Famiglia Cristiana Il nomadismo è solo una necessità. Lo dimostra questo
reportage a Draganesti, Romania, la baraccopoli da cui vengono i nomadi dei
campi di Milano e dove opera la S.Egidio.
10/07/2011
Una delle baracche di Draganesti, in Romania.
Claudia, 8 anni, vive nella stessa casa di Draganesti in cui sono nati suo padre
Ionut e suo nonno Marius. Il suo bisnonno, invece, viveva a soli 500 metri
di distanza; è tipico delle ziganie dell'Oltenia, regione rurale della Romania a
80 chilometri da Craiova. Le ziganie sono i quartieri rom dei villaggi romeni:
una strada con una fila di case sui due lati. La storia della Romania del
Novecento è stata anche all'insegna della sedentarizzazione dei tanti gruppi rom
che non hanno più nulla a che fare con un ideale di vita all'insegna del
"nomadismo": la famiglia di Claudia si è spostata di mezzo chilometro in quattro
generazioni. "Il tetto della nostra casa crollava, i mattoni di fango e paglia
avevano troppi anni. Nel 2004 siamo partiti per Milano con un sogno: lavorare e
mettere da parte i soldi per costruire la casa", spiega Ionut. L'Oltenia è la
regione di provenienza della maggior parte delle famiglie che abitano le
baraccopoli abusive di Milano.
La scuola di Draganesti, costruita con i contributi della S.Egidio.
È molto chiaro: il nomadismo non c'entra niente, si tratta di una migrazione per
cause economiche. Nei primi anni a Milano, la moglie chiedeva l'elemosina, Ionut
ha lavorato nell'edilizia. Per i primi tre anni, mai un contratto: "Un italiano
ci chiamava "a giornata": in alcuni periodi, eravamo pagati anche tre euro e
mezzo all'ora. Quando il capo aveva un cantiere, si lavorava dieci ore al
giorno, poi, per un po', non si lavorava fino alla commessa successiva. Abbiamo
lavorato tantissimo alla costruzione della Fiera di Rho." Poi, nel 2007,
finalmente un contratto accompagnato da un pratica diffusa tra alcune
cooperative edili milanesi: nello stesso momento, si è obbligati a firmare anche
un foglio in bianco senza data. È la lettera di dimissioni. A inizio del 2009,
quando la crisi edilizia blocca i cantieri, il capo della cooperativa rispolvera
dal cassetto il foglio firmato aggiungendo la data: Ionut ha perso il lavoro.
Per due anni, con la moglie Maria cerca di garantire una vita decente ai tre
figli. La Comunità di Sant'Egidio iscrive a scuola Claudia, mentre i due più
piccoli, di tre e cinque anni, non possono andare all'asilo: a Milano, senza
residenza, non è possibile. Resistere non è facile: dal 2007 ad oggi, avvengono
500 sgomberi di baraccopoli rom nel solo capoluogo lombardo. Capita di dormire
per strada, sotto la neve, riparandosi con una piccola tenda. Così, a febbraio
2011, Ionut, Maria, la maestra di Claudia e la Comunità di Sant'Egidio pensano
ad un progetto di ritorno in Romania. Alcune donazioni di privati permettono di
restaurare la casa di Draganesti e attivare una borsa di studio in
collaborazione con la scuola locale. La nuova casa di Giulia ora è in muratura,
coloratissima: il corridoio azzurro, la cucina rosso fiammante, la stanza dei
genitori verde e quella dei bambini rosa. Sul retro, l'aia con tacchini e
galline e un terreno in cui la famiglia potrà coltivare pomodori e peperoni. La
camera di Claudia è decorata con peluches, al centro la sua foto con la maestra
e la classe italiana. Dell'Italia rimane anche la paura della polizia. Racconta
il padre: "Anche qui, quando passa un vigile, Claudia mi si avvicina e trema. A
Milano, spesso succedeva che durante i controlli, si faceva la pipì addosso per
la paura."
La vecchia casa di Claudia, a Draganesti.
Il problema rimane il costo della vita, che è uguale a quello italiano. Al Penny
Market di Draganesti un paio di calze costa un euro e mezzo, un salame quattro,
un litro di olio di semi di girasole quasi due. In questi villaggi rurali, il
lavoro non c'è. La depressione economica è palese, l'emigrazione in Italia o
nelle grandi città romene è spesso la sola opportunità. La presenza di
investitori italiani è comunque forte anche nella regione: a Slatina, il
capoluogo dell'Oltenia, c'è un importante fabbrica della Pirelli. Mirela,
anziana con 4 figli emigrati, si commuove mostrando la foto del nipote di 8 anni
che ha cresciuto e che ora vive in una casa a Milano. Racconta: "Durante il
regime di Ceausescu, eravamo pagati poco, ma il lavoro c'era. Qui a Draganesti,
c'erano cinque industrie alimentari e due di scarpe. I primi anni dopo l'89 si
stava bene, ma poi tutte le fabbriche hanno chiuso, non reggevano la
concorrenza." Nella zigania di Lalosu, uno dei paesi vicini, c'era un enorme
allevamento dove, fino ai primi anni Novanta, lavoravano più di cento persone.
