Rom e Sinti da tutto il mondo

Ma che ci fa quell'orologio?
L'ora si puo' vedere dovunque, persino sul desktop.
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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 02/11/2013 @ 09:08:29, in media, visitato 1426 volte)

Mymovies.it

Un film di Joanna Kos, Krzysztof Krauze. Con Jowita Budnik, Antoni Pawlicki, Artur Steranko, Andrzej Walden, Zbigniew Walerys Biografico, durata 131 min. - Polonia 2013. MYMONETRO Papusza * * 1/2

Papusza ("bambola" in lingua Rom) è Bronislawa Wajs (1908 - 1987), vissuta in Polonia. E' la prima poetessa di etnia zingara di cui siano state pubblicate le opere. Poco dopo la nascita le viene predetto un futuro di onore, ma anche di dolore e di vergogna. Da bambina apprende a leggere e a scrivere in segreto, sfidando i divieti della tradizione familiare e del clan. Dopo essere scampata al genocidio operato dai nazisti (35.000 polacchi di etnia Rom furono uccisi nel corso della II Guerra Mondiale), la sua famiglia vende Papusza a uno zio più anziano, leader di una banda musicale, che la sposa. Nel 1949 lo scrittore ed etnografo Jerzy Fikowski, perseguitato dalla giustizia del regime comunista, si rifugia nel campo di gitani dove vive Papusza. Inizia a conoscere il modo di vivere degli zingari, le tradizioni e la musica e, pur essendo un gadjo (ovvero un non-Rom) impara i rudimenti della loro lingua. Poco a poco intreccia una sincera amicizia con Papusza. La donna giunge a recitargli i suoi poemi in cui si mescolano passato e presente. Fikowski la invita a trascriverli. Nel 1951 l'uomo, essendo stato amnistiato, torna a Varsavia e pubblica un libro su storia, usi e costumi degli zingari polacchi, dopo aver ottenuto l'appoggio di alcuni intellettuali influenti. Nel frattempo il governo emette un decreto legge che impone agli zingari di abbandonare la loro vita nomade itinerante e li costringe a stabilirsi in case di muratura. La vita dei Rom diventa misera. Papusza, costretta dalla necessità (il suo bambino malato ha bisogno di cure), scrive a Fikowski e gli invia i suoi scritti poetici. Quest'ultimo riesce a farli pubblicare e a farle pervenire un compenso. Tuttavia, ben presto, i gitani iniziano ad accusare Papusza di aver rivelato i loro segreti e le loro tradizioni ataviche, attraverso i suoi scritti. La donna deve quindi subire l'ostracismo del suo stesso popolo, vive nell'isolamento ed è frastornata dai sensi di colpa. I coniugi Krauze hanno scritto e realizzato un biopic senza dubbio interessante e non privo di alcuni momenti commoventi.

Il contenuto drammatico, e a tratti poetico, del film, girato in bianco e nero, è esaltato dalla ampia gamma di toni della fotografia curata da Krzysztof Plak e da Wojciech Staron. Inoltre un altro merito viene dal fatto che buona parte di Papusza è parlato in idioma Rom, con presenza di attori coadiuvanti gadzi. La messa in scena, pur rispettosa delle tradizioni gitane, appare piuttosto convenzionale e la rappresentazione della vita nell'accampamento mostra spesso immagini stereotipate.
Peraltro, nonostante diverse sequenze enfatiche e una recitazione dei protagonisti spesso sopra le righe, non mancano alcuni momenti di efficace e sincera evocazione di una figura femminile dignitosa, sensibile e sofferente. La narrazione non avviene secondo una scansione cronologica tradizionale e si sviluppa attraverso una mescolanza di flashbacks e flashforwards di epoche diverse del secolo scorso. I registi vorrebbero forse far intendere la peculiare concezione del tempo e della storia nella cultura dei Rom, ma indeboliscono la carica emotiva del film. In sintesi siamo lontani dalla credibilità dei film di Tony Gatlif, regista franco-algerino di etnia Rom, ma anche, fortunatamente, dagli eccessi strumentali dei film di Emir Kusturica dedicati agli zingari.

 
Di Fabrizio (del 28/10/2013 @ 09:05:32, in media, visitato 2221 volte)
Rassegna stampa:

Vigna by Mauro Biani

Si sente dire: "Non siamo noi i razzisti, sono quelli ad essere zingari". Parafrasando "Loro sono zingari, ma noi siamo fumati parecchio"...

Della vicenda greca se n'è scritto in ogni angolo possibile, e non vorrei ripetere cose già lette all'infinito. La sintesi potremmo racchiuderla in questo titolo di TVZoom:

ASCOLTI: "PECHINO EXPRESS" FA IL PICCO CON L'ELIMINAZIONE DEI CIAVARRO. LA SCIARELLI TORNA A 3 MILIONI CON LA STORIA DELLA BIMBA RAPITA DAGLI ZINGARI:

Record di telespettatori per Real Madrid-Juventus e "ha fatto molto meglio del previsto su Rai Tre Chi l'ha visto?. Il programma di Federica Sciarelli puntando su un archetipo della paura (gli zingari che rubano i bambini) divenuto d'attualità, è tornato a quota 3 milioni (e 11,42% di share), un risultato finalmente vicino a quello raggiunto di solito con l'edizione dello scorso anno." con qualche (personale) riserva su cosa sia oggi il giornalismo d'inchiesta, dopo decenni di tagli alla scuola e con un'informazione quasi totalmente uniformata. Non è che ci si possa aspettare molto discernimento critico da telespettatori (che sono anche lettori, che sono anche internauti...) bombardati in questi maniera. E forse, più che sui Rom, di cui si continua a conoscere poco, la mia gente dovrebbe interrogarsi su se stessa, che se va avanti così conoscerà parimenti.

