Kobylé nad Vidnavkou, 12.12.2009, 16:04, (ROMEA/Šumperský a jesenický deník)
- I Rom di Kobylé nad Vidnavkou stanno riparando un edificio residenziale in
rovina, con l'assistenza del consiglio comunale e della Società dei Rom di
Moravia (Společenství Romů na Moravě). Da 35 anni l'edificio non aveva
acqua corrente. Le donne andavano a prendere l'acqua al fiume, o più
recentemente ad un pozzo riaperto, che in precedenza era adoperato come
discarica. Riporta il giornale Šumperský a jesenický deník che i residenti in
passato avevano rivenduto l'impianto idraulico.
Gli uomini che vivono lì, ora passano il tempo libero tra mattoni, malta e
tubature. "Per noi è un gran cambiamento. Soprattutto per i bambini. Ci saranno
acqua corrente ed i servizi," riporta il giornale le parole di Anna Oračková.
Le donne che lì vivono dovevano trasportare diversi secchi d'acqua ogni giorno
ed erano a rischio continuo di epidemie.
La ricostruzione è il risultato della gran mole di lavoro del consiglio
cittadino e degli operatori sociali della Società dei Rom di Moravia. Un anno
fa, la famiglia Goga, proprietaria dell'edificio, persero un membro della
famiglia in un incidente stradale. Quando Milena Kamená, sindaca (indipendente)
di Kobylé nad Vidnavkou, venne coinvolta nella questione dell'eredità, suggerì
di portare le medievali condizioni di vita all'epoca moderna.
"Ho detto che sarebbe stata la loro prima ed ultima possibilità di migliorare
la proprietà, ed ho chiesto se volevano spendere una parte del denaro per
riparare l'edificio. È triste che la morte del padre della famiglia sia la fonte
di questa inaspettata possibilità, ma hanno avuto l'opportunità di
ristrutturare," ha detto la sindaco al giornale.
La vedova ed i figli del defunto spenderanno 200.000 CZK per le riparazioni,
una pari cifra è stata donata alla famiglia da un'associazione civica che vuole
rimanere anonima. "Sono stato il primo ad essere d'accordo. Approvo di spendere
il denaro per le riparazioni. Ci siamo incaricati noi dei lavori," dice
orgogliosamente Gustav Goga.
"E' stata un'idea eccellente. Il nostro intento era di portarvi l'acqua
corrente. Sono contento che siano stati trovati i fondi," ha detto a
Deník Rudolf Dubovan, della Società dei Rom di Moravia.
Dubovan sta aiutando le famiglie a trasformare la costruzione in una
residenza adeguata. "L'acqua è già collegata. Ci saranno due bagni, uno al
pianterreno e l'altro al primo piano," ha detto Dubovan. Il forno per il pane è
stato rimosso per potere costruire un bagno. Sarà anche spostato lo scarico del
bagno precedente, dove veniva fatta scorrere l'acqua raccolta esternamente.
"Costruiremo una pergola. Ci sarà un altro scarico corrente. Costruiremo anche
un camino, così non ci sarà rischio di incendi ed installeremo nuovi pavimenti.
Cos'altro? Vedremo cosa possono permettersi."
L'edificio, posto vicino alla ferrovia, ospitava due famiglie. Dopo che i
primi occupanti se ne andarono, i Rom occuparono l'edificio e gradualmente lo
svuotarono di ogni suppellettile di valore. Lo stato, che in origine ne deteneva
la proprietà, la vendette infine alla famiglia Goga al prezzo simbolico di una
corona. L'operatore sul campo Rudolf Dubovan ha lavorato negli ultimi due anni
con le famiglie che vivono lì. L'allacciamento dell'acqua è il più grande
successo della loro collaborazione.
Mentre state leggendo queste righe, si sa già che le case rom nel quartiere "Gorno
Ezerovo", dove era programmata la demolizione, sono già state abbattute. Nello
stesso giorno i media hanno dato fiato a materiale sensazionalista sulla rivolta
rom, catene umane e pietre lanciate ai bulldozer ed ai poliziotti. Sono
circolate voci su foto di Rom arrabbiati e che svenivano. E poi basta. La
sensazione è rientrata. Non è stato scritto o sentito niente sui giorni seguenti
e su dove la gente, che aveva perso la casa, passasse la notte e su cosa
succederà a loro nel futuro.
Qualche giorno prima che i bulldozer entrassero nel quartiere di Burgas, gli
ultimi giorni soleggiati dell'estate, parlavamo col capo dell'unica OnG rom
funzionante nella città costiera - Mitko Dokov.
"Stiamo organizzando i cittadini di Gorno Ezerovo in comitato. Vogliamo
spedire una lettera aperta al sindaco, al governatore ed al Primo Ministro.
Questo atto avventato, se non fermato, dev'essere differito. A causa di ciò
molta gente è nel panico" - sono state le parole con cui il capo del locale
consiglio rom ci ha salutato.
Nel quartiere Gorno Ezerovo vivono circa 2.000 persone. La maggior parte di
loro sono locali e non migranti, contrariamente a quanto dicono le autorità.
Abbiamo appreso da Dokov che non più di dieci famiglie provengono da altri posti
e si sono poi installate qui. La maggior parte del terreno è di proprietà
municipale, il resto appartiene a privati. Nessuno dei residenti sa su quale
tipo di proprietà hanno costruito la loro casa.
Il quartiere rom fu abbandonato dallo stato e dalle autorità municipali dopo
il 1989. Ce se ne ricorda solo prima delle elezioni. E subito dopo ce se ne
dimentica. Cosa vi succede all'interno, se viene fatta rispettare la legge, come
vive la gente, come sono le infrastrutture, non importa a nessuno. La portata
delle autorità di solito finisce quando inizia un quartiere rom. Possono fare
quel che vogliono, fintanto che dura il loro mandato, sembra essere la filosofia
del governo in questo caso. E così attraverso gli anni, lasciati a loro stessi,
i Rom si sono presi cura da sé dei loro problemi. Quando in una famiglia, che
vive in una casa di una stanza, un figlio si sposa, aggiunge alla casa una o due
stanze. Non c'è nessuno a dire di no, lui conosce tutti i suoi vicini, e lo
stato è assente. E' così in quasi tutti i quartieri rom nel paese. E così i Rom
vivono alla loro maniera, fino a ché qualcuno ha un problema con ciò. Allora
ritorna la legge con tutta la sua forza sulla testa delle persone, che per
decenni hanno vissuto nelle loro case costruite illegalmente.
Durante la notte dopo il nostro incontro con Dokov la pioggia si è
intensificata ed è continuata il giorno seguente. La mattina dopo abbiamo
visitato il quartiere. Per strada non c'era nessuno. In un caffè abbiamo trovato
quanti avevano ricevuto una notifica di demolire volontariamente le loro case o
di aspettare che provvedessero i bulldozer l'indomani, 7 settembre.
