abitanti della zona dicono che lo stato degli edifici cambia rapidamente. Dove si ergeva una villa di lusso, ora resistono un paio di pareti semi smantellate.

Un rudere può essere momentaneamente ristrutturato - almeno esternamente, per renderlo simile ad un posto abitabile. Durante i tre mesi in cui è stato scritto il rapporto, molti edifici del circondario si sono trasformati. Alcuni sono deteriorati ulteriormente, quelli ben conservati lo erano ancora, ma si poteva notare che su qualcuno di questi erano state investite piccole somme per riparazioni sommarie o dar loro una mano di intonaco colorato.



Nessuna soluzione se non demolire
Veronika Kamenickà, consulente locale dell'Agenzia Governativa per l'Inclusione Sociale, attiva nel quartiere dalla fine del 2012, non vede molti spiragli di speranza. Secondo il suo parere, la città non possiede quasi più edifici, perché negli anni '90 privatizzò tutto il possibile: "Qui non esiste il concetto di housing sociale. Presto altre 40 famiglie potrebbero finire per strada, e le conseguenze sarebbero una crisi di nervi per qualche operatore di ostelli residenziali. La città non ne possiede neanche uno sotto gestione propria."

Kamenickà spiegava che dato che i proprietari non si curano dei loro edifici, il comune murava per ragioni di sicurezza gli ingressi al pian terreno, cercando di recuperare i costi dai proprietari stessi. "Non solo non si prendono cura di niente," diceva, "ma non vengono mai assicurati alla giustizia."

"L'intera via di Na Nivàch ospita 20 edifici vuoti, tutti dello stesso proprietario, che quando li acquistò promise di fare qualcosa per risistemarli. Poi è emigrato in Svizzera, da cui è scomparso questo febbraio. Se la città dovesse demolirli, costerebbe circa 20 milioni di corone [792.000 euro]. Così si preferisce appendere fuori un cartello che vieta l'ingresso," dice Kamenickà.

Alla domanda su cosa si dovrebbe fare del ghetto, da una risposta laconica: "Lo demolirei. Non c'è altra soluzione."

Mi ucciderei se me li portassero via
Dopo essere stata 10 giorni nella palestra, la famiglia Chervenhàk si traserì in un ostello nel quartiere Kràsné Brezno. Non volevano spostarsi nel primo posto che capitava, perché avevano paura di rimanere bloccati lì. I lughi corridoi scuri erano vuoti, eccetto che per gli scarafaggi.

Dice Iveta: "L'assistente sociale minacciò di sottrarci i bambini se non fossimo andati lì. I miei figli sono la cosa più cara che ho. Mi ucciderei se me li togliessero."

Un altro fatto spiacevole fu che i burocrati municipali li informarono immediatamente dopo il trasferimento, del cambiamento del loro indirizzo di residenza. Le stesse autorità che avevano minacciato di portar via loro i figli, premevano perché sulle loro carte di identità venisse subito registrato che ora risiedevano ed erano a carico del municipio di Ustì nad Labem. "Altrimenti avremmo perso i benefici sociali," spiega Iveta, ovviamente esausta e prossima a perdere la speranza.

Miroslav Brozh dell'associazione Konexe è stato spesso a fianco delle famiglie dopo il loro trasferimento forzato nell'ostello, facendo del suo meglio per svolgere lì il proprio lavoro comunitario. E' un'attività volontaria, che per il momento non sembra essere altrimenti strutturata. Passa il suo tempo con la gente dell'ostello, ascoltandoli e facendo del suo meglio per consigliarli.

E' fortemente critico verso People in Need, che accusa di inazione e di essere collegata con le alte cariche cittadine. Zuzana Kailovà, attuale vice sindaco di Ustì nad Labem, è una ex dipendente di People in Need.

Raccomanda: "Fate due passi attraverso Predlice, dove hanno lavorato per 10 anni, e parlate con i Rom di lì. La loro immagine brillante e PR cadrà in 10' come un castello di carte."

All'inizio di tutto questo scandalo, Brosh fece del suo meglio per attivare gli altri residenti di Nové Predlice. Voleva fare pressione verso il municipio sui problemi del quartiere. Sottolineava che erano diversi i palazzi che avrebbero potuto collassare da un momento all'altro. Fece del suo meglio perché il problema non fosse ridotto al solo edificio di via Beneshe Lounského.