Fallito, è stato acquistato da un "italiano di Bucarest": ha rivenduto il ferro
e il materiale con cui era costruito e se ne è andato. Negli ultimi due anni,
anche la crisi economica ha duramente colpito la Romania, molto più che
l'Italia. Dal 2008 al 2009 il PIL romeno è passato dal +8% al -7,1%, il Governo
ha varato un piano di austerità che taglia drasticamente la spesa sociale, le
pensioni e i salari pubblici. Mirela può comprare le medicine solo grazie al
figlio che manda i soldi da Milano. Nella zigania di Draganesti – 1300 abitanti
sui 12.000 dell'intero villaggio – le case sono molto diverse tra loro, spesso
abitate da famiglie allargate. Le più povere sono baracche fatte di paglia e
fango, costituite da un'unica stanza fatta di mattoni di terra a vista. Altre
sono caratterizzate dai tetti decorati con lamiera intagliata e un corridoio
d'ingresso illuminato da ampie finestre; poi ci sono le "ville" di Bercea
Mondial, il più ricco della zona, che ha fatto fortuna in maniera per nulla
chiara e che certo non ha dovuto vivere nelle baraccopoli milanesi. A Draganesti
non ci sono fogne e i servizi per la maggior parte sono costituiti da una
piccola baracca in un angolo del cortile. Pochissime case hanno l'acqua
corrente, mentre la maggior parte ha il pozzo in cortile. Era così anche in
Italia; in Veneto, nel 1961, il 72% delle case non aveva il bagno.
Mirela con la foto del nipote, che è a Milano.
Ciò che colpisce sono gli squilibri e le contraddizioni della zigania. Da un
lato, resiste una tradizione rurale e arcaica che ricorda in parte alcuni
villaggi italiani prima del boom economico dello scorso secolo. Le ragazze si
sposano presto, spesso ancora minorenni; la scuola è frequentata dai ragazzi rom
del villaggio, ma le femmine raramente superano la quinta classe, mentre i
maschi arrivano fino alla settima. Spesso è anche ignoranza: Marieta spiega che
la varicella si cura vestendo di rosso i bambini. Dall'altro, la società
tradizionale si scontra con le distanze che si accorciano e la globalizzazione.
Così, le trasmissioni più seguite dai rom sono le telenovelas indiane di
Bollywood. La connessione web con il cellulare costa pochissimo. L'emigrazione e
il collegamento con l'Italia sono in questo senso travolgenti. Ogni weekend
parte un pulmino che trasporta persone, posta, bagagli dalla zigania al
capoluogo lombardo in entrambe le direzioni. Simona, 14 anni, ha frequentato a
Milano fino alla terza media: è una delle uniche ragazze rom di quell'età a
portare i pantaloni a Draganesti. Ma l'incontro-scontro con il mondo esterno
alla zigania trasformerà inevitabilmente questa società, che ora è in mezzo ad
un bivio. Bisogna puntare sulla scolarizzazione, da cui dipende il futuro di
molti bambini. Nella zona più povera della zigania abita la famiglia di Daniel,
10 anni, che ha una forte disabilità. A Milano, nella baraccopoli di Rubattino,
aveva iniziato la quarta elementare; travolto da un'ondata di solidarietà delle
maestre, dei compagni di classe e dei loro genitori, ha fatto notevoli
progressi. Ma cinque mesi fa, dopo un anno e mezzo di scuola e lo sgombero, la
famiglia è dovuta tornare a Draganesti. Percorso scolastico interrotto perché,
come spiega il padre, "sarebbe dovuto andare in una scuola speciale, molto
lontano, a Slatina, e noi non abbiamo i soldi per portarlo". Il suo progetto è
chiaro: tornare a Milano a breve, perché "i soldi e la carne del maiale
ammazzato a gennaio sono finiti, il lavoro non c'è e Daniel non può andare a
scuola".
Maria nella sua nuova serra.
Torneranno a breve a Milano anche Lenuta, Marin e i loro 5 figli; sono una delle
famiglie più povere e da anni alternano alcuni mesi in Italia, dove Lenuta
chiede l'elemosina e il marito lavora saltuariamente "a giornata", e altri a
Draganesti. Qui, vivono raccogliendo la plastica e altri scarti da riciclare; un
sacco enorme pieno di bottiglie viene pagato cinque euro. I bambini sono seduti
a mangiare la mamaliga con strutto, l'unico pasto che per la giornata la
famiglia può permettersi. La mamaliga, insieme al sarmale di verze e carne, è il
piatto più diffuso nelle ziganie: è la polenta. La scena sarebbe potuta accadere
anche nelle cascine lombarde del secolo scorso, ma molti padani sembrano
essersene scordati. Marin spiega che i suoi figli in Romania non mangiano la
frutta, costa troppo. In Italia, invece, ne mangiano tantissima: le maestre
della scuola regalano ai bambini i frutti avanzati dalla refezione. Ora i
bambini non vanno a scuola, perché tradurre in romeno i nullaosta per il
trasferimento costava troppo. Lenuta invece mi mostra l'ultima multa per
accattonaggio da 500 euro ricevuta a Milano e il conseguente provvedimento di
allontanamento dall'Italia. Nel verbale, si dispone anche il sequestro delle
monetine. Lenuta mi dice che tra qualche settimana devono ripartire per l'Italia
perché sono finiti anche i soldi per la polenta. Le chiedo se ha saputo che a
Milano siamo arrivati a 500 sgomberi e che la baraccopoli di Bacula è stata
nuovamente distrutta. "Non conto più quante volte ci hanno sgomberato, è
bruttissimo, ma cosa devo fare? Cosa do da mangiare ai miei figli?" mi risponde.
Effettivamente, vista da questa baracca di fango e paglia di Draganesti, Milano,
che ha festeggiato con la precedente amministrazione i 500 sgomberi raggiunti,
sembra una città che, anziché combattere la povertà, fa la guerra ai poveri.
Stefano Pasta