    (NOTA: i liberi pensatori possono astenersi dal ragionare su come siamo arrivati a questo punto, perché sono anni che ripetono i loro lamenti)

Già, perché la notizia si è diffusa a macchia d'olio in tutto il mondo, facendo della povera Maria carne da stampa, sino all'ipocrisia del Messaggero che, quando la foto della minore era già di dominio pubblico, ha iniziato a illustrare gli articoli con una foto corretta come deontologia consiglierebbe (ma proprio quando non era più necessario).

    Farei una prova, per capire cosa è quella robetta bionda per cui in tanti si commuovono: cosa fate quando una piccola mendicante vi si avvicina sulla metropolitana, le date qualche spicciolo o vi stringete la borsa?

Ma almeno a qualcosa gli zingari si mostrano utili: ad alzare lo share dei programmi televisivi (tranne quando se ne parli seriamente, come in una dimenticata serie curata da Jacona) o le tirature dei giornali. Basta la parola!

Negli ultimi dieci giorni ho così seguito con attenzione i vari scambi di opinioni sui social-media. La fetta consistente di chi argomentava anti-rom, posso dividerla in due filoni principali:

  1. chi non aveva nessun bisogno di questa vicenda, perché è intimamente, profondamente e ideologicamente convinto che i rom freghino i pargoli altrui (perché? in che modo? sono domande troppo da intellettuali per loro);
  2. chi pensa che magari i bambini no, ma qualcosa fregano comunque e dunque: ben gli sta!

Nel post pubblicato ieri su ragionava come queste due pulsioni vengano "capitalizzate" dalla destra populista, che sente l'avvicinarsi delle elezioni europee. In Italia, anche le nostre variegate destre hanno trovato qualcosa che le unisce (un secondo motivo dell'utilità degli zingari). Cito, in ordine sparso:

Senza entrare nel merito delle dichiarazioni e dei ragionamenti, le richieste simili sono fondamentalmente ASTORICHE:

  • nel senso che nel motivare la necessità ORA di controlli a tappeto, c'è il timore che i campi siano depositi di bambini rapiti, o in subordine, di materiale di dubbia provenienza. Che siano cose o infanzia, (cosa cambia?), la segreta speranza è che con un'indagine generale, magari salti fuori almeno un orologio riciclato, per continuare immutati con i medesimi stereotipi.
  • Cosa astorica, perché a questo punto la richiesta poteva essere fatta paro paro uno o dieci anni fa, coi medesimi risultati.

Inutile ripeterlo, i controlli già ci sono, e i risultati sono stati resi pubblici: per loro è più importante che le voci si sovrappongano all'indagine.

Intanto, ironia del destino, proprio mentre nasceva la notizia greca, nei campi romani avveniva effettivamente un controllo: Blitz a sorpresa dei senatori nei "campi rom" della Capitale, dal "sorprendente" risultato che quei campi fanno schifo!

    Ma, a parte il surreale duello a distanza tra populisti e buonisti, la vita REALE di chi abita (volente o meno) un campo, è un susseguirsi di controlli: una volta sono i senatori, un'altra la polizia, un'altra ancora perché in Grecia o in Irlanda è successo qualcosa, un'altra ancora perché si è costruito una pensilina abusiva o addirittura si è piantato un albero... Un vero supplizio! E, nonostante ciò, si continua a parlare di SUPERARE I CAMPI... che continuano imperterriti ad esistere.

Perché continuano ad esistere? Il surreale continua, il 90% di chi abita un campo è disoccupato, ma se questi campi dovessero sparire, molti che non vi abitano finirebbero disoccupati a loro volta (terzo motivo dell'utilità degli zingari, ormai si è scoperto che senza di loro non potremmo sopravvivere).

Così, tra una notizia e l'altra, finisce che i veri rapiti sono i figli LEGITTIMI dei rom, e li rapiamo noi (a nostra insaputa, anche se non ci chiamiamo Scajola). C'è un convegno a Roma, domani, proprio su questo, e singolarmente ne hanno scritto pochissimi. A parte che (l'ho notato anch'io), mancano rom tra i relatori, in questa marmellata di informazioni e propaganda a volta sembra di vivere realtà parallele, e mi sembra giusto segnalarlo (quarto motivo, al di là dello specifico dell'incontro, gli zingari servono ad organizzare convegni).

