Rom e Sinti da tutto il mondo

Ma che ci fa quell'orologio?
L'ora si puo' vedere dovunque, persino sul desktop.
Semplice: non lo faccio per essere alla moda!

L'OROLOGERIA DI MILANO srl viale Monza 6 MILANO

siamo amici da quasi 50 anni, una vita! Per gli amici, questo e altro! Se passate di li', fategli un saluto da parte mia...

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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 06/07/2011 @ 09:14:29, in Italia, visitato 1680 volte)

Catanzaroinforma.it Martedì, 05 Luglio 2011 12.12

L'Associazione ''Terra di Confine' è il quarto anno che propone e porta avanti il progetto ''Un'estate insieme' con risultati notevoli. L'iniziativa ha sempre risposto ad un bisogno della comunità rom di Via Lucrezia della Valle, ovvero permettere ai bambini dai 6 ai 13 anni di affrontare i mesi estivi, in concomitanza con la chiusura della scuola, in maniera alternativa alla vita del campo. Con la chiusura dell'anno scolastico nasce l'esigenza di diversificare gli interventi, ''Terra di Confine' sperimenta un modo diverso di rapportarsi con la Comunità, e soprattutto con i più giovani, prevedendo attività di animazione che hanno lo scopo di coinvolgerli in prima persona. Tutto questo per offrire la possibilità di far vivere ai bambini di Via Lucrezia della Valle un'estate diversa e di promuovere quello che ''Terra di Confine' cerca di fare da anni, far conoscere la realtà del popolo Rom attraverso azioni positive che permettano il superamento dei pregiudizi e degli stereotipi nei loro confronti. Lo scorso anno l'associazione ha deciso insieme alla comunità, di portare avanti una sperimentazione, le operatrici che hanno lavorato al progetto sono state le donne rom, le mamme dei bambini. Vista la bontà dei risultati, si è deciso di continuare nel percorso che ormai non può più definirsi una sperimentazione ma una prassi, una buona prassi, consolidata.

''L'impegno che portiamo avanti ormai da 18 anni - dice il presidente dell'associazione, Maria De Luca - ci permette oggi, attraverso una profonda conoscenza della realtà rom, di proporre percorsi alternativi che vedano loro come reali protagonisti del cambiamento. Il discorso è già iniziato a dicembre 2009 con il ''Progetto Arcobaleno' finanziato dall'Assessorato comunale alle Politiche Sociali, che ha visto coinvolte due ragazze della comunità'. ''Terra di Confine' e la comunità Rom di Via Lucrezia della Valle ringraziano il Comune nella persona del consigliere Eugenio Occhini per aver permesso anche quest'anno la realizzazione del progetto. Nonostante ci siano state le elezioni comunali il consigliere Occhini è riuscito nel mese di marzo a prevedere un impegno di spesa utilizzando i ''dodicesimi', dimostrando un lodevole e reale impegno nei confronti delle politiche di integrazione delle comunità rom residenti nel nostro territorio.

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Di Fabrizio (del 06/07/2011 @ 09:52:34, in Europa, visitato 1513 volte)

Ebrei, musulmani, gay, russi, zingari: l'odio corre in rete - di Rudolf Stefanicki - Articolo pubblicato su Il manifesto il 2 luglio 2011

VARSAVIA, 4 luglio 2011 (IPS) - «Quello che ha cominciato Hitler lo porteremo fino in fondo. Che finiscano nelle camere a gas, nei forni». Quando il ministro degli esteri Radek Sikorski ha letto questo e altri commenti simili in un foro di discussione di Internet, ha deciso di andare dal giudice. «Il grado di razzismo e di odio sui siti Internet polacchi è incredibile. Chiunque può leggerli e farsi un'opinione sulla Polonia», ha detto.

Il ministro ha denunciato due gruppi mediatici, Ringier Axel Springer, proprietaria del giornale Fakt, e Bonnier Business Polska, padrone di Puls Biznesu. Ha chiesto un indennizzo di circa 7mila dollari e delle scuse pubbliche sui siti Internet coinvolti.

Sikorski si è sentito personalmente colpito perché alcuni commenti attaccavano in modo volgarissimo lui (i più leggeri erano «traditore» e «manovrato a distanza da ebrei statunitensi») e sua moglie, Anne Applebaum, editorialista del quotidiano Usa Washington Post. La legge prevede, per quanto in forma un po' vaga, che i responsabili siano obbligati a cancellare commenti illeciti o a rispondere per essi.

La reazione dei responsabili è stata di disabilitare i fori di discussione, ciò che però ha provocato critiche di censura. Così li hanno rimessi rete, pur depurati. Hanno anche presentato le loro scuse al ministro, ma Sikorski ha mantenuto la denuncia alla magistratura.

Dopo la denuncia la procura ha aperto un'indagine. Tuttavia in genere l'80% di questi casi termina con l'archiviazione perché «è impossibile scoprire gli autori». Molti utilizzano cybercaffè per conservare l'anonimato e di solito usano server di paesi stranieri in cui le leggi in materia sono più liberali.

In Polonia su ogni 100 messaggi inviati a un foro di dibattito su qualsiasi argomeno, uno contiene un atteggiamento negativo verso le minoranze, stando al rapporto di quest'anno della Fondazione per la conoscenza locale. E il 60% ha un contenuto discriminatorio.

I più criticati sono gli ebrei, seguiti dai russi, gli omosessuali, gli zingari, i tedeschi e i musulmani. A volte i commenti che attizzano l'odio sfociano in episodi di violenza fisica (è capitato contro rifugiati ceceni).

La maggior parte delle persone consultate in un sondaggio del febbraio scorso, afferma che bisognerebbe controllare Internet. il 72% ritiene che bisognerebbe eliminare i contenuti che incitano all'odio contro minoranze nazionali, religiose, sessuali.

Il Rapporto sulle minoranze è un possibile strumento e prevede di realizzare «una mappa» dei siti che «favoriscono l'odio» che serva per orientarsi e intervenire. «Quando gli attivisti che difendono i diritti delle minoranze si presentano dal giudice, questi rifiuta di intervenire con l'argomento che si tratta di pochi commenti isolati - dice Marek Troszynski, direttore del progetto -. Bene, adesso ne avrà a disposizione più di 130 mila».

Le autorità polacche ora sembrano più sensibili all'antisemitismo, ma non alla situazione delle minoranze sessuali. La Fondazione di Helsinki sui diritti umani ha chiesto al ministero della giustizia riforme legislative.

