Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Evento organizzato da
e
Concerto di raccolta fondi per un progetto post-terremoto
con INGRESSO A SOTTOSCRIZIONE
Giovedì 7 febbraio, ore 21.30 Enoteca Ligera,
via Padova 133
Tutto a posto?
Ad oltre sei mesi dal terremoto, l'Emilia è dimenticata con ancora tutte
le ferite aperte. Sta succedendo lo stesso agli scampati del terremoto a
L'Aquila.
Abbiamo cercato dei referenti in Emilia, che seguissero un progetto tangibile e
già in corso, per continuare a dimostrare la solidarietà emersa a fine maggio.
L'abbiamo trovato con
Sisma punto
dodici e col loro
progetto di autocostruzione.
Gli
Unza, chi se li ricorda?
Furono i primi a far conoscere le storie e la musica dei Rom rumeni a Milano.
Poi, come succede spesso, il gruppo si divise: qualcuno andò a lavorare in
campagna, qualcuno tornò in Romania, altri continuarono a girare tra campi rom
sempre più malmessi. Altri cammineranno sul percorso tracciato da loro.
Ma non puoi fermare la passione che scorre nelle vene di un musicista, la
necessità di mettersi in gioco ancora una volta.
E... hanno pensato, noi che si è sempre vissuto in tende e roulottes, non
vogliamo essere SPORCHI ZINGARI, anzi, possiamo impegnarci per il paese
che ci ospita da anni: con questo concerto
fortemente voluto: brani del repertorio romanì e del folklore rumeno,
per
scoprire le tante radici che legano popoli e culture. Una serata per ballare - certo, per riflettere - forse, per conoscersi
e stare insieme.
Di Fabrizio (del 30/01/2013 @ 09:05:05, in scuola, visitato 1729 volte)
La scuola, bella come un camion
Par VERONIQUE SOULE' Envoyée spéciale à Vesoul - 6 janvier 2013 à 19:08
Libération
Il camion scolastico nell'area di sosta di Vesoul, all'ora di uscita dei
bambini. I corsi vanno dalla scuola materna alle superiori. (Photo
Raphael Helle)
GRAND ANGLE: Come scolarizzare meglio i bambini itineranti, francesi e
stranieri? Andando loro incontro con veicoli convertiti in aula. Visita a bordo
di un camper parcheggiato nell'area di sosta di Vesoul.
Dopo le medie, Tonia - 13 anni, voleva andare alle superiori, ma con la vita
che fa, secondo lei non sarebbe stato possibile: "Rimaniamo fermi durante
l'inverno e dopo siamo in viaggio. Verso aprile-maggio, si parte in
pellegrinaggio per
Saintes-Maries-de-la-Mer e torniamo a settembre, da ottobre siamo qui, a Vesoul,
per la vendemmia." Senza contare che "qui al mattino, noi ragazze
abbiamo da fare, e da organizzare la carovana". Allora, è difficile andare
alle superiori... Seduto ad un altro tavolino nel camper scolastico dell'area di
sosta di Vesoul (Haute-Saône), Benoist - 18 anni, si lamenta della realtà. "Avrei
voluto studiare di più, dice, perché per lavorare chiedono di saper
leggere e scrivere. E vorrei prendere la patente." Indica suo padre,
rottamaio, e gli da un buffetto: "Non mi piace il suo lavoro". A suo
fianco, Alphonse - 15 anni, ammette: "Andare a scuola tutti i giorni, no,
non mi piacerebbe". Piuttosto vorrebbe darsi all'edilizia, ma si è anche
rimesso a studiare, per corrispondenza. Come per Benoist, l'obiettivo è passare
il Certificato di Formazione Generale (CFG), un attestato di poco al di sotto
rispetto a quello delle scuole superiori.
Questa mattina sono venuti cinque ragazzi col camion scolastico, un veicolo
trasformato in aula, con disegni e tabelline appese alla parete, fermo proprio
nel mezzo dell'area di sosta a Vesoul, Alta Saona. Assieme agli insegnanti,
faranno una relazione al Centre
national d'enseignement à distance (Cned). Un secondo camion, parcheggiato
accanto, raccoglie i più piccoli. Il campo, asfaltato, con guardiola
all'ingresso, bagni chimici, acqua ed elettricità, è ben apprezzato dalla gens du voyage.
Mentre molte di queste aree sono situate ai bordi di strade trafficate, qui
siamo circondati dal verde, [il campo] in questo momento ospita una dozzina di
grandi camper colorati. Le donne girano con i bambini in braccio, mentre gli
uomini discutono seduti intorno ad un tavolo sotto il sole.
Tre circolari ed un messaggio dal ministro
La scolarizzazione degli enfants du voyage - il termine ufficiale in
Francia (1) - e dei Rom stranieri è attualmente una preoccupazione del governo.
Il 10 ottobre, la Corte dei Conti ha fornito un rapporto critico, in cui si
sottolinea che ci sono troppi bambini non scolarizzati, particolarmente nella
scuola materna e alle superiori. Nel contempo, sono state pubblicate tre
circolari. Affermano che i bambini itineranti (francesi e stranieri) hanno il
diritto di essere accolti nelle scuole, senza dover aspettare che le famiglie
riescano a procurare tutti i documenti - è il caso dei Rom che vivono in
accampamenti regolarmente sgomberati. Il 29 novembre, il ministro
all'istruzione, George Pau-Langevin, ha ripetuto il concetto durante un
colloquio a Grenoble.
L'Alta Saona e soprattutto Belfort et Montbéliard (Doubs), sono sede di
un'antica comunità di gens du voyage, arrivata lì almeno da due secoli.
Il dipartimento conta tre grandi famiglie - gli Adolphe, i Weiss
e i Winterstein, inizialmente commercianti ambulanti nelle campagne. Oggi,
secondo l'associazione franco-Saonarda Gadjé, sarebbero 6.000-8.000.