Si chiede Brozh: "Questo è un problema strutturale. Le OnG sono obbligate ad essere fedeli ai gruppi che hanno influenza sulle concessioni delle sovvenzioni; sono dipendenti dall'appoggio politico. Ciò contraddice la loro lealtà a questi clienti impoveriti, i cui diritti spesso vengono calpestati proprio dai medesimi gruppi. Chi si assumerà la responsabilità della catastrofe di Predlice?"

Brozh ritiene che la situazione delle comunità romanì impoverite si stia deteriorando giorno dopo giorno e, quel che è peggio, che il deterioramento stia accelerando. Presumibilmente, a prescindere dall'applicazione delle politiche di integrazione sociale o dagli sforzi delle associazioni civiche.

Nell'ufficio della sezione di Ustì di People in Need siedono due impiegati, Vìt Kuchera and Jakub Michal, che mostrano abbastanza rassegnazione. Descrivono la catastrofica situazione e spiegano che l'attuale maggioranza è meglio di quella precedente. Difendono il classico approccio al lavoro sociale, criticato da Brozh, in cui i soggetti, come modello di funzionamento, vengono trattati su base individuale.

Inoltre considerano controproducente l'attività di Brosh. Pensano che "sollevi inutilmente speranze esagerate" tra la gente. Considerano un successo che si possa mantenere lo status quo. Spiegano: "Stiamo facendo del nostro meglio per mantenere la riconciliazione sociale."

Non parlate coi giornalisti
Il comune di Ustì nad Labem è tristemente noto perché i suoi consiglieri ed impiegati con comunicano coi media. Secondo i giornalisti del luogo, dipende da tendenze municipali poco trasparenti, ma il metodo del silenzio è stato applicato anche in questo caso, che il municipio vede solo come un piccolo scandalo. Mentre la consigliera Zuzana Kailovà (Partito Socialdemocratico Ceco - CSSD) mi rispondeva al telefono, subito mi indirizzava verso l'addetta cittadina alla stampa, appena le chiedevo dell'edificio in via Beneshe Lounského, riattaccando il telefono.

Il sindaco era indisponibile e anche gli altri dipendenti municipali rifiutavano di parlare, mentre altri condizionavano il loro consenso ad un'intervista solo su autorizzazione dall'alto. Tutti mi riferivano di rivolgermi all'addetta stampa. Il direttore dell'Autorità sui Lavori Edili, che naturalmente non è parte dell'amministrazione ma dipende dallo stato, mi disse apertamente: "Mi è impedito comunicare coi media, chieda all'addetta stampa."

Romana Macovà, l'addetta stampa, per telefono si disse d'accordo ad incontrami, ma richiamandomi un'ora dopo: "Ho parlato con la signora Kailovà," disse. "Non è possibile che le mi faccia le domande, mi mandi una mail e vedremo."

Dopo che le domande furono inviate, arrivo la seguente risposta: "Le invieremo una risposta appena possibile. Per cui, non c'è bisogno di incontrarci domani." Le risposte arrivarono effettivamente qualche giorno dopo ma, naturalmente, erano inutilizzabili perché troppo vaghe.

L'unica occasione in cui i cittadini di Ustì nad Labem possono farsi sentire, è durante le sedute consiliari, accessibili al pubblico. Ovviamenti, gli interessati devono sorbirsi diverse ore di dibattito prima che il punto "varie ed eventuali" venga trattato e siano in grado di porre le loro domande.

Iveta Jaslovà ha preso parte alla riunione di dicembre, assieme a molti parenti ed attivisti. Dopo aver cercato di ascoltare ore di interventi riguardo milioni di corone, alla fine ha preso la parola con altri cittadini impegnati sulla situazione di Predlice. La risposta suscitata dall'intervento, però ha mostrato come i socialdemocratici siano sotto stretta supervisione dell'opposizione, che li ha criticati per spendere soldi nello spostare gli occupanti nell'edificio della palestra, per mandarli solo dopo nell'ostello.

"Ritengo che vadano aiutate le persone che lo meritano," ha insistito un consigliere del partito Salute Sport e Prosperità (Strana Zdravì Sportu a Prosperity). "La seconda cosa che vorrei chiedere è quanto questa azione costerà ai contribuenti." Secondo lui, se altri si fossero trovati in una situazione simile, nessuno se ne sarebbe curato.