«Le posizioni discriminatorie sono difficili da sradicare perché non riguardano solo le minoranze», dice il sociologo dell'università di Varsavia Antoni Sulek. E non basta una legge per risolvere il problema. © il manifesto

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Di Daniele (del 07/07/2011 @ 09:31:30, in musica e parole, visitato 1765 volte)

dal 22 luglio al 1 agosto
Pinerolo e Collegno - XVI edizione


Sedici anni, ma non li dimostra!
Nonostante le incertezze finanziarie di questi tempi duri VINCOLI SONORI continua a proporre le musiche di frontiera che ne hanno fatto un evento di spettacolo tra i più importanti dell’estate piemontese. Anzi, aumentano le date e i concerti, con un cartellone che vede il ritorno al Festival di due mostri sacri della gypsy music come la Fanfara Ciocarlia e la Kocani Orkestar. VINCOLI SONORI conferma la sua vitalità con una proposta culturale accattivante dedicata a chiunque voglia esplorare nuove frontiere musicali.

Vincoli Sonori nasce nel 1996 come rassegna di musiche klezmer e gypsy, generi che in quegli anni cominciavano ad uscire dalla cerchia di appassionati e studiosi per entrare con forza nel panorama della world music internazionale.
Negli anni l'evento è cresciuto, grazie anche al caloroso consenso di un pubblico attento e curioso, stimolato dall'attenzione concessa al festival dalla stampa. Pur conservando il suo tratto distintivo iniziale, il festival si è aperto ai diversi stili che la sperimentazione e le avanguardie cominciavano a produrre.
Sul palco di Vincoli Sonori sono saliti i migliori artisti internazionali, con il loro universo di musiche radicate nella tradizione, ma rinnovate nella contemporaneità, portatori di sonorità che hanno spaziato dal balkan beat al jazz manouche, dal flamenco al pianoriental, al nuovo folk italiano.

22 luglio - ore 21.00
Piazza San Donato - Pinerolo Noemi Waysfeld & Blick + Banda Tam Tam gratuito

23 luglio - ore 21.00
Piazza San Donato - Pinerolo Babayaga + Bruskoi Prala gratuito

24 luglio - ore 21.30
Certosa Reale - via Pastrengo - Collegno La Cherga 8 euro

25 luglio - ore 21.30
Certosa Reale - via Pastrengo - Collegno Abnoba 8 euro

26 luglio - ore 21.30
Certosa Reale - via Pastrengo - Collegno Deladap 8 euro

27 luglio - ore 21.30
Certosa Reale - via Pastrengo - Collegno Fanfara Ciocarlia 10 euro

1 agosto - ore 21.30
Certosa Reale - via Pastrengo - Collegno Kocani Orkestar 10 euro

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Di Fabrizio (del 07/07/2011 @ 09:49:26, in casa, visitato 1351 volte)

SIoNOmagazine MARTEDI' 5 LUGLIO 2011

Scriveva Anatole France: "La legge, nella sua maestosa equanimità, proibisce sia ai ricchi che ai poveri di dormire sotto i ponti". E' a questa massima che deve essersi ispirato l'attuale commissario prefettizio che regge le sorti dell'amministrazione comunale, quando ha deciso che i sinti che abitano le casette in legno del quartiere Terradeo devono sgomberare e le loro abitazioni in legno abbattute...

Perché la legge è la legge, e le priorità sono le priorità. E' indubbio che in un paese con consiglio comunale sciolto a causa di sospette illegalità, con un piano di governo del territorio che giace inerte causa respingimento del TAR, e un buco di bilancio di un milione e trecentomila euro, la presenza di tre casupole di legno che ospitano sei famiglie, fosse una priorità cui dare risposta immediata.

In concreto un'esperienza di integrazione che negli anni ha dato buoni frutti e che ha anche raccolto consensi trasversali a tutte le forze politiche, rischia di andare a gambe all'aria per la rigorosa interpretazione di una norma di legge. Il risultato sarà ovviamente che le famiglie sfrattate (parliamo di gente che vive in perfetta integrazione con la città da almeno una ventina di anni) dovranno essere prese in carico dai servizi sociali comunali con tutti costi relativi in barba al buco di bilancio e che si porrà la parola fine ad un percorso che per molti versi è stato considerato un modello.

Né i ricchi né i poveri possono abitare in casette di legno senza tutti i timbri a posto.


Segue comunicato

ASSOCIAZIONE "APERTAMENTE di Buccinasco": Ma non c'è pace per il Terradeo?

A fine maggio è stata annullata la delibera n.183/2010 della passata amministrazione, che riavviava per la terza volta negli ultimi cinque anni una procedura di regolarizzazione del Quartiere Terradeo, perseguita da più amministrazioni di segno diverso.

Questo atto, nel cui merito non ci avventuriamo, ha tuttavia interrotto un percorso, avviato in accordo con la Provincia di Milano e con l'Ente Parco Agricolo Sud Milano, che avrebbe poi consentito di sistemare anche le 'casette'. Ma la delibera cancellata non è stata sostituita con alcun altro provvedimento. Si è così automaticamente aperto lo spazio per 'normali' procedure in una situazione che 'normale' non è.

Se condotto alle sue estreme conseguenze, questo procedimento potrebbe giungere all'ordine di demolizione delle 'casette' (già comunicato), che sono la prima casa e l'unica abitazione dei titolari, mettendo sei famiglie coi propri bambini a cielo aperto e costituendo uno sgombero di fatto. Si violerebbero così una serie di leggi, a cominciare da quella fondamentale, la Costituzione (artt. 2 e 3), nonché la Carta Sociale Europea firmata dal nostro Paese (artt.30 e 31): diritti fondamentali di ogni persona, sulla cui violazione, abituale nei confronti di sinti e rom, l'Italia è stata già condannata, ma non se ne dà per inteso. Pare che non proprio tutti siano tenuti al rispetto di leggi e norme anche internazionali.

Stiamo parlando, inoltre, di persone regolarmente residenti a Buccinasco, cittadini!, i cui bambini frequentano le scuole locali e se ne potrebbero trovare di conseguenza impediti (art. 34 Cost.).

Ora, queste 'irregolarità' su cui si parla e riparla sempre senza concludere, ma si rischia ora anche di agire, non fanno da specchietto per le allodole? in un Comune in cui, in assenza d'un piano regolatore, tutti coloro che possono sbrigliano la… fantasia costruttiva.

Non siamo in presenza, al Terradeo, di abusi, né di furbizie e approfittamenti, ma di situazioni assentite ripetutamente dalle Autorità competenti e oggetto di una interminabile procedura di regolarizzazione a tutt'oggi non conclusa e anzi interrotta. Nella quale i sinti del Terradeo sono le vittime.

Giova infine ricordare che il Comune di Buccinasco è destinatario di una somma assegnata dal Prefetto di Milano, in qualità di Commissario straordinario (Fondo Maroni, soldi U.E.), soldi non utilizzabili, finché non sarà stata completata la procedura di regolarizzazione di cui abbiamo parlato. Se ce li tengono da parte.