Convegno da seguire, allora. Certo, ma il problema, tornando al punto iniziale su cosa siamo NOI, lo ricorda Radio24: "...una vecchia paura mai sopita e al tempo stesso mai provata: i Rom rapiscono i bambini. Timori infondati frutto di pregiudizi difficili da sradicare, ribattono dalle comunità Sinti. Resta, su tutto, un dato inquietante e generale: l'alto numero di minori che scompaiono ogni anno nel mondo. Solo in Italia, per avere un'idea, sono più di diecimila quelli spariti dal 1974 a oggi. Le cause sono molteplici e i ritrovamenti pochissimi." Domanda, se non sono stati gli zingari, qualcuno li avrà pure rapiti: chi? Dove sono finiti? E' questo o sono gli zingari il vero, scottante problema?

 
Di Fabrizio (del 23/10/2013 @ 09:00:07, in media, visitato 1775 volte)

Appunti per un racconto poco buonista

G. spense il computer. Dopo anni che il mondo lo ignorava, anche lui aveva avuto l'onore di un articolo pubblicato. Sui Rom, per dimostrare, lui e la rivista, che nessuno tranne loro si occupava di quella gente strana.

Un bell'articolo, pensò G. soddisfatto. Una faticaccia, copiare... raccogliere frammenti di ragionamenti... passare il tutto al frullatore e tradurlo nel linguaggio che la rivista adoperava per gli iniziati... G. non si ricordava un concetto che fosse suo, a dire il vero non si ricordava niente di cosa aveva scritto. Sì: tutto perfetto!

Nella baracca la mamma era tornata dall'ospedale con Carmela, ultima nata di 6 figli. Il padre, ubriaco, stava litigando col portatile di P., un volontario che voleva per forza fargli leggere tutte le 5.000 parole (con tutti gli accenti giusti) scritte da G. Il padre non guardò neanche la bimba, e non capì niente di quella lingua che forse era l'italiano. Sentì P. differente da lui: perché P. avrebbe voluto scrivere lui quelle boiate, e perché P. se ne fregava di lui, il padre, il capofamiglia, e della sua fatica, e dopo avergli messo in mano il computer stava facendo i complimenti a quella bimba che aveva visto solo da qualche minuto.

U. dell'associazione RomAlQuadrato, stava scrivendo un commento di fuoco contro le tesi di G., dicendo che non capiva un tubo e che voleva "arrogarsi di rappresentare il popolo Rom". Neanche U. aveva letto l'articolo, ma se la prendeva con G. non potendo fare lo stesso con R., rom anche lui, ma dell'associazione RomAlCubo, perché anche lui voleva parlare a nome di tutti i Rom .

P. spiegò alla madre mentre lei stava preparando la cena, che ora tutti volevano scrivere di Rom... era stato P. stesso, qualche anno prima, a raccontare loro che nessuno voleva scriverne, quando rubò loro la prima intervista. Il padre era ancora arrabbiato perché non aveva capito niente, e non potendo urlarlo a G., gli prese un rancore sordo verso P. che continuava a parlare e parlare.

La cena era pronta, P. si fermò a mangiare. Senza smettere di parlare, propose un brindisi alla nascita di Carmela.

 
Di Fabrizio (del 21/10/2013 @ 09:03:29, in media, visitato 3241 volte)

Vi propongo un gioco: sapreste spiegare (senza sbirciare Wikipedia) la differenza tra notizia e notiziabilità?

Io non sarei capace, e mi piacerebbe discutere con voi lettori su alcuni appunti che ho preso riguardo al presunto rapimento da parte di una famiglia rom di una bambina in Grecia.

  1. Pochi se ne ricordano, e non ho trovato niente su Google. Alcuni anni fa sempre in Grecia ci fu un caso simile (una bambina sottratta ai genitori "forse" adottivi, perché dei turisti italiani ritennero che non era figlia di quei rom). Indagini successive smontarono la tesi di chi aveva denunciato il caso, e tutto finì nel dimenticatoio.
  2. Se l'interesse "generale" è la tutela dei minori, perché quello che emerge dalle cronache (in meno di un giorno la notizia ha fatto il giro del mondo) è l'etnia dei "presunti rapitori"? E' responsabilità solo dei media, o siamo noi lettori che in questa notizia abbiamo visto prima di tutto quel particolare?
  3. Ovviamente, di fronte ad una denuncia, la polizia non poteva agire differentemente. Ma, altrettanto ovviamente, nella tutela del minore la polizia ha voluto mantenere il caso come riservato. La notizia è quindi circolata, per responsabilità della stessa OnG a cui è stata affidata la bambina: "Il sorriso del bambino". Possiamo noi lettori ritenere che così abbia fatto l'interesse della bambina o della sua OnG?
  4. Il direttore della stessa (cito testuale) dice: "La bambina è più sollevata” rispetto ai primi giorni[...], per la prima volta è circondata da persone che si prendono cura di lei." Eppure, di tutte le foto che circolano in rete (alla faccia della tutela dei minori) non ne ho visto una dove la bambina sorrida.
  5. Sul fatto in sé, possiamo anche dividerci in "innocentisti" o "colpevolesti". In ogni caso, ci affideremmo a quanto dicono la famiglia, i suoi avvocati o viceversa gli inquirenti. Tutta gente che non conosciamo e di cui sinora ignoravamo l'esistenza. Può bastare per non fidarsi della prima impressione che ci siamo fatti?
  6. Se proprio proprio si trattasse di rapimento, basterebbe per giudicare questo fatto come intrinseco alla cultura di un popolo? O no? Insomma, è una notizia da cui abbiamo l'ISTINTO di difenderci per colpe non commesse?
  7. Se invece l'accusa si rivelasse infondata, quanto ce ne rimarrà nella nostra memoria profonda?
  8. Otto anni fa, in un articolo pubblicato sulla PadaniaOnline (non più disponibile), a proposito di un'altra bambina scomparsa si scrisse (spostando il soggetto dai rapimenti ai rom): "nel 30% dei casi in cui si e' proceduto all'analisi del DNA non si e' trovata alcuna correlazione tra i bambini e i supposti genitori? Forse perche' fanno tanti figli e poi se li scambiano tra di loro?" Chiesi allora, volendo ingenuamente ragionare sulle cifre: "Ma nel caso di genitori non Rom, quest’analisi, che risultati ha dato?" Nessuno seppe rispondere, per la semplice ragione che dati simili non esistono.
  9. Con l'ultimo punto, potrei smentire tutti quelli precedenti. Un gruppo di Rom che conosco da anni: una volta ogni famiglia era solidale con l'altra, ma ora ognuno si fa i fatti propri. In passato, se dei bambini, per una causa qualsiasi, non potevano contare su neanche un genitore, era una famiglia del campo che li adottava e li cresceva, e le altre famiglie cooperavano se c'era bisogno. Ora, non succede più, forse stanno integrandosi, e certamente la polizia allora sarebbe potuta intervenire (col rischio di una rivolta di tutta la comunità) mandando quei bambini in una struttura protetta. Eppure, io ho sempre trovato più umana quella pratica di anni fa.
  10. Mi rendo conto che l'ultimo punto potrebbe essere non pertinente con la sottrazione di minore (magari c'era a monte un accordo tra le famiglie). Ma su quale base saremmo in grado di fare gli adeguati distinguo?

