La frode immobiliare dietro lo scandalo degli alloggi
di accoglienza - Ustì nad Labem, 8.2.2013 9:58, (ROMEA)
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Denìkreferendum.cz.
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Sasha Uhlova', translated by Gwendolyn Albert
Edificio nel quartiere di Predlice a Ustì nad Labem. Difficile da credere se
non lo si vede di persona. Le fotografie nell'articolo sono di Sasha Uhlovà del
news server Denìk referendum.
La stanza era illuminata dal fuoco attraverso un buco nel camino. In tutto
l'edificio non c'era acqua corrente, era stata staccata la corrente
elettrica e qualcuno aveva rimosso le impalcature d'acciaio, finite
probabilmente in qualche discarica. La donna sconsolata nel letto non sapeva se
l'edificio sarebbe potuto crollare, seppellendo lei e sua nipote tra le macerie.
Si era trasferita dal primo piano in un appartamento al pian terreno, perché i
piedi le facevano troppo male nel salire le scale. Nel momento che me ne sono
andata, hanno iniziato il saccheggio. Ogni notte c'è qualcuno. Non so chi sia, o
cosa facciano di preciso, ho paura a a lasciare il mio appartamento," diceva Gizela su
quelle condizioni. Il proprietario dell'edificio non si faceva vivo.
Non c'era nessuno a cui pagare l'affitto, a cui chiedere le riparazione, o di
proteggere la proprietà dai furti di metalli.
Nella stanza al buio ci raccontava della sua gioventù, quando lavorava in
fabbrica, prima a fare le pulizie e poi promossa come operatrice alle macchine:
"C'erano abbastanza soldi per mangiare, qualcuna ci cuciva i vestiti, non
c'erano privazioni." Dopo il 1989 perse il lavoro: "E' così che sono finita qui.
Campo con 3.400 corone [135 euro] al mese di assistenza. Non riesco a trovare
lavoro. Sono vecchia. Anche i giovani non trovano lavoro. Vivo come una
vagabonda. Ho 56 anni e non sono mai caduta così in basso in tutta la mia vita."
Proprio in fondo alla strada c'è la palestra dove la famiglia Chervenhàk dorme
su delle brandine. Era di sabato, il 10 novembre 2012, vivevano lì da una
settimana. Su una panchina c'era una piastra ed accanto un po' di polenta gialla
poco invitante. In sala i bambini giocavano - gli attivisti erano arrivati da
Praga per organizzare un giorno di divertimento. Gli adulti erano esausti e
impauriti di ciò che poteva succedere. I bambini correvano, dipinti, felici che
qualcuno fosse venuto a giocare con loro.
Gizela Karichkovà era rimasta nella sua stanza. Rifiutava di andare nella
palestra, nonostante il rischio che l'edificio potesse crollare. Continuava a
sperare di trovare un alloggio migliore e, alla fine forse ce l'ha fatta, perché
aveva un alto punteggio nella lista di attesa. Con l'aiuto degli assistenti
sociali, si è trasferita a metà dicembre in un nuovo appartamento. Era grata ai
giornalisti di aver portato attenzione sul suo caso: "Prima di allora, l'ufficio
assistenza non aveva mostrato alcun interesse, ma una volta che sono finita in
televisione, improvvisamente vollero aiutarmi."
E' cominciato molto tempo fa
Lo scorso settembre, in un edificio di via Hrbotickèho a Ustì nad Labem, era
crollato un soffitto seppellendo una giovane donna. Era madre di due bambini e
la nipote della signora
Karichkovà. Non era il primo edificio a colllassare nel quartiere Nové Predlice,
ma per la prima volta qualcuno aveva perso la vita in un incidente simile. Forse
a causa di ciò, l'Autorità sui Lavori Edili aveva accelerato le ispezioni in
altri edifici della zona.
Venne trovato pericoloso un edificio in via Beneshe Lounského, i cui soffitti
erano divorati dai tarli. Il proprietario non aveva agito e gli inquilini
avevano iniziato a ripararli per conto loro, ma i loro sforzi non erano stati
sufficienti. Per questo la famiglia Chervenhàk si era dovuta trasferire nella
palestra.
Casa loro si trovav in un quartiere devastato, risultato delle privatizzazioni
selvagge iniziate alla fine degli anni '90. Gli edifici, su cui per anni nessuno
ha investito, poco a poco hanno seguito lo stesso destino. Ma per comprendere la
situazione attuale, dobbiamo andare ancora indietro nel tempo.