Abbiamo voluto proporre all'opinione pubblica di Buccinasco un quadro complessivo dei problemi, ma siamo convinti che ci siano volontà e spazi per operare, con la dovuta cautela e ragionevolezza, senza
violare alcuna legge, ma anzi accompagnando un gruppo di persone a lungo emarginate dalla società ad inserirsi correttamente, proprio nel pieno rispetto delle leggi. Ci appelliamo dunque alla cittadinanza, alle forze politiche e sociali e alle competenti Autorità, perché vogliano consentire, sospendendo le procedure in atto, uno spazio di confronto, teso a ripristinare una procedura di regolarizzazione e salvaguardia.

Buccinasco 1° luglio 2011

Costituita il 13 novembre 2006, registrata a Milano l'8 marzo 2007, n.1753, serie 3. Codice fiscale 97459790156

In più occasioni la Corte Costituzionale ha affermato che rientra, tra i compiti della Repubblica, quello di favorire l'accesso alla abitazione ai cittadini più deboli. La difficoltà di avere una casa costituisce insomma una delle preoccupazioni alle quali le amministrazioni pubbliche devono offrire risposte efficaci, in particolare attraverso i piani di edilizia economica e popolare.
I riferimenti costituzionali del diritto alla casa" sono gli art. 2, 3 e 32. Infatti le politiche legislative in materia abitativa sono basate sulla tutela dei diritti inviolabili della persona, tutela che è strettamente legata ai compiti che lo Stato ha nel rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale
.

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Di Fabrizio (del 08/07/2011 @ 09:45:33, in Regole, visitato 1457 volte)

Affaritaliani.it Mercoledì 06.07.2011 10:16 - di Fabio Carosi

"A Roma è allarme rosso per la criminalità ma invece di affrontare il problema chiamando imprese e commercio intorno ad un tavolo, questa politica spreca risorse facendo la guerra a rom e puttane. E così fanno il gioco del crimine organizzato che spinge perché il problema sicurezza sia circoscritto a giovani e alcool".

Vincenzo Ciconte, docente di Storia delle criminalità organizzata a Roma Tre, ex consulente della Commissione Antimafia e primo tra gli scrittori ad occuparsi del fenomeno della Ndrangheta, sceglie Affaritaliani.it per analizzare la serie di avvertimenti, omicidi e sequestri di proprietà riconducibili al crimine organizzato, che hanno segnato le ultime settimane romane. Tanto da far gridare ieri al sindaco Alemanno che Roma è un Far West e a porre il problema sicurezza al ministro Roberto Maroni.
L'analisi di Ciconte è lucida e spietata. "Intanto omicidi e ferimenti non sono legati ad un unico filo – dice – perché il ritorno alla città delle pistole è un modo delle bande per accreditarsi sul territorio. Per mostrare la loro potenza usano metodi plateali e non rinunciano a sparare e uccidere in pieno giorno. Diversa invece è l'infiltrazione del crimine spa nel tessuto commerciale. Ndranghetisti e camorristi hanno bisogno di lavorare nel silenzio per riciclare e non vogliono che si scriva sui giornali, che si racconti cosa accade. L'elemento comune denominatore è che siamo in una città aperta alle scorribande".

Professore, eppure il problema sicurezza è stato al centro delle politiche degli ultimi anni. A leggere la sua analisi sembra di essere di fronte ad un fallimento. O No?
"Roma non è una città sicura e questo è palese. Solo che l'omicidio della signora Reggiani è stata indicata come colpa del centrosinistra, mente quello che è accaduto ieri in Prati non sembra avere colpevoli. Ma il vero nodo è politico".

Ma la sua analisi tecnica non è troppo ispirata alla politica?
"Esatto la mia è un'analisi politica dei fenomeni ma non partitica. Il sindaco ha vinto una campagna elettorale sulla sicurezza e dopo un po' ha fatto correre le forze dell'ordine per reprimere lavavetri, prostitute, rom e ragazzi che si drogano e bevono per manifestare il disagio sociale. Il risultato è che se si combattono così non si garantisce la sicurezza della città e i fatti lo dicono, smentendo questa politica. Perdonatemi, ma non penso si possa affrontare il tema della movida e di ciò che genera con gli arresti. Contro il disagio sociale ci vuole un'offerta diversa, un modo di vivere la città che non sia solo aggregazione di massa intorno ad un bicchiere".

Sta forse dicendo che le ordinanze sulla sicurezza hanno distolto le forze dell'ordine dalla vera emergenza?
"Dico solo che queste politiche concentrano Carabinieri, Polizia e guardia di Finanza intorno alle risse".

E il resto, le bande, il crimine che acquista bar storici per riciclare cosa fanno?
"Sono gli stessi mafiosi che spingono sull'allarme sicurezza sociale, perché questo li mette al riparo dal clamore. E non si può minimizzare come è stato fatto in questi anni da parte di tutta la classe dirigente politica, l'errore è stato di non comprendere che si sono chiusi gli occhi".

Dunque, errore politico?
"Sì perché per correr dietro a finte emergenze sociali si è perso di vista ciò che succedeva nel tessuto economico: l'economia romana è sotto aggressione da parte della criminalità, basti pensare alla droga, all'usura, all'attacco alle proprietà per riciclare i fiumi di denaro illegale e al gioco d'azzardo. Il sequestro di ville, barche e bar storici è solo l'inizio di un lungo percorso e se si continuerà a scavare si troveranno molte altre proprietà".

Che può fare la politica di fronte a questo fenomeno?
"Intanto piantarla con la pia illusione che basta spostare due prostitute e vietare l'alcool alla sera per costruire una città sicura. Occorre chiamare i commercianti e le imprese intorno ad un tavolo, lavorare sull'usura e controllare municipio per municipio come avvengono i passaggi di proprietà di immobili e locali e capire se questi fenomeni sono normali compravendite oppure azioni di riciclaggio".

Così descritta Roma sembra una succursale della Calabria ndranghetista. Non è esagerato?
"No, perché Roma non è ancora come Milano e la Lombardia dove esiste un rapporto politica criminalità. Da noi episodi che coinvolgono consiglieri regionali e sindaci sono ancora periferici come a Fondi e in Ciociaria. Ma se nel giro di 2 anni avvengono significativi passaggi di proprietà nel cuore più ricco della città e in un momento di crisi, vuol dire che qualcosa sta succedendo. Ecco, Roma e il suo tessuto economico sono sotto attacco".

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Di Sucar Drom (del 09/07/2011 @ 09:53:37, in blog, visitato 1539 volte)

Firma la petizione per la "Giornata internazionale delle donne rom"
L'8, 9 e 10 Ottobre 2010 si è tenuto a Barcellona il primo Congresso Internazionale delle donne Rom "Un'altra donna". Le "altre donne" non sono le donne in ambito accademico, ma quelle che normalmente non vengono invitate per il dialogo, il dibattito e le competenze specifiche. Riunite in questa...