Rottamai, commercianti ambulanti, intessitori di cesti, operai edili... per
la maggior parte dell'anno vivono nelle aree di sosta - obbligatorie per i
comuni di oltre 5.000 abitanti - o su terreni familiari di proprietà. D'estate
soggiornano a Saintes-Maries-de-la-Mer
(Bouches-du-Rhône). Dopo, ritroveranno le loro famiglie sparpagliate in Francia
o all'estero, o si riuniscono in località turistiche dove è più facile trovare
dei piccoli lavori.
Le più grandi, come Tonia e Marie-Milka, fanno i compiti nel camion
scolastico. (Photo Raphaël Helle)
120 alunni iscritti al Cned
Il primo camion scuola - "antenna scolastica mobile" nel linguaggio ufficiale
- ha iniziato a circolare nel 1992, per l'insegnamento della religione
cattolica, ben supportato da queste comunità cristiane. Oggi, se ne contano una
trentina in tutto l'Esagono. Il dispositivo viene coordinato dall'accademia. Ma
gli insegnanti che lavorano nei tre camion scolastici della regione sono stati
assoldati da una scuola cattolica a contratto, e a questo titolo retribuiti
dall'Educazione Nazionale.
Lena, dinamica bruna di 35 anni e madre di tre figli, si ricorda ancora bene
di suor Marie Stili che veniva, al volante del suo camion, a fare scuola ai
bambini zigani nel campo di Roye, accantoa Lure (30 km. da Vesoul). "Era una
piccola suora, racconta. All'epoca, si diceva che faceva scuola ai selvaggi. Per
finanziare il camion-scuola, si andava a vendere dei gingilli all'uscita del
liceo. Quando si capita su brave persone così, si migliora".
Oggi, la funzione del camion scuola si è evoluta. Non si tratta più di
sostituirsi ad un edificio scolastico. L'idea è piuttosto di essere un "ponte",
un incitamento ad andare a scuola o alle superiori, spiega Cyrille Schiltz,
incaricato della missione dipartimentale ed accademica per la scolarizzazione
degli enfants du voyage.
Nella regione, la quasi totalità frequenta dalle elementari alle medie. Di
contro, vanno poco alle materne e avrebbero bisogno di sostegno in vista del
proseguimento alle superiori. Una volta lì, i tassi di abbandono prematuro sono
alti e si ritrovano senza diploma - ma anche senza brevetto o Certificato di
Attitudine Professionale - sul mercato del lavoro.
Ora, 120 enfants du voyage si sono iscritti al Cned, un servizio
gratuito per le famiglie itineranti - presentando il carnet de circulation [documento
in via di soppressione ndr] Il Cned offre contributi sino al compimento delle
elementari e corsi specifici sino ai 16 anni per i tanti che abbandonano le
superiori. I programmi sono personalizzati, o almeno si sforzano di esserlo, ad
esempio: si descrive ai ragazzi un seducente compagno Django-Reinhardt…
Quelli più in ritardo negli studi frequentano i camion dove insegnanti
specializzati spiegano nozioni di base. Una sessantina una volta alla settimana
va in un istituto per prepararsi al Certificato di Formazione Generale. A volte
si aggregano a classi "normali" per corsi di musica o informatica.
Per i più giovani, "Il nostre ruolo è convincere le loro madri a mandare i
figli alla materna, far capire loro che cosa significhi", sottolinea
Marie-Christine Savourat mentre prepara il pongo, i puzzle ed il Lego nel camion
scuola dove, per tutta la mattina, si occupa di cinque bambini tra i 2 e i 4
anni. Insegnante dal 1984, ogni due anni "si ricicla". "Ho realizzato un
sogno, dice. Nelle mie classi, spesso ho avuto a che fare con gli
enfants du voyage. E vedevo che abbandonavano la scuola senza sapere leggere e
scrivere. L'istruzione è un diritto per tutti. Perché dovrebbero essere esclusi?
Questo camion ci permette progressi favolosi".
All'elementare Jean-Macé de Lure, dove frequentano una dozzina di enfants du voyage,
le insegnanti sottolineano che per prima cosa occorre rassicurare i genitori. "All'iscrizione,
sottolinea una di loro, vogliono sapere se le porte saranno chiuse bene, se
i bambini saranno lasciati da soli, chi può andare a prenderli. Nella loro
cultura, la madre che lascia i suoi bambini a degli estranei è una cattiva madre".
Sul terreno della famiglia di Adolphe a Roye, Daisy circondata dai suoi. (Photo
Raphaël Helle)
Bambini "più autonomi degli altri"
Molti in casa parlano il manouche, ma imparano anche il francese.
Dunque la lingua non è una barriera. Gli enfants du voyage sono "più
autonomi e più collaborativi degli altri", sottolineano gli
insegnanti, ma sono anche più assenti. "All'inizio i genitori ci chiedono se
conosciamo la cultura zigana, se non ci arrabbieremo se loro partono, se ci
piacciono i manouches." Quando chiediamo ai genitori sulle loro esperienze
scolastiche, in breve tornano a galla i cattivi ricordi - insulti durante la
ricreazione, finire dietro la lavagna... Daisy, 22 anni: "Mi mettevano sul
fondo della classe a fare delle divisioni. Io invece volevo imparare a
leggere e scrivere. Gli altri studenti ci dicevano -siete gitani, avete i
pidocchi-. Allora rispondevo con doppia violenza. Per fortuna, c'è stato un
maestro davvero gentile che mi ha aiutato."
Oggi Daisy fa compravendita di vestiti al mercato. Non solo è orgogliosa
della sua occupazione: "Ho i miei affari, le mie carte, un permesso per il
commercio ambulante. So leggere e scrivere, posso lavorare. La scuola m'ha
aiutato con lo stretto indispensabile, come i miei genitori."
Tuttavia, Daisy vuole incoraggiare i figli a "tentare di studiare. Perché
è diventato molto difficile lavorare nei mercati e forse non sarà più possibile."
