Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
16 aprile, Michela Angelini su
DISEGNO DI LEGGE 405: Io sono una donna
transessuale ed oggi ho scritto questo. Le analogie tra le nostre comunità sono
tante, sia storiche che contemporanee. Qui racconto quella sulla sterilizzazione
forzata.
Dai commenti alla petizione:
la legge sul cambio di sesso deve dare un'alternativa di vita migliore, offrendo
anche la possibilità di una conversione chirurgica se è essenziale per il
benessere vitale del singolo individuo come sua libera scelta, non obbligando di
fatto ad una automutilazione di Stato per ottenere un cambio a livello
anagrafico. Una pratica burocratica non può essere associata d'obbligo ad una
pratica chirurgica nelle modalità similari a quelle applicate dal partito
Nazista in Germania all'epoca della Seconda Guerra Mondiale (Barbara)
Le persone che oggi chiamiamo transessuali (termine coniato nel 1949) per il
regime nazista erano omosessuali incurabili, vite indegne di essere vissute,
persone utili solo ad esperimenti atroci. Il regime nazista, ma non fu l'unico,
tentò di guarire l'omosessualità con massicce dosi di testosterone, con
l'elettroshock, con la lobotomia, provocando la morte di quasi tutti i pazienti.
Quando andava bene i "pazienti" venivano solo sterilizzati, per evitare
potessero propagare i loro geni di sicura origine non ariana*.
Dobbiamo aspettare il 1966, quando Harry Benjamin dichiara che l'unico modo per
guarire quel disagio che oggi chiamiamo disforia di genere è adattare il corpo
alla psiche. Il Italia abbiamo dovuto aspettare fino all'82 per veder
legalizzata la possibilità di cambio del sesso anagrafico e qualche anno in più
per avere l'adeguata assistenza sanitaria. Resta una cosa comune ai tre periodi
storici citati: c'è sempre stato qualcuno che ha dovuto dare un nome alla nostra
condizione e l'ha normata come credeva. Oggi chiediamo il rispetto del diritto
di autodeterminazione sui nostri corpi, oggi chiediamo di decidere della nostra
identità e che la nostra identità venga riconosciuta quando lo chiediamo, e non
dopo aver reso il nostro corpo sterile e gradevole per qualche autorità.
Firma la petizione
http://goo.gl/BFjLxD
*c'è solo un'altra comunità che condivide con noi una storia altrettanto triste:
la comunità rom. Il regime nazista sosteneva che l'eccessivo meticciamento di
questa popolazione (che era comunque ariana!) provocasse comportamenti
antisociali e, in virtù di questo, doveva essere eliminata. La sterilizzazione
forzata delle persone di etnia romanì è stata portata avanti (e viene ancor oggi
perpetuata e riproposta) da più stati, al pari di quanto è successo e succede
per la comunità transessuale.
Di Fabrizio (del 18/04/2014 @ 09:05:45, in casa, visitato 1748 volte)
di Agotino Rota Martir - 10 Aprile 2014 - campo Rom di Coltano
- Pisa
Il sindaco Marino folgorato sulla strada di Damasco? Oppure su una di quelle
strade-sentieri che conducono a qualche accampamento di nomadi? (pardon ora per
ordinanza bisogna dire rom)..avrei preferito proprio su una di queste, perche'
la differenza non e' da poco.
Ad ogni modo e' apprezzabile da parte di un sindaco, la volonta' di capire
meglio e di lasciarsi "convincere" da chi la realta' dei rom la conosce anche
dal di dentro perche' la frequenta.
M'auguro che l'esempio del sindaco di Roma trovi emulatori tra i suoi colleghi.
Ma permettimi anche di difendere e contestualizzare il mio sintetico intervento,
e che ribadisco: l'ordinanza di questo genere serve a ben poco e non mi piace
tanto, come non mi sono piaciute le ordinanze anti accattoni, anti borsone, anti
"vu cumprà".. A quando anche un'ordinanza che obblighi il pellegrino a fermarsi
a Roma?
I rom sono nomadi? Quanti studi, pubblicazioni e conferenze..Loro, i rom cosa
dicono, cosa pensano? Due attivita' da distinguere e da analizzare con
attenzione e comprensione. Buon per il sindaco che attraverso una rapida
ordinanza risolve una questione che e' oggetto di discussioni, ricerche,
dibattiti di carattere antropologico e sociale da almeno 3 decenni, in Italia e
in Europa. Ad esempio in Francia la questione manco si pone, perche' e' prevista
la possibilita' di viaggiare e spostarsi e le amministrazioni locali devono
garantire e offrire alle "persone viaggianti" (siano cittadini francesi, rom,
sinti, tedeschi..) strutture e condizioni eque e rispettose per tutti, sia per
chi sceglie di muoversi e per chi e' stabile. Sono tanti i Rom in Francia che
nomadizzano in questo modo, tanti altri hanno scelto di stare in case,
appartamenti o su terreni privati: e' una loro scelta! Oppure in campi Rom
(nomadi) del tutto identici ai nostri!!
Smettiamola di far credere che i campi Rom (nomadi) esistano solo in Italia.
Anche in Inghilterra, Irlanda ed America ce ne sono, e tra l'altro sono anche
oggetto di trasmissioni televisive molto seguite, ambientate in veri e propri
campi ..nomadi! ("Il mio grosso grasso matrimonio Gipys" trasmesso su Real Time
ogni settimana)
Un nomade ha forse meno diritti e doveri di un rom o di qualsiasi essere umano?
Come trovo un po' strano che in una societa,' che spesso sollecita la mobilita'
(flessibilita') in nome del mercato del lavoro o per la globalizzazione (cosa
non facciamo per essa), quante realta', popoli e merci in continuo movimento,
eppure vogliamo ad ogni costo i rom sedentari, costi quel che costi: per
qualcuno la mobilita' e' quasi un dogma, quella dei rom e' invece demonizzata,
condannata e sospettata. E' forse così altrove? Perché in Italia l'integrazione
deve passare per forza solo ed esclusivamente dalla sedentarizzazione? Possibile
che tutte le Associazioni vanno in questo senso? Cosa ne ricavano?