Direi allora che la differenza tra notizia e notiziabilità dipende da una serie di ingredienti, forniti dai nostri pre-giudizi e da quelli di chi fa circolare una notizia. La mia sensibilità e la mia esperienza suggeriscono i punti che ho elencato sopra, ma ovviamente OGNI notizia che ci raggiunge rischia di essere manipolata.

Da questo punto di vista, sto tentando di imparare a diffidare della marea di notizie che, volente o nolente, mi vengono servite ogni giorno. Ma, parte questo, non trovate anche voi che ultimamente sui Rom (caso Leonarda, Grecia, bimba Osmannoro) stia prevalendo il taglio sensazionalistico?

 
Di Fabrizio (del 15/10/2013 @ 09:00:10, in media, visitato 2612 volte)

Segnalazione di Franco Marchi

Scritto da Giovanni Pili 13 ottobre 2013 su

Dopo la bufala sul "Vendola pedofilo", la pagina di Catena Umana Italia ci delizia con una nuova perla; quella dei Rom che getterebbero cibo donato loro, nei cassonetti. La lettera, firmata da un certo Damiano Angeli, fa riferimento ad un gruppo di "clandestini/rifugiati politici". Facciamo notare che i Rom sono cittadini italiani, inoltre non si può essere allo stesso tempo clandestini e rifugiati; tra l'altro secondo Angeli percepirebbero un sussidio di "€45 giornalieri oltre che all'alloggio nei rispettivi stabili", ma questo rende ancora più confusa la descrizione dell'autore.



Se percepisci un sussidio significa che sei regolare. Oltre a questo i suddetti "Rom/clandestini/rifugiati" si trovano - guarda un po' - vicino ad una ditta che confeziona cibo per le mense. Lo testimonia, nella pagina, proprio una ragazza che abita in zona, il cui commento è stato ignorato dagli amministratori. Del resto chi fa girare la lettera non si preoccupa minimamente di spiegarci chi sia l'autore, giusto per capire se per caso non abbia interessi personali o ideologici.



La foto allegata alla "notizia" non significa un fico secco, del resto i cibi dopo un certo periodo di tempo hanno questo vizio - poco patriottico - di decomporsi e andare a male. Tutte le attività economiche alimentari sono tenute a gettar via il cibo scaduto o invenduto. Non è colpa dei clandestini.

Cercando la fonte della lettera scopriamo che questa è rimbalzata anche su Tutti i Crimini degli Immigrati, un sito chiaramente "tollerante e tendente a verificare le notizie", come quando recentemente hanno delirato di uno stupro commesso dai profughi di Lampedusa ai danni di una ragazzina imbarcata assieme a loro. Ovviamente non era vero niente. Basta leggere con attenzione il testo che loro stessi hanno copia-incollato.

Francamente non sappiamo cosa sia peggio, se sprecare una cotoletta o l'intelligenza di chi legge, commenta, e magari fa finta di non vedere un suo simile, gettato da un barcone, morire annegato.