Ma come conciliare la scuola quotidiana dei viaggianti nella Lorena ed anche per
Daisy, fino al Belgio? "Il domani non ci appartiene," conclude.
Lena ha incoraggiato sua figlia di 16 anni, Soleil - nome scelto alla nascita
da suo padre che disse: "Sarà il sole della mia vita!" -, a prendere il
Certificato di Formazione Generale. "Perché andare alle superiori? Siamo
nomadi e amiamo questa vita. Non credo dobbiamo lamentarci. No. La nostra vita è
dura ma non cambierà. Come se vi chiedessimo di vivere in carovana come noi."
"Bébé" (nome da nomade, il suo cognome vero è Octave) Adolphe, capo famiglia
di 54 anni, possiede il camper più grande sul campo di Roye. Molla la chitarra e
poi ci invita a entrare nella sala dove c'è il wifi. "Per noi, la scuola
significa potersi istruire, ma anche continuare la vita da voyageur, preservare
il nostro modo di vivere e i nostri valori - la natura, il rispetto degli
anziani, i mestieri tradizionali," spiega Bébé Adolphe, che vende
biancheria per la casa, dopo aver fatto diversi mestieri. "Occorrerebbero
più camion scolastici. Ma a cosa serve un titolo di studio, quando siamo in 5 a
cercare lavoro? Noi crediamo nella scuola della vita."
(1) Al termine "Zigano", considerato come peggiorativo,
l'Unione Europea ha sostituito quello, generico, di "Rom". In Francia i testi
parlano di "gens du
voyage" e più recentemente di "famiglie itineranti o sedentarizzate da poco" e
per gli stranieri di "arrivi allofoni".
Di Fabrizio (del 29/01/2013 @ 09:05:29, in Europa, visitato 1977 volte)
Perché molti zingari si stanno ammazzando -
by Jamie
Clifton -
Vice.com
Zingari e viaggianti a lungo sono stati un gruppo marginalizzato. Immagino
sia un punto nero di una costante imposta per anni dalla società maggioritaria.
Ma le recenti modifiche alla legislazione riguardo le comunità nomadi (nel senso
che da parte del governo non ci sono più posti dove insediarsi) le ha rese
ancora più segregate.
Un rapporto mostra che viaggianti e zingari hanno la salute
significativamente peggiore di altri residenti in GB, comprese le minoranze
etniche di lingua inglese. Sono anche più predisposti a soffrire di aborti
spontanei, mortalità infantile dovuta a limitato accesso alle cure sanitarie...
- in quanto gruppo senza fissa dimora. Il tutto è ovviamente molto deprimente.
Un'altro fattore dirompente è l'esplosione, negli ultimi cinque anni, dei
tassi di abuso di droghe da parte di entrambe le comunità, mentre i suicidi sono
cresciuti di sei volte rispetto al resto della popolazione britannica. Tanto le
comunità zingare che quelle dei viaggianti sono piuttosto chiuse, e immagino
siano riluttanti a parlarne quando si tratti di propri familiari, così su questi
fatti non esiste granché informazione. Per intuito, ho interpellato Shauna Leven,
dell'associazione René Cassin.
Ex residenti di Dale Farm
Hi Shauna. Puoi smentire queste statistiche sui tassi di suicidio
nelle comunità viaggianti e zingare, che sarebbero sei volte superiori al resto
della popolazione britannica?...
Prima di tutto, devo dire che queste statistiche riguardano i Traveller, che
siano scozzesi, gallesi o irlandesi, e non i Rom di più recente arrivo.
Tuttavia, tutti soffrono dello stesso tipo di discriminazione in Europa.
Sfortunatamente, è difficile scendere nello specifico, perché il SSN non
raccoglie dati su questi gruppi etnici, come fa invece per gli altri.
Perché non raccoglie dati statistici?
Perché non fa parte della policy del SSN. Zingari e viaggianti sono riconosciuti
come minoranza etnica ma, ad esempio, la discrepanza tra la loro aspettativa di
vita e quella della popolazione maggioritaria, viene per lo più ignorata. Se si
assistesse allo stesso tipo di cose nella comunità, ad esempio, musulmana, di
sicuro si adotterebbero delle statistiche. La nostra prima indicazione per
risolvere il problema è di muoversi e compiere delle ricerche, perché questo è
il primo problema.
La prima questione è: quale sarebbero le cause?
In realtà la causa di tassi di suicidio così alti dipendono da una convergenza
di fattori. Il razzismo contro zingari e viaggianti viene spesso definito come
l'ultima forma accettabile di razzismo in GB. Persone istruite e socialmente
coscienziose non esitano ad adoperare le parole "gyp", "pikey" o
altre simili, e questa ovviamente è soltanto la punta dell'iceberg. Mostra il
livello di esclusione sociale in cui i Traveller sono piombati automaticamente
in quanto itineranti.
Da cosa ritieni dipenda però il picco attuale?
Zingari e viaggianti sono nomadi e, sino a qualche decennio fa, il governo
forniva i siti per spostare le loro carovane. Da allora il governo ha rimesso la
responsabilità di individuare e mantenere questi siti ai consigli locali - che,
com'è normale, sono molto più sensibili alle pressioni dei residenti. Come
risultato da tempo le comunità viaggianti e zingare non hanno più accesso ad una
sistemazione sicure con strutture adeguate e non possono iscriversi al SSN come
residenti permanenti, quindi... non hanno accesso alle cure per il cancro al
seno e la salute mentale, tra le altre.
Quindi sono obbligati a spostarsi continuamente, invece di avere un
punto stabile prima di decidere se muoversi o meno.
Sì, proprio così. Non è sotto il loro controllo, e penso sia una questione
chiave comprendere l'ansia e la depressione nella comunità. Voglio dire, non
sono una specialista mentale, ma chiunque capirebbe che lo stress costante di
essere sgomberati, o che i tuoi figli vengano allontanati da scuola, o di subire
discriminazioni dirette, non può che generare ansietà. Tuttavia, è importante
capire che non esiste un'unica causa - è tutto il sistema di discriminazione ed
esclusione che ci ha portato a questo punto.
