Corriere Immigrazione - di Sergio Bontempelli
Allarmi strategici, politiche securitarie ed esclusione dei migranti: una
ricerca sul caso di Pisa, ex città rossa molto tentata ormai dal rosa cipria.
Corriere Immigrazione si
è già occupato del "caso pisano". Piccola città
dell'Italia centrale, roccaforte dell'elettorato "rosso" e con una robusta
tradizione di sinistra, a suo tempo "patria" del Sessantotto e dei movimenti
studenteschi, negli ultimi anni Pisa è divenuta l'epicentro delle "politiche di
sicurezza": Marco Filippeschi, Sindaco Pd eletto nel 2008, ha dichiarato guerra
a rom e venditori ambulanti senegalesi, facendo delle "politiche securitarie" la
cifra del suo agire amministrativo.
In un bel libro uscito da pochi giorni (Xenofobia, sicurezza, resistenze.
L'ordine pubblico in una città "rossa", edizioni Mimesis), il giovane
ricercatore Tindaro Bellinvia ha fatto di Pisa un vero e proprio "case study":
ricostruendo non solo gli eventi - ordinanze, campagne di stampa, sgomberi e
"retate" di polizia - ma anche il loro significato più ampio.
La volpe e il porcospino: due modelli di città
"Ci sono società urbane più simili alla volpe e altre che assomigliano al
porcospino: le prime favoriscono la varietà, la coltivano e la incrementano; le
seconde investono in una sola direzione, verso cui orientano il loro sviluppo".
Così l'antropologo Ulf Hannerz, citando un verso dell'antico poeta greco
Archiloco, identifica due modelli possibili di governo del territorio.
Secondo Bellinvia, le politiche locali a Pisa hanno guardato al modello del
"porcospino": hanno costruito cioè "un'economia tutta incentrata
sull'accoglienza dei turisti e delle élite in cerca di luoghi raffinati e
rassicuranti". Dismessa ogni vocazione industriale (Pisa è stata per decenni una
"città operaia" sede di importanti fabbriche), le politiche urbane si sono
rivolte al turismo, e ai connessi investimenti immobiliari: alberghi, ville,
residenze di lusso, persino un porto per gli yacht sul litorale tirrenico...
Il "marchio" della città e la sicurezza-spettacolo
In questo modello di governo locale, diventa decisivo il "marchio" della città.
O, per usare le parole di Bellinvia, il suo "rating". Si deve cioè diffondere la
fama di una sede tranquilla, immune da conflitti: un luogo ideale dove
un'azienda possa effettuare un investimento, una famiglia benestante trasferire
la propria residenza. L'"immagine" della città diventa un tassello decisivo per
il suo sviluppo.
In una logica di "marketing", bisogna quindi promuovere il "decoro", la
"rispettabilità". Le classi pericolose - i poveri, i migranti, i "marginali"
-
devono essere nascoste, come si nasconde la polvere sotto il tappeto:
allontanate dal centro, ammassate nei piccoli comuni del circondario, a loro
volta trasformati in "luoghi dell'eccedente umano".
Soprattutto, si dovranno mettere al bando le attività che compromettono
l'"immagine pubblica" di Pisa: l'elemosina, la vendita ambulante, i senza fissa
dimora che dormono alla Stazione, i rom che si "accampano" in periferia, i
poveri che fanno la fila alle mense della Caritas. E si dovranno compiere gesta
spettacolari: esibite al mondo, come si esibisce il "marchio" di un prodotto da
vendere.
Di qui la logica delle "ordinanze", finalizzate non al governo di fenomeni
sociali ma, appunto, all'esibizione spettacolare. Le "gesta"
dell'amministrazione comunale hanno un carattere provocatorio, a tratti persino
ridicolo (perché anche il ridicolo serve a far parlare di sé...). Per
allontanare i venditori ambulanti si emette l'ordinanza "antiborsoni", con
severissime sanzioni per chi si aggiri nel centro storico munito di grosse borse
(!); per cacciare i senza dimora si multa la suora che porta da mangiare ai
poveri della Stazione; per sbarazzarsi dei rom si fanno sgomberi in stile
militare; e per le prostitute si punisce l'abbigliamento femminile che "offenda
la pubblica decenza e il decoro".
"Volpi" pisane: c'è chi dice no
In questo modo Pisa - ma lo stesso fenomeno ha riguardato molte altre città - ha
perso una caratteristica fondamentale dell'"Italia di mezzo", cioè dei territori
"rossi" della Toscana e dell'Emilia: quella di "di far convivere diverse
tipologie di attività economiche e culturali". Per usare le parole di Hannerz,
Pisa diventa "porcospino" e dismette la sua storica identità di "volpe".
Ma le "volpi" continuano a esistere. Le politiche del Sindaco Filippeschi,
infatti, sono state fortemente contestate da un ventaglio molto ampio di
"cittadini attivi": studenti, professionisti ed esperti di urbanistica, docenti
universitari e intellettuali, organizzazioni di volontariato e comunità
migranti.
Il vero e proprio cuore pulsante di questa "resistenza" è stato, secondo
l'autore del volume, il Progetto Rebeldia: un network di trenta associazioni,
che fino al 2010 ha avuto sede nel quartiere della Stazione (molto frequentato
dai migranti e per questo "epicentro" degli interventi repressivi del Comune).
Le associazioni di Rebeldia hanno organizzato non solo un'opposizione radicale
alle politiche securitarie - avviando tra l'altro azioni legali contro le
ordinanze di Filippeschi - ma anche forme di socialità e di cultura alternative:
nel quartiere della Stazione, Rebeldia ha rappresentato un luogo di incontro tra
migranti e "nativi", concretizzatosi in momenti conviviali, feste, cene popolari
e competizioni sportive.
Una "guerra di simboli"
Rebeldia ha dunque mantenuto in vita l'idea di una città "volpe". Ma ha
soprattutto avviato quella che Anna Maria Rivera chiamerebbe una "guerra dei
simboli": ed è qui che l'analisi di Bellinvia si rivela particolarmente
originale e feconda. Per l'autore del volume, la "sicurezza" è un insieme di
discorsi e di significati socialmente costruiti. Solo per fare un esempio, non è
affatto naturale che un senza fissa dimora sia percepito come un problema di
"sicurezza", come una minaccia all'incolumità dei "cittadini": perché questo
avvenga, occorre che si diffonda un senso comune che associa la povertà alla
pericolosità. E proprio associazioni mentali di questo genere sono diffuse da
giornali e televisioni, così come da Sindaci e politici.
In altre parole, la "sicurezza" è un "codice simbolico": non un dato di fatto ma
una percezione, alimentata dalla comunicazione pubblica e dai mass-media. Per
contrastarla, dice Bellinvia, occorre "dotarsi di un codice simbolico
alternativo". E proprio questo hanno fatto le "volpi" che si sono opposte alle
politiche del Sindaco.
Per il momento, la guerra è stata vinta dai "porcospini", cioè
dall'amministrazione comunale. Ma Bellinvia dubita che si tratti di una vittoria
definitiva: "non crediamo", scrive, che "perseguitare sbandati e persone
sospette diminuirà l'insicurezza. Pensiamo piuttosto che questa ossessione per
il controllo porterà nuove paure e nuovi timori". La volpe, qui, sembra
destinata ad essere come la talpa di cui parlava Marx: avanza silenziosamente,
sembra sparita... e poi salta fuori quando meno te l'aspetti!