Avvenire intervista l'artista Bruno Morelli
Durante le celebrazioni per la commemorazione del beato Ceferino Gimenez Malla, detto Zeffirino, il quotidiano Avvenire ha intervistato Bruno Morelli (in foto davanti alla sua scultura), artista eclettico appartenente alla minoranza linguistica dei rom abruzzesi...

La Notte della Rete continua...
La Notte della Rete, a cui hanno aderito Sucar Drom e l'ICS, continua a Domus Talenti. E' la manifestazione nata contro la delibera dell'Agcom in materia del diritto d'autore che oggi viene discussa dall'Autorità e che coinvolge politici, artisti, blogger, imprenditori, giornalisti, giuristi...

Milano, progetti europei per il futuro dei sinti e rom
Lunedì 4 luglio, la Consulta Rom e Sinti di Milano si è incontrata a palazzo Marino con l’assessore alle politiche sociali, Pierfrancesco Majorino. Erano presenti tutte le comunità dei campi regolari (mancava solo la comunità di via Chiesa Rossa) ed esponenti della comunità rumena di ex Triboniano e dei campi irregolari...

I Gogol Bordello sono in Italia
I Gogol Bordello sono in Italia. Il loro tour italiano è iniziato ieri sera a Rimini al Velvet Club, questa sera sono a Milano al Circolo Magnolia, venerdì 8 sono a Bari a L'Acqua In Testa Festival e sabato 9 sono al Castello Scaligero di Villafranca (VR). L'ultima volta che abbiamo visto Eugene Hütz ed il suo...

Buccinasco (MI), ma non c’è pace per il Terradeo?
A fine maggio è stata annullata la delibera n.183/2010 della passata amministrazione, che riavviava per la terza volta negli ultimi cinque anni una procedura di regolarizzazione del Quartiere Terradeo, persegu...

Quinto Vicentino (VI), i sinti vivono in uno stato di disagio abitativo
Da anni le famiglie sinti di Quinto Vicentino, vivono in stato di disagio abitativo, dietro al cimitero del paese. Unico accesso è attraverso una stradina che porta sul retro del campo santo. Le famiglie risiedono sotto una antenna della telefonia mobile, in un appezzamento di modeste dimensioni, contornato da un fossato i cui argini sono sottoposti a frenatura, senza servizi igienici e...

Sinti e Rom? Il nazionalsocialista: cacciamoli! Il comunista: assimiliamoli!
In questi giorni sto rileggendo un libro di Guenter Lewy che tratta della persecuzione nazista subita dai Cittadini tedeschi ed austriaci appartenenti alle minoranze dei sinti e dei rom. Un libro molto documentato ma contraddittorio nelle conclusioni. Ne riparlerò...

L'Italia ha le carte in regola per sedere nel Consiglio ONU per i Diritti Umani?
Il 19 giugno scorso il nostro Paese è entrato a far parte, per la seconda volta, nel Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite. Questo organismo è stato istituito cinque anni fa (sostituisce la Commissione per i Diritti Umani) ed è composto da 47 Paesi eletti dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. E' un organismo importante che deve promuovere e garan...

Bologna, Corte d'appello: "È rom, normale che non vada a scuola"
Ha fatto scalpore la sentenza della Corte d'Appello di Bologna che risposto picche alla Procura dei Minori che le chiedeva di affidare una bambina rom ai servizi sociali per darle una vita migliore in comunità di accoglienza. La bambina vive a Parma nell'area residenziale isti...

Próxima Estación: Milano
Qualche anno dietro, ma sembra passato un secolo, Berlusconi, Bossi, Fini & C. riuscirono a conquistare larga parte del proprio consenso elettorale sui temi legati alla "sicurezza". Anni tristi per l’Italia. Anni in cui abbiamo completamente sma...

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Di Fabrizio (del 10/07/2011 @ 09:51:47, in casa, visitato 1495 volte)

La Stampa In Lungo Stura Lazio vivono 600 persone di cui 130 bambini. Intesa Regione-Provincia-Comune sui campi rom - 06/07/2011 - ANDREA ROSSI - TORINO

La road map non ha una scadenza precisa, però un punto d’arrivo sì: chiudere le mega baraccopoli rom, a cominciare da Lungo Stura Lazio, un groviglio di catapecchie abitate da 600 persone, tra cui 130 bambini, sulle rive del fiume. Una bidonville senza igiene né sicurezza, troppo grande per non essere smembrata. Così sarà: gli occupanti verranno distribuiti in vari comuni del Torinese. Dove? In insediamenti di piccole dimensioni. I primi verranno costruiti a Rivalta e Ivrea. La via d’uscita verrà definita nel protocollo d’intesa che Prefettura, Regione, Provincia e Comune firmeranno la prossima settimana. Una piccola rivoluzione che apre alla gestione collegiale dei campi nomadi, finora scaricata sulle spalle dei singoli comuni. Regista dell’intesa è stato il prefetto Alberto Di Pace, commissario del governo per l’emergenza rom. Solo a Torino, oggi, nei campi autorizzati vivono 800 persone, in quelli abusivi più di mille, la metà in Lungo Stura Lazio, la partita più urgente da risolvere.

Come? Potrà sembrare strano, ma la strada scelta è quella tracciata tempo fa dal prefetto e teorizzata anche a Milano, in campagna elettorale, dal nuovo sindaco Giuliano Pisapia: l’autocostruzione, percorso previsto dal Piano per l’integrazione nella sicurezza proposto dal ministro dell’Interno Maroni nel 2010. A Milano la Lega ha fortemente contrastato il progetto di Pisapia; in Piemonte, invece, il Carroccio, che guida la Regione, farà la sua parte sottoscrivendo il protocollo che verrà attuato probabilmente sotto la supervisione del presidente della Provincia Antonio Saitta.

Il modello delineato nel piano ricalca la vicenda del Dado di Settimo Torinese, la prima esperienza di autorecupero e autocostruzione rivolta alla comunità rom in Piemonte. Nella palazzina alle porte di Torino vivono sei famiglie che hanno scelto di abbandonare i campi e accettare una serie di regole: l’iscrizione a scuola per i minori, l’inserimento lavorativo tramite corsi di formazione e tirocini per gli adulti, la cura degli spazi comuni. Sul tutto sovraintende l’associazione Terra del Fuoco, che sarà interlocutore privilegiato del progetto tra istituzioni.