Tra la gente radunata nel caffè, c'erano il vacillante Isako di 84 anni, che
ha vissuto nel quartiere per oltre 50 anni, Guesa, 64 anni, Anguel, che ha
quattro figli ed ha promesso di darsi fuoco, Mirka, madre di dieci figli,
Galabina, che vuole comperarsi il terreno e installarvi casa sua. "Il terreno
costa molto e vogliono mandare via i Rom. Dicono che siamo migranti da Sliven o
da Kotel, ma non è vero. Ho vissuto qui per 46 anni" - strabuzza gli occhi un
anziano. Un giovane dice di avere 26 anni e che è nato nella casa che sta per
essere demolita. Mirka stropiccia la notifica che ha ricevuto un paio di giorni
fa e chiede dove potrà andare a vivere quando le sue due stanze saranno rase al
suolo. Il termine di sgombero è vicino, che significa che lei ed i suoi bambini
stanno per diventare senza casa. Le donne anziane piangono. Anche i giovani sono
alterati.
Nella prima fase le famiglie ricevono lettere dal Direttorato Regionale per
il regolamento edilizio (RDNSK) con indicato il termine per la demolizione
volontaria. Se questa non avviene a tempo, segue la demolizione forzata. Le case
che devono essere abbattute sono 54. In ogni casa abitano almeno cinque persone,
il che significa che oltre 250 uomini, donne, bambini ed anziani non avranno un
riparo per l'inverno.
"Venite a vedere se le case sono insicure come dicono le lettere.
Fotografatele!" ci richiama un giovane sotto la pioggia. Per le strade fangose
abbiamo camminato sino ai margini del lago. Come in qualsiasi quartiere rom ci
sono sia grandi case solide che baracche, costruite in uno due giorni.
"Questa sarà abbattuta. Quella dopo, no. Anche quella a due piani. Guarda qui,
hanno cambiato gli infissi di legno con quelli in alluminio... Entra in questa
casa... Non c'è bisogno di togliersi le scarpe... Vedi come l'hanno arredata?
Guarda com'è pulita, anche questa casa sarà buttata giù... Le baracche
resteranno intatte, e le case belle verranno demolite. Ed ora dimmi come hanno
deciso quali case abbattere e quali rimanere in piedi!" - puntualizza la nostra
guida chiedendoci con enfasi.
Secondo le lettere ricevute dai residenti, tutte le case che verranno
demolite sono classificate come strutturalmente insicure. Tra le case che la
nostra guida ci indicava, ce n'erano di pericolanti come edifici solidi a due
piani. Siamo anche passati davanti ad una casa, che era stata parzialmente
demolita dai suoi abitanti: "avevano paura che se l'avessero fatto i bulldozer,
avrebbero dovuto pagare le spese. E' per questo che hanno buttato giù la causa
loro stessi" - ci spiega il giovane.
Torniamo al caffè. Hanno già deciso che quattro rappresentanti del quartiere,
guidati da Mitko Dokov e Rumen Cholakov, leader della sezione di Burgas del
movimento politico Euroroma, chiederanno un incontro col governo regionale e un
deferimento delle demolizioni. E' risultato complicato entrare nella sede
dell'amministrazione regionale. Dopo che Mitko Dokov parlò per telefono con
l'esperto regionale di etnie e demografia, soltanto a Dokov e Cholakov fu
permesso di incontrare il vice governatore regionale. Il deputato Zlatko
Dimitrov non è stato informato del caso, perché occupava il posto solo da un
paio di mesi. Ha però promesso di portare l'attenzione del governatore sul
problema, di esaminare completamente la situazione, vedere quali azioni siano
possibili ed informare i leader rom, entro la fine della giornata, se le case
sarebbero state demolite o meno la mattina successiva.
Nel frattempo in comune abbiamo parlato col vicesindaco Kostadin Markov,
responsabile del regolamento su terreni, architettura e costruzioni. Gli abbiamo
chiesto sulla sua posizione e se ci fosse un'alternativa per la gente che stava
per essere lasciata in strada. Ci ha detto "La posizione del comune è che la
legge dev'essere rispettata. Il contendere sono case, costruite due anni fa.
Questa gente sa che laprocedura termina con l'eventuale demolizione. Sono
soprattutto persone non residenti a Burgas, ma che arrivano da Yambol, Sliven e
molti altri posti. Al momento non siamo in grado di offrire loro garanzie
speciali. Il comune offre alloggi sociali, ma si deve seguire una procedura
particolare ed un periodo d'attesa. Negli ultimi due anni avrebbero almeno
dovuto fare richiesta. E' stato spiegato loro, più di una volta. Ora non esiste
alcuna procedura straordinaria, o casa disponibile a tal scopo, che il municipio
possa offrire loro. Specifico che il municipio di Burgas denuncia le costruzioni
illegali, ma è il RDNSK che provvede ad eseguire le procedure di demolizione.
Oggi o domani, a seconda delle condizioni atmosferiche, ritengo che le case
saranno demolite."
In questo caso, l'unico obbligo dell'amministrazione municipale è di
preservare le proprietà dalle case dopo la demolizione, per cui è stato
impiantato un magazzino municipale. Il giorno stesso il Comitato Bulgaro di
Helsinki ha inviato una lettera ai media, in cui dichiarava che se le case rom a
Burgas fossero state demolite, la Bulgaria avrebbe violato la Convenzione
Europea sui Diritti Umani. Chiedeva inoltre un'azione immediata da parte del
governo e del Primo Ministro Boyko Borissov, sia per fermare la programmata
demolizione che per trovare un alloggio alternativo ai Rom.
Di ritorno al quartiere la gente ha aspettato sino a sera una telefonata dal
vice governatore regionale, nella speranza che la casa non venisse demolita
-invano. La telefonata arrivò, ma solo per confermare la demolizione.
La mattina dell'8 settembre è stata interrotta l'elettricità delle case
selezionate. Bulldozer e poliziotti sono entrati nel quartiere. Disperatamente,
la gente ha cercato di porre fine a questa pazzia. Ma sono stati lasciati senza
casa.
Due settimane dopo, di nuovo a Burgas, altre 19 case rom sono state demolite
nel quartiere Meden Rudnik.
Il bulldozer di Sofia
Il 15 ottobre, un mese ed otto giorni dopo la demolizione delle case rom nei
quartieri di Burgas di Gorno Ezerovo e Meden Rudnik, il bulldozer della legge ed
ordine si è riversato anche nella capitale. Quando arrivammo a Sofia nel
quartiere di Nadezhda, trovammo il bulldozer al lavoro in uno spazio bloccato al
traffico presidiato dalla polizia, in viale Rozhen vicino alla fermata del tram.
Sul marciapiede erano ammonticchiati i bagagli e le proprietà degli ex abitanti.
Letti smantellati, materassi, reti, tavoli, vestiti in buste di plastica, catini
e qualsiasi altra cosa che potesse attirare l'attenzione dei primi pedoni e dei
passeggeri del tram. Quelli che erano stati residenti sino alla notte
antecedente, stavano in piedi ai margini della zona presidiata e osservavano
tristemente la demolizione delle loro case. Causa l'ora mattutina, la mancanza
di informazioni o qualche altra ragione sconosciuta, i media non erano presenti.