 
Di Fabrizio (del 29/09/2013 @ 09:08:18, in media, visitato 1712 volte)

Informazione scorretta, incitamento all'odio e discriminazione ai danni di rom e sinti: nei media italiani avviene più di 3 volte al giorno. E' quanto sostiene il rapporto "Antiziganismo 2.0" presentato oggi dall'Osservatorio 21 luglio, un progetto di monitoraggio della stampa italiana e dei siti web dell'Associazione 21 luglio contro le discriminazioni nei confronti della comunità rom. La ricerca è stata condotta dal 1 settembre 2012 al 15 maggio 2013; otto mesi e mezzo durante i quali sono stati monitorate oltre cento fonti di informazione, mettendo sotto la lente d'ingrandimento dichiarazioni dei politici, articoli, slogan elettorali e altro ancora. 852 le segnalazioni incriminate sulle oltre 2 mila su cui i volontari dell'Osservatorio hanno concentrato l'attenzione. Articoli, dichiarazioni di politici o cittadini comuni e altro che per il 56 per cento dei casi è stato indicato come "informazione scorretta" (482 casi), mentre quelli in cui l'Osservatorio ha ritenuto di trovare affermazioni incitanti all'odio o discriminanti sono 370, il restante 44 per cento, facendo registrare 1,43 casi al giorno di incitamento all'odio e discriminazioni e 1,86 episodi di informazione scorretta.

Politici, primi a discriminare. Analizzando le fonti da cui provengono i messaggi discriminanti e incitanti all'odio, i quotidiani risultano essere, sia nelle versioni cartacee che in quelle online, i principali mezzi coinvolti con il 63 per cento dei casi. Tuttavia sono gli esponenti politici i primi a discriminare. Autori della maggior parte dei messaggi incriminati, da soli hanno fatto registrare il 75 per cento dei casi. Al secondo posto, col 16 per cento dei casi i privati cittadini. Seguono giornalisti e ufficiali dello Stato. Ai partiti di destra o centro destra è attestabile, secondo l'Osservatorio, il 59 per cento dei casi. La Lega Nord è il partito a cui appartegono i politici di cui sono state segnalate le dichiarazioni sotto accusa, col 24 per cento dei casi (90 segnalazioni). Segue il Popolo della libertà, col 20 per cento dei casi (74 segnalazioni). Al terzo posto, ma La Destra con l'8,5 per cento dei casi.

Una "costante endemica" del panorama politico italiano. Lo studio ha riservato particolare attenzione al periodo preelettorale per le elezioni politiche nazionali dell'inizio del 2013. Ma dai dati non emerge un'impennata di dichiarazioni discriminanti, evidenziando "una sorta di assuefazione al discredito nei confronti delle comunità rom, talmente abituale e condiviso da non subire modificazioni statistiche laddove il senso comune ne suggeriva l'enfatizzazione, cioè durante i periodi di campagna elettorale". Per quanto riguarda la provenienza geografica delle segnalazioni, il Lazio si piazza al primo posto, col 33 per cento dei casi, e Roma risulta essere la città da cui provengono maggiormente tali messaggi, con 118 segnalazioni. Segue la Lombardia, col 22 per cento, ad una certa distanza l'Emilia Romagna, con il 7 per cento, il Veneto (6,4 per cento) e il Piemonte (6 per cento).

Stampa, cattiva maestra. Protagonisti assoluti dell'informazione scorretta, invece, i giornalisti, a cui l'Osservatorio addebita il 99 per cento dei casi di cattiva informazione su rom e sinti, con 477 segnalazioni. Quasi la totalità dei casi. Prima fra tutte le testate il Corriere della Sera, con tutte le sue numerose edizioni locali, che con 62 segnalazioni raggiunge il 12, 9 per cento di tutte quelle prese in esame. Segue Il Tirreno (52 segnalazioni, l'11 per cento), Il Giorno (39 segnalazioni, 8 per cento), Il Messaggero (36 segnalazioni, 7,5 per cento) e il Tempo, che insieme a La Repubblica (con le edizioni locali) raggiunge il 6 per cento delle segnalazioni. Seguono Il Giornale, Il Mattino di Padova e Il Centro, ma anche se lontane dalla cima della classifica, le segnalazioni riguardano anche le altre maggiori testate nazionali. La provenienza geografica della cattiva informazione su rom e sinti in Italia vede in testa la Lombardia, seguita da Lazio, Toscana, Veneto e Abruzzo, ma anche in questo caso è Roma la città da cui provengono la maggior parte delle segnalazioni (93), seguita da Milano (80). (ga-RS)

 
Di Fabrizio (del 18/09/2013 @ 09:04:21, in media, visitato 1328 volte)

Cari lettori di Mahalla:

Mi chiamo Belén Kayser; sono giornalista e anche responsabile dei contenuti su Nawta.com, un progetto molto personale che io e il mio compagno abbiamo lanciato il maggio scorso. Conversiamo - non intervistiamo - con persone che abbiano un progetto creativo in corso. Il nostro primo ospite è stato un "gagio", Moritz Pankok, direttore artistico che gestisce un Atelier su Sinti e Rom. Pensiamo che possiate trovarlo interessante ed è per questo che lo condividiamo oggi con voi.

Nel caso abbiate bisogno o vogliate ulteriori informazioni, fatecelo sapere.