Tramite il protocollo si tenterà di diffondere l’esperienza del Dado in altri Comuni del Torinese, così da svuotare i campi abusivi - a cominciare da Lungo Stura Lazio - in favore di strutture più piccole, e ragionare quindi su numeri ridotti. Alcune aree sono già state individuate, oltre a Settimo, anche a Rivalta e Ivrea. Nel frattempo si cercherà di passare dalla fase dei campi abusivi a quelli transitori. In ogni caso la strada sarà una sola: smembrare i grandi insediamenti abusivi perché è lì che si possono annidare delinquenza e degrado.

La soluzione dovrebbe permettere a Torino di uscire dall’emergenza nomadi. La città, negli ultimi anni, più volte ha lamentato di essere stata lasciata sola e senza fondi nell’affrontare i grandi numeri degli insediamenti rom. Nei mesi scorsi il governo ha stanziato cinque milioni; ora, con il protocollo - che ieri è stato approvato dalle giunte di Provincia e Comune - si poggia il secondo tassello: la gestione sarà collegiale.

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Di Fabrizio (del 11/07/2011 @ 09:38:05, in Regole, visitato 1169 volte)

Da Roma_Francais (i link sono in francese)

Montpellier journal Le Vendredi 24 juin 2011 à 11:11

Un giovane Rom rumeno di 19 anni di fronte ai disfunzionamenti della giustizia

Accusato di aver colpito la gamba un poliziotto con una pala, Jiji è in detenzione provvisoria dal 25 maggio, anche se non ha smesso di proclamarsi innocente. Si accumulano le anomalie poliziarie e giudiziarie dopo la movimentata evacuazione di un terreno della SERM il 29 marzo a Montpellier

L'inchiesta del Montpellier journal è stata difficile. "Sull'identificazione dell'autore del colpo, le versioni delle differenti fonti di polizia divergono", scrivevamo il 19 aprile dopo la ferita alla testa di un poliziotto il 29 marzo, durante il movimentato sgombero di un campo di Rom rumeni installato su un terreno della SERM a Garosud. Un altro dei quattro poliziotti sarebbe stato leggermente ferito da un colpo di pala alla gamba, che non comporterebbe alcuna incapacità totale al lavoro.

Incensurato

Verso la metà di maggio, Jiji, uno dei presunti autori delle violenze, viene interrogato dalla polizia. Deve sostenere una comparizione immediata il 16 maggio per "violenza aggravata", ma l'udienza viene rinviata al 20 giugno. In questo intervallo, viene posto in detenzione provvisoria. Lunedì, quando si è presentato al tribunale correzionale, questo giovane di 19 anni, senza precedenti penali, era dunque alla sesta settimana di detenzione. Rischia sette anni di prigione.

Dalla sintesi del presidente del tribunale, sembra che Jiji non sia accusato dai poliziotti di aver portato il colpo alla testa, ma solamente quello alla gamba. Inoltre, solo la presunta vittima accusa Jiji. Gli altri tre dichiarano semplicemente che Jiji era presente e che aveva una pala. Due di loro aggiungono che era "minaccioso". Jiji, da parte sua, aveva dichiarato durante la prima audizione che era presente e di avere una pala. Oggi, dice che non era presente in quanto viveva in un altro campo che non c'entrava niente con quello sgomberato quel giorno. Ha sempre negato di aver colpito il poliziotto.

"Il dettaglio risolutivo"

Inoltre, secondo lil signor Benyoucef, avvocato di Jiji, la presunta vittima del colpo di pala ha dichiarato durante la sua prima audizione: "Posso dirvi che chi mi ha aggredito - chi mi ha aggredito - parla un buon francese." Qualche settimana dopo, Jiji si fa interrogare e, sottolinea l'avvocato, "è necessario rinviare la notifica dei suoi diritti, perché incapace di comprendere e parlare il francese." E conclude: "E' il dettaglio risolutivo". Cioè: Jiji non può essere l'aggressore.

A chi credere? Al poliziotto o a Jiji? Dovremmo attribuire importanza alle dichiarazioni di diverse persone presenti che hanno dichiarato ai membri del Collettivo di sostegno ai Rom di Montpellier, cheper alcuni i poliziotti erano "molto aggressivi" e "ben bevuti"? O a quelle di chi [...]  ha dichiarato che quella sera i poliziotti avevano "un comportamento bizzarro"? (audizione riportata da Benyoucef)

Risultati dell'analisi del DNA non pervenuto al tribunale

Meraviglia inoltre la capacità dei poliziotti ad identificare Jiji tra diverse centinaia di foto. In effetti, erano le 21.00 al momento dei fatti, dunque era notte, erano presenti una ventina di persone e visibilmente regnava una certa confusione. Il rapporto delle analisi sulle impronte ed il DNA sulla pala e sulla rotula (si sospetta che la pala sia stata usata anche per il colpo alla testa) potrebbe fornire indicazioni. Problema: lunedì il rapporto del laboratorio Biomnis non era ancora giunto in tribunale. Da parte di Biomnis, incaricata ad inizio aprile si disse al Montpellier journal che "il caso non era stato segnalato come urgente" dagli inquirenti, ma che il rapporto era pronto e doveva essere inviato al più tardi la prossima settimana. Altro problema: Jiji è accusato di concorso in violenza o è il solo sospettato ad essere stato arrestato.

Il procuratore ha dovuto riconoscere che il caso era stato condotto male e ha tentato di giustificarlo con un cattivo passaggio di consegne tra il personale di turno nel fine settimana e chi ha ripreso il dossier. Da parte sua Benyoucef ha commentato: "Si è commesso un errore per la fretta. Si rinvii il dossier all'istruttoria, ma occorre smettere di giocare con la libertà delle persone, anche quando sono Rom." Il tribunale l'ha seguita nella prima parte e la procedura è ripartita da zero: messa sottoaccusa di Jiji da parte di u procuratore e presentazione davanti ad un giudice. Problema: se il rapporto del laboratorio dovrà pur arrivare alla fine, l'arresto dei tre altri sospetti potrebbe richiedere tempo. Durante il quale Jiji dovrà rimanere in carcere.

"E' fantastico, non importa cosa!"

Dopo l'udienza, spiega Benyoucef: "Avrebbe dovuto esserci un'apertura d'informazione immediata. Quando si presenta in questo modo un presunto colpevole, dev'essere pronto un dossier. A prescindere! Siamo talmente sommersi di lavoro a livello d'accusa, siamo talmente soggetti a circolari che dicono: "Bisogna perseguire, bisogna giudicare, bisogna condannare," che non ci si fa più attenzione. C'è una volontà repressiva che inquina il dibattito. Siamo ad un anno da una scadenza elettorale, siamo nella religione dei numeri: ci vorranno 7-8 mesi per fornire i dati dello spettro politico. Bisogna essere stakanovisti dell'arresto,del giudizio breve, della condanna e dell'esecuzione della pena."