Pochi anni fa (non il secolo scorso) delle famiglie rom di Coltano avevano
espresso la loro volonta' di continuare a vivere in roulotte, non gli andava di
vivere in appartamento, ma non c'e' stata ragione e in nome della cosi detta
integrazione, indotte ad abitare in appartamento.
So che ci sono amministrazioni che si rifiutano di finanziare l'acquisto di
roulotte, preferendo di gran lunga spendere per le case e appartamenti, sempre
in nome dell'integrazione, ma che di fatto sono delle imposizioni di modelli e
stili di vita che non sempre coincidono con quelli dei rom. Per una famiglia rom
vivere in una casa, di fatto e' diverso da come vive una famiglia italiana.
So di correre il rischio di essere definito "ideologico" (oggi chi non si
allinea e' cosi che e' tacciato): mi chiedo se oggi i rom sono nelle condizioni
di scegliere liberamente e serenamente il loro futuro.
So che ci sono rom che la loro vita si e' complicata anche perche' hanno smesso
di nomadizzare, altri invece che vivono tranquilli in case e che poi lasciano
quando ritengono utile riprendere a girare. Tanti hanno avuto il privilegio o la
fortuna di averne una, a differenza di altri che la sognano, altri invece sanno
accontentarsi di una baracchina o di una roulotte.
Sono differenti i motivi che spingono gruppi di rom ad essere o diventare per
dei periodi dei "nomadi": per lavoro, per opportunità, per regolarizzare i
documenti, per motivi di famiglia, per paura dei servizi sociali che prendano i
loro figli, semplicemente per cambiare aria per un certo periodo, per le
continue minacce di espulsione e di sgomberi, per delle liti tra famiglie..
Spesso cio' che accomuna la maggioranza dei rom, nonostante le loro differenze
e' proprio quello di dichiararsi sempre come "non nomadi", un po' per
convenienza ma nello stesso tempo si sentono liberi dai nostri schemi,
consapevoli e fieri anche della propria diversita'.
Certo e' che il nomadismo dei rom, tipico di 40/50 anni fa' non e' piu' quello
di oggi; cosa ridicola riproporlo o solo pensarlo in modo nostalgico, anche se
in genere l'immaginario collettivo piace pescare proprio nel mondo fantasioso
del rom nomade.
Il nomadismo non e' l'altra faccia della sedentarieta' che ci sta un pochino
stretta?
Forse ci vorrebbe un altra circolare per scoraggiare questo immaginario mondo
gitano presente in ognuno noi: e i rom mi piacciono anche perche' il loro
"nomadismo" sfida e provoca le nostre immobilita'..pensiero nomade!
Una societa' senza nomadi (rom, pellegrini, profughi..) forse e' piu' povera,
senz'altro piu' rannicchiata su se stessa.
Rif:
Parole un tanto al chilo
di Pasquale Petrella su
IL TIRRENO [x fortuna MAHALLA c'è: L'INTERVISTA]
Presentata la lista di Sinistra Ecologia e Libertà per le elezioni
amministrative di Prato, diciassette uomini e quindici donne con capolista la
segretaria provinciale Nicoletta De Angelis
PRATO. Sinistra ecologia e libertà (Sel) dà voce e rappresentanza alla comunità
sinti, candidando Angela Bosco, 19 anni disoccupata e residente nel campo nomadi
di Iolo, e ripropone Marco Wong in rappresentanza della comunità cinese presente
in città. Sono questi i due nomi di rottura nella lista presentata dalla
segretaria Nicoletta De Angelis che sarà la capolista. "Abbiamo fatto una lista
non solo di iscritti a Sel ma anche composta dalla società civile. Un lista
aperta che vuole rappresentare tutta la società pratese - dice De Angelis -
Abbiamo candidato diciassette uomini e quindici donne, siamo così riusciti anche
ad ottenere una parità di genere coinvolgendo tante donne che sono numerose
nella società ma sempre troppo poche in politica".
Entrano in lista anche due assessori uscenti, Ilaria Maffei della giunta Lorenzini di Montemurlo e
Federica Pacini della giunta Marchi di Vaiano.
E sugli obiettivi programmatici la segretaria Nicoletta De Angelis è molto
precisa, "Prato non è e non può essere solo tessile, dobbiamo pensare anche ad
altre forme di lavoro. I nostri candidati provengono da culture e realtà
diverse, ci sono operai, disoccupati, professionisti, giovani ed over, saranno
loro a portare le idee e i temi per la campagna elettorale - sottolinea De
Angelis - Siamo molto fermi nel dire no all'ampliamento dell'aeroporto di
Peretola, argomento sul quale anche il candidato sindaco Biffoni ci dà ampie
garanzie. Ma abbiamo le nostre idee anche sulla sanità e sul sociale, sul sito
www.immaginaprato.it ci sono le nostre idee e dove raccogliamo quelle dei
cittadini. Tutti possono contribuire".
Angela Bosco, nipote di Ernesto Grandini, presidente dell'associazione sinti
italiani di Prato, ha studiato al Datini e poi fatto uno stage da parrucchiera e
vuole mettersi in gioco "perché voglio che i sinti vengano visti come cittadini
italiani e non come adesso che vengono ritenuti degli stranieri - dice - Siamo
una minoranza che ha bisogno di essere ascoltata". E Marco Wong, imprenditore e
presidente onorario dell'associazione no profit Associna ci riprova, era già
stato candidato per Sel anche nel 2009. "La politica fatta in questi ultimi anni
non ha potuto produrre risultati perché impostata solo sulla repressione - dice
riferendosi alle possibili iniziative per l'integrazione della comunità cinese -
L'integrazione è possibile ma servono nuove idee e un nuovo approccio al
fenomeno. Ecco perché mi ricandido, per portare le mie idee su questa materia" E
a chi gli fa notare che non ci sono altri cinesi che ci mettono la faccia, "In
questo clima che si respira a Prato è da incosciente per un cinese decidere di
candidarsi per un partito. E io forse sono un po' incosciente".