La vicenda ha radici negli anni '80, quando la maggior parte degli originari
abitanti del quartiere si trasferirono in seguito all'assegnazione di nuovi
edifici residenziali. Fu allora che i primi occupanti romanì, oggi vengono
chiamati "i veterani", iniziarono a spostarsi negli appartamenti lasciati vuoti.
Un'altra ondata di romanì vi si insediò subito dopo il 1989. Un paio di famiglie
era della Slovacchia, ma la maggior parte erano famiglie cacciate da parte più
lucrose della città. Sono quelli indicati oggi come "i nuovi arrivati". I due
gruppi si vedevano di mal'occhio, prima che un terzo gruppo li riunificasse.
Il terzo gruppo era composto da famiglie romanì benestanti, originarie della
Moldavia, che avevano acquistate alcuni di questi edifici durante le
privatizzazioni tra il 1998 e il 2002, obbligando gli inquilini a firmare
contratti vessatori. Altri edifici vennero acquistati tempo dopo dalla Spobyt.
Spobyt era la cooperativa edificatrice dell'impresa Spolchemie. Dopo che
vendette alcuni degli edifici, si fuse la Investimenti Immobiliare Ceca (CPI).
Nel 2010 smise di esistere e la CPI rilevò tutto il suo patrimonio immobiliare.
Oggi CPI detiene più di 2.000 appartamenti nella sola Ustì nad Labem.
Jan Cherny' di People in Need (Chlovek v tìsni), che all'epoca dirigeva la sezione di Ustì,
ricorda la vendita: "Una società di Praga acquistò in blocco parte del
quartiere. Un'intera sezione. Era un tizio piccolino, con stivali rossi e sei
telefonini. Poi rivendette gli appartamenti dall'altra parte della
strada. La gente gli dava il denaro e firmavano il contratto appoggiati al
cofano della sua macchina. Alcuni appartamenti vennero acquistati da gente del
posto, altri da un gruppo organizzato di Dvur Kràlové. Si son fatti prestare
soldi usando dei prestanome utilizzando questi edifici e facendoli valutare in
modo fraudolento e fasullo. Ora la situazione è tale che tecnicamente non si può
più fare nulla a riguardo. Queste rovine sono in mano alle banche ed i
proprietari o sono sotto processo, oppure già in prigione."
Durante gli ultimi 15 anni, molti degli edifici più volte sono passati di mano
in mano. Alcun i di questi sono stati oggetto di frodi creditizie, in maniera
simile: L'edificio viene "venduto" per finta - senza alcuno scambio monetario -
ad un "proprietario", di solito un tossicodipendente o un senza dimora, per un
importo più volte superiore il suo valore reale. Il nuovo "proprietario" - che
di solito non capisce in cosa è stato coinvolto - prende in prestito una
somma giustificata dal falso prezzo dell'immobile. Dopo aver girato l'importo
del prestito agli organizzatori della frode, sparisce senza restituire la somma
del prestito. La banca potrebbe rivalersi pignorando l'immobile, che tuttavia ha
un valore parecchio inferiore alla somma erogata.
Spiega Jan Cherny': "Abbiamo avuto una cliente ad Ostrava. Era una
tossicodipendente appena uscita dalla riabilitazione. L'abbiamo trovata dalle
parti di Olomouc. Ripulita, con un nuovo taglio di capelli, le avevano dato un
nuovo documento d'identità e "venduto" un edificio a Predlice. Poi l'avevano
portata a Nàchod, dove aveva ottenuto un prestito di 2,5 milioni di corone
[99.000 euro], usando l'edificio come garanzia e consegnando la somma ai
truffatori. La ragazza si rivolse a noi chiedendo cosa poteva fare a questo
punto, perché aveva timore che la potessero uccidere. Se l'avessero accoltellata
e poi buttata nel fiume Morava, nessuno avrebbe fatto caso alla sua scomparsa."
Talvolta durante queste vendite i proprietari si sbarazzano dei loro inquilini,
perché gli edifici si svuotino per un dato periodo. Alcuni rimuovono persino
porte e finestre prima di rivenderli, lasciandoli completamente accessibili. Ciò
fornisce un'opportunità a chi tratta metalli usati, per prendersi parte degli
infissi.
Le strade su cui si affacciano questi edifici privatizzati, sembrano una zona di
guerra dopo un bombardamento. Palazzi appena ricostruiti stanno fianco a fianco
con altri in rovina o che sono diventati mucchi di rottame. Gli abitanti della
zona dicono che lo stato degli edifici cambia rapidamente. Dove si ergeva una
villa di lusso, ora resistono un paio di pareti semi smantellate.