Occorre lo stesso ricordare che le accuse si basano sulle dichiarazioni di quattro poliziotti, di cui uno solo, la vittima, afferma di essere stato colpito da Jiji. Che quindi l'inchiesta viene condotta da poliziotti colleghi dei quattro in questione. Commenta Benyoucef a tal proposito: "L'inchiesta avrebbe dovuto essere assegnata alla gendarmeria." Infine va ricordato che non è stato effettuato alcun alcoltest sui poliziotti. Quindi non possiamo sapere se le accuse mosse da alcuni testimoni della scena siano accurate o meno.

Lamenti della madre di Jiji

Il caso è proseguito mercoledì, dato che il giudice doveva stabilire se mantenere Jiji in detenzione o meno. Malgrado un certificato d'alloggio e la proposta di firma quotidiana al commissariato, il giudice Philippe Treille ha deciso di non liberare Jiji per due ragioni: "evitare una collusione tra l'indagato ed i suoi (presunti) co-autori o complici" e "garantire il mantenimento delle persone coinvolte alla giustizia". L'assoggettamento a sorveglianza giudiziaria o agli arresti domiciliari non permetterebbe, secondo il giudice, di raggiungere questi obiettivi. Diversi minuti dopo l'annuncio della decisione, il pianto della madre di Jiji e la parole di rabbia di suo padre, presenti in aula durante tutto il lunedì pomeriggio, risuonavano ancora nel palazzo di giustizia.

Durante l'udienza, aveva dichiarato Benyoucef: "Non si può prendere in giro la situazione. Sapete che è Rumeno. Abbiamo messo in carcere un Rumeno, come volete che sia problematico? La libertà degli altri non è mai problematica. La presunzione d'innocenza degli altri non è mai problematica. [...] Niente vale fino al giorno che qualcosa vale la pena. Ma quel giorno, non ci sarà più nessuno a rispondere, perché il sistema è fatto così. E' il tesoro pubblico che emette un assegno il giorno che si rende conto di non potere affrontare il problema."

"Il prefetto ha dato istruzioni improprie"

Infine, Benyoucef ricorda al Montpellier journal come, secondo lui, si è arrivati a quel punto: "Il prefetto [Claude Baland] ha dato istruzioni improprie ai servizi di polizia, perché tutta la giornata [29 marzo] ha attaccato verbalmente queste persone. Se si è venuto a creare un tale stato dei tensione, credo che sia dovuto a quello che ha subito quella gente durante il giorno." (per ulteriori dettagli, leggere: L'expulsion de Roms roumains d'un terrain de la Serm se termine mal)

Coincidenza, giovedì mattina apprendiamo che Georges Tron era stato incriminato per "stupro e violenza sessuale in un incontro".Crimini passibili con 20 anni di recluzione. L'ex segretario di stato nega le accuse contro di lui. E' stato lasciato in libertà sotto controllo giudiziario. Gli è proibito entrare in contatto con le presunte vittime e i testimoni. Una delle due ricorrenti a dichiarato a RTL: "Si fosse trattato del macellaio della porta accanto, sarebbe in prigione. Oggi, lui è libero. Ci sono pressioni e minacce. Bisogna viverle. Ci si aspetta che la giustizia sia battuta per aspettare a mettere queste persone in prigione?"

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Di Fabrizio (del 12/07/2011 @ 09:15:27, in scuola, visitato 1498 volte)

di Nando dalla Chiesa

Cristina. È il nome che le torna sulle labbra più volte mentre racconta la sua esperienza di maestra milanese. Flaviana Robbiati ha appena tirato due o tre pugni nello stomaco al pubblico della Settimana Internazionale dei Diritti di Genova. È venuta qui con un'altra maestra milanese, Stefania Faggi. A spiegare perché le è stato impossibile voltarsi dall'altra parte mentre le ruspe distruggevano i campi nomadi dove abitava Cristina. Non voltarsi quando vengono calpestati diritti altrui dà, secondo la tradizione ebraica, diritto a quell'appellativo di "giusti" a cui è dedicata la rassegna genovese. Loro sono venute a rappresentare, con altri insegnanti, i "giusti nella scuola".

"Lo sa lei che cosa vuol dire uno sgombero? Noi sì, l'abbiamo misurato attraverso i nostri alunni rom del Rubattino. Saranno catapecchie in lamiera, ma ognuna è per loro la propria casetta, capisce? Quando arrivano a tirar giù tutto fanno la conta a quintali della spazzatura. Ma quei rifiuti triturati sono pentole, cartelle, quaderni, giocattoli, guardi qui la foto di questa bambola decapitata. A Milano in tre anni hanno fatto 540 sgomberi. Il vicesindaco De Corato li festeggiava pure. Quando poi il cardinale Tettamanzi chiese di evitare di farli in inverno, di risparmiare la pioggia e la neve e il freddo a quelle creature, il sindaco rispose che la lotta per la legalità non conosceva stagioni. Bella legalità, che ammazza il senso di giustizia. Io dico che negli edifici dove si applica la legge c'è scritto ‘Palazzo di giustizia', mica ‘Palazzo della legalità'. E di ingiustizie ne abbiamo viste. Sa, noi seguivamo attentamente le vicende del campo. Un mattino seppi che avevano fatto uno sgombero che era ancora buio. Allora spiegai tutto agli altri alunni, chiesi loro di non farlo pesare a Cristina. Cristina arrivò a scuola chiedendo che i compagni non sapessero nulla, con gli occhi bassi, per la vergogna di quel che le era successo. In classe furono bravissimi, perché per fortuna i compagni di scuola e le loro famiglie ci aiutavano molto a creare un clima di amicizia e la invitavano alle feste".

Ha un viso lungo e scavato, Flaviana, gli occhiali dorati poggiati su un naso magro e impertinente. Stefania ha i capelli scuri, è solo all'apparenza più severa. "Quel giorno", continuano, "quel 19 novembre, ci arrivarono a scuola alle quattro del pomeriggio tutti i genitori degli alunni rom del distretto, quasi una quarantina ne avevamo. E ci chiesero di aiutarli a dormire. Facemmo subito le telefonate, Sant'Egidio, la Casa della Carità, le parrocchie, e alla fine ne prendemmo qualcuno in casa nostra. Riuscimmo a sistemarli quasi tutti. Il fatto vero però è che questa guerra ai rom toglie a dei bambini un diritto elementare: quello di andare a scuola. È andare a scuola, secondo lei, doversi rifare i quaderni ogni mese, trovarsi senza casa decine di volte all'anno, perché questi sono i numeri di Cristina, oppure dovere cambiare otto scuole in un anno come è capitato a Samuel, o metterci due ore a piedi tra i campi ghiacciati, come è successo a Giulia che voleva restare nella sua classe? È andare a scuola con la serenità necessaria venire staccati come figurine dal padre o addirittura dalla madre a sei anni? Per questo noi diciamo che i bimbi rom sono bimbi come gli altri, ma contemporaneamente che sono un po' meno bambini di tutti. Perché per loro vivere la normalità non è normale. Si sentono sempre in colpa. Vuole sapere la storia di Ulisse, che arrivò a scuola ricoperto di sputi? Era stato un signore dalla sua macchina. Appena lo ha visto, aveva tirato giù il finestrino e l'aveva trasformato in un bersaglio".