Ma ecco la lista dei candidati: Nicoletta De Angelis, Balestri Paolo, Betti
Aurora, Bernardi Duccio, Bosco Angela, Blasi Diego, Cannatella Chiara, Brizzi
Niccolò, Gentilini Milena, Caccamo Roberto, Giuliani Giuliana, Cambi Carlo
Andrea, Maffei Ilaria, Cerchiari Riccardo, Matteucci Veronica, Ciulli Giampiero,
Muratori Paola, Dell'Olio Andrea, Pacini Federica, Franceschini Mauro, Panozzo
Alessandra, Giorgetti Giuseppe, Pesca Sabina, Ristori Paolo, Portolani Franca,
Tronci Claudio, Ruggiero Maria Grazia, Vesigna Marco, Elisabetta Borgioli, Wong
Marco, Zappacosta Stefano, Zenaghi Leandro
Lunedì 28 aprile, dalle ore 21.00,
saremo in collegamento via chat (vedi la colonna a destra) con
Angela Bosco. Una chiacchierata a cui anche voi potrete
partecipare, con le vostre domande (che spero numerose). E' stato invitato a
prendervi parte anche Marco Wong, pure lui
candidato nella medesima lista. Il testo integrale dell'intervista verrà poi
pubblicato su Mahalla
Di Fabrizio (del 16/04/2014 @ 09:06:37, in lavoro, visitato 1969 volte)
Chiedevo pareri settimana scorsa. Ho raccolto qualche MI PIACE su
Facebook e basta, come va di moda in questi periodi di afasia, in cui tutti ci
sono, ma ancora non hanno capito perché. Più articolato un tweet da U VELTO:
@info_mahalla @Ass_21_luglio noi siamo convinti della bontà del
progetto, ma le questioni poste dovrebbero portarci ad una seria discussione
che comunque non fornisce molti elementi.
Così il sospetto è che queste prime (chiamiamole) risposte, siano il
corrispettivo di un PAT PAT sul testolone: Bravo ragazzo, ma perché non parliamo
delle solite cose trite e ritrite? Facciamo finta di niente, e tra un po'
nessuno si ricorderà niente. PILLOLA ROSSA o PILLOLA BLU?
Allora ci riprovo, che al solito mi tocca da fare tutto da solo. Al mio
autismo aggiungo un po' di peperoncino, quello tipico di Mahalla, vedendo se
qualcuno si sveglia.
Io credo che la questione della mediazione abbia assunto un aspetto MERAMENTE
CULTURALE, e vada riportata coi piedi per terra per evitare fallimenti o
fraintendimenti futuri.
Il primo dato di fatto, era il SOSTANZIALE ESAURIMENTO delle politiche di
mediazione del passato. Tra gli aspetti di questa crisi:
- l'abbandono a se stessi dei mediatori passati;
- lo svilimento del ruolo, che non avendo mai avuto competenze
e orari ben definiti, non si è mai tramutato in una professione,
né tantomeno ha generato introiti interessanti per i mediatori,
che quindi hanno finito per vederlo come una soluzione
(personale) di ripiego.
Il fatto che non sia facile avere un quadro del destino, della storia di
questi mediatori, e nel contempo un bilancio dei risultati ottenuti, mette
un'ipoteca su come continuare.
L'altro aspetto critico è che questi mediatori, chiusi in un ruolo ibrido che
nel mondo del lavoro è difficilmente classificabile, in passato erano
soprattutto persone mature di riferimento per la comunità, oggi vanno
caratterizzandosi come giovani rom e sinti, che potrebbero entrare nel mondo
degli studi (da quelli primari a quelli universitari) e del lavoro.
IMPORTANTE: non è solo un parametro economico. In che ambiti opera un
mediatore? Lui per prima vive la ghettizzazione, nel campo e con i suoi
abitanti, e rapportandosi col mondo esterno solo attraverso figure di
riferimento altrettanto mediate. Un muratore, un facchino, ma anche uno
studente, non solo hanno più possibilità di carriera, ma sono obiettivamente
meno isolati dalla società maggioritaria (e reale).
Però, anche se si ripete che occorrerebbe investire in istruzione e
formazione lavoro, da tempo s'è formata una strana alleanza tra burocrati
europei e autonominatisi rappresentanti di rom e sinti (che questi
rappresentanti siano gagé, come nel passato, o rom e sinti come sta succedendo
ultimamente, non cambia la logica). Un effetto collaterale di questastrana
alleanza, è che la mediazione da luogo a congressi, convegni, tavole rotonde... La mediazione diventa un po'
come l'università nella società nostra: non più un trampolino verso un
miglioramento personale e sociale, ma parcheggio per giovani che il mercato del
lavoro non può e non vuole assorbire (o non sa come farlo).
Tutti questi aspetti mi portano a concludere che l'opportunità non
sta nella carriera di mediatore culturale, ma nell'organizzazione dei corsi e di
tutta la campagna per formare queste figure perché, se ormai abbiamo
imparato che i campi-sosta sono ghetto e business, dovremmo coerentemente dare
un occhio ad altri aspetti similari dello zingarificio italiano ed europeo.
Ciliegina finale: candidata alle elezioni europee troviamo proprio la
responsabile italiana di ROMED2-ROMACT, e allora questa candidatura potrebbe
essere meno folkloristica che nelle tante volte passate, anche se da
scommettitore non sarei sicuro che Tsipras possa essere il cavallo più adatto
alla corsa verso Bruxelles.
Ne riparliamo settimana prossima, se il peperoncino di Mahalla non è
bastato si può sempre aumentare la dose. COME SEMPRE, SENZA OFFESA.
Il gagio pensa che un rom è abituato e forse ce l'ha nel sangue.
...scaldarsi con la legna d'inverno, non avere acqua per bere e lavarsi
quando fa caldo. Si comincia così da bambini, noi e loro: differenti.