Un rudere può essere momentaneamente ristrutturato - almeno esternamente, per
renderlo simile ad un posto abitabile. Durante i tre mesi in cui è stato scritto
il rapporto, molti edifici del circondario si sono trasformati. Alcuni sono
deteriorati ulteriormente, quelli ben conservati lo erano ancora, ma si poteva
notare che su qualcuno di questi erano state investite piccole somme per
riparazioni sommarie o dar loro una mano di intonaco colorato.
Nessuna soluzione se non demolire
Veronika Kamenickà, consulente locale dell'Agenzia Governativa per l'Inclusione
Sociale, attiva nel quartiere dalla fine del 2012, non vede molti spiragli di
speranza. Secondo il suo parere, la città non possiede quasi più edifici, perché
negli anni '90 privatizzò tutto il possibile: "Qui non esiste il concetto di
housing sociale. Presto altre 40 famiglie potrebbero finire per strada, e le
conseguenze sarebbero una crisi di nervi per qualche operatore di ostelli
residenziali. La città non ne possiede neanche uno sotto gestione propria."
Kamenickà spiegava che dato che i proprietari non si curano dei loro edifici, il
comune murava per ragioni di sicurezza gli ingressi al pian terreno, cercando di
recuperare i costi dai proprietari stessi. "Non solo non si prendono cura di
niente," diceva, "ma non vengono mai assicurati alla giustizia."
"L'intera via di Na Nivàch ospita 20 edifici vuoti, tutti dello stesso
proprietario, che quando li acquistò promise di fare qualcosa per risistemarli.
Poi è emigrato in Svizzera, da cui è scomparso questo febbraio. Se la città
dovesse demolirli, costerebbe circa 20 milioni di corone [792.000 euro]. Così si
preferisce appendere fuori un cartello che vieta l'ingresso," dice Kamenickà.
Alla domanda su cosa si dovrebbe fare del ghetto, da una risposta laconica: "Lo
demolirei. Non c'è altra soluzione."
Mi ucciderei se me li portassero via
Dopo essere stata 10 giorni nella palestra, la famiglia Chervenhàk si traserì in
un ostello nel quartiere Kràsné Brezno. Non volevano spostarsi nel primo posto
che capitava, perché avevano paura di rimanere bloccati lì. I lughi corridoi
scuri erano vuoti, eccetto che per gli scarafaggi.
Dice Iveta: "L'assistente sociale minacciò di sottrarci i bambini se non fossimo
andati lì. I miei figli sono la cosa più cara che ho. Mi ucciderei se me li
togliessero."
Un altro fatto spiacevole fu che i burocrati municipali li informarono
immediatamente dopo il trasferimento, del cambiamento del loro indirizzo di
residenza. Le stesse autorità che avevano minacciato di portar via loro i figli,
premevano perché sulle loro carte di identità venisse subito registrato che ora
risiedevano ed erano a carico del municipio di Ustì nad Labem. "Altrimenti
avremmo perso i benefici sociali," spiega Iveta, ovviamente esausta e prossima a
perdere la speranza.
Miroslav Brozh dell'associazione Konexe è stato spesso a fianco delle famiglie
dopo il loro trasferimento forzato nell'ostello, facendo del suo meglio per
svolgere lì il proprio lavoro comunitario. E' un'attività volontaria, che per il
momento non sembra essere altrimenti strutturata. Passa il suo tempo con la
gente dell'ostello, ascoltandoli e facendo del suo meglio per consigliarli.
E' fortemente critico verso People in Need, che accusa di inazione e di essere
collegata con le alte cariche cittadine. Zuzana
Kailovà, attuale vice sindaco di Ustì nad Labem, è una ex dipendente di People
in Need.
Raccomanda: "Fate due passi attraverso Predlice, dove hanno lavorato per 10
anni, e parlate con i Rom di lì. La loro immagine brillante e PR cadrà in 10'
come un castello di carte."
All'inizio di tutto questo scandalo, Brosh fece del suo meglio per attivare gli
altri residenti di Nové Predlice. Voleva fare pressione verso il municipio sui
problemi del quartiere. Sottolineava che erano diversi i palazzi che avrebbero
potuto collassare da un momento all'altro. Fece del suo meglio perché il
problema non fosse ridotto al solo edificio di via Beneshe Lounského.