Pensi allora che dipenda tutto da cause esterne? Non c'è qualcosa che
accade internamente e che possa aver aumentato i tassi di suicidio?... Che so
- gay che fanno outing o che vogliano condurre uno stile di vita più
conformato, e siano emarginati dalla comunità? O qualcosa di simile?
Credo che - per la maggior parte - dipenda da fuori. Le comunità zingare e
traveller hanno una cultura comunitaria molto forte, e questa è una delle
ragioni pwer cui non avere una sistemazione sicura è così traumatico per loro:
significa separare le famiglie. Per quanto ne sappia, non ci sono studi sul
coming out di gay tra rom e traveller, che porterebbe ad un aumento dei
tassi di suicidio, ma penso che si siano iniziate ad osservare le conseguenze
delle rotture di matrimoni che portano ad autolesionismo e suicidi. E' un
fenomeno molto recente per la comunità - la rottura del matrimonio - per cui si
può capire come ciò possa portare a conseguenze simili.
Roseanna Doherty, star di una serie TV in GB sugli zingari, che recentemente
ha tentato il suicidio
Pensi che il fatto che nelle comunità alcune coppie stiano iniziando a
divorziare, possa avere a che fare con tutto ciò?
Sì, potrebbe essere un altro fattore. Ma personalmente ritengo che il fattore
più importante sia che il loro essere socialmente esclusi, i problemi nel
trovare lavoro, la discriminazione da parte della società e dei principali mezzi
di comunicazione, e spesso le loro famiglie sono obbligate all'insicurezza. La
mia organizzazione si è interessata a loro sulla base dell'esperienza storica
ebraica, il passato di entrambe le comunità è abbastanza simile - gli zingari
erano a fianco degli Ebrei nei campi di concentramento. Ma da allora gli Ebrei
sono cresciuti e i nomadi sono scivolati in basso. Non c'è stato neanche alcun
riconoscimento diffuso per gli zingari uccisi durante l'Olocausto.
E' così. E' stato messo sotto il tappeto.
Esatto. C'è un sito interessante:
Jewify.org, dove si
linka un articolo su zingari o traveller e le parole "zingaro", "traveller"
o "rom" vengono sostituite con la parola "ebreo". E se guardi a come risuonano
questi articoli - e potresti fare lo stesso con "persona di colore" o
"musulmano" - lo trovo abbastanza inquietante. Questo fa capire come sia
inaccettabile usare le parole nel modo che facciamo.
Campagna di protesta per la giustizia ai Rom
Bene. E sull'abuso di sostanze... - sai dirmi qualcosa? Perché anche
in questo caso non mi sembra si stiano facendo molte ricerche.
Hai ragione. Sfortunatamente non ho nessuna statistica e neanche so se ne
esistano. Ho sentito aneddoti sulle ragioni e sulle cause, le stesse ragioni dei
tassi di suicidio: stress che deriva da tutti quei diversi fattori. Inoltre,
molti non riescano a lavorare, iniziano così a passare il tempo con le droghe,
diventandone poi dipendenti.
Che misure pensi si dovrebbero adottare per iniziare?
Tutto torna al punto della "discriminazione accettabile" nei confronti degli
zingari e dei traveller in GB ed in tutta Europa. E' ancora ritenuto OK dire e
fare cose discriminatorie, e la maggior parte della gente nemmeno si rende conto
di quanto siano discriminatorie le nostre leggi sulla pianificazione; che il
modo richiesto per iscrivere i bambini a scuola sia indirettamente
discriminatorio, perché obbliga ad avere un indirizzo fisso, dicendo che si può
così beneficiare degli aiuti statali. Ho visto in un sondaggio - scala da uno a
dieci, dove dieci è estremamente confortevole e uno estremamente scomodo - dove
avere un vicino disabile o omosessuale riceveva otto, mentre avere un Rom come
vicino riceveva sei. E allora è così: non ce ne si rende conto, ma la
discriminazione è piuttosto scioccante e massivamente radicata.
24 gennaio 2013
Il Porrajmos, l'olocausto di Rom e Sinti, è stato per decenni tenuto
sostanzialmente sotto silenzio. A distanza di quasi 70 anni dalla fine della
seconda guerra mondiale, qualcosa sembra modificarsi. Tra le varie iniziative
volte a far emergere la memoria del Porrajmos figura MEMORS, il primo museo
virtuale del Porrajmos.
"Porrajmos significa divoramento" - commenta Carlo Berini, dell'associazione
Sucar Drom di Mantova - "ed è il termine con cui Rom e Sinti si riferiscono
all'immane tragedia dell'olocausto". L'associazione Sucar Drom ha collaborato
con lo storico Luca Bravi nella costruzione del museo virtuale. "La nostra
attività di ricerca" - spiega Carlo Berini - "si concentra soprattutto su quanto
accaduto nell'Italia fascista. L'internamento vero e proprio nei campi di
concentramento inizia nel 1940, e nel 1943, dopo l'armistizio e la nascita della
repubblica di Salò, assistiamo al sistematico invio verso i campi di sterminio
in Germania e Polonia."
L'Italia non ha mai riconosciuto ufficialmente la persecuzione di Rom e Sinti,
tanto che il Porrajmos non viene citato nella legge del 2000 che istituisce il
giorno della memoria per il 27 gennaio e non viene incluso nelle celebrazioni
istituzionali. "Inoltre" - sottolinea Berini - "Rom e Sinti sono le uniche due
minoranze storico-linguistiche a non essere riconosciute dalla legge italiana, e
diventano facilmente il capro espiatorio per occultare i veri problemi del paese
e l'incapacità dei politici di far loro fronte".
La puntata di Passpartù di questa settimana sarà dedicata a un approfondimento
sul Porrajmos e all'analisi delle attuali politiche messe in campo nei confronti
di queste comunità nel nostro paese.