E di rimando, se si vive così (ma si può vivere così?), il rom impara che non
ha bisogno di un lavoro, della scuola, della casa, delle amicizie con chi non è
rom come lui. Ci fanno il callo e sembrano così forti. così alteri. Da trattare
come cose, non come persone che hanno le stesse esigenze nostre, cioè tue, mie,
dei nostri figli e dei nostri cari.
Arrivano i 40 anni e tutta quella forza dov'è finita? Quello che era il
ragazzo più resistente del mondo è conciato da sbatter via. L'unica sua
medicina, la bottiglia.
Ma forse, non è neppure quello ciò che ti ammazza. Ne ho visti di malandati
che coi denti si aggrappano alla vita. E' che dopo una vita del genere comincia
a mancare il rispetto per se stessi. Chiamala cultura, norme morali,
autoconsiderazione... Quella perdita ammazza più della malattia e della fame.
Di Fabrizio (del 14/04/2014 @ 09:03:31, in Europa, visitato 1867 volte)
(flickr/
Massimiliano)
-
Daniela Mogavero
8 aprile 2014 su
Osservatorio balcani e caucaso
Il quadro delle politiche sociali romene in un'intervista al commissario per i
diritti umani del Consiglio d'Europa Nils Muižnieks: tutela dei minori,
integrazione delle minoranze e il profilo dell'estrema destra sull'orizzonte
delle prossime elezioni europee
La situazione dei minori, dei rom e dei disabili in Romania ha dei lati molto
oscuri. Passi avanti sono stati fatti, ma "c'è ancora molto lavoro da fare".
Parola di Nils Muižnieks, commissario per i Diritti umani del Consiglio
d'Europa, che la settimana scorsa, durante cinque giorni di visita in Romania,
ha esaminato i dossier con le autorità romene e ha visitato di persona alcune
delle strutture dedicate a orfani e disabili. A preoccupare il commissario sono
soprattutto l'esclusione sociale, le condizioni socio-sanitarie in cui versano
decine di migliaia di minori e i reati d'odio razziale. Ma ci sono anche segnali
positivi, soprattutto nel settore dell'inclusione sociale della comunità rom.
Secondo l'ultimo studio pubblicato dall'Unicef sulla situazione dei minori in
Romania, il paese detiene la terribile maglia nera per il primato di bambini
abbandonati: la principale causa è la povertà che porta con sé disoccupazione,
mancanza di cure adeguate e di un alloggio decente.
Nils Muižnieks
Quello che mi preoccupa di più è come sarà ridisegnato il Parlamento europeo con
l'ingresso massiccio di queste forze estremiste. Ad essere danneggiata potrebbe
essere la stessa Unione europea e il suo lavoro sulle politiche di immigrazione
"In Romania non c'è una sola categoria di minori in pericolo, esistono diversi
sottogruppi. Da un lato gli orfani, i minori disabili, i bambini di strada,
1.000 solo a Bucarest e altri 5.000 nel resto del paese, e poi ci sono i figli
di coloro che hanno dovuto lasciare la Romania per andare a lavorare all'estero
e anche circa 500 che si trovano nelle strutture di detenzione - ha spiegato in
un'intervista a Osservatorio Balcani Caucaso il commissario Muižnieks - tutti
questi sottogruppi sono altrettanto vulnerabili e meritevoli di attenzioni. Un
primo passo molto positivo che è avvenuto appena dieci giorni fa, poco prima
della mia visita, è stata la riapertura dell'Autorità nazionale per la
protezione del bambino, che era stata chiusa nel 2010 per mancanza di fondi. E'
il primo passo, ma c'è ancora molto lavoro da fare".
Nel corso della sua visita il commissario ha visitato anche un orfanotrofio a
Tancabesti, nei pressi di Bucarest. La struttura ospita 50 minori, tra bambini,
adolescenti e in alcuni casi disabili. "Isolare minori con disabilità negli
istituti porta al peggioramento delle condizioni sanitarie e alla loro
esclusione sociale - ha sottolineato Muižnieks - con la reclusione in queste
strutture si continua a stigmatizzarli e emarginarli, in violazione della
Convezione ONU dei diritti dei disabili, a cui la Romania si deve attenere.
Bisogna promuovere l'uscita dalle strutture sanitarie e nel contempo l'autonomia
di queste persone per superare pratiche incresciose".
Gli orfani dell'UE
E poi ci sono "gli orfani dell'UE", così il commissario definisce quei minori
lasciati nel Paese d'origine dai genitori che sono andati a lavorare all'estero,
una categoria non meno vulnerabile e che esce fuori dagli schemi dell'assistenza
dei minori: "Non è un fenomeno solo romeno, anche se nel paese sono 80mila i
minori che vivono senza genitori perché emigrati per lavoro. Hanno problemi
psicologici, un alto tasso di abbandono scolastico e non esistono misure
studiate per proteggerli. Per questo voglio sollecitare le autorità affinché
rafforzino il sostegno a questi bambini che sono fortemente colpiti dall'assenza
dei genitori".
Di questi 80mila, circa 20mila hanno entrambi i genitori all'estero, secondo le
ultime stime del governo romeno e quindi vengono lasciati alle cure dei parenti
o in alcuni casi anche affidati a altre famiglie o a istituti. Alcuni scappano e
entrano a far parte di un altro dei sottogruppi individuati da Muižnieks, quello
dei bambini di strada "che vivono in condizioni di degrado a Bucarest e in altre
città. Per questo ritengo positivo il piano del ministero della Sanità per la
creazione di centri di assistenza medica. Ma per evitare che questi bambini
diventino preda della delinquenza o del traffico di esseri umani è necessario
che Bucarest migliori e velocizzi le pratiche per le adozioni". I minori che si
trovano negli orfanotrofi romeni sono in media 60mila.