Si chiede Brozh: "Questo è un problema strutturale. Le OnG sono obbligate ad
essere fedeli ai gruppi che hanno influenza sulle concessioni delle sovvenzioni;
sono dipendenti dall'appoggio politico. Ciò contraddice la loro lealtà a questi
clienti impoveriti, i cui diritti spesso vengono calpestati proprio dai medesimi
gruppi. Chi si assumerà la responsabilità della catastrofe di Predlice?"
Brozh ritiene che la situazione delle comunità romanì impoverite si stia
deteriorando giorno dopo giorno e, quel che è peggio, che il deterioramento stia
accelerando. Presumibilmente, a prescindere dall'applicazione delle politiche di
integrazione sociale o dagli sforzi delle associazioni civiche.
Nell'ufficio della sezione di Ustì di People in Need siedono due impiegati, Vìt Kuchera
and Jakub Michal, che mostrano abbastanza rassegnazione. Descrivono la
catastrofica situazione e spiegano che l'attuale maggioranza è meglio di quella
precedente. Difendono il classico approccio al lavoro sociale, criticato da
Brozh, in cui i soggetti, come modello di funzionamento, vengono trattati su
base individuale.
Inoltre considerano controproducente l'attività di Brosh. Pensano che "sollevi
inutilmente speranze esagerate" tra la gente. Considerano un successo che si
possa mantenere lo status quo. Spiegano: "Stiamo facendo del nostro meglio per
mantenere la riconciliazione sociale."
Non parlate coi giornalisti
Il comune di Ustì nad Labem è tristemente noto perché i suoi consiglieri ed
impiegati con comunicano coi media. Secondo i giornalisti del luogo, dipende da
tendenze municipali poco trasparenti, ma il metodo del silenzio è stato
applicato anche in questo caso, che il municipio vede solo come un piccolo
scandalo. Mentre la consigliera Zuzana Kailovà
(Partito Socialdemocratico Ceco - CSSD) mi rispondeva al telefono, subito mi
indirizzava verso l'addetta cittadina alla stampa, appena le chiedevo
dell'edificio in via Beneshe Lounského, riattaccando il telefono.
Il sindaco era indisponibile e anche gli altri dipendenti municipali rifiutavano
di parlare, mentre altri condizionavano il loro consenso ad un'intervista solo
su autorizzazione dall'alto. Tutti mi riferivano di rivolgermi all'addetta
stampa. Il direttore dell'Autorità sui Lavori Edili, che naturalmente non è
parte dell'amministrazione ma dipende dallo stato, mi disse apertamente: "Mi è
impedito comunicare coi media, chieda all'addetta stampa."
Romana Macovà, l'addetta stampa, per telefono si disse d'accordo ad incontrami,
ma richiamandomi un'ora dopo: "Ho parlato con la signora Kailovà," disse.
"Non è possibile che le mi faccia le domande, mi mandi una mail e vedremo."
Dopo che le domande furono inviate, arrivo la seguente risposta: "Le invieremo
una risposta appena possibile. Per cui, non c'è bisogno di incontrarci domani."
Le risposte arrivarono effettivamente qualche giorno dopo ma, naturalmente,
erano inutilizzabili perché troppo vaghe.
L'unica occasione in cui i cittadini di Ustì nad Labem possono farsi sentire, è
durante le sedute consiliari, accessibili al pubblico. Ovviamenti, gli
interessati devono sorbirsi diverse ore di dibattito prima che il punto "varie
ed eventuali" venga trattato e siano in grado di porre le loro domande.
Iveta Jaslovà ha preso parte alla riunione di dicembre, assieme a molti parenti
ed attivisti. Dopo aver cercato di ascoltare ore di interventi riguardo milioni
di corone, alla fine ha preso la parola con altri cittadini impegnati sulla
situazione di Predlice. La risposta suscitata dall'intervento, però ha mostrato
come i socialdemocratici siano sotto stretta supervisione dell'opposizione, che
li ha criticati per spendere soldi nello spostare gli occupanti nell'edificio
della palestra, per mandarli solo dopo nell'ostello.
"Ritengo che vadano aiutate le persone che lo meritano," ha insistito un
consigliere del partito Salute Sport e Prosperità (Strana Zdravì Sportu a Prosperity).
"La seconda cosa che vorrei chiedere è quanto questa azione costerà ai
contribuenti." Secondo lui, se altri si fossero trovati in una situazione
simile, nessuno se ne sarebbe curato.
"Il nostro compito era di aiutare questa gente," spiegava Kailovà, trovandosi
improvvisamente nella posizione di chi aveva fatto "troppo" per gli evacuati.