"Il nostro compito era di aiutare questa gente," spiegava Kailovà, trovandosi improvvisamente nella posizione di chi aveva fatto "troppo" per gli evacuati. L'intera operazione non era costata che 200.000 corone [7.900 euro]. Il municipio cercherà di recuperare il costo da Klement Buncìk, il proprietario della villa di lusso che non parla coi giornalisti e non si cura delle sue proprietà. Mentre lasciamo la seduta, qualcuno dice a bassa voce: "Qui si occupano di milioni e stanno a lesinare quando si tratta di 200.000 corone."

Solo tre giorni per lasciare Kràsné Brezno

Lunedì 28 gennaio 2013, l'appena creata Alloggio per Tutti ha tenuto una manifestazione di fronte al ministero del lavoro e degli affari sociali. L'ostello di Kràsné Brezno sarebbe stato chiuso a fine mese, per i debiti dell'operatore e l'incapacità di prendersene cura.

Diverse centinaia di persone hanno preso parte ad una dimostrazione pacifica. Verso la fine, una quindicina di attivisti si sono diretti verso il palazzo ministeriale per "parlare" col ministro, senza successo, e per sollevare l'attenzione dei media, cosa che invece è riuscita.

Qual è la situazione del diritto alla casa? La Repubblica Ceca ha firmato la "Convenzione Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali. Adottandola, lo stato ha riconosciuto il diritto di ognuno ad un etto sulla sua testa. Il governo è responsabile verso la comunità internazionale per applicare gli obblighi derivanti dalla Convenzione," ha detto nel comizio Anna Shabatovà, presidente del Czech Helsinki Committee. Questo spiega perché una manifestazione per il diritto all'alloggio si è tenuta di fronte al ministero del lavoro e degli affari sociali.

Secondo l'art. 35 della legge sui comuni, un comune ha lo scopo di creare condizioni per lo sviluppo dell'assistenza sociale e soddisfare i bisogni dei propri cittadini. Quando il comune non adempie ai suoi obblighi, la responsabilità di farlo ricade sullo stato. Lo stato garantisce che nessuno dovrebbe finire in mezzo a una strada. Dice la legge: "Ciò riguarda primariamente soddisfare le esigenze abitative, tutela e sviluppo della salute, trasporti e comunicazioni, la necessità dell'informazione, l'educazione dei figli, lo sviluppo culturale complessivo, la tutela dell'ordine pubblico."

Dove? Ovunque! Forse all'Hotel Freedom

Il 30 gennaio c'era tensione all'ostello. Si immaginava che il giorno dopo la polizia venisse a sgomberare, e le famiglie avevano anche paura che gli assistenti sociali avrebbero portato via loro i bambini. Quel mercoledì arrivavano mano a mano anche gli attivisti, e la sera con gli occupanti avevano concordato un comune atteggiamento. Veniva delineato uno scenario critico, se le famiglie allargate fossero state divise.

Se fosse successo, ognuno dei nuclei familiari si sarebbe trasferito in un appartamento differente. C'era qualcosa di sbagliato in tutto ciò - uno non aveva il riscaldamento, l'altro mancava di elettricità, altri avevano affitti troppo alti. Una famiglia si trovava di fronte al rischio di capitare in un malfamato ostello dal poetico nome di "Freedom Hotel".

A Ustì nad Labem ci sono diversi ostelli dedicati a clienti socialmente svantaggiati. Non offrono grande confort anche se gli affitti sono abbastanza cari. I loro operatori sono specializzati soprattutto nella raccolta degli affitti, nient'altro. Freedom Hotel è uno di questi.

La mattina dopo la confusione nell'ostello era ancora maggiore. Tutti erano nervosi. I bambini battevano sui tamburi portati dagli attivisti e le percussioni risuonavano in tutto l'edificio. Alcuni degli occupanti che facevano parte della famiglia Chervenhàk e ancora non sapevano dove sarebbero andati, o che erano rischio di finire in appartamenti troppo cari e degradati, erano parecchio stressati.  Uno degli uomini commentava con rabbia ciò che accadeva intorno a lui: "Sono venuti qui a suonare, ma non abbiamo un posto dove vivere!"

Col passare delle ore l'atmosfera diventava ancora più opprimente. Tuttavia, erano infondate le preoccupazione per un raid della polizia - che non intendeva intervenire - il loro portavoce aveva anche elencato una lista di posti dove gli occupanti avrebbero potuto trasferirsi.