La minoranza rom
Un altro dei fronti di interesse e impegno nell'ambito dei diritti umani è
quello legato alla comunità rom, che in Romania è una delle minoranze più
grandi, con circa due milioni di persone, ma anche una delle più discriminate e
emarginate socialmente. "Una parte della comunità rom è ben integrata, ma c'è
una grossa fetta che resta ai margini. Da parte delle autorità romene - ha
assicurato il commissario - c'è un grosso impegno a lavorare per l'integrazione.
Il progresso più marcato è stato realizzato nel settore dell'istruzione: molti
rom finiscono le scuole dell'obbligo e frequentano l'università. E anche se il
tasso di abbandono scolastico è ancora troppo alto, il 36%, e più del doppio
rispetto a quello dei minori non rom, è comunque significativamente diminuito".
Romano Dives
Oggi, 8 aprile, si celebra in tutto il mondo la Giornata internazionale "Romano
Dives" (Giornata di rom e sinti) riconosciuta nel 1979 dall'ONU grazie alle
attività e alle pressioni dell'Unione mondiale di rom e sinti fondata a Londra
nel 1971 (poi divenuto IRU -
International Roman Union). La
Commissione europea
ha avviato fin dal 2010 precise politiche dedicate all'integrazione dei rom e
sinti nei paesi membri, che hanno portato all'approvazione della Risoluzione
denominata 'Strategia europea sull'integrazione dei rom' poi adottata dal
Consiglio. In essa si stabilisce che a tutti i rom devono essere garantiti
standard minimi in materia di accesso a occupazione, educazione, alloggio e
assistenza sanitaria. Nell'Ue vivono circa 12 milioni di rom dei quali la
maggioranza in Romania e Bulgaria.
Inoltre nel 2013 le autorità romene hanno censito 5.000 bambini rom e 30.000
adulti: "Bisogna continuare sulla strada per garantire i diritti di accesso ai
servizi sanitari e d'istruzione, puntando sullo sviluppo dei mediatori
socio-culturali. Un fiore all'occhiello della Romania, ma con la crisi, le
misure di austerità e la decentralizzazione la metà dei mediatori non fa più
questo mestiere, con il rischio di perdere una grande risorsa per il paese".
Muižnieks non vuole tralasciare, però, un punto fondamentale del suo mandato: la
lotta contro i reati d'odio. "Pur apprezzando il lavoro del Consiglio nazionale
per la lotta alla discriminazione, sono molto preoccupato dal fatto che le
autorità romene sembrano sottostimare l'incidenza dei crimini legati all'odio
razziale nel paese e che hanno come vittime principali i rom - ha dichiarato il
commissario - nonostante i media e le organizzazioni non governative denuncino
questi episodi, nel 2013 nessun caso è finito in tribunale, questo non
rispecchia la realtà. Bisogna porre molta attenzione agli incitamenti al
razzismo e ai crimini d'odio e dare la necessaria formazione alle forze
dell'ordine affinché sappiano riconoscere e sanzionate questi reati legati al
razzismo".
Le elezioni europee
Un tema, quello del razzismo e della xenofobia che si lega in modo indissolubile
con le prossime elezioni europee, soprattutto dopo i risultati delle elezioni
amministrative francesi che hanno visto la crescita della destra estremista,
come dimostrano anche i sondaggi condotti in altri paesi UE.
"Più che dai sondaggi sono preoccupato da quello che potrebbe accadere alla
democrazia dopo le elezioni europee - ha sottolineato Muižnieks - con
l'approssimarsi del voto in molti paesi membri la destra estremista sta portando
avanti campagne contro l'immigrazione o i rom: ci sarà un dibattito pieno di
veleni su questo tema. Ma quello che mi preoccupa di più è come sarà ridisegnato
il Parlamento europeo con l'ingresso massiccio di queste forze estremiste e di
come verranno condotti i dibattiti. Ad essere danneggiata potrebbe essere la
stessa Unione europea e il suo lavoro sulle politiche di immigrazione".
Di Sucar Drom (del 13/04/2014 @ 09:02:07, in blog, visitato 1683 volte)
Espelli il razzismo dal calcio
Questa mattina alle 12.30, l'Unar - Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni
Razziali, con il supporto di Lega Calcio e Associazione Italiana Calciatori,
ospiterà l'asta di 27 oggetti da collezionismo donati dalle società di calcio di
Serie A e della Nazionale Italiana di calcio, nel corso della campagna "Espelli
il razzismo dal Calcio"...
21 marzo, spot televisivo "Made in Italy"
"Made in Italy" è il titolo della campagna di comunicazione istituzionale
promossa dall'UNAR, dall'Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali del
Dipartimento per le Pari Oppor...
Piano nazionale contro il razzismo e discriminazione territoriale: il Parlamento
e il Governo riaprano l'iter di approvazione
Annunciato il 30 luglio 2013 dalla Ministra dell'Integrazione Cécile Kyenge e
dalla Vice Ministra con delega alle Pari Opportunità M. Cecilia Guerra (facenti
parte del precedente Governo Letta), il Piano nazionale contro il razzismo e la
xenofobia avrebbe dovuto esse...
Renzi e il Piano nazionale contro il razzismo
27 gennaio, una riflessione sul riconoscimento del Porrajmos
Trascorso il 27 gennaio, è possibile proporre qualche considerazione sui
programmi che le varie cittadine italiane hanno dedicato alla memoria delle
vittime della persecuzione e dello sterminio nazi-fasc...
8 aprile 2014, le associazioni dei Rom e dei Sinti lanciano la campagna
nazionale per il riconoscimento giuridico
8 aprile 2014 43° Giornata internazionale del popolo rom e sinto. Le
associazioni dei Rom e dei Sinti lanciano la campagna nazionale per il
riconoscimento giuridico della minoranza storico-linguistica rom e sinta in
Italia...
Elezioni Ue, appello delle donne rom a sostegno della candidatura di Dijana
Pavlovic
Siamo donne di un popolo che costituisce la più grande minoranza europea: 12
milioni di donne, uomini, bambini. Non abbiamo mai fatto guerre, non abbiamo
m...