Ci siamo avvicinati a Trajan e Magda. "Vi sistemeranno da qualche parte?" -
chiediamo. "Da nessuna parte. Staremo per strada." - E' stata la lapidaria
risposta di Magda. Trajan aveva più voglia di parlare. Hanno vissuto qui per 19
anni. 30 persone condividevano una casa con quattro stanza e due piccole unità
aggiunte nel cortile. Tra loro ci sono donne in attesa e bambini malati, che
sono ora nelle case vicine. Non sanno dove passare la notte. Nessuno ha un
lavoro stabile. "Quest'uomo è il nostro sindaco. Lasciate che ci dica dove
andare" - ha puntualizzato Magda. Ma il sindaco di Nadezhda - l'ingegnere
Dimitar Dimov - quando ha visto il giornalista armato di registratore, è salito
rapidamente in macchina e si è allontanato.
Un vecchio vacillante si è avvicinato a noi; per niente stupido o emozionato
faceva lo stesso fatica a parlare. Ci ha spiegato che i suoi figli erano sul
marciapiede opposto - sua moglie col bambino ed i giovani nipoti. Sono stati
alzati tutta notte ed hanno portato tutto il possibile da parenti. "Una borsa
qui, due borse la. Non c'è una stanza per il resto. Qui sul marciapiede." spiega
Strahil, 58 anni e padre di sei figli. "Perché non indossi le calze?" - udiamo
una voce femminile dietro di noi. Una poliziotta sta parlando con una ragazza a
piedi nudi. Lei si chiama Gyula e ha dieci anni. Dice di non avere freddo, anche
se si stringe nella sua giacca. Oggi non è andata a scuola, perché la sua casa è
stata abbattuta. E' timida, non vuole essere fotografata. Altri bambini si
avvicinano. La maggior parte hanno una brutta tosse. Diciamo a loro di andare al
caldo. Sono imbarazzati.
Boncho ha tre bambini. Sta tenendo quello più giovane tra le sue braccia.
Dice che la mattina non ha avuto problemi con la polizia. Sono usciti di casa
quando è stato detto loro di lasciarla. Una donna era venuta la sera prima e
aveva detto di prendere con loro tutto ciò che potevano prima che i bulldozer
arrivassero alle 6.30 per distruggere la casa. Per cosa? "Non lo so. Qualcosa
riguardo all'amministrazione..." - il 23enne scrolla le spalle e pensa a cosa
fare con i bagagli e dove portare la famiglia.
Torniamo da Trajan e Magda, in piedi sul marciapiede accanto alle loro cose. Ora
Magda sta piangendo. Apprendiamo da Trajan che 19 anni fa si spostarono nella
casa, di proprietà municipale. Nessuna reazione da parte del comune. Volevano
pagare l'affitto ma gli fu rifiutato perché non avevano un documento di
residenza nella proprietà. Cinque anni fa gli abitanti vinsero una causa e
continuarono a vivere lì. Ed ora all'improvviso la casa era in lista per la
demolizione. "Dicono che qui sotto passerà la metropolitana. Ma è solo un
pretesto. Se fosse così, perché non demoliscono le altre case nel quartiere?"
chiede Trajan.
La donna che li aveva visitati la notte prima era dell'agenzia per la
protezione dell'infanzia. Nessuna sa come si chiama. Arrivò per invitare Donka,
che ha un bambino, a vivere con il bambino in un riparo temporaneo. Donka
rifiutò. Preferiva stare con la sua famiglia. "Ora abbiamo timore che i servizi
sociali portino via i nostri figli. E sono ancora dei bambini" - aggiunge la
giovane madre.
Si mostrano altri abitanti delle case demolite. Alcuni portano dei teli di
plastica per coprire le loro cose sui marciapiedi. Altri si sono riuniti
intorno a noi e vogliono parlare. Non hanno visto nessun mandato. La mattina è
arrivata la polizia, svegliando tutti e dicendo che dovevano lasciare la casa.
Hanno dato appena il tempo di prendere i propri effetti, prima che il bulldozer
iniziasse la demolizione. E' stato detto loro che non erano residenti a Sofia e
che dovevano tornare da dove provenivano. La figlia della 45enne Veska è
incinta, sua nipote ha degli attacchi, e suo figlio è sordomuto. Dimitrina ha
avvolto suo figlio in una coperta e guarda con gli occhi spalancati. Alcuni
piangevano, altri davano la colpa al sindaco e al governo, e maledicevano il
loro destino.
Finalmente il bulldozer ha finito ed è andato via. I poliziotti sono risaliti
sulle loro macchine verso un'altra operazione. Anche noi siamo andati via. Jordanka Bekirska, avvocato
del Bulgarian Helsinki Committee ha fatto ricorso a nome di 14 ex abitanti.
Prima che le case fossero demolite aveva parlato con degli incaricati comunali e
aveva detto loro che buttare la gente per strada è una violazione delle leggi
europee. La risposta fu che le autorità stavano osservando le leggi bulgare, e
che quelle europee non importavano. Decidemmo che parlare con le autorità
municipali era inutile. La risposta sarebbe stata identica a quella ricevuta il
mese precedente a Burgas - che la legge deve essere seguita e rinforzata, che
l'amministrazione non può offrire un'alternativa, che esiste una procedura da
seguire per gli alloggi sociali ecc.
Lo stesso giorno si teneva in un albergo una conferenza dal titolo "Realtà e
prospettive nelle politiche d'integrazione per i Rom". Alla conferenza si
dibatteva sulle priorità e sulle misure politiche da introdurre nel programma
governativo quadriennale per l''integrazione dei Rom. Era presieduto dal vice
Primo Ministro e Ministro degli Interni, Tsvetan Tsvetanov, che è anche leader
del principale partito di centro-destra, il GERB. Abbiamo chiesto a Tsvetanov
quante altre demolizioni di case rom erano previste. Menzionammo la demolizione
della mattina stessa ed aggiungemmo che ci sarebbe stato un ricorso che avrebbe
probabilmente la Corte Europea, cosa non buona per il paese. Rispose che era un
problema delle autorità municipali, che hanno l'obbligo di rafforzare la legge.
E la legge è la stessa per ognuno nel paese.
Uno degli argomenti della conferenza era le condizioni di vita dei Rom.
Comprendeva questi suggerimenti per il governo: "unire, dirigere e coordinare
gli sforzi delle agenzie statali, le autorità locali, i comitati cittadini, la
comunità rom ed ogni istituzione del paese coinvolta nel miglioramento delle
condizioni di vita dei Rom e nella modernizzazione dei quartieri che abitano."
Quindi, mentre si discute e si dibatte sulle condizioni di vita dei Rom, i
bulldozer di legge ed ordine stanno continuando ad andare ad abbattere solo
quelle case abitate dai Rom. Arrivano lamentele perché la legge è uguale per
tutti e tutti sono uguali davanti alla legge. Sembra che in molti si stiano
stancando, ed i forum su internet contengono commenti come "meglio smettere di
giocare con le baracche dei Rom, ed iniziare a regolare i palazzi costruiti
illegalmente dai nuovi ricchi." O sono forse più uguali del resto di fronte ai
bulldozer di legge ed ordine?
Ancora nessun bulldozer a Montana
Nella città di Montana ci sono due quartieri rom - Ogosta, con circa 1.800
abitanti, e Kosharnik con circa 2.500 abitanti. Sono ai due lati opposti del
centro regionale. All'inizio degli anni '50 la popolazione rom si concentrò ad
Ogosta, accanto alle sponde del fiume omonimo. Le inondazioni distrussero a suo
tempo molte case e ripari. Una buona parte della popolazione fu evacuata e
piazzati in strutture temporanee fuori dalla città.