Intervista a Carlo Berini, associazione Sucar Drom - Mantova
Di Fabrizio (del 26/01/2013 @ 09:10:37, in casa, visitato 1801 volte)
Pubblicato: 23/01/2013 15:37 di Monica Pasquino,
Presidente dell'Associazione di Promozione Sociale S.CO.S.S.E.
Era nella fredda stagione invernale, tre anni fa, che qualche tg locale mostrava
le immagini dello sgombero di Casilino 900. Dal 19 gennaio al 15 febbraio del
2010, a Roma, sono state trasferite più di 600 persone, con una sistematica
violazione dei diritti umani e dell'infanzia.
Kher in romani chib - esattamente come il suo equivalente italiano
casa - è una
parola semanticamente vaga a cui ognun* dà un valore personalissimo. Una
villetta a due piani è la casa di una famiglia benestante in provincia; una
stanza è la casa di una precaria a Milano; un container è la casa di una coppia
terremotata in Irpinia, un posto letto è la casa di uno studente universitario a
Roma, così come una macchina diventa la casa di un poveraccio sfrattato a
Napoli.
"Di qualsiasi materiale sia fatta, la tua kher è sacra", racconta un rom nella
rivista curata dall'Associazione 21 luglio, poco importa se sia una baracca o
una roulotte o se la tua kher si trovi in un campo nomade dove l'abitare è
sinonimo di ghettizzazione, in ogni caso, la violazione della tua kher è un
gesto di violenza verso i tuoi affetti, verso il tuo corpo ed è una violazione
dei tuoi riti e della tua libertà.
In Italia solo lo 0.23% della popolazione totale è rom, una delle medie più
basse in Europa. Tra questi solo il 2-3% dei rom è realmente "nomade". A Roma le
comunità rom che vivono nei campi nomadi, che si distinguono in villaggi
attrezzati, campi tollerati e insediamenti informali, sono lo 0.24% della
popolazione complessiva. Tutto il resto sono allarmi infondati, campagne
discriminatorie e narrazioni stereotipanti che alimentano paure e insicurezze
"facili" da stimolare, soprattutto in anni di recessione, di assenza di lavoro e
tagli al welfare e ai servizi essenziali.
Nella produzione di un ordine del discorso dominante, le notizie vengono
selezionate, accorpate, differenziate: alcuni casi di cronaca vengono messi in
risalto, altri lasciati in ombra o taciuti. Tutto si muove all'interno di una
dinamica che sta a noi comprendere e districare, per non farci travolgere da
un'ingiusta lettura del presente. La politica dei campi nomadi è iniziata in
città alla metà degli anni Ottanta, quando la Regione ha approvato una legge che
prevedeva la creazione di insediamenti per comunità ritenute non idonee o
desiderose di vivere in una kher simile alle nostre.
Nel 1994 il Sindaco Francesco Rutelli ha presentato il primo Piano Nomadi della
Capitale che prevedeva la costruzione di 10 campi in un anno. I governi che si
sono succeduti al Campidoglio negli anni Novanta, al di là della collocazione
politica, hanno proposto altri Piani Nomadi, tutti con lo stesso obiettivo:
risolvere le "emergenze", mettere in "sicurezza" i quartieri abitati da
italiani, fare sgomberi e concentrare i rom in villaggi attrezzati sempre più
lontani dal contesto urbano.
L'approccio emergenziale, l'isolamento dei rom che dovrebbe garantire la
sicurezza della cittadinanza italiana, le pratiche e le retoriche securitarie
che giustificano vari casi di violenza urbana sono alcune delle modalità della
produzione di corpi e di spazi nella città. Sono una delle forme della
governamentalità del nostro tempo che lede la libertà di tutt* noi, non solo
quella di rom e migranti, rimbalza al centro dell'attenzione cittadina, ci fa
girare con circospezione la sera, riempie le nostre chiacchiere al bar e le
dichiarazioni degli amministratori.
I campi nomadi sono gabbie costruite su base etnica, sono un'invenzione tutta
italica, frutto in particolare delle istituzioni della Capitale, e rappresentano
una forma dell'abitare che è estranea alla consuetudine abitativa di rom e sinti.
I villaggi attrezzati, come quello che il Sindaco Veltroni inaugurò a via
Salone, uno dei più grandi d'Europa, sono circondati da recinzioni metalliche e
gli ingressi sono controllati da un sistema di videocamere: questi sono segni
lampanti della biopolitica che caratterizza questi villaggi attrezzati, i Cie e
le altre politiche di controllo a cui sono sottoposti i cittadini stranieri.
L'ultimo
Piano Nomadi della Capitale è opera di Gianni Alemanno (2009), e ha
l'obiettivo di realizzare 13 villaggi attrezzati per accogliere circa 6000 rom.
Il Piano Nomadi dell'attuale Sindaco costa attualmente circa 20 milioni di euro
l'anno ai cittadini romani, ma non ha ancora raggiunto alcun obiettivo, anzi, le
condizioni di vita dei rom sono drasticamente peggiorate per l'isolamento dal
resto della città, per la mancanza di manutenzione, per il sovraffollamento e
per l'aumento di comportamenti devianti. Ai 20 milioni annui vanno aggiunti i
soldi spesi per gli sgomberi dei campi informali (circa 500 dall'estate del 2009
ad oggi) che rappresentano una cifra 10 volte più alta di quella spesa dal
Comune di Roma per l'inclusione lavorativa dei rom nello stesso lasso di tempo.
Nella prossima primavera, con le elezioni amministrative, abbiamo l'occasione di
voltare pagina e finalmente proporre politiche di medio e lungo termine dirette
all'inclusione sociale di rom e sinti:
- perché la libertà si con-divide tra tutt* gli abitanti di Roma, non si divide;
- per chiudere gradualmente tutti i villaggi attrezzati;
- per abbandonare
l'approccio emergenziale e securitario;
- per proporre una cultura che superi i
pregiudizi e avvii percorsi di conoscenza e dialogo fra culture diverse;
- per
sospendere ogni azione di sgombero e trasferimento forzato che non rispetti le
Convenzioni internazionali.
