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Un film di Joanna Kos, Krzysztof Krauze. Con Jowita Budnik, Antoni Pawlicki,
Artur Steranko, Andrzej Walden, Zbigniew Walerys Biografico, durata 131 min. -
Polonia 2013. MYMONETRO Papusza * * 1/2
Papusza ("bambola" in lingua Rom) è Bronislawa Wajs (1908 - 1987), vissuta in
Polonia. E' la prima poetessa di etnia zingara di cui siano state pubblicate le
opere. Poco dopo la nascita le viene predetto un futuro di onore, ma anche di
dolore e di vergogna. Da bambina apprende a leggere e a scrivere in segreto,
sfidando i divieti della tradizione familiare e del clan. Dopo essere scampata
al genocidio operato dai nazisti (35.000 polacchi di etnia Rom furono uccisi nel
corso della II Guerra Mondiale), la sua famiglia vende Papusza a uno zio più
anziano, leader di una banda musicale, che la sposa. Nel 1949 lo scrittore ed
etnografo Jerzy Fikowski, perseguitato dalla giustizia del regime comunista, si
rifugia nel campo di gitani dove vive Papusza. Inizia a conoscere il modo di
vivere degli zingari, le tradizioni e la musica e, pur essendo un gadjo (ovvero
un non-Rom) impara i rudimenti della loro lingua. Poco a poco intreccia una
sincera amicizia con Papusza. La donna giunge a recitargli i suoi poemi in cui
si mescolano passato e presente. Fikowski la invita a trascriverli. Nel 1951
l'uomo, essendo stato amnistiato, torna a Varsavia e pubblica un libro su
storia, usi e costumi degli zingari polacchi, dopo aver ottenuto l'appoggio di
alcuni intellettuali influenti. Nel frattempo il governo emette un decreto legge
che impone agli zingari di abbandonare la loro vita nomade itinerante e li
costringe a stabilirsi in case di muratura. La vita dei Rom diventa misera.
Papusza, costretta dalla necessità (il suo bambino malato ha bisogno di cure),
scrive a Fikowski e gli invia i suoi scritti poetici. Quest'ultimo riesce a
farli pubblicare e a farle pervenire un compenso. Tuttavia, ben presto, i gitani
iniziano ad accusare Papusza di aver rivelato i loro segreti e le loro
tradizioni ataviche, attraverso i suoi scritti. La donna deve quindi subire
l'ostracismo del suo stesso popolo, vive nell'isolamento ed è frastornata dai
sensi di colpa. I coniugi Krauze hanno scritto e realizzato un biopic senza
dubbio interessante e non privo di alcuni momenti commoventi.
Il contenuto drammatico, e a tratti poetico, del film, girato in bianco e nero,
è esaltato dalla ampia gamma di toni della fotografia curata da Krzysztof Plak e
da Wojciech Staron. Inoltre un altro merito viene dal fatto che buona parte di
Papusza è parlato in idioma Rom, con presenza di attori coadiuvanti gadzi. La
messa in scena, pur rispettosa delle tradizioni gitane, appare piuttosto
convenzionale e la rappresentazione della vita nell'accampamento mostra spesso
immagini stereotipate.
Peraltro, nonostante diverse sequenze enfatiche e una recitazione dei
protagonisti spesso sopra le righe, non mancano alcuni momenti di efficace e
sincera evocazione di una figura femminile dignitosa, sensibile e sofferente. La
narrazione non avviene secondo una scansione cronologica tradizionale e si
sviluppa attraverso una mescolanza di flashbacks e flashforwards di epoche
diverse del secolo scorso. I registi vorrebbero forse far intendere la peculiare
concezione del tempo e della storia nella cultura dei Rom, ma indeboliscono la
carica emotiva del film. In sintesi siamo lontani dalla credibilità dei film di
Tony Gatlif, regista franco-algerino di etnia Rom, ma anche, fortunatamente,
dagli eccessi strumentali dei film di Emir Kusturica dedicati agli zingari.