Nel 1972 un progetto municipale getta le basi del nuovo quartiere di Kosharnik,
fuori dalla città. Attualmente è abitato da molta gente che si è trasferita da
altre città negli ultimi due anni. Nei terreni comunali di pascolo attorno al
quartiere hanno costruito case familiari senza mattoni, piani di costruzione e
permessi edilizi. Le autorità municipali non reagirono alle costruzioni
illegali, anche se ci furono proteste dei residenti lì attorno. In queste case
sono nati bambini e le famiglie sono cresciute, da cui si sviluppa il bisogno di
nuovi terreni. Crescono sempre più le case e le baracche illegali, abitate da
nuove famiglie.
Il quartiere di Ogosta si trova di fronte a problemi simili. Da un lato
confina con la ferrovia, il fiume dall'altro e la strada E-79. La popolazione
cresce ogni anno, ma l'espansione territoriale del quartiere è impossibile. In
pochi cercano di comperare casa fuori da quel territorio, in città o nei
villaggi vicini. La maggioranza della popolazione rimane nelle loro vecchie
case. Aggiungono un piano o costruiscono unità adiacenti, che raggiungono la
strada ed i marciapiedi e violano i regolamenti. Alcuni degli abitanti hanno
solo documenti di proprietà per la terra dove ci sono le vecchie case; altri non
hanno del tutto documenti. Ma tutti vivono con la convinzione che queste sono le
loro case, da ormai quattro generazioni.
Lo stato è impotente nel fermare questi processi. La città non ha
disponibilità di abbastanza edifici sociali per rispondere ai bisogno delle
famiglie che crescono. Non è chiaro quanto durerà questa situazione. Cosa
succederà agli abitanti delle case illegalmente costruite, quando le autorità
decideranno di seguire l'esempio di Burgas ed i bulldozer di legge ed ordine
entreranno nei quartieri rom di Montana?
Gli sforzi delle OnG rom nel risolvere i problemi regolando i quartieri rom e
trovando soluzioni abitative alternative, hanno sinora ottenuto soltanto di
includere la questione nel "programma quadro per l'integrazione rom nella
società bulgara". La medesima questione era stata inclusa nel trattato che la
Bulgaria aveva firmato come parte del Decennio dell'inclusione Rom.
Sono state adottate strategie locali sull'iniziativa del Movimento Civico
Rom, ma le discriminazioni istituzionali esistenti a livello nazionale e locale
causano che queste politiche rimangano solo sulla carta. I detentori del potere
non hanno interesse che quei programmi diventino parte del budget. Ignorare la
rappresentazione rom porta al conflitto etnico, locale, sociale e religioso. Il
fragile contratto sociale tra i cittadini bulgari di origine rom e lo stato con
le sue istituzioni, porta a regolari problemi nei quartieri e nelle
infrastrutture. Per queste ragioni non ci sono condizioni chiare fra i
consumatori ed i fornitori dei servizi quali energia elettrica, l'acqua e le
fognature. I quartieri rom sono di solito nelle aree suburbane, che li rende
strategici per installare grandi depositi, stazioni di servizio, fabbriche, ecc.
Questo porta a nuovi problemi tra i Rom ed il mondo degli affari, dove lo stato
improvvisamente si muove per regolare lo status di questi quartieri, assicurando
nel contempo la terra per grossi affari a basso prezzo.
I rappresentanti dei partiti nazionalisti nei consigli comunali adoperano il
processo decisionale a favore di alcuni cittadini e di solito a detrimento dei
Rom. Forse sinora l'obiettivo dei governi è stato di mantenere la popolazione in
uno stato di incertezza e sotto-rappresentazione e di aprirsi alla manipolazione
in occasione delle elezioni.
Per misurare tutto ciò, si adoperano soprattutto i misuratori di consumo
elettrico domestico, ma la misurazione del consumo energetico non è diventata
più precisa, di solito a svantaggio dei Rom. La sfiducia dei Rom si è di
conseguenza mutata in protesta silenziosa. La protesta si muta nell'essere
indifeso passivo, tendente sull'irresponsabilità per il loro proprio futuro e
quello dei propri figli.
Varna aspetta i bulldozer
Nella capitale marinara della Bulgaria, i bulldozer non hanno ancora fatto
nessuna vittima. Il quartiere rom si trova subito a sinistra dell'ingresso della
città. Per la maggior parte le dimore del quartiere Maksuda sono state
costruite senza permesso, cosa che le rende automaticamente illegali. Nella
nostra conversazione con Nikolay, che lavora nel settore OnG che tratta di Varna
e della regione, condivide le voci che quel pezzo di terra dove sono costruite
case illegali sia stato comprato da due fratelli affaristi. In effetti, la
posizione del quartiere rom è eccezionalmente conveniente: vicino alla costa,
dove ogni uomo d'affari cercherebbe terreni appetibili. "Abbiamo sentito che in
due, forse tre anni, inizieranno a buttare giù le case. Scorrerà il sangue. Lì
la gente ha belle case a due piani e vive lì da tempo. Combatteranno per quello
che considerano loro. Ci sarà fermento," dice Nikolay amareggiato.
In effetti le voci sui due fratelli affaristi di Varna è esemplare
dell'attuale impasse sui problemi residenziali dei Rom. Sfortunatamente, lo
stato di fronte alle autorità municipali non riesce a trovare il giusto
approccio alla soluzione di questi problemi. Per lavarsene le mani e realizzare
profitto, lo stato vende i problematici quartieri rom alla grande finanza, che
da parte sua tenta con tutti i mezzi possibili, bulldozer inclusi, di spianare i
terreni acquisiti e prepararli per lo sviluppo e gli investimenti. Così lo stato
si sottrae alle proprie responsabilità ed i Rom si scontrano con la grande
finanza nel salvare o perdere le proprie case, com'è accaduto a Burgas e Sofia.
By Ognyan Isaev
Valery Lekov
Tosen Ramar
Dimitar Georgiev
Di Fabrizio (del 18/01/2010 @ 00:37:43, in casa, visitato 2315 volte)
di Eugenio Viceconte - Jan. 17th, 2010 at 8:09 PM
Da pochi minuti il TG3 Lazio ha annunciato che domani mattina circa 150 rom
del Campo di Salone, un campo legale, spartano ma attrezzato con container e
servizi, saranno spostati al Centro Richiedenti Asilo (CARA) di Castel Nuovo di
Porto (circa a 50 km dal campo di Salone).
Un CARA non è una prigione o un CIE ma è comunque un luogo in cui vengono
applicate restrizioni alle libertà individuali.
E' un luogo che serve ad ospitare persone appena arrivate sul territorio
nazionale che richiedono asilo per motivi politici o economici.
I rom di Salone sono o di origine dell'ex Jugoslavia, e quindi sono arrivati in
Italia da almeno 15 anni, o più recentemente dalla Romania.
Ovviamente parlare di richiedenti asilo per dei cittadini comunitari come i
Rumeni è una bestialità incivile.