Nella Repubblica romana di domani, vorremmo che nessun* potesse più violare la
tua kher.
Di Fabrizio (del 25/01/2013 @ 09:05:17, in Italia, visitato 1742 volte)
Aggiornamenti su una storia già apparsa su Mahalla (1
-
2 -
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4 -
5 -
6 -
7)
20 gennaio 2013 |
Corriere Immigrazione
Un "matrimonio combinato" in un campo rom dà il via a una lunga vicenda
giudiziaria: i rom sono accusati di aver ridotto in schiavitù la giovane sposa.
Ma la versione dell'accusa non regge. Ecco cosa è successo
Tratta di esseri umani, riduzione in schiavitù, violenza sessuale di gruppo e
favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Sono i pesantissimi capi di
imputazione a carico di cinque rom, tutti residenti nel campo di Coltano a Pisa:
colpevoli, secondo l'accusa, di aver portato in Italia una minorenne kosovara,
costringendola prima a sposarsi con un giovane del campo, poi a vivere segregata
nella sua baracca. Il processo in Corte d'Assise, durato più di due anni, sta
arrivando alle battute conclusive: Venerdì si sono tenute le arringhe del Pm e
di tre difensori, e per il 15 marzo è attesa la sentenza. Nel frattempo, la
versione dell'accusa è stata pesantemente ridimensionata: vale la pena vedere
cosa è successo.
Il matrimonio combinato e la "sposa bambina"
La vicenda risale a due anni fa, quando la polizia fa irruzione a Coltano e
arresta i cinque attuali imputati. E' il 27 ottobre 2010. Pochi mesi prima, la
comunità rom aveva festeggiato un evento speciale: il matrimonio tra un ragazzo
di quindici anni e una sua coetanea, che aveva richiamato decine di rom da tutta
Italia. La sposa, peraltro, non aveva mai visto il campo di Coltano: nata e
cresciuta in Kosovo, aveva deciso di trasferirsi a Pisa per raggiungere il
promesso sposo.
I due ragazzi si erano conosciuti tramite un'amica comune, e avevano cominciato
a "chattare" su internet. Poi, com'è d'uso in questa comunità, le famiglie si
erano accordate e avevano combinato il matrimonio: i parenti del ragazzo avevano
versato la dote, ed erano andati a prendere la giovane per portarla a Pisa.
Questa, almeno, è la versione dei rom.
Qualcosa però era andato storto. La ragazza non si era trovata bene a Coltano. E
a un certo punto aveva deciso di sporgere denuncia contro il marito, i suoceri e
il cognato: accusandoli di averla portata in Italia con la forza, di averla
fatta oggetto di minacce e ripetute violenze. Di qui l'arresto e l'avvio del
processo. E torniamo così al 27 ottobre 2010, data in cui comincia questa lunga
e complicata storia.
Le polemiche in città
Com'è prevedibile, l'arresto dei cinque rom finisce su tutti i giornali locali.
Tra la fine di ottobre e l'inizio di novembre 2010, i cronisti si scatenano: il
"matrimonio combinato", la tenera età degli sposi, la violenza su una ragazza di
appena quindici anni, le "tradizioni" rom in contrasto con la "modernità". Un
copione consolidato, che mette sotto accusa non solo gli imputati, ma l'intera
comunità rom: le cui usanze, spiega il Presidente del Tribunale, «nel nostro
paese si configurano come reati».
A gennaio, interviene anche il Comune. Che provvede a sfrattare la madre dello
sposo dalla sua casetta al campo di Coltano. Il 31 gennaio 2011, il giorno più
freddo dell'anno, la donna viene allontanata con la forza dalla polizia
municipale. «Lo stesso fatto di essere imputata per reati di tale gravità», si
legge nel provvedimento di sfratto, «denota la fuoriuscita dal percorso di
integrazione». L'associazione Africa Insieme, da sempre vicina ai rom, e Padre
Agostino, il prete che vive al campo nomadi, protestano inutilmente: in questo
modo, dicono, la donna è già dichiarata colpevole, prima ancora della sentenza.
La vicenda processuale e i dubbi sulla versione dell'accusa
Nella Primavera 2011, la vicenda entra in un cono d'ombra, e nessuno ne parla
più. Ma il processo prosegue: vengono visionati filmati e fotografie del
matrimonio, si ascoltano i testimoni e gli imputati, si leggono le
intercettazioni telefoniche. E gradualmente si fanno largo i dubbi sulla
versione dell'accusa.
Gli avvocati difensori si concentrano in un primo momento sul giorno del
matrimonio: tutte le fotografie ritraggono la sposa sorridente e felice,
abbracciata al marito e ai suoceri, intenta a conversare con amici e parenti. I
testimoni ricordano il clima di festa, i video la sorprendono mentre danza con
le amiche e taglia la torta. Come è possibile che una ragazza così felice,
almeno in apparenza, sia ridotta in schiavitù?
Tutti i testimoni - compreso Padre Agostino, il prete cattolico che vive a
Coltano insieme ai rom - ricordano che la ragazza non era segregata nella sua
baracca, ma circolava liberamente. La parrucchiera del paese dice di averla
vista più volte al suo negozio. Altri ricordano la partecipazione della ragazza
alle feste di Camp Darby, la base militare americana a due passi dal campo.
L'accusa risponde ricordando che anche alle prostitute vittime di tratta si
concedono brevi momenti di serenità: perché la violenza non è fatta solo di
calci e pugni, ma si nutre di soggezione e dipendenza psicologica, di premi e
punizioni, di attimi di gioia che si alternano a periodi cupi di minacce e
intimidazioni.
Vi sono tuttavia altre circostanze che gettano un'ombra sulla versione del Pm.