Milano, rom e sinti di fronte alle elezioni europee
Di Fabrizio (del 12/04/2014 @ 09:04:51, in media, visitato 1881 volte)
Come l'anno scorso mi verrebbe da dire: ma almeno un giorno (che poi sarebbe
proprio la giornata internazionale ecc. ecc.) non si può stare in pace e godersi
la festa?
Ci sono volute 24 ore per pensarci bene, e la decisione
del sindaco di Roma di eliminare dai documenti la parola "nomade" per il più
politicamente corretto "Rom, Sinti e Caminanti", ha scatenato il solito mercato
dove ognuno raglia la sua.
Almeno si leggessero cose intelligenti... Capito su un
MAGAZINE ONLINE DI POLITICA E CULTURA (o mammamia!) che da la colpa al
sindaco (poraccio) di un lungo elenco, oltre metà dell'articolo, di
malfunzionamenti della città, per dirgli alla fine che dovrebbe pensare a quelle
cose lì, non a giocare con le parole... altrimenti si iscriveranno all'anagrafe
di un'altra città (BUM!)
A parte il fatto che (opinione personale, ma non ditelo a nessuno) preferirei che il sindaco continuasse a usare la parola "nomadi",
ma smettesse con gli sgomberi che non rispettano i trattati sottoscritti, e
magari si desse da fare per eliminare quei lager a cielo aperto che sono i
mega-campi voluti da Alemanno, ma finanziati anche dalla nuova giunta... per
quel che capisco di Roma quei malfunzionamenti ci sono da decenni,
imperturbabili ai cambi di maggioranza. Devo tornare a metà anni '70, con Argan
e Petroselli, per ricordare un primo cittadino, come si dice "sul pezzo" (ma
forse i miei sono abbagli di gioventù).
E, termina il pezzo del MAGAZINE di sopra, che a questo punto loro useranno
il termine, noto e stranoto, di ZINGARI. Vorrei chiedere il parere ai miei amici
attivisti nonché antirazzisti, capire se sia ignoranza o proprio voglia di
prendervi in giro, visto che sono quasi 40 anni che quel termine viene rifiutato
dalle elite rom e sinti europee, e almeno una quindicina (si sa, quasi sempre ultimi
ma arriviamo anche noi) da quelle italiane.
Poteva mancare il parere di
Fabrizio Santori? Il ragazzo, per come ho imparato a conoscerlo, è una
specie di "Matteo Salvini de Roma", saprebbe anche fare dei ragionamenti, ma non vuole
correre il rischio di intellettualismi strani, meglio scimmiottare
l'encefalogramma piatto
della gggente. Suo comunicato su Facebook, ripreso poi da
Agenzia Parlamentare: sembra che oggi siano queste le modalità comunicative.
Però, mi fa specie che la stessa Agenzia Parlamentare riporti "ennesima
inutile iniziativa" fuori dalle virgolette, come se facesse proprio il
giudizio del consigliere.
Chi manca, come al solito? I diretti interessati, e vai a capire se è perché
della cosa gliene importa poco, o perché nessuno sente l'elementare bisogno di
parlare con loro. E anche qua, vorrei chiedere cosa ne pensano ai soliti amici
di sopra, ma
chissà se risponderanno.
Di Fabrizio (del 11/04/2014 @ 09:08:51, in Italia, visitato 1636 volte)
Pubblicato: 08/04/2014 17:47,
di Costanza Hermanin Analista
politico, Open Society Foundations. Scritto con Miriam Anati,
responsabile dei progetti sostenuti in Italia da Open Society Initiative for
Europe, l'ala operativa di Open Society Foundations in Europa.
Qualche tempo fa, l'assessore agli affari sociali di una grande città italiana
ci spiegò con malcelato orgoglio come avesse deciso di migliorare sensibilmente
le condizioni di vita dei Rom nella sua città. Era riuscito a convincere il suo
sindaco a includere nel piano di utilizzo dei fondi destinati dal
Fondo Sociale
Europeo alla città una considerevole somma per il miglioramento delle condizioni
socio-sanitarie del campo nomadi. Vi era persino la possibilità che l'attuale
campo fosse distrutto invece che bonificato, e che poco distante se ne
costruisse uno nuovo composto da deliziose casette prefabbricate, in legno, con
tutte le comodità, persino i bagni. Così finalmente i nomadi della sua città
avrebbero vissuto in maniera dignitosa.
Più ci raccontava le sue intenzioni, più eravamo allibite. Questi, uomo di
sinistra e portatore d'idee progressiste si era sì dimostrato disponibile ad un
incontro, suggerito dalle associazioni locali, con noi in quanto rappresentanti
della fondazione che più si è investita nella causa Rom in Europa negli ultimi
vent'anni. Ma la presentazione dell'assessore, in totale buona fede, ci dimostrò
chiaramente perché in Italia esiste un grave problema Rom, e perché, in assenza
di un cambiamento di mentalità, nel quale tutti dovremo impegnarci, il problema
è destinato a perpetuarsi.
La causa principale del problema Rom in Italia sono infatti i cosiddetti campi
nomadi attrezzati, creati e gestiti con denaro del contribuente dalle pubbliche
amministrazione. In molti paesi europei esistono quartieri ghetto, ma in nessun
stato membro dell'UE vi sono villaggi creati dalle istituzioni appositamente per
concentrarvi persone appartenenti a una singola etnia. Questa si chiama
segregazione razziale, e persino la Commissione europea ha recentemente
riconosciuto l'equazione "nomadi-Rom" celata dal linguaggio dell'amministrazione
pubblica italiana. La segregazione è un comportamento vietato da tutte le norme
internazionali del dopo-guerra. Ma in Italia è una pratica corrente.
Campi segregati solo per Rom esistono nella maggior parte delle città italiane.
Li gestiscono cooperative scelte dalle amministrazioni locali, sulla base di
contratti secondo i quali queste si occupano di tutto, dal sostegno alla
scolarizzazione, alla raccolta dei rifiuti, alle telecamere di sorveglianza e
alle guardie private che verificano i documenti di chi entra e chi esce. I campi
sono perlopiù lontani dai centri abitati, senza alcun mezzo pubblico che
permetta ai residenti di raggiungere facilmente una scuola o un posto di lavoro.