Parlare di richiedenti asilo per gente che 20 anni fa è arrivata in italia da un
paese in guerra ... ed a cui l'italia 20 anni fa e negli anni a seguire non ha
saputo trovare una cittadinanza, è una ulteriore bestialità.
Le promesse di Alemanno e del prefetto Pecoraro alle comunità rom di roma
sono belle e dimenticate.
Gran parte della popolazione di Salone è fatta da ragazzi che sono nati a
Roma!
Le foto che
vedete nel seguente slide show sono state scattate da ragazzi rom in gran
parte del campo di Salone.
Molte, sono scattate nel campo di Salone, un campo con gravi problemi ma che
offre un minimo di normalità a chi ci vive.
Nel CARA di Castel Nuovo di Porto non troveranno tutto questo.
Ragazzi che parlano italiano, per il semplice motivo che sono nati TUTTI a Roma.
Richiedenti asilo da cosa? Dal nostro infame paese che non ha saputo dargli
un futuro ne vorrà mai offrirglielo?
Terminati i lavori del nuovo villaggio. Un’area residenziale attrezzata per
17 famiglie rom
Un'area residenziale - che sostituisce il fatiscente "campo nomadi" - voluta
dal Comune di Pisa e sostenuta dalla Regione Toscana, per superare l'abitare
inferiore e marginalizzante di una popolazione svantaggiata, stigmatizzata e ad
economia debole.
Il progetto dell’area residenziale per famiglie rom a Coltano nasce all’interno
di un piano di sistemazioni abitative “Le città sottili”, voluto
dall’amministrazione comunale (con riferimento alla L.R. Toscana 2/2000) e
rivolto ai gruppi rom presenti sul territorio con diversi insediamenti.
I riferimenti dell'intervento di superamento del vecchio campo (il cui progetto
preliminare è stato realizzato dalla Fondazione Michelucci) trovano i loro
presupposti nella particolare localizzazione dell’area di intervento
(all’interno di un parco naturale) e nell’esigenza di dare una risposta concreta
alla richiesta di un abitare non più precario e marginalizzante per una
popolazione svantaggiata ad economia debole.
A fronte di una scelta localizzativa, che non presenta le condizioni più
favorevoli che a favorire il difficile processo di inserimento urbano e sociale
dei Rom (prossimità urbana, servizi territoriali, vicinanza di istituti
scolastici, ecc.), l’attenzione è stata rivolta a ribaltare l’attuale situazione
di “apartheid” geografico e sociale, pensando l’intervento come realizzazione di
un borgo abitato nella campagna, in prossimità della via Aurelia, e di un
complesso di abitazioni con servizi in relazione col parco.
In tal senso le scelte progettuali sono andate nella direzione di un progetto
naturalisticamente integrato e rispettoso del territorio inteso come risorsa,
rifacendosi nelle tipologie all’edilizia presente in maniera diffusa nell’area:
la casa colonica a un piano a pianta generalmente quadrata con un corpo basso
che si estende su di un lato e utilizzato in passato per l’attività agricola.
L’intervento prevede 17 unità abitative in muratura, aggregate in tre corpi di
fabbrica in linea, distribuiti lungo un percorso pedonale che attraversa
longitudinalmente il lotto; dal punto di vista costruttivo è stato previsto un
sistema a muratura facilitata, ipotizzato per un intervento in autocostruzione,
con elementi in polistirene espanso a riempimento in calcestruzzo, integrato a
pannelli-cassero in materiale sintetico e cemento armato per i solai.
Nell’ottica di facilitare una vita di relazione aperta al proprio gruppo
parentale allargato e un luogo dove i bambini e gli adolescenti possano trovare
la piena sicurezza di una crescita non necessariamente penalizzante come quella
dei classici campi, è stata realizzata una netta divisione fra la viabilità
pedonale e carrabile, mentre gli alloggi hanno una fascia di pertinenza a verde
in grado di garantire continuità fra interno ed esterno dell’alloggio.
I tre corpi di fabbrica si articolano intorno allo sviluppo di un modulo
abitativo standard di 60,3 mq., che variando per disposizione e diminuzione dei
locali crea un disegno d’insieme articolato che pure in una situazione di
contiguità, garantisce un buon livello di privacy.
Nella definizione dell’alloggio tipo, le indicazioni progettuali - condivise
anche con i futuri abitanti - hanno tenuto conto della particolare utenza
sfruttando al massimo l’utilizzo delle superfici disponibili.
Nonostante il progetto sia stato pensato ipotizzando un intervento in
autocostruzione, la realizzazione finale con il cantiere aperto ad aprile 2007 è
stata affidata esternamente a seguito di appalto pubblico.
La base d'asta per la realizzazione del villaggio è stata di 920.000 euro.
Il cantiere con la realizzazione completa delle opere previste è stato
consegnato all'Amministrazione comunale di Pisa il 9 dicembre 2009.
SCHEDA TECNICA superficie coperta
tipo A = 60,3 mq.
tipo B = 45,9 mq. (sopraelevazione)
tipo A = 12 moduli = totale mq. 723,6
tipo B = 5 moduli = totale mq. 229,5 (sopraelevazione)
totale superficie coperta mq. 723,6
volume coperto
tipo A = 60,3 X 2,70 = mc. 162,81
tipo B = 45,9 X 2,70 = mc. 123,93
tipo A = 12 moduli = totale mc. 1953,72
tipo B = 5 moduli = totale mc. 619,65
totale tipo A + totale tipo B = mc. 2573,37
Progetto definitivo
Studio Tecnico Mugello (con la collaborazione della Fondazione Michelucci)
Progettazione: Geom. Stefano Zanieri
Progettazione e direzione dei lavori: Geom. Gianfranco Chiarelli
Progettazione strutturale: Ing. Paolo Collini
Le varie fasi progettuali che hanno portato alla realizzazione del progetto sono
state attuate in collaborazione con gli uffici tecnici dell’ASL 5 (Ing. Stefano
Bonechi)
Dopo le polemiche seguite alla chiusura del progetto Città
Sottili di Pisa, ho chiesto un parere informato ad Agostino Rota Martir, che i
lettori di questo blog già conoscono, e che vive ed opera con i Rom di Coltano
da molti anni. Ecco cosa m'ha scritto:
Caro Fabrizio, grazie dell'attenzione e la gentilezza di chiedere un mio
parere, ecco ci tengo a sottolineare che è innanzitutto un mio parere, anche se
nasce molto dal sentire dei Rom di Coltano e sono anche il frutto di tanti anni
di ascolto, di pazienza, di delusioni e amarezze e prese in giro, di sotterfugi
che contraddistingue il comune di Pisa, in primis i responsabili del progetto
denominato "Città Sottili". Non è ancora il momento di fare (almeno per me) una valutazione complessiva sul
Progetto del Villaggio Rom di Coltano, cosa che penso di fare più avanti, farlo
ora forse significa mettere a disagio... (per non dire altro) delle famiglie
Rom: è anche per questo che voglio parlare solo a titolo personale.
Mi limito a rispondere-commentare i contenuti della pagina che ho scaricato dal
link che mi hai mandato.