Cordiali saluti,

Belén

Creaversation with Moritz Pankok from

L'art director "gagio" Moritz Pankok ha deciso di smettere di creare, progettare e realizzare scene per i migliori teatri tedeschi e vuole ritrovare le sue origini. La sua infanzia e suo nonno, un romanì, l'hanno marcato in modo indelebile. "L'epopea dei Sinti e dei Rom è una storia di fughe, esodi, che in Germania è ancora più significativa a causa del nazismo." Perché qualcuno dovrebbe abbandonare un'attività ben retribuita e creativa? "Per fornire uno spazio a bravi artisti che sono scarsamente conosciuti e hanno il doppio impegno di trovare un posto nell'arte e nella società di oggi." E questo posto è Kai Dikhas, "Posto da vedere".

Per saperne di più sulla realizzazione del reading "Sinti and Roma: A tale of scape" Qui la versione spagnola

  • Se vuoi sapere di più su Nawta, leggi il nostro Manifesto.
  • Se vuoi fqar parte della nostra comunità, unisciti a Nawtabe.
  • E se vuoi leggere un Nawta quotidiano, unisciti al blog.
 
Di Fabrizio (del 11/09/2013 @ 09:02:46, in media, visitato 1368 volte)



La Fondazione romanì Italia ringrazia tutti i partecipanti al II congresso delle comunità romanès e delle associazioni a Silvi Marina il 7 ed 8 Settembre 2013.
Gli atti del II congresso delle comunità romanès e delle associazioni saranno prodotti con la realizzazione di un numero speciale della rivista ROMA cultural magazine che sarà disponibile presumibilmente entro la metà di Ottobre 2013.

07 settembre 2013
SILVI MARINA (Te) - Il riconoscimento della minoranza linguistica rom; il passaggio dalla mediazione alla partecipazione attiva; la necessità di una politica per la cultura romanì: sono stati i temi al centro della prima Giornata delle comunità romanè che si tiene oggi e domani a Silvi Marina, in provincia di Teramo. Un centinaio i partecipanti, in rappresentanza di associazioni rom e non rom, assieme a un delegato dell'Unar e a docenti dell'Università di Bologna.
Trovare soluzioni concrete per il miglioramento delle condizioni della popolazione romanes, "senza attribuire responsabilità ad altri" e senza "rifugiarsi in un pericoloso fatalismo persecutorio": è l'obiettivo del congresso secondo quanto affermato da Nazareno Guarnieri, presidente della Fondazione romanì che ha promosso l'iniziativa.
Guarnieri ha aperto l'evento affermando che "questo non vuole essere l'ennesimo congresso per denunciare le responsabilità di altri e continuare a progettare strategie che si sono rivelate fallimentari".
L'importanza del riconoscimento. Guarnieri ha poi affrontato il tema del riconoscimento della minoranza linguistica rom, che è stato richiesto da alcune proposte di legge negli ultimi anni: "tutti la vogliono la nessuno la porta avanti", ha detto, sottolineando che sarà un tema fondamentale in futuro perché "presupposto essenziale per qualsiasi politica culturale e di inclusione".

La mediazione, un fallimento. "Negli ultimi anni sono stati formati 1400 mediatori rom, ovvero 1400 disoccupati", ha poi aggiunto Guarnieri parlando di un "fallimento della mediazione rom in Italia".
Per il presidente della Fondazione romanì, è necessario "passare dalla mediazione alla partecipazione attiva, dalla multiculturalità all'interculturalità". "Non può esserci mediazione a vita", ha aggiunto, ricordando il caso di un assessore di Mantova che dopo 20 anni di mediazione non ha rinnovato la convezione per la mediazione culturale.
Non solo folklore, "basta assistenzialismo". "Una politica per la cultura romanì è oggi inesistente - ha aggiunto -. A livello di società civile c'è tanto folklore, ma la cultura romanì non è solo cucina, musica e abbigliamento. E' un insieme di valori che formano un'identità culturale. L'evoluzione della cultura romanì è urgente e indispensabile per evitare la distruzione della nostra identità. In particolare lo sviluppo della mentalità assistenziale sta distruggendo la popolazione romanì".

In due video 2 rom, uno kosovaro e l'altro italiano, hanno raccontato i loro percorsi di integrazione attraverso l'istruzione. A tal proposito Alain Goussot, in un intervento, ha evidenziato la necessità che la società italiana si apra all'alterità, diventi più inclusiva e accogliente, in particolare attraverso la scuola.

SILVI (Te) - Non esiste un registro ufficiale delle associazioni romanés, ma sono le 68 realtà che hanno risposto alla chiamata dell'Unar per partecipare ai tavoli tematici di discussione nell'ambito della strategia nazionale di inclusione d Rom, Sinti e Caminanti, approvata dal governo nel 2012. Di queste, solo 16 sono composte esclusivamente da romanès. 12 hanno respiro nazionale e 56 solo locale.
Sono i dati forniti da Giampietro Losapio, presidente del Consorzio Nova, nell'ambito del congresso delle comunità romanès che si è tenuto ieri e oggi a Silvi Marina in Provincia di Teramo. Losapio ha però sottolineato "l'incoerenza tra quanto accade nei piani ufficiali e nella realtà", affermando che "secondo l'Unar non esiste associazionismo Rom da Roma in giù", dato smentito dalle diverse realtà attive sul tema nel meridione.
"Secondo l'Istat c'è un'associazione ogni 185 italiani, mentre per i Rom il rapporto è 1 a 2000", ha detto Losapio, ricordando che la strategia nazionale di inclusione d Rom, Sinti e Caminanti prevede tra gli obiettivi la promozione dell'associazionismo Rom.
Il presidente di Nova ha poi citato il caso della Fondazione Romanì Italia, che da associazione è diventata fondazione puntando su "un vincolo patrimoniale non più solo sociale", sottolineando come "la causa Rom si può legare al fatto di poter drenare risorse".