All'inizio della settimana, People in Need aveva disdetto unilateralmente l'accordo di collaborazione con le famiglie dell'ostello. In un comunicato stampa emesso giovedì, diceva che le famiglie avevano rifiutato nove appartamenti adeguati. Per quanti osservavano la situazione dall'esterno, il comunicato era la conferma che le famiglie allargate fossero irriconoscenti, ed il sentimento antizigano contro di loro veniva rafforzato da altre informazioni.

Il comunicato di People in Need veniva utilizzato anche dal vicesindaco Kailovà. Dopo che gli attivisti avevano fatto del loro meglio per incontrarla venerdì mattina, lei aveva convocato i giornalisti davanti al municipio, leggendo loro una dichiarazione che accusava le famiglie di aver rifiutato dozzine di appartamenti offerti loro, in quanto erano state manipolate dagli attivisti.

"E' una bugia," rispondeva Iveta, ma non c'era nessuna sala, riunione, trattativa per dibattere. Dopo aver letto la sua dichiarazione, Kailovà aggiungeva poche parole e se ne andava. Le porte del municipio si chiudevano con l'inizio del fine settimana.

I Chervenhàk si difesero dalle accuse. "Mai sentito di nessuna lista e nessuno ci ha offerto appartamenti. Abbiamo chiesto per telefono a People in Need di cercarne e ne abbiamo trovati due. Uno era distrutto e l'altro era di un mafioso (in italiano nel testo, ndr.)," spiegava Iveta Jaslovà.

La situazione peggiora tra venerdì 1 febbraio e sabato 2. Venerdì la CPI scollegò elettricità, acqua e riscaldamento. Gli attivisti riuscirono a recuperare una stufa a gas e una bombola per alimentarla. C'era preoccupazione che il Dipartimento dell'Assistenza Sociale e la Protezione Infantile potesse prendere in custodia i bambini. Sabato gli attivisti contattarono il Centro di Consulenza per la Cittadinanza, perché non avevano un avvocato e la situazione sembrava disperata.

Un avvocato del Centro di Consulenza si consultò con loro e altri impiegati del centro coinvolti in una frenetica ricerca di appartamenti. Quella sera il direttore di un edificio recentemente ristrutturato si presentò con sua moglie all'ostello. Avevano seguito lo scandalo attraverso i media, e offrivano uno spazio agli occupanti.

Un lieto fine per il momento, ma con altri episodi sulla strada
Lunedì 4 febbraio le ultime famiglie hanno lasciato l'ostello per la nuova residenza. Nonostante la vittoria, alcuni degli attivisti sono tornati a casa con sentimenti contrastanti.

"Non consideravamo che potesse anche finire male, che avrebbero potuto portare loro via i bambini," confidava un attivista di Praga. Altre riflessioni riguardavano la mancanza di preparazione durante tutto l'evento, il fatto che non fossero presenti avvocati e che non ci fosse un progetto su cosa si voleva fare.

Miroslav Brozh traccia un bilancio tutto sommato positivo di questa frenetica esperienza: "Lentamente, stiamo iniziando a capire cosa sia successo a Kràsné Brezno. Sinora eravamo stati da criticare per i vicoli ciechi e le proposte che non portavano a niente, adesso sappiamo di essere capaci di risolvere queste situazioni," conclude.

Un momento triste di tutta questa vicenda è stato l'incapacità delle organizzazioni e delle iniziative civiche nell'unire le proprie forze per risolvere la situazione. I comunicati stampa volavano violenti e veloci, e non era facile per osservatori esterni orientarsi su chi effettivamente si desse da fare e chi sfruttava il lavoro altrui.

La scena della sinistra radicale è all'inizio di un viaggio. Sinora, i suoi attivisti non avevano dedicato molta attenzione ai problemi dei Rom impoveriti. Sembra che qualcosa stia cambiando. Dalle conclusioni sul manifesto pubblicato alla fine della vicenda, possiamo aspettarci sviluppi interessanti:

"Saremo stronzi, disturberemo e cattivi con chiunque neghi a chi è povero, dignità e diritti. Comunicheremo quanto abbiamo imparato a Kràsné Brezno. Torneremo nei posti dove meno i potenti si aspettano e dove la gente in fondo al barile intende battersi per i propri diritti e una vita dignitosa, per i diritti dei loro figli, per la casa e contro il razzismo. Poi torneremo tranquilli, metteremo da parte le nostre bandane e nelle tenebre ci manterremo vigili."