Partiamo dal titolo: "Autocostruzione": niente di più falso e fuorviante. Era
nelle intenzioni iniziali quello di coinvolgere i Rom nell'autocostruzione, ma è
sempre rimasto sulla carta, una semplice buona intenzione. E si è fatto
veramente poco per coinvolgere i Rom in questo, anche perché gran parte dei Rom
erano privi di un Regolare Permesso di Soggiorno: senza Soggiorno, niente
Party!!
Quindi il villaggio è stato interamente costruito dalle ditte Italiane. Non è
vero che è la costruzione è iniziata nel 2007!! I Rom stanno aspettando dal 2002
e i primi lavori sono incominciati (se ricordo bene) nel 2004.
Nella presentazione si parla di "coinvolgimento" dei Rom, anche questa è
risultata una bella intenzione, posso dire che il comune ha creduto pochissimo
coinvolgere i Rom, semplicemente ha dato la priorità ad Associazioni, "esperti"
Rom, operatori, Cooperative che spesso hanno gestito con ambiguità la vita dei
Rom: decidere al posto loro, pensare al loro futuro con schemi e visioni
discutibili e anti-Rom. Spesso il coinvolgimento si limitava a chiedere ai Rom
di ubbidire a promesse che venivano poi spesso disattese dai stessi responsabili
del Progetto. Il Progetto ha di fatto diviso la comunità dei Rom, creando
rivalità e sospetti tra gli stessi, e la cosa triste è il sospetto che spesso
tutto questo rispondeva a tattiche che i responsabili operavano deliberatamente:
"Dividi et impera". In nome dell'integrazione spesso vengono calpestati e
silenziati i diritti dei Rom. Perché è più importante far vedere alla
cittadinanza che i Rom sono sotto "controllo", e sbandierare quei risultati che
vogliamo vedere...ma in questi lunghi anni le condizioni di vita sono forse
migliorate? Si, è vero c'è a fianco un bel villaggio in muratura, tutto cintato,
asciutto..mentre i Rom che vivono accanto da anni vivono allagati alla prima
pioggia, le fogne che escono maleodoranti, e tante famiglie sono ancora senza
servizi igienici, messi in attesa dal 2003 con la promessa di avere un alloggio,
di pazientare, di collaborare... mentre ora il Comune fa sapere che deciderà una
commissione (l'ennesima), tutta nuova, completamente inesperta e priva di
memoria storica, che ancora una volta stabilisce nuovi criteri, arbitrari e
discriminatori... perché la maggioranza delle famiglie sembra che verrà esclusa!
Altra grossa delusione (più corretto dire constatazione) è il ruolo della
Fondazione Michelucci di Firenze. Sinceramente mi chiedo come una Istituzione
così famosa e ricercata possa pensare che il Villaggio appena realizzato tenga
conto dello stile di vita, ma sopratutto dell'abitare Rom. Sarebbe bene che la
stessa Fondazione si pronunci in merito e risponda ad alcune domande precise:
"Il Villaggio così com'è è adesso, è lo stesso progetto che la Fondazione ha
presentato al comune quando le fu chiesto la consulenza?" Ritiene la Fondazione Michelucci che la realizzazione finale del Villaggio di Coltano è pensato e
adatto per famiglie Rom?"
A me sembra che la Fondazione Michelucci si è mostrata attenta a rispettare la
vocazione dell'area del Parco naturale di Coltano, cosa senz'altro lodevole e
meritevole, ma pensare di superare la logica dei campi forse ci vuole ben altro,
non basta certo sostituire una parola con "villaggio Rom" per far credere chissà
quale novità, quando tutto il resto non fa altro che ripetere le stesse logiche
dei campi...
Termino qui, pur avendo tante altre cose da dire, preferisco rimandarle ad
un'altra occasione, scusami la poca chiarezza e un po' di imprecisione.
Ciao Ago
Guidizzolo non vuole un campo per i sinti. Il trasferimento delle famiglie
deciso dal comune di Brescia senza avvisare il sindaco. Il prossimo campo a
Gazzo di Bigarello.
Il terreno acquistato dal comune di Brescia
Il Comune di Brescia acquista un terreno a Birbesi di Guidizzolo per
trasferirvi alcune famiglie di sinti. Il tutto all'insaputa del sindaco. E della
popolazione. La quale ha reagito subito: questa mattina i residenti nella zona
di Birbesi hanno cominciato a erigere una palizzata al confine tra le loro
proprietà e quella delle famiglie sinte. Quasi a voler sottolienare che su quel
terreno sorgerà un campo nomadi, non particolarmente gradito.
La Lega Nord, che ha protestato con i suoi amministratori locali dicendo che
«non staranno a guardare», presenterà un'interpellanza parlamentare su ciò che
definisce «un tiro mancino» sferrato da un Comune, quello bresciano, di
centrodestra. Ma problemi legali non dovrebbero esistere: il terreno è stato
infatti regolarmente acquistato e nessuno può impedire che alcune famiglie vi si
trasferiscano. Anche se di etnia sinta. Un altro terreno per un'analoga
operazione del comune di Brescia è stato individuato a Gazzo di Bigarello. La
vicenda delle aree vendute ai nomadi sta scatenando nel Mantovano aspre
polemiche.
Il Comune di Brescia, tramite la società controllata Brixia Sviluppo, ha
acquistato un terreno a Birbesi di Guidizzolo su cui trasferire alcune famiglie
di nomadi sinti che attualmente occupano il campo di via Orzinuovi che presto
verrà smantellato. Della notizia nessuno era al corrente, né il Comune di
Guidizzolo, né gli abitanti della zona in cui si insedierà il nuovo campo che -
a detta dell'associazione di volontariato Sucar Drom di Mantova che gestisce il
progetto - sarà formato solo da 4 famiglie, 16 persone in tutto. Non ne sono
convinti però i residenti che, appena appresa la notizia, per tutelarsi hanno
già cominciato ad alzare una palizzata per dividere i confini.
(red.) Sembra destinata a durare la polemica tra il comune di Brescia e
quello di Guidizzolo in provincia di Mantova sul trasferimento delle famiglie
sinti in un terreno acquistato dalla controllata della Loggia, la Brixia
Sviluppo, e destinato proprio alla realizzazione di un campo nomadi (leggi
qui).
I residenti del comune mantovano hanno cominciato a scavare una trincea per
erigere successivamente una palizzata al confine tra le loro proprietà e
quella delle famiglie di nomadi, mentre il sindaco Graziano Pelizzaro ha
predisposto un'ordinanza che prevede il divieto di sosta nomadi nel territorio.
A ciò si aggiungono le 500 firme raccolte contro questo insediamento.
La Lega Nord, che ha protestato con i suoi amministratori locali dicendo che
“non staranno a guardare”, presenterà un'interpellanza parlamentare su ciò che
definisce “un tiro mancino” sferrato da un comune, quello bresciano, di
centrodestra.
La vicenda approda in Parlamento con un'interrogazione dell'onorevole
leghista Gianni Fava nella quale, dopo aver ricostruito la vicenda, si chiede al
ministro degli interni se "è a conoscenza dei fatti e quali provvedimenti
ritiene opportuno adottare al fine di evitare che i comuni mantovani non siano
costretti a subire passivamente le decisioni operate dall’amministrazione
comunale”.