Stefania e Flaviana, scuole diverse ma stesso circolo didattico, quello di via Pini, zona est della città, non si fermerebbero mai nel loro racconto. D'altronde se c'è qualcuno che ha presidiato le frontiere della civiltà nell'Italia ubriaca di pregiudizi e di razzismo sono loro. Loro che appena fiutavano l'aria di sgombero facevano lasciare le cartelle a scuola o preparavano materassi nelle loro cantine. "Ma lo sa che alcuni di questi bambini vivono perfino sotto terra? Pensi quanto è grottesco: li bocciano a volte per le troppe assenze, quando sono proprio gli sgomberi a catena che gli impediscono di venire a scuola. Eppure si impegnano, sa? Cristina sapeva solo il romans e il rumeno. Ora è andata a vivere in una casa in un altro paese, anche se i suoi compagni continuano a invitarla alle feste, ed è stata promossa in prima media quasi con la media dell'8. Ha studiato e imparato. Noi lo ripetiamo a ogni incontro: lasciarli analfabeti è come compiere una pulizia etnica. Perché se tu non sai la lingua non leggi neanche la medicina, non leggi la pagella di tuo figlio, resti letteralmente senza diritti. Che è la più grande povertà: non potere accedere ai diritti, non sapere nemmeno di averli. Per questo un giorno abbiamo scritto loro una lettera per rivederli l'anno dopo a scuola". Dice così quella lettera: "Vi insegneremo mille parole, centomila parole, perché nessuno possa più annientare le vostre voci".

"Se abbiamo dei progetti? Certo che li abbiamo. Borse-lavoro, progetti sanitari, la promozione anche del vino e del pane rom. Ma quali soldi, non abbiamo niente. Piuttosto, sa che cosa ci sembra un po' orribile? Di essere diventate note perché difendevamo i bambini. Ma perché, non sta scritto ovunque che bisogna difenderli? E invece per qualcuno siamo un po' uno scandalo. Ma come, si chiedono, come è possibile che della gente si voglia tenere gli zingari?".

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Di Fabrizio (del 12/07/2011 @ 09:25:02, in Europa, visitato 1477 volte)

Famiglia Cristiana Il nomadismo è solo una necessità. Lo dimostra questo reportage a Draganesti, Romania, la baraccopoli da cui vengono i nomadi dei campi di Milano e dove opera la S.Egidio.
10/07/2011

Una delle baracche di Draganesti, in Romania.
Claudia, 8 anni, vive nella stessa casa di Draganesti in cui sono nati suo padre Ionut e suo nonno Marius. Il suo bisnonno, invece, viveva a soli 500 metri di distanza; è tipico delle ziganie dell'Oltenia, regione rurale della Romania a 80 chilometri da Craiova. Le ziganie sono i quartieri rom dei villaggi romeni: una strada con una fila di case sui due lati. La storia della Romania del Novecento è stata anche all'insegna della sedentarizzazione dei tanti gruppi rom che non hanno più nulla a che fare con un ideale di vita all'insegna del "nomadismo": la famiglia di Claudia si è spostata di mezzo chilometro in quattro generazioni. "Il tetto della nostra casa crollava, i mattoni di fango e paglia avevano troppi anni. Nel 2004 siamo partiti per Milano con un sogno: lavorare e mettere da parte i soldi per costruire la casa", spiega Ionut. L'Oltenia è la regione di provenienza della maggior parte delle famiglie che abitano le baraccopoli abusive di Milano.

La scuola di Draganesti, costruita con i contributi della S.Egidio.
È molto chiaro: il nomadismo non c'entra niente, si tratta di una migrazione per cause economiche. Nei primi anni a Milano, la moglie chiedeva l'elemosina, Ionut ha lavorato nell'edilizia. Per i primi tre anni, mai un contratto: "Un italiano ci chiamava "a giornata": in alcuni periodi, eravamo pagati anche tre euro e mezzo all'ora. Quando il capo aveva un cantiere, si lavorava dieci ore al giorno, poi, per un po', non si lavorava fino alla commessa successiva. Abbiamo lavorato tantissimo alla costruzione della Fiera di Rho." Poi, nel 2007, finalmente un contratto accompagnato da un pratica diffusa tra alcune cooperative edili milanesi: nello stesso momento, si è obbligati a firmare anche un foglio in bianco senza data. È la lettera di dimissioni. A inizio del 2009, quando la crisi edilizia blocca i cantieri, il capo della cooperativa rispolvera dal cassetto il foglio firmato aggiungendo la data: Ionut ha perso il lavoro. Per due anni, con la moglie Maria cerca di garantire una vita decente ai tre figli. La Comunità di Sant'Egidio iscrive a scuola Claudia, mentre i due più piccoli, di tre e cinque anni, non possono andare all'asilo: a Milano, senza residenza, non è possibile. Resistere non è facile: dal 2007 ad oggi, avvengono 500 sgomberi di baraccopoli rom nel solo capoluogo lombardo. Capita di dormire per strada, sotto la neve, riparandosi con una piccola tenda. Così, a febbraio 2011, Ionut, Maria, la maestra di Claudia e la Comunità di Sant'Egidio pensano ad un progetto di ritorno in Romania. Alcune donazioni di privati permettono di restaurare la casa di Draganesti e attivare una borsa di studio in collaborazione con la scuola locale. La nuova casa di Giulia ora è in muratura, coloratissima: il corridoio azzurro, la cucina rosso fiammante, la stanza dei genitori verde e quella dei bambini rosa. Sul retro, l'aia con tacchini e galline e un terreno in cui la famiglia potrà coltivare pomodori e peperoni. La camera di Claudia è decorata con peluches, al centro la sua foto con la maestra e la classe italiana. Dell'Italia rimane anche la paura della polizia. Racconta il padre: "Anche qui, quando passa un vigile, Claudia mi si avvicina e trema. A Milano, spesso succedeva che durante i controlli, si faceva la pipì addosso per la paura."

