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8 aprile, giornata internazionale dei Rom e Sinti. È tempo di proibire la pratica dei campi segregati in Italia
Di Fabrizio (del 11/04/2014 @ 09:08:51, in Italia, visitato 1639 volte)

Pubblicato: 08/04/2014 17:47, di Costanza Hermanin Analista politico, Open Society Foundations. Scritto con Miriam Anati, responsabile dei progetti sostenuti in Italia da Open Society Initiative for Europe, l'ala operativa di Open Society Foundations in Europa.

Qualche tempo fa, l'assessore agli affari sociali di una grande città italiana ci spiegò con malcelato orgoglio come avesse deciso di migliorare sensibilmente le condizioni di vita dei Rom nella sua città. Era riuscito a convincere il suo sindaco a includere nel piano di utilizzo dei fondi destinati dal Fondo Sociale Europeo alla città una considerevole somma per il miglioramento delle condizioni socio-sanitarie del campo nomadi. Vi era persino la possibilità che l'attuale campo fosse distrutto invece che bonificato, e che poco distante se ne costruisse uno nuovo composto da deliziose casette prefabbricate, in legno, con tutte le comodità, persino i bagni. Così finalmente i nomadi della sua città avrebbero vissuto in maniera dignitosa.

Più ci raccontava le sue intenzioni, più eravamo allibite. Questi, uomo di sinistra e portatore d'idee progressiste si era sì dimostrato disponibile ad un incontro, suggerito dalle associazioni locali, con noi in quanto rappresentanti della fondazione che più si è investita nella causa Rom in Europa negli ultimi vent'anni. Ma la presentazione dell'assessore, in totale buona fede, ci dimostrò chiaramente perché in Italia esiste un grave problema Rom, e perché, in assenza di un cambiamento di mentalità, nel quale tutti dovremo impegnarci, il problema è destinato a perpetuarsi.

La causa principale del problema Rom in Italia sono infatti i cosiddetti campi nomadi attrezzati, creati e gestiti con denaro del contribuente dalle pubbliche amministrazione. In molti paesi europei esistono quartieri ghetto, ma in nessun stato membro dell'UE vi sono villaggi creati dalle istituzioni appositamente per concentrarvi persone appartenenti a una singola etnia. Questa si chiama segregazione razziale, e persino la Commissione europea ha recentemente riconosciuto l'equazione "nomadi-Rom" celata dal linguaggio dell'amministrazione pubblica italiana. La segregazione è un comportamento vietato da tutte le norme internazionali del dopo-guerra. Ma in Italia è una pratica corrente.

Campi segregati solo per Rom esistono nella maggior parte delle città italiane. Li gestiscono cooperative scelte dalle amministrazioni locali, sulla base di contratti secondo i quali queste si occupano di tutto, dal sostegno alla scolarizzazione, alla raccolta dei rifiuti, alle telecamere di sorveglianza e alle guardie private che verificano i documenti di chi entra e chi esce. I campi sono perlopiù lontani dai centri abitati, senza alcun mezzo pubblico che permetta ai residenti di raggiungere facilmente una scuola o un posto di lavoro. Il conto per le amministrazione pubbliche è salato. Una ricerca di Lunaria ha calcolato che, nella sola città di Roma, la gestione dei campi nomadi sia costata al contribuente 86 milioni di euro tra il 2005 e il 2011.

Perché abbiamo campi etnicamente segregati in Italia? Tre le risposte più comuni.

In primo luogo, secondo le amministrazioni pubbliche, perché Rom e Sinti sarebbero nomadi, e avrebbero quindi bisogno di aree di sosta dove parcheggiare i caravan e restare temporaneamente, in attesa di partire per altri lidi. Secondo autorevoli studi scientifici, tuttavia, il nomadismo è oramai un fenomeno limitato al 3% dei Rom. A parte qualche giostraio - che pur non viaggia 365 giorni l'anno e ha una casa dove torna regolarmente per lunghi periodi - non c'è quasi nessun Rom o Sinto volontariamente nomade ai giorni nostri in Italia. I "campi attrezzati" italiani, inoltre, sono luoghi di abitazione permanente. Le case nei campi sono baracche o container, che nulla hanno a che vedere con abitazioni amovibili.

Una seconda spiegazione data per l'esistenza dei campi è la 'pericolosità degli zingari' - convinzione diffusa a tal punto dal determinare, solo pochi anni fa, l'adozione di un' 'emergenza nomadi'. Utile dunque concentrarli per sorvegliarli. Ma se viviamo in un paese di diritto, e se la legge è uguale per tutti, perché non lo è anche per loro? Se un Rom commette un reato deve essere trattato di conseguenza. Ma dalla fine della shoah e dell'apartheid, è internazionalmente vietato attribuire a un gruppo il comportamento di singoli.

Una terza e ultima spiegazione è che i Rom avrebbero una cultura diversa: desidererebbero stare tra loro e non mischiarsi agli altri. Si tratta in questo caso di pregiudizi belli e buoni, frutto di ignoranza o razzismo, come dimostrano le storie di tutti quei Rom fedeli alle proprie tradizioni culturali, che lavorano, pagano regolarmente il mutuo, vivono in appartamenti, e i cui figli si laureano. Ma che rimangono per la maggior parte invisibili, preferendo nascondere la propria identità per timore d'insulti e discriminazioni.

Tornando al nostro assessore, il nostro stupore proveniva dall'insistenza a voler segregare in un 'campo nomadi' persone che nomadi non sono. E anche dalla convinzione che un campo malsano è vergognoso, ma un campo per soli Rom lucido e stirato a nuovo va bene. I fondi Europei per il risanamento o la ricostruzione dei campi Rom della città non sono mai stati stanziati. Un criterio di base per la spesa dei fondi strutturali dell'UE è infatti la non-discriminazione su base etnica.

L'Italia ha una delle popolazioni Rom più circoscritte d'Europa, circa 170 000 individui, ossia lo 0,3% della popolazione italiana (in Romania sono 2 milioni e mezzo e 800 000 in Spagna). Si tratta per la maggior parte di cittadini italiani, presenti sul territorio a iniziare dal quindicesimo secolo. Oppure di immigrati in regola, arrivati di recente, in ondate successive, da ex-Jugoslavia, Romania e Bulgaria. Immigrati irregolari non potrebbero d'altronde stare in campi attrezzati e ricevere i servizi delle cooperative che li gestiscono.

Nonostante il numero ridotto, le politiche d'inclusione sociale della popolazione Rom in Italia sono state fallimentari. Con il risultato che la stragrande maggioranza dei Rom presenti nel territorio vive in condizioni di estrema emarginazione sociale ed economica, perdendo di conseguenza ogni interesse a essere parte attiva e costruttiva della società circostante.

E' tempo di proibire la pratica dei campi segregati in Italia. I soldi pubblici che servono a mantenerli possono essere usati per integrare i residenti dei campi tramite supporti all'impiego, all'abitazione e alla scolarizzazione, in vista di un avviamento verso l'autonomia. Vi sono persone che compiono questo cammino in maniera autonoma. Ma sia tra i Rom che tra i non Rom, non tutti ne hanno la forza. I fondi pubblici dovrebbero essere usati per questi, non per discriminare e segregare.

L'otto aprile è la giornata internazionale dei Rom e dei Sinti. Usiamo quest'occasione per fare un esame di coscienza e aprire un nuovo capitolo nelle nostre relazioni con i Rom, che faccia onore a tutti. Solo così si renderà dignità e rispetto ai Rom, e alla società italiana che li ospita al proprio interno.