L'intera operazione non era costata che 200.000 corone [7.900 euro]. Il
municipio cercherà di recuperare il costo da Klement Buncìk, il proprietario
della villa di lusso che non parla coi giornalisti e non si cura delle sue
proprietà. Mentre lasciamo la seduta, qualcuno dice a bassa voce: "Qui si
occupano di milioni e stanno a lesinare quando si tratta di 200.000 corone."
Solo tre giorni per lasciare Kràsné Brezno
Lunedì 28 gennaio 2013, l'appena creata Alloggio per Tutti ha tenuto una
manifestazione di fronte al ministero del lavoro e degli affari sociali.
L'ostello di Kràsné Brezno sarebbe stato chiuso a fine mese, per i debiti
dell'operatore e l'incapacità di prendersene cura.
Diverse centinaia di persone hanno preso parte ad una dimostrazione pacifica.
Verso la fine, una quindicina di attivisti si sono diretti verso il palazzo
ministeriale per "parlare" col ministro, senza successo, e per sollevare
l'attenzione dei media, cosa che invece è riuscita.
Qual è la situazione del diritto alla casa? La Repubblica Ceca ha firmato la
"Convenzione Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali.
Adottandola, lo stato ha riconosciuto il diritto di ognuno ad un etto sulla sua
testa. Il governo è responsabile verso la comunità internazionale per applicare
gli obblighi derivanti dalla Convenzione," ha detto nel comizio Anna Shabatovà,
presidente del Czech Helsinki Committee. Questo spiega perché una manifestazione
per il diritto all'alloggio si è tenuta di fronte al ministero del lavoro e
degli affari sociali.
Secondo l'art. 35 della legge sui comuni, un comune ha lo scopo di creare
condizioni per lo sviluppo dell'assistenza sociale e soddisfare i bisogni dei
propri cittadini. Quando il comune non adempie ai suoi obblighi, la
responsabilità di farlo ricade sullo stato. Lo stato garantisce che nessuno
dovrebbe finire in mezzo a una strada. Dice la legge: "Ciò riguarda
primariamente soddisfare le esigenze abitative, tutela e sviluppo della salute,
trasporti e comunicazioni, la necessità dell'informazione, l'educazione dei
figli, lo sviluppo culturale complessivo, la tutela dell'ordine pubblico."
Dove? Ovunque! Forse all'Hotel Freedom
Il 30 gennaio c'era tensione all'ostello. Si immaginava che il giorno dopo la
polizia venisse a sgomberare, e le famiglie avevano anche paura che gli
assistenti sociali avrebbero portato via loro i bambini. Quel mercoledì
arrivavano mano a mano anche gli attivisti, e la sera con gli occupanti avevano
concordato un comune atteggiamento. Veniva delineato uno scenario critico, se le
famiglie allargate fossero state divise.
Se fosse successo, ognuno dei nuclei familiari si sarebbe trasferito in
un appartamento differente. C'era qualcosa di sbagliato in tutto ciò - uno non
aveva il riscaldamento, l'altro mancava di elettricità, altri avevano affitti
troppo alti. Una famiglia si trovava di fronte al rischio di capitare in un
malfamato ostello dal poetico nome di "Freedom Hotel".
A Ustì nad Labem ci sono diversi ostelli dedicati a clienti socialmente
svantaggiati. Non offrono grande confort anche se gli affitti sono abbastanza
cari. I loro operatori sono specializzati soprattutto nella raccolta degli
affitti, nient'altro. Freedom Hotel è uno di questi.
La mattina dopo la confusione nell'ostello era ancora maggiore. Tutti erano
nervosi. I bambini battevano sui tamburi portati dagli attivisti e le
percussioni risuonavano in tutto l'edificio. Alcuni degli occupanti che facevano
parte della famiglia Chervenhàk e ancora non sapevano dove sarebbero andati, o
che erano rischio di finire in appartamenti troppo cari e degradati, erano
parecchio stressati. Uno degli uomini commentava con rabbia ciò che
accadeva intorno a lui: "Sono venuti qui a suonare, ma non abbiamo un posto dove
vivere!"
Col passare delle ore l'atmosfera diventava ancora più opprimente. Tuttavia,
erano infondate le preoccupazione per un raid della polizia - che non intendeva
intervenire - il loro portavoce aveva anche elencato una lista di posti dove gli
occupanti avrebbero potuto trasferirsi.