La vecchia casa di Claudia, a Draganesti.
Il problema rimane il costo della vita, che è uguale a quello italiano. Al Penny Market di Draganesti un paio di calze costa un euro e mezzo, un salame quattro, un litro di olio di semi di girasole quasi due. In questi villaggi rurali, il lavoro non c'è. La depressione economica è palese, l'emigrazione in Italia o nelle grandi città romene è spesso la sola opportunità. La presenza di investitori italiani è comunque forte anche nella regione: a Slatina, il capoluogo dell'Oltenia, c'è un importante fabbrica della Pirelli. Mirela, anziana con 4 figli emigrati, si commuove mostrando la foto del nipote di 8 anni che ha cresciuto e che ora vive in una casa a Milano. Racconta: "Durante il regime di Ceausescu, eravamo pagati poco, ma il lavoro c'era. Qui a Draganesti, c'erano cinque industrie alimentari e due di scarpe. I primi anni dopo l'89 si stava bene, ma poi tutte le fabbriche hanno chiuso, non reggevano la concorrenza." Nella zigania di Lalosu, uno dei paesi vicini, c'era un enorme allevamento dove, fino ai primi anni Novanta, lavoravano più di cento persone. Fallito, è stato acquistato da un "italiano di Bucarest": ha rivenduto il ferro e il materiale con cui era costruito e se ne è andato. Negli ultimi due anni, anche la crisi economica ha duramente colpito la Romania, molto più che l'Italia. Dal 2008 al 2009 il PIL romeno è passato dal +8% al -7,1%, il Governo ha varato un piano di austerità che taglia drasticamente la spesa sociale, le pensioni e i salari pubblici. Mirela può comprare le medicine solo grazie al figlio che manda i soldi da Milano. Nella zigania di Draganesti – 1300 abitanti sui 12.000 dell'intero villaggio – le case sono molto diverse tra loro, spesso abitate da famiglie allargate. Le più povere sono baracche fatte di paglia e fango, costituite da un'unica stanza fatta di mattoni di terra a vista. Altre sono caratterizzate dai tetti decorati con lamiera intagliata e un corridoio d'ingresso illuminato da ampie finestre; poi ci sono le "ville" di Bercea Mondial, il più ricco della zona, che ha fatto fortuna in maniera per nulla chiara e che certo non ha dovuto vivere nelle baraccopoli milanesi. A Draganesti non ci sono fogne e i servizi per la maggior parte sono costituiti da una piccola baracca in un angolo del cortile. Pochissime case hanno l'acqua corrente, mentre la maggior parte ha il pozzo in cortile. Era così anche in Italia; in Veneto, nel 1961, il 72% delle case non aveva il bagno.

Mirela con la foto del nipote, che è a Milano.
Ciò che colpisce sono gli squilibri e le contraddizioni della zigania. Da un lato, resiste una tradizione rurale e arcaica che ricorda in parte alcuni villaggi italiani prima del boom economico dello scorso secolo. Le ragazze si sposano presto, spesso ancora minorenni; la scuola è frequentata dai ragazzi rom del villaggio, ma le femmine raramente superano la quinta classe, mentre i maschi arrivano fino alla settima. Spesso è anche ignoranza: Marieta spiega che la varicella si cura vestendo di rosso i bambini. Dall'altro, la società tradizionale si scontra con le distanze che si accorciano e la globalizzazione. Così, le trasmissioni più seguite dai rom sono le telenovelas indiane di Bollywood. La connessione web con il cellulare costa pochissimo. L'emigrazione e il collegamento con l'Italia sono in questo senso travolgenti. Ogni weekend parte un pulmino che trasporta persone, posta, bagagli dalla zigania al capoluogo lombardo in entrambe le direzioni. Simona, 14 anni, ha frequentato a Milano fino alla terza media: è una delle uniche ragazze rom di quell'età a portare i pantaloni a Draganesti. Ma l'incontro-scontro con il mondo esterno alla zigania trasformerà inevitabilmente questa società, che ora è in mezzo ad un bivio. Bisogna puntare sulla scolarizzazione, da cui dipende il futuro di molti bambini. Nella zona più povera della zigania abita la famiglia di Daniel, 10 anni, che ha una forte disabilità. A Milano, nella baraccopoli di Rubattino, aveva iniziato la quarta elementare; travolto da un'ondata di solidarietà delle maestre, dei compagni di classe e dei loro genitori, ha fatto notevoli progressi. Ma cinque mesi fa, dopo un anno e mezzo di scuola e lo sgombero, la famiglia è dovuta tornare a Draganesti. Percorso scolastico interrotto perché, come spiega il padre, "sarebbe dovuto andare in una scuola speciale, molto lontano, a Slatina, e noi non abbiamo i soldi per portarlo". Il suo progetto è chiaro: tornare a Milano a breve, perché "i soldi e la carne del maiale ammazzato a gennaio sono finiti, il lavoro non c'è e Daniel non può andare a scuola".

Maria nella sua nuova serra.
Torneranno a breve a Milano anche Lenuta, Marin e i loro 5 figli; sono una delle famiglie più povere e da anni alternano alcuni mesi in Italia, dove Lenuta chiede l'elemosina e il marito lavora saltuariamente "a giornata", e altri a Draganesti. Qui, vivono raccogliendo la plastica e altri scarti da riciclare; un sacco enorme pieno di bottiglie viene pagato cinque euro. I bambini sono seduti a mangiare la mamaliga con strutto, l'unico pasto che per la giornata la famiglia può permettersi. La mamaliga, insieme al sarmale di verze e carne, è il piatto più diffuso nelle ziganie: è la polenta. La scena sarebbe potuta accadere anche nelle cascine lombarde del secolo scorso, ma molti padani sembrano essersene scordati. Marin spiega che i suoi figli in Romania non mangiano la frutta, costa troppo. In Italia, invece, ne mangiano tantissima: le maestre della scuola regalano ai bambini i frutti avanzati dalla refezione. Ora i bambini non vanno a scuola, perché tradurre in romeno i nullaosta per il trasferimento costava troppo. Lenuta invece mi mostra l'ultima multa per accattonaggio da 500 euro ricevuta a Milano e il conseguente provvedimento di allontanamento dall'Italia. Nel verbale, si dispone anche il sequestro delle monetine. Lenuta mi dice che tra qualche settimana devono ripartire per l'Italia perché sono finiti anche i soldi per la polenta. Le chiedo se ha saputo che a Milano siamo arrivati a 500 sgomberi e che la baraccopoli di Bacula è stata nuovamente distrutta. "Non conto più quante volte ci hanno sgomberato, è bruttissimo, ma cosa devo fare? Cosa do da mangiare ai miei figli?" mi risponde. Effettivamente, vista da questa baracca di fango e paglia di Draganesti, Milano, che ha festeggiato con la precedente amministrazione i 500 sgomberi raggiunti, sembra una città che, anziché combattere la povertà, fa la guerra ai poveri.

Stefano Pasta

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