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Ancora sulla mediazione culturale
Di Fabrizio (del 16/04/2014 @ 09:06:37, in lavoro, visitato 1969 volte)

Chiedevo pareri settimana scorsa. Ho raccolto qualche MI PIACE su Facebook e basta, come va di moda in questi periodi di afasia, in cui tutti ci sono, ma ancora non hanno capito perché. Più articolato un tweet da U VELTO:

    @info_mahalla @Ass_21_luglio noi siamo convinti della bontà del progetto, ma le questioni poste dovrebbero portarci ad una seria discussione

che comunque non fornisce molti elementi.

Così il sospetto è che queste prime (chiamiamole) risposte, siano il corrispettivo di un PAT PAT sul testolone: Bravo ragazzo, ma perché non parliamo delle solite cose trite e ritrite? Facciamo finta di niente, e tra un po' nessuno si ricorderà niente. PILLOLA ROSSA o PILLOLA BLU?

Allora ci riprovo, che al solito mi tocca da fare tutto da solo. Al mio autismo aggiungo un po' di peperoncino, quello tipico di Mahalla, vedendo se qualcuno si sveglia.

Io credo che la questione della mediazione abbia assunto un aspetto MERAMENTE CULTURALE, e vada riportata coi piedi per terra per evitare fallimenti o fraintendimenti futuri.

Il primo dato di fatto, era il SOSTANZIALE ESAURIMENTO delle politiche di mediazione del passato. Tra gli aspetti di questa crisi:

  • l'abbandono a se stessi dei mediatori passati;
  • lo svilimento del ruolo, che non avendo mai avuto competenze e orari ben definiti, non si è mai tramutato in una professione, né tantomeno ha generato introiti interessanti per i mediatori, che quindi hanno finito per vederlo come una soluzione (personale) di ripiego.

Il fatto che non sia facile avere un quadro del destino, della storia di questi mediatori, e nel contempo un bilancio dei risultati ottenuti, mette un'ipoteca su come continuare.

L'altro aspetto critico è che questi mediatori, chiusi in un ruolo ibrido che nel mondo del lavoro è difficilmente classificabile, in passato erano soprattutto persone mature di riferimento per la comunità, oggi vanno caratterizzandosi come giovani rom e sinti, che potrebbero entrare nel mondo degli studi (da quelli primari a quelli universitari) e del lavoro.

IMPORTANTE: non è solo un parametro economico. In che ambiti opera un mediatore? Lui per prima vive la ghettizzazione, nel campo e con i suoi abitanti, e rapportandosi col mondo esterno solo attraverso figure di riferimento altrettanto mediate. Un muratore, un facchino, ma anche uno studente, non solo hanno più possibilità di carriera, ma sono obiettivamente meno isolati dalla società maggioritaria (e reale).

Però, anche se si ripete che occorrerebbe investire in istruzione e formazione lavoro, da tempo s'è formata una strana alleanza tra burocrati europei e autonominatisi rappresentanti di rom e sinti (che questi rappresentanti siano gagé, come nel passato, o rom e sinti come sta succedendo ultimamente, non cambia la logica). Un effetto collaterale di questastrana alleanza, è che la mediazione da luogo a congressi, convegni, tavole rotonde...  La mediazione diventa un po' come l'università nella società nostra: non più un trampolino verso un miglioramento personale e sociale, ma parcheggio per giovani che il mercato del lavoro non può e non vuole assorbire (o non sa come farlo).

Tutti questi aspetti mi portano a concludere che l'opportunità non sta nella carriera di mediatore culturale, ma nell'organizzazione dei corsi e di tutta la campagna per formare queste figure perché, se ormai abbiamo imparato che i campi-sosta sono ghetto e business, dovremmo coerentemente dare un occhio ad altri aspetti similari dello zingarificio italiano ed europeo.

Ciliegina finale: candidata alle elezioni europee troviamo proprio la responsabile italiana di ROMED2-ROMACT, e allora questa candidatura potrebbe essere meno folkloristica che nelle tante volte passate, anche se da scommettitore non sarei sicuro che Tsipras possa essere il cavallo più adatto alla corsa verso Bruxelles.

Ne riparliamo settimana prossima, se il peperoncino di Mahalla non è bastato si può sempre aumentare la dose. COME SEMPRE, SENZA OFFESA.