Non sembra comunque che ci possa essere spazio per adire a vie legali, in
quanto il terreno è stato regolarmente acquistato e un altro lotto, per
un'analoga operazione del comune di Brescia, è stato individuato a Gazzo di
Bigarello.
E' passato un anno dal febbraio 2009, quando la bidonville rrom sotto il
ponte autostradale di Gazela, a Belgrado, fu vittima di un terribile incendio.
Il sindaco approfittò dell'occasione per espellerne tutti gli abitanti. In
aprile, vennero abbattuti i baraccamenti illegali del Blocco 67, a Nuova
Belgrado. Il sindaco continua le sue operazioni di "pulizia sociale",
ma i Rrom cacciati in provincia muoiono di fame e di freddo. Reportage a Vranje. Par
Goran Antić
Vista del vecchio campo rrom di Gazela
Il solo accesso all'accampamento improvvisato di Vranje, 350 chilometri a
sud di Belgrado, è un percorso fangoso che sale per la collina. Gli stessi
abitanti hanno scavato dei percorsi nella terra per arrivare ai loro ripari.
La casa dove alloggiano Nasser Kamberi, 38 anni, sua moglie ed i loro tre
bambini, due ragazze ed un ragazzo, è tipica: pareti nude senza intonaco, un
tetto di lamiera coperto di plastica. I suoi bambini poco vestiti corrono nella
neve del mese di gennaio, mentre i loro vestiti di ricambio, vecchi e strappati,
si asciugano su una corda stesa.
"I bambini non possono andare a scuola in questa maniera, hanno vergogna di
essere sporchi e malvestiti. Prima, a Belgrado, andavano a scuola. Qui, non
hanno niente, né quaderni, né libri, né matite," spiega Irinka, la moglie di
Nasser.
La vita era dura a Belgrado nell'accampamento illegale stabilito sotto il
ponte di Gazela, ma la comunità si organizzava, faceva piccoli lavori,
raccoglieva vecchi cartoni, faceva la selezione dei rifiuti per il riciclaggio.
Invece, a Vranje, non c'è nulla da fare. "Non c'è lavoro. I nostri bambini
crepano di fame e viviamo di carità," racconta Nasser.
Le autorità di Belgrado hanno giustificato la pulizia dell'accampamento con
la necessità di fare piazza pulita per la ricostruzione del ponte, che farà
parte del famoso corridoio 10, che attraversa la capitale serba.
La decisione di spostare i Rrom è stata presa nel 2007, quando la Banca
Europea per lo Sviluppo e la Ricostruzione (BERD), ha dato il suo benestare per
assegnare i fondi per la ricostruzione del ponte alla condizione di spostare la
gente che vi viveva sotto.
I Rrom sono stati ripartiti in diversi luoghi in provincia, secondo i loro
vecchi indirizzi di residenza, con la promessa che le autorità locali li
accogliessero in condizioni rispettabili.
I Rrom si sono lamentati delle loro condizioni presso le autorità serbe
Quanti si trovano a Vranje si sono lagnati presso il Ministero del Lavoro
e gli Affari Sociali, denunciando le loro attuali condizioni di vita. La sola
risposta che hanno ricevuto è stato che gli enti locali erano responsabili e
dovevano occuparsi di loro.
l comune di Vranje sostiene di aver ricevuto più famiglie di quante aspettava
e che non aveva fondi per occuparsi di tutti.
La famiglia di Dino Kamberović che conta tre persone fa parte di questi nuovi
arrivi. Ha ricevuto un'assegnazione di realloggiamento da parte del governo di
140.000 dinari (circa 1500 euro), ma il denaro è scomparso molto rapidamente.
"Il denaro è finito in un batter d'occhio. Non avevamo più nulla ed avevamo
bisogno di tutto. Ho speso denaro per mangiare, per gli abiti, per il
riscaldamento e per il materiale scolastico di mio figlio di 10 anni", spiega
Dino che non ha lavoro e la cui famiglia deve sopravvivere con gli aiuti sociali
di 15.000 dinari al mese (circa 160 euro).
Miroslav Iljazović e le sei persone che compongono la sua famiglia vivono
affianco, in una baracca senza finestre con un uno tetto in lamiera. Ha ricevuto
soltanto 31.000 dinari (circa 300 euro) d'aiuto sociale in quest'ultimi sei
mesi, e tutto è stato speso per comperare da mangiare.
È la stessa cosa per Velija Kamberović. Di 20 anni soltanto, è già il padre
di quattro bambini che si appendono alle sue gambe e chiedono di mangiare.
"Mangiamo una volta al giorno ed è magra. È duro per noi perché non abbiamo
l'acqua corrente; i bambini si lavano una volta al mese".
A Vranje, sono arrivate persone due volte di più rispetto a ciò che era
previsto
I Rrom si sono lamentati più volte della loro situazione presso gli enti
locali ed il Ministero del Lavoro e degli Affari Sociali, ma nessuno ha prestato
attenzione alla loro sorte. Il ministero li rinvia ai sindaci, ma lì non
ottengono più attenzione. L'ultima volta che una delegazione è andato dal
sindaco di Vranje, le guardie di sicurezza li hanno gettati fuori.
Branimir Stojancić incaricato degli affari sociali del sindaco di Vranje,
ripete che ci sono più persone che sono arrivate per essere rialloggiate che non
c'erano persone iscritte. "Avevamo una lista di 13 famiglie, e ne sono arrivate
29. Ci sono 16 famiglie che non erano iscritte e non possiamo aiutare tutta
questa gente".
Le autorità provano a conservare un legame con questi nuovi arrivi. Il giorno
di Vasilica, la festa celebrata da tutti i Rrom in occasione del nuovo anno
ortodosso, il 13 gennaio, gli eletti locali hanno offerto cognac ai residenti
del campo rrom di Gornja Čaršija.
Naser Kamberi non ha proprio apprezzato questo regalo. "Non abbiamo nulla da
mangiare ed il sindaco ha denaro per offrirci cognac! Non ho bisogno di cognac,
ho bisogno di prodotti alimentari, di abiti e di libri per i miei bambini!
Avrebbero almeno potuto dare un pacco di Natale ai bambini".
A Belgrado, la ricostruzione del ponte Gazela non è ancora cominciata. I
lavori potrebbero iniziare in primavera.
Allego un video con sottotitoli in inglese, trasmesso
dalla rete serba RTS
Gagi è residente nel nuovo insediamento rom. Qui risiedono i Rom che per
decisione dell'Assemblea Cittadina di Belgrado, cinque mesi prima, li spostò
dall'insalubre accampamento posto nelle adiacenze del ponte "Gazela". Guardando
le riprese della squadra della Radio Televisione Serba - RTS che diverse volte
registrava pellicole, a Gagi è cresciuto il desiderio di girare un film sui suoi
vicini ed amici.
Gagi si fece prestare una videocamera ed andò a filmare. Però i vicini erano
molto più propensi a parlare quando la videocamera era spenta, rispetto a quando
Gagi con la videocamera accesa li interrogava sulla loro vita ed i problemi che
affrontavano. Si può respirare l'atmosfera nell'insediamento attraverso le sue
conversazioni con i vicini. Nelle parti dove non vengono date le risposte
concrete, secondo il giudizio di Gagi, è lui stesso che si pone di fronte alla
videocamera, spiegando lui stesso più dettagli della situazione.