La mancanza di un sistema decisionale democratico nell'ambito dell'associazionismo Rom è stato poi evidenziato da Losapio che ha affermato come "il mondo Rom ha una tendenza al leaderismo, in cui la guida è affidata soprattutto a uomini", e "manca una modalità di organizzazione democratica comunitaria" costituita da un consiglio e da soci.
Il presidente del consorzio Nova ha poi sottolineato che nell'associazionismo Rom in Italia vige, così come nell'associazionismo italiano in generale, "il principio secondo cui poche grandi organizzazioni possono dire qualcosa", mentre "tante piccole associazioni che lavorano sul territorio hanno scarsa rappresentanza".

"Spesso i Rom sono solo delle comparse all'interno di associazioni non Rom, che in alcuni casi speculano sulla causa romanì", ha detto Baskim Berisa, giovane Rom di origine kosovara, presidente dell'associazione "Rom stanziali del Kosovo in Trentino Onlus".

Berisa ha espresso critiche su progetti portati avanti da associazioni di promozione sociale ("portare la cultura Rom in piazza organizzando eventi flocloristici e musicali non serve per combattere la discriminazione") e sulle attività delle associazioni che si occupano di campi nomadi: "Perché non usare quei soldi non vengono usati per costruire edifici in cui gli stessi rom potrebbero lavorare?? "Basta all'assistenzialismo e al folklorismo", ha concluso Berisa. "E' necessario costruire con progetti seri un futuro soprattutto per noi giovani". "Se in futuro noi Rom avremo le competenze giuste perché non potremo competere con i non Rom? Con l'istruzione si possono aprire delle prospettive molto ampie".

08 settembre 2013
SILVI MARINA (Te) - Romanipè 2.0. ovvero partecipazione attiva, soprattutto dei giovani, nelle politiche e nei progetti a favore dei Rom. E' stato il tema al centro del del congresso delle comunità romanès che si è tenuto ieri e oggi a Silvi Marina (Te) con la partecipazione di un centinaio di delegati di associazioni Rom e non Rom che si occupano della causa romanì.
Il tema è stato affrontato in prima persona dai ragazzi formati nell'ambito del progetto "Fuochi attivi" della Fondazione Romanì, che ha l'obiettivo di formare leader Rom consapevoli della propria cultura e in grado di relazionarsi con professionalità con le istituzioni e organizzazioni italiane, per favorire l'emancipazione di un numero sempre maggiore di bambini e giovani delle comunità.

"Per uscire dal circolo vizioso di autodiscriminazione, vittimismo, passivismo e illegalità, siamo costretti a rinnegare la nostra identità Rom": è il problema che è stato sollevato da Jon Ion Dumitru di Roma e da Fiore Manzo, Rom di Cosenza."L'essere rom è ancora visto come una malattia, che fa allontanare". "C'è urgenza di uscire fuori da questa situazione di violenza e discriminazione e aiutare i più piccoli", ha detto Marco Bevilacqua, trentenne Rom di Reggio Calabria. "E' necessario lottare per uscire dai campi nomadi, contrastare l'assistenzialismo, e promuovere il riconoscimento etnico linguistico", ha detto. "Mostrare che il problema è culturale non sociale. Far capire ai giovani che fuori dai quei campi c'è la vita". Per questo "punto fondamentale è la scolarizzazione, perché i Rom possano in futuro occupare posizioni importanti nel mondo del lavoro. Altrimenti restano ricattabili".
"Anche se non c'è la luce in casa, nei campi si ha Facebook e così i ragazzi possono essere contatto con coetanei rom in Francia e Germania", ha sottolineato Vanessa Cirillo della Fondazione Romanì, "questo è un elemento nuovo, da considerare quando elaboriamo progetti e strategie".

A conclusione del convegno sono stati letti alcuni punti su cui le associazioni dovranno lavorare in futuro:
1. il superamento della vittimizzazione e del fatalismo persecutorio;
2. il recupero della cultura Rom;
3. l'emancipazione femminile;
4. il riconoscimento dei Rom come minoranza linguistica;
5. la responsabilizzazione, e parlare del tema della legalità, "altrimenti lo fa solo l'estremismo di destra". (lj)

 
Di Fabrizio (del 30/08/2013 @ 09:00:03, in media, visitato 1640 volte)

di Stefano Pasta - La città nuova, Milano Corriere

Urlando "mortacci sua" ad una "mangiaterra", il protagonista ci svela che, nonostante tutto, Roma è anche la sua città. Anche per un ragazzino che vive nel campo attrezzato di Via Salone, il campo rom più grande d'Europa, posto fuori dalla città, addirittura oltre il Grande Raccordo Anulare. Qui, come racconta il documentario "Campososta" di Stefano Liberti e Enrico Parenti, prodotto da ZaLab, vivono 1200 persone rom di varia nazionalità. Il campo non è collegato con i mezzi pubblici e non ha alcuno spazio comune. La distanza tra i container dove vivono le famiglie è di circa due metri. I bambini vanno la mattina a scuola in istituti molto lontani grazie a un servizio di pulmini e, date le distanze e il traffico, arrivano sempre in ritardo di almeno un'ora ed escono un'ora prima. "Qua non ho una vita sociale", spiega una madre ricordando quando nel loro vecchio quartiere incontrava le mamme dei compagni di suo figlio all'uscita della scuola, prima che l'amministrazione li trasferisse fuori città.