Dopo l'inizio del processo, il telefono della giovane sposa viene messo sotto
controllo. Le intercettazioni registrano i colloqui con il padre, che spiega
alla figlia quel che deve dire agli inquirenti: mi raccomando - implora il
genitore - dì che sei stata costretta ad andare a Coltano, dì che sei stata
segregata, dì che sei stata picchiata e violentata. La famiglia della sposa
riceve anche una telefonata della madre del giovane marito: ignara di essere
intercettata, la donna implora i consuoceri, «dite a vostra figlia di raccontare
la verità...». Non sembrano le parole di chi ha qualcosa da nascondere.
Non basta. La polizia, che ha condotto le indagini, dice di aver trovato la
ragazza in stato di soggezione, costretta a vivere nella sua baracca senza poter
mai uscire. Ma i carabinieri, che ogni giorno si recano al campo per controllare
un rom agli arresti domiciliari, non si sono mai accorti di nulla. Possibile?
La versione della difesa
Ma perché una ragazzina di 15 anni dovrebbe inventare una storia del genere? Ed
è qui che la versione della difesa appare abbastanza plausibile. La ragazza
aveva un altro fidanzato in Kosovo: nulla di male - tiene a precisare l'avvocato Giribaldi nella sua arringa - cose che succedono, soprattutto in età
adolescenziale. Trovatasi a Coltano lontana da casa, in mezzo a persone di cui
non capiva la lingua (la sposa parlava solo albanese), ha cominciato a sentire
nostalgia per la sua terra. Le intercettazioni rivelano anche contatti frequenti
con l'ex fidanzato in Kosovo, al quale la giovane prometteva di tornare presto.
Secondo i difensori, la ragazza avrebbe maturato la volontà di tornare a casa.
Ma la rottura del matrimonio avrebbe significato, per la famiglia, restituire la
"dote" ai genitori dello sposo: e proprio la restituzione di quel denaro avrebbe
messo in grave difficoltà il padre e la madre della ragazza. Così, ecco la via
di fuga. Andare alla polizia, e raccontare quello che gli agenti vogliono
sentirsi dire: una storia di violenza e di usanze "primitive", che assecondi gli
stereotipi sui rom "arretrati" e "incivili".
Come andrà a finire il processo nessuno lo sa. Finora, il dibattito cittadino si
è concentrato sulle "usanze" dei rom: il matrimonio combinato, gli sposi
bambini... Si tratta, certo, di usanze che possono non piacere: ma da qui a
parlare di tratta degli esseri umani ce ne corre. Violenze, minacce e riduzione
in schiavitù non sono la diretta conseguenza di quelle "usanze", ma reati
gravissimi che vanno provati e circostanziati. E di prove, nel corso del
processo, ne sono emerse davvero poche. Staremo a vedere.
Sergio Bontempelli
Da
chiara-di-notte.blogspot.com
Il fatto che la rappresentazione delle genti di colore - e delle donne di
colore, in particolare - sia stata esotizzata e finanche sessualizzata nella
percezione occidentale, non e' una novita', e i Rom non sono sfuggiti a questo
fenomeno. Scrive Borrow (1841): "Le donne e le ragazze zingare sono in grado di
accendere passione piu' che nelle descrizioni piu' audaci, in particolare in
coloro che non sono zingari, perche', naturalmente, la passione diventa piu'
violenta quando e' nota l'impossibilita' quasi assoluta di gratificazione".
Alcune premesse storiche. I Rom sono originari dell'Asia, i cui antenati,
lasciato il nord-ovest dell'India a seguito di una serie di incursioni islamiche
nell' XI secolo, sono stati progressivamente spinti in Europa sud-orientale,
dove quasi la meta' si sono stabiliti nei Balcani, e dove sono stati tenuti in
schiavitu' fino al 1864. Mentre l'altra meta' in grado di andare avanti si e'
sparsa nel resto dell'Europa. Ci sono oggi circa dodici milioni di Rom, di cui
piu' o meno otto milioni vivono nel vecchio continente e due o tre milioni si
sono stabilizzati in America e altrove, costituendo cosi' la piu' grande e
diffusa minoranza etnica del mondo. Quasi il doppio di quanti siano i danesi o
gli svedesi.
Quando i Rom sono apparsi per la prima volta in Europa, tutti credevano che
facessero parte della diffusione islamica all'interno della cristianita', e sono
stati quindi identificati con i turchi ottomani. La parola "turchi" riferita ai
Rom e' infatti ancora oggi diffusa in molti luoghi. Altra definizione impropria
usata per i Rom e' stata anche "egiziani", da cui sono derivati appunto i
termini Zingari, Gitani, Tzigani, eccetera.
Benche' esistano moltissimi riferimenti medioevali e rinascimentali riguardanti
la vera origine indiana del popolo Rom, questo fatto, col passare del tempo e'
stato dimenticato anche dagli stessi Rom. Di conseguenza, un gran numero ipotesi
errate, a volte bizzarre, sono state formulate. Tra queste, ce n'e' una che li
fa originari delle profondita' della Terra, o della Luna o di Atlantide, o li
identifica come i resti di una razza preistorica. A seconda del periodo storico
e delle credenze del momento sono stati Nubiani, o Druidi, oppure ebrei venuti
allo scoperto dopo i pogrom medioevali.
La vera origine e' stata scoperta casualmente nel 1760 quando in una universita'
olandese, uno studente che aveva imparato un po' di Romani (la lingua dei Rom)
da operai che lavoravano nella tenuta di famiglia in Ungheria, una volta
ascoltati i discorsi di alcuni studenti provenienti dall'India, che parlavano
una lingua simile, si convinse della reale provenienza del popolo Rom. Questo
porto' al primo libro mai scritto sul tema (Grellmann, 1783).