Era intenzione di Gagi che il film fosse visto da qualcuno di RTS perché
venisse trasmesso in TV. Spera che Milutin, il direttore film di RTS, lo aiuti.
Milutin, [...] segue Gagi riprendendolo a su a volta nei sui sforzi di
registrare la vita del suo nuovo insediamento. Storia ruvida su Gagi, le sue
ambizioni, sui Rom ed i loro problemi, intervallata da diverse situazioni
comiche [...]
In occasione della Giornata della Memoria, un presidio di 150 persone è
riuscito (pur avendo ricevuto continui rifiuti da parte del sindaco di
Comunione e Liberazione Roberto Zucchetti e dei consiglieri leghisti) a far
sedere in consiglio comunale un esponente della comunità Rom che ha chiesto
all'amministrazione di smetterla con gli sgomberi razzisti e disumani messi in
atto dal Comune di Rho, che ricordano tristemente le operazioni di pulizia
etnica subite dagli Ebrei e dai Rom durante il nazismo.
L'intervento di Johnny, in rappresentanza della comunità Rom rhodense ha
ripercorso la storia della loro famiglia fino allo sgombero, all'abbattimento
della loro casa e alla confisca dei loro terreni, sottolineando che le modalità
disumane con cui sono stati messi in mezzo a una strada e privati di ogni loro
diritto, facendogli perdere il lavoro e allontanando i bambini dalla scuola,
rispondono ad una logica razzista per cui viene chiamata l'intera comunità Rom a
rispondere di atti illegali che è pur vero che esistono tra i rom (ma anche tra
gli italiani), ma la cui responsabilità deve essere individuale.
Le famiglie rom obbligate a lasciare Selendi (Manisa) dopo che il loro
quartiere è stato attaccato e dato alle fiamme (vedi
ndr), sono arrivate a Salihli (Gordes), dove lo stato aveva promesso loro
assistenza, ma non ha mantenuto le promesse. Oggi, soltanto poche famiglie
possono cucinare qualcosa nelle loro abitazioni temporanee. Qualcuno può
scaldarsi la casa, ma la maggioranza manca di legna da bruciare e di acqua
calda, così lavarsi è un lusso. Soltanto metà delle case hanno acqua
corrente. "Non puoi stare bene e sano in queste condizioni", dicono i Rom, "nel
passato ogni famiglia aveva un tetto sopra la testa, ma ora ci sono fogli di
plastica e per ogni casa ci sono tre famiglie". Il materiale per i miglioramenti
di queste proprietà, per renderle abitabili alle famiglie rom, è accatastato lì
vicino nella locale moschea.
Inoltre, secondo il governatore del distretto di Salihli, i Rom sono vittime
di discriminazione nella loro nuova collocazione. "Anche quando ricorriamo allo
stato per trovare case per le famiglie rom, i proprietari non vogliono
affittare," dice. "Se sono per le famiglie rom, ci dicono, non li vogliamo nei
nostri appartamenti."
La comunità rom ha vissuto a Selendi, Manisa, per oltre trent'anni. A
Capodanno ci fu un diverbio ed in una casa del te non volevano servire un Rom,
anche se il proprietario del locale si giustifica dicendo che il Rom stava
fumando nel locale (la legge turca, in linea con le politiche UE, proibisce di
fumare sigarette nei ristoranti, bar e caffè aperti al pubblico). A seguito di
ciò, iniziò una "spedizione punitiva" contro il quartiere rom, con lancio di
pietre contro le case ed auto bruciate per le strade. Grazie all'aiuto della
locale Jandarma (gendarmeria), le famiglie si rifugiarono nella vicina città di
Gordes. La questione ebbe ampio risalto sui media, con i parlamentari che per
giorni dopo l'accaduto, focalizzarono la loro attenzione sul problema dei "Rom-in-esilio".
Le autorità fecero promesse. "Queste ferite saranno rimarginate. Ai Rom verranno
date nuove case." Invece, le famiglie vennero separate, i parenti divisi, mentre
altra furono obbligate a vivere in condizioni ristrette di tre famiglie a
condividere piccole case a Salihli. Un mese dopo, il dramma è finito e 18
famiglie stanno vivendo nella miseria...
Dr. Adrian Marsh Researcher in Romani Studies adrianrmarsh@mac.com
+46-73-358 8918
Di Fabrizio (del 20/02/2010 @ 09:02:38, in casa, visitato 1709 volte)
A giugno scade l'accordo per l'area di via Lazzaretto, che sarà destinata
ad altro uso. Le famiglie si dividono: alcuni pronti a fare domanda per una
casa, altri a rimanere fedeli alla loro tradizione
Case popolari sì, case popolari no. È il dilemma delle famiglie del campo sinti
di via Lazzaretto, che a giugno dovranno lasciare l'area attrezzata dopo che
l'amministrazione
ha deciso di non rinnovare la convenzione annuale di affitto,
per liberare l'area per altro uso. Le famiglie del campo, una ventina, sono
state convocate dall'assessore ai servizi sociali Roberto Bongini per un
confronto. «Ho invitato le famiglie – spiega Bongini - a fare domanda per le
case popolari, anche se ho chiarito che non hanno nessuna precedenza nelle
graduatorie». Già in passato un paio di famiglie avevano accettato, ora un'altra
mezza dozzina è pronta a fare domanda per il prossimo bando di marzo. Ma gli
altri nuclei non hanno intenzione di abbandonare la vita legata alla tradizione
nomade. Da tempo i sinti si sono stabiliti a Gallarate (sono cittadini
gallaratesi a tutti gli effetti) e non esercitano più forme di lavoro
itinerante, come ad esempio quello di giostrai. La vita nel campo, però,
consente però di mantenere unite le famiglie allargate: i figli continuano a
vivere accanto ai genitori, con i nipoti. E questo è l'aspetto a cui i sinti non
intendono rinunciare.
Nell'incontro si è parlato anche delle bollette dell'elettricità e dell'acqua.
«Hanno detto anche sui giornali che non paghiamo le bollette e che il Comune
deve pagarle. Non è vero, per questo ci ha dato fastidio» dice Ivano, uno dei
giovani capifamiglia sinti. «Molti di noi hanno pagato, altri hanno difficoltà a
causa del lavoro che manca: noi abbiamo chiesto di rateizzare le bollette, che a
volte sono pesanti». Sulla questione Bongini ha promesso che verificherà se ci
sono stati errori e chiarirà la posizione delle famiglie.
La grande preoccupazione dei sinti, però, riguarda giugno: quando l'accordo
scadrà dove andrà chi non vuole fare richiesta di case popolari?
La posizione
dell'amministrazione non cambia: a giugno il campo sarà sgomberato e destinato
ad altro uso, in attesa di decidere, nel pgt, a quale uso destinare l'area.
Nella zona non urbanizzata accanto all'autostrada
dovrebbe sorgere un complesso
logistico. Case popolari o meno, i sinti secondo l'amministrazione dovranno
dividersi, mettendo fine a quella che il sindaco Nicola Mucci ha definito «autoghettizzazione».
Soluzioni alternative, come quelle già sperimentate recentemente altrove anche
nel
nord Italia, non sono all'ordine del giorno.
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