Il conto per le amministrazione pubbliche è salato. Una ricerca di
Lunaria ha calcolato che, nella sola città di Roma, la gestione dei campi nomadi
sia costata al contribuente 86 milioni di euro tra il 2005 e il 2011.
Perché abbiamo campi etnicamente segregati in Italia? Tre le risposte più
comuni.
In primo luogo, secondo le amministrazioni pubbliche, perché Rom e Sinti
sarebbero nomadi, e avrebbero quindi bisogno di aree di sosta dove parcheggiare
i caravan e restare temporaneamente, in attesa di partire per altri lidi.
Secondo autorevoli studi scientifici, tuttavia, il nomadismo è oramai un
fenomeno limitato al 3% dei Rom. A parte qualche giostraio - che pur non viaggia
365 giorni l'anno e ha una casa dove torna regolarmente per lunghi periodi - non
c'è quasi nessun Rom o Sinto volontariamente nomade ai giorni nostri in Italia.
I "campi attrezzati" italiani, inoltre, sono luoghi di abitazione permanente. Le
case nei campi sono baracche o container, che nulla hanno a che vedere con
abitazioni amovibili.
Una seconda spiegazione data per l'esistenza dei campi è la 'pericolosità degli
zingari' - convinzione diffusa a tal punto dal determinare, solo pochi anni fa,
l'adozione di un' 'emergenza nomadi'. Utile dunque concentrarli per
sorvegliarli. Ma se viviamo in un paese di diritto, e se la legge è uguale per
tutti, perché non lo è anche per loro? Se un Rom commette un reato deve essere
trattato di conseguenza. Ma dalla fine della shoah e dell'apartheid, è
internazionalmente vietato attribuire a un gruppo il comportamento di singoli.
Una terza e ultima spiegazione è che i Rom avrebbero una cultura diversa:
desidererebbero stare tra loro e non mischiarsi agli altri. Si tratta in questo
caso di pregiudizi belli e buoni, frutto di ignoranza o razzismo, come
dimostrano le storie di tutti quei Rom fedeli alle proprie tradizioni culturali,
che lavorano, pagano regolarmente il mutuo, vivono in appartamenti, e i cui
figli si laureano. Ma che rimangono per la maggior parte invisibili, preferendo
nascondere la propria identità per timore d'insulti e discriminazioni.
Tornando al nostro assessore, il nostro stupore proveniva dall'insistenza a
voler segregare in un 'campo nomadi' persone che nomadi non sono. E anche dalla
convinzione che un campo malsano è vergognoso, ma un campo per soli Rom lucido e
stirato a nuovo va bene. I fondi Europei per il risanamento o la ricostruzione
dei campi Rom della città non sono mai stati stanziati. Un criterio di base per
la spesa dei fondi strutturali dell'UE è infatti la non-discriminazione su base
etnica.
L'Italia ha una delle popolazioni Rom più circoscritte d'Europa, circa 170 000
individui, ossia lo 0,3% della popolazione italiana (in Romania sono 2 milioni e
mezzo e 800 000 in Spagna). Si tratta per la maggior parte di cittadini
italiani, presenti sul territorio a iniziare dal quindicesimo secolo. Oppure di
immigrati in regola, arrivati di recente, in ondate successive, da ex-Jugoslavia,
Romania e Bulgaria. Immigrati irregolari non potrebbero d'altronde stare in
campi attrezzati e ricevere i servizi delle cooperative che li gestiscono.
Nonostante il numero ridotto, le politiche d'inclusione sociale della
popolazione Rom in Italia sono state fallimentari. Con il risultato che la
stragrande maggioranza dei Rom presenti nel territorio vive in condizioni di
estrema emarginazione sociale ed economica, perdendo di conseguenza ogni
interesse a essere parte attiva e costruttiva della società circostante.
E' tempo di proibire la pratica dei campi segregati in Italia. I soldi pubblici
che servono a mantenerli possono essere usati per integrare i residenti dei
campi tramite supporti all'impiego, all'abitazione e alla scolarizzazione, in
vista di un avviamento verso l'autonomia. Vi sono persone che compiono questo
cammino in maniera autonoma. Ma sia tra i Rom che tra i non Rom, non tutti ne
hanno la forza. I fondi pubblici dovrebbero essere usati per questi, non per
discriminare e segregare.
L'otto aprile è la giornata internazionale dei Rom e dei Sinti. Usiamo
quest'occasione per fare un esame di coscienza e aprire un nuovo capitolo nelle
nostre relazioni con i Rom, che faccia onore a tutti. Solo così si renderà
dignità e rispetto ai Rom, e alla società italiana che li ospita al proprio
interno.
Di Fabrizio (del 10/04/2014 @ 09:09:56, in Italia, visitato 1678 volte)
di ZELJKO JOVANOVIC*, 08 aprile 2014 su
Repubblica
Quando a New Orleans nel 1891 una turba inferocita, fomentata
dall'indignazione dell'opinione pubblica, fece irruzione nel carcere e avendovi
trovato undici appartenenti alla stessa etnia dei presunti rei, li sottopose a
linciaggio. Erano tutti italiani. Nel vostro Paese di oggi i Rom sono bersagli
di pregiudizi non dissimili da quelli che subirono, oltre un secolo fa, gli
immigrati italiani negli Stati Uniti
ROMA - All'epoca fu una notizia da prima pagina. Un funzionario di polizia era
stato ucciso e nove immigrati arrestati. I giornali accusarono i sospettati di
essere "accattoni sfaticati" e "criminali violenti". Una turba inferocita,
fomentata dall'indignazione dell'opinione pubblica, fece irruzione nel carcere,
e avendovi trovato undici appartenenti alla stessa etnia dei presunti rei, li
sottopose a linciaggio.