All'inizio della settimana, People in Need aveva disdetto unilateralmente
l'accordo di collaborazione con le famiglie dell'ostello. In un comunicato
stampa emesso giovedì, diceva che le famiglie avevano rifiutato nove
appartamenti adeguati. Per quanti osservavano la situazione dall'esterno, il
comunicato era la conferma che le famiglie allargate fossero irriconoscenti, ed
il sentimento antizigano contro di loro veniva rafforzato da altre informazioni.
Il comunicato di People in Need veniva utilizzato anche dal vicesindaco Kailovà.
Dopo che gli attivisti avevano fatto del loro meglio per incontrarla venerdì
mattina, lei aveva convocato i giornalisti davanti al municipio, leggendo loro
una dichiarazione che accusava le famiglie di aver rifiutato dozzine di
appartamenti offerti loro, in quanto erano state manipolate dagli attivisti.
"E' una bugia," rispondeva Iveta, ma non c'era nessuna sala, riunione,
trattativa per dibattere. Dopo aver letto la sua dichiarazione, Kailovà
aggiungeva poche parole e se ne andava. Le porte del municipio si chiudevano con
l'inizio del fine settimana.
I Chervenhàk si difesero dalle accuse. "Mai sentito di nessuna lista e nessuno
ci ha offerto appartamenti. Abbiamo chiesto per telefono a People in Need di
cercarne e ne abbiamo trovati due. Uno era distrutto e l'altro era di un mafioso
(in italiano nel testo, ndr.)," spiegava Iveta Jaslovà.
La situazione peggiora tra venerdì 1 febbraio e sabato 2. Venerdì la CPI
scollegò elettricità, acqua e riscaldamento. Gli attivisti riuscirono a
recuperare una stufa a gas e una bombola per alimentarla. C'era preoccupazione
che il Dipartimento dell'Assistenza Sociale e la Protezione Infantile potesse
prendere in custodia i bambini. Sabato gli attivisti contattarono il Centro di
Consulenza per la Cittadinanza, perché non avevano un avvocato e la situazione
sembrava disperata.
Un avvocato del Centro di Consulenza si consultò con loro e altri impiegati del
centro coinvolti in una frenetica ricerca di appartamenti. Quella sera il
direttore di un edificio recentemente ristrutturato si presentò con sua moglie
all'ostello. Avevano seguito lo scandalo attraverso i media, e offrivano uno
spazio agli occupanti.
Un lieto fine per il momento, ma con altri episodi sulla strada
Lunedì 4 febbraio le ultime famiglie hanno lasciato l'ostello per la nuova
residenza. Nonostante la vittoria, alcuni degli attivisti sono tornati a casa
con sentimenti contrastanti.
"Non consideravamo che potesse anche finire male, che avrebbero potuto portare
loro via i bambini," confidava un attivista di Praga. Altre riflessioni
riguardavano la mancanza di preparazione durante tutto l'evento, il fatto che
non fossero presenti avvocati e che non ci fosse un progetto su cosa si voleva
fare.
Miroslav Brozh traccia un bilancio tutto sommato positivo di questa frenetica
esperienza: "Lentamente, stiamo iniziando a capire cosa sia successo a Kràsné Brezno.
Sinora eravamo stati da criticare per i vicoli ciechi e le proposte che non
portavano a niente, adesso sappiamo di essere capaci di risolvere queste
situazioni," conclude.
Un momento triste di tutta questa vicenda è stato l'incapacità delle
organizzazioni e delle iniziative civiche nell'unire le proprie forze per
risolvere la situazione. I comunicati stampa volavano violenti e veloci, e non
era facile per osservatori esterni orientarsi su chi effettivamente si desse da
fare e chi sfruttava il lavoro altrui.
La scena della sinistra radicale è all'inizio di un viaggio. Sinora, i suoi
attivisti non avevano dedicato molta attenzione ai problemi dei Rom impoveriti.
Sembra che qualcosa stia cambiando. Dalle conclusioni sul manifesto pubblicato
alla fine della vicenda, possiamo aspettarci sviluppi interessanti:
"Saremo stronzi, disturberemo e cattivi con chiunque neghi a chi è povero,
dignità e diritti. Comunicheremo quanto abbiamo imparato a Kràsné
Brezno. Torneremo nei posti dove meno i potenti si aspettano e dove la gente in
fondo al barile intende battersi per i propri diritti e una vita dignitosa, per
i diritti dei loro figli, per la casa e contro il razzismo. Poi torneremo
tranquilli, metteremo da parte le nostre bandane e nelle tenebre ci manterremo
vigili."