    Il campo è un ghetto, con tutti i problemi sociali del ghetto.

Così, i ragazzi cresciuti ai margini della città soffrono maggiormente l'esclusione sociale di cui è vittima il gruppo a cui appartengono. All'interno del campo, la tensione è alta. Le varie comunità non comunicano, il livello di istruzione è bassissimo, altissimo quello di disoccupazione. "Campososta" segue la quotidianità degli abitanti: i bambini che vanno a scuola, gli adolescenti che trascorrono le giornate a non far nulla (molti, pur essendo nati in Italia non hanno la cittadinanza, quella di origine l'hanno perduta in seguito all'implosione dell'ex Jugoslavia); gli adulti, uomini e donne, che tentano di sbarcare il lunario con lavori di fortuna.

    Secondo i registi, "Via Salone è l'emblema della politica di ghettizzazione su base etnica operata dalle amministrazioni comunali di Roma dal 1994 a oggi".

E anche del ripetersi di una scelta italiana sbagliata, quella dei campi "nomadi" per famiglie che non sono più nomadi da vari decenni. Una scelta di politica abitativa fatta dalle città italiane a partire dagli anni Settanta, che ci ha reso "il Paese dei campi". Ma i campi nomadi non c'entrano nulla con una presunta "cultura rom".

    Del resto, in via Salone i rom sono originari della Romania, Serbia, Montenegro e Bosnia: in nessuno di questi Paesi esistono campi nomadi.

Ma i ghetti in cui confiniamo i rom delle nostre città non sono solo quelli fisici, fuori dal Grande Raccordo Anulare. Ci sono anche quelli mentali. Secondo l'Eurobarometro, solo il 7% degli italiani risponde positivamente alla domanda: "Sei disponibile ad avere amici rom?". È uno dei valori più bassi in tutta Europa.

Quando si parla di rom, si è tutti bravi a urlare, a chiedere sgomberi e a confinare. Si dimentica che sono prima di tutto persone, appena 160mila, non più nomadi, la metà ragazzini, la metà di tutti italiani. I problemi ci sono. Ma c'è un dato da cui si potrebbe ripartire: sono un popolo di bambini, il 40% è in età scolare. Per questo sarebbe bene decidere che una questione di 80mila minorenni va affrontata con la scolarizzazione per tutti e con un forte impegno sociale e di monitoraggio. Ci vuole l'attuazione di un progetto di lungo periodo e non qualche sgombero con grancassa, o il ripetersi di scelte sbagliate come i grandi ghetti ai margini delle città. Altrimenti, i piccoli rom vanno verso un futuro simile a quello dei genitori. E il problema non si risolve, come dice la mamma del protagonista di "Campososta":

    "Vorrei qualcosa di meglio per i miei figli, non vorrei che anche loro crescano così, no".

Campososta (doc, 8', Italia, 2013) di Stefano Liberti e Enrico Parenti; montaggio: Chiara Russo

 
Di Fabrizio (del 26/08/2013 @ 09:05:03, in media, visitato 1958 volte)

Se n'è parlato qualche giorno fa, e ne è nato anche un forum improvvisato su Facebook, grazie all'Associazione 21 luglio.

Ieri altri due articoli sul web hanno attirato la mia attenzione:

  1. RAGUSA NEWS La bimba rapita dagli zingari? Bufale pozzallesi. Il linguaggio è fin troppo burocratico, ma da indicazioni utili: in caso di dubbi, si possono interpellare le Forze dell'Ordine o l'ospedale. Per un comune cittadino, farlo non è sempre facile o immediato. Richiederlo a chi fa il giornalista (o a maggior ragione, a chi dirige una testata), mi sembra il minimo.
  2. LA VOCE (IL PRIMO QUOTIDIANO INDIPENDENTE ONLINE) Kyenge shock: 'seconde case degli italiani agli stranieri' Ho riportato anche l'(auto)definizione della testata, perché, nonostante l'indipendenza sbandierata, questa è invece una bufala prettamente "politica". Viene sparsa una voce, senza darne alcuna dimostrazione, tanto che potrebbe essere ripetuta poi in qualsiasi altro momento. Altro particolare: l'obiettivo è la ministra Kyenge, ma qua entra in gioco, per accattivarsi i lettori, la sindrome da "vittima accerchiata", per cui la ministra starebbe complottando con una serie di figure inquietanti, come immigrati, zingari ecc. (cfr. una testata di Piacenza di qualche anno fa). Infine, per mascherare gli obiettivi chiaramente di parte, si maschera l'identità del sito (che è comunque in rete con altri simili, vedi VOXPOPULI), con una testata che sia il più possibile neutra, ma nel contempo richiami un'identità che accomuni gli italiani (poveretti e discriminati).
 

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