Tutte le vittime erano italiane. I fatti accaddero a New Orleans nel 1891,
quando gli Stati Uniti erano in preda a un clima di crudele razzismo rivolto
contro la recente ondata d'immigrazione proveniente dall'Italia. Quanto fosse
profonda quell'ostilità lo si comprende da un editoriale del "New York Times",
che elogiò il linciaggio considerandolo come un monito rivolto agli altri
potenziali "delinquenti" italiani. Lo stesso Theodore Roosevelt, poi divenuto
Presidente degli Stati Uniti, lo definì "una buona cosa". E adesso domandiamoci:
contro chi si scaglia oggi più comunemente l'accusa di essere "accattoni
sfaticati" e delinquenti? Contro chi si rivolgono certe aggressioni razziste
mirate, in cui le vittime sono percosse e a volte persino uccise? Contro il mio
popolo. Contro i Rom.
Razzismo e pregiudizi. Nell'Italia odierna, i Rom sono bersagli di un razzismo e
di un pregiudizio non dissimile da quello che subirono, oltre un secolo fa, gli
immigrati italiani negli Stati Uniti. Vediamo che trattamento riservano i media
italiani ai Rom: è dominato da reportage sui pogrom anti-rom, come quello
recente di Poggioreale, su reti criminali dedite al traffico di oggetti rubati e
persino di armi. Naturalmente, sarebbe sbagliato negare che vi siano delinquenti
fra i Rom. Ve ne sono, così come in ogni altro gruppo etnico; eppure oggi in
Italia sono in molti a sostenere e a votare esponenti politici portatori di un
messaggio di disumanizzazione e demonizzazione dei Rom.
La trappola dei campi col filo spinato. Ma vediamo anche quali politiche
adottano le autorità italiane nei confronti dei Rom. Chi rientra nella categoria
"nomadi" - è questo, infatti, il termine usato per definire i Rom e i Sinti -
rischia di ritrovarsi intrappolato, insieme a migliaia di altri, in campi
circondati da filo spinato, sorvegliati dalla polizia o da vigilantes privati;
questi campi, finanziati col denaro dei contribuenti italiani - 86 milioni di
euro solo per Roma tra il 2005 e il 2011, ricordano i tempi bui dell'apartheid.
Impossibile trovare, nell'Europa odierna, un esempio peggiore di segregazione
insita nelle politiche ufficiali dello Stato.
Lo stesso odio subito dagli italiani negli Usa. L'odio nei confronti dei Rom -
lo stesso odio razzista di cui gli italiani immigrati in America furono vittime
nel 1891 - si estende al di là dei confini dell'Italia. Secondo un rapporto
pubblicato di recente, negli ultimi 12 mesi, circa un Rom su tre presenti in
Europa è stato vittima di atti criminosi motivati dall'odio. Ciò costituisce una
minaccia per tutti, indipendentemente dall'appartenenza etnica o dall'identità
culturale di ognuno. Quel che conta è come si è percepiti, immaginati o definiti
dagli altri; e su questo, nessuno ha il controllo assoluto.
La definizione di noi stessi. Il comportamento di certi italiani, e di certi
loro governanti, nei confronti dei Rom non ha nulla a che vedere con la cultura
dei Rom né con il loro comportamento. Insomma, il problema non sono i Rom, bensì
quegli italiani, e quelle istituzioni dell'Italia, che vedono i Rom soltanto
attraverso la lente dei propri pregiudizi e delle proprie idee errate sulla
cultura Rom. Non parlo soltanto di rispetto della diversità o di protezione
delle minoranze, ma di qualcosa che va molto più in profondità, qualcosa che ci
riguarda tutti. Riguarda chi siamo noi come europei, cittadini della
"civilissima" Europa, come ci definiamo con orgoglio. Riguarda la definizione
che diamo di noi stessi, come esseri umani che sono stati vittime dell'odio in
passato o potrebbero esserlo in futuro. Riguarda ciò che la nostra umanità
significa davvero. I governanti europei che denunciano e sanzionano i crimini
dettati dall'odio commessi fuori dai confini dell'Unione potranno farlo da una posizione moralmente inattaccabile solo se avranno fatto il proprio dovere in
patria, così come meritano le loro nazioni "civili".
Le occasioni per l'Italia. Chi ha subito ingiustizie in passato è oggi nella
posizione ideale per denunciarle. Il ricordo dei pregiudizi subiti dovrebbe
mettere gli italiani in condizione di capire i Rom e tutti coloro che subiscono
atti dettati dall'odio: africani, musulmani, ebrei, gay, immigrati dall'Europa
centrale o dell'est. Così come ci sono voluti tanti leader americani per
trasformare la società americana, sta ai governanti italiani trasformare
l'Italia, e ai governanti europei trasformare l'Europa. Oggi hanno
un'opportunità di farlo per l'Europa. La prossima presidenza italiana
dell'Unione europea, le elezioni del nuovo Parlamento europeo a maggio, la
designazione della nuova Commissione europea e l'approvazione della nuova
finanziaria sono tutti momenti importanti per l'Italia. Il paese dovrebbe
mettere a frutto quest'occasione di porsi alla guida degli europei per far sì
che voltino le spalle all'odio.
Le Pen non può essere un alibi. Tutti i Le Pen, i Wilder, i Vona d'Europa non
possono essere un alibi per fare di meno, anzi devono motivarci a fare di più.
L'Italia dovrebbe cominciare con l'abbandonare la sua politica di rinchiudere
Rom e Sinti in campi speciali: questa politica richiama l'apartheid e si è
dimostrata ripugnante sul piano morale e insensata su quello economico. Se il
presidente del Consiglio dei ministri italiano, Matteo Renzi, deciderà di
cogliere quest'opportunità, contribuirà nel modo più profondo a rafforzare sia
l'Italia che l'Europa. E' tempo che l'Italia, forte della consapevolezza del suo
passato, si ponga alla testa di uno sforzo per costruire un'Europa in cui
nessuno abbia a subire umiliazioni o persecuzioni a causa della sua identità.
* Zeljko Jovanovic è il Direttore del programma Roma
Initiatives Office della Open Society Foundations
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