La pubblicazione del libro di Grellmann, durante l'Illuminismo, che apparve in
una edizione inglese del 1807, coincise con l'emergere di una serie di
discipline scientifiche, tra cui la botanica e la zoologia, e la necessita' di
classificare le piante e gli animali che venivano scoperti durante
l'esplorazione delle nuove colonie europee d'oltremare. Cosa che rapidamente
porto' anche alla classificazione delle popolazioni umane non europee.
E' stato proprio in quel tempo che l'idea che "mescolare le razze", sia
geneticamente che socialmente, fosse pericoloso. Un'idea che si e' diffusa
sempre piu' nella cultura e che e' stata, poi, la causa che nel XX secolo ha
portato al nazismo e alle terribili e ben note conseguenze. Ma proprio per la
sua natura proibita, l'incrocio tra razze ha acquisito anche quell'elemento
morboso di attrazione che soprattutto durante l'epoca vittoriana, ha trovato la
sua espressione in una certa arte e letteratura, con la rappresentazione di
rapporti sessuali tra colonizzatori e schiave, ovvero tra donne di colore e
maschi bianchi. La fotografia erotica del tardo XIX secolo e' infatti
caratterizzata principalmente da donne nude africane o asiatiche, e non
includeva mai immagini di donne bianche svestite.
Una parentesi curiosa: la piu' antica organizzazione che si e' dedicata allo
studio del popolo Rom e' stata la Gypsy Lore Society, fondata nel 1888 e che
ancora esiste. Alcuni dei suoi membri di sesso maschile - tutti non Rom - si
riferivano a loro stessi come "Ryes"; un'auto-designazione interpretata come
"chi aveva guadagnato una posizione privilegiata nel mondo Romani". In lingua
Romani "Rai" significa infatti "persona che ha autorita'", quindi puo' essere
"signore" oppure anche "poliziotto". Ma ha anche un altro specifico significato,
e si riferisce a chi, pur essendo non Rom, e' in grado di portarsi a letto una
donna Rom.
Per varie ragioni, gli occidentali hanno avuto (ed hanno tuttora), una maggiore
familiarita' con la schiavitu' degli africani nelle Americhe di quanta ne
abbiano avuta con la schiavitu' dei Rom in Europa. Per questo motivo, le
rappresentazioni inesatte degli zingari descritti nei cliche' letterari
dell'epoca, che delineavano in termini stereotipati un certo tipo di schiavo a
un pubblico vittoriano, e' sempre stato quello che ha incontrato il maggior
successo in letteratura.
In uno scritto di Ozanne (1878), si legge che gli schiavi Rom in Valacchia
avevano "labbra spesse e capelli crespi, con una carnagione molto scura, e una
forte somiglianza con la fisionomia e il carattere dei negri". Anche St. John
(1853) descrive i Rom cosi': "Gli uomini sono generalmente di alta statura,
robusti e muscolosi. La loro pelle e' nera o color rame, i capelli, densi e
lanosi, le loro labbra hanno la pesantezza dei negri, e i loro denti sono
bianchi come perle; il naso e' notevolmente appiattito, e il volto e' tutto
illuminato, per cosi' dire, dal vivo degli occhi".
Uno degli stereotipi piu' diffusi e' stato legato per lungo tempo a una
"preoccupazione sessuale" concentrata sugli uomini di colore, ritenuti essere
ossessionati dal desiderio per le donne bianche. Questo ha portato, poi, negli
anni '20 in America, alla pratica razzista di castrare gli afro-americani,
sottolineando una paura sessuale e un'insicurezza profonda insita nei maschi
bianchi di quel periodo. Anche i Rom nei Balcani venivano, ovviamente, visti
come una minaccia alla femminilita' bianca. Tra di loro vi era una categoria
chiamata "skopitsi", uomini che erano stati castrati da ragazzi il cui compito
era quello di guidare i mezzi delle donne dell'aristocrazia senza che ci fosse
paura di molestie per queste ultime. Tutto cio' lo si trova riflesso anche nel
codice civile moldavo dell'epoca, in cui si affermava che "se uno schiavo
zingaro avesse violentato una donna bianca, sarebbe stato bruciato vivo". Mentre
un rumeno che avesse "incontrato una ragazza per strada e avesse ceduto all'amore...
non avrebbe potuto essere punito".
E' questa castrazione del maschio di colore che si ritrova spesso nella
tradizione letteraria dell'epoca, e che e' ben espressa dalle parole di Gayatri
Spivak, in cui si percepisce la necessita' di "salvare le donne dagli uomini
neri". Ma questa fobia razzista riguardo alla mescolanza etnica non e' qualcosa
che riguarda solo il passato. Anche nel 1996 Shehrezade Ali ha fortemente
criticato il film di Disney "Il gobbo di Notre Dame" per la creazione di un
impulso subliminale a sfondo razziale negli atteggiamenti sociali in via di
sviluppo dei bambini. Ecco cio' che scrive:
"Ad oggi, nessuno dei personaggi femminili bianchi di Disney sono stati
accoppiati con pretendenti neri o non bianchi, mentre le donne di colore sono
esclusivamente legate a uomini bianchi, ignorando totalmente la loro etnia. E'
questo il modo che ha la Disney di essere tollerante? Perche' la Disney mette le
donne di colore in situazioni romantiche con uomini bianchi al posto di uomini
di colore? E che tipo di messaggio subliminale si pensa che recepiscano le
ragazzine nere o zingare quando e' ripetutamente implicito che l'unico eroe
salvatore che hanno e' un maschio bianco? E che dire dei piccoli ragazzi neri o
zingari che non hanno ancora avuto modo di vedere se stessi in un ruolo di eroe
protagonista in un film Disney? Che cosa si puo' dire circa la loro autostima?
Cio' rende visibile la continuazione del mito razzista per cui ogni donna del
pianeta, sia nera o bianca, abbia un solo eterno eroe: un uomo bianco".
Un'altra caratteristica che ricorre in questo tipo di messaggio che Shehrazade
Ali definisce razzista, e' che, alla fine, l'oggetto d'amore si rivela non
essere una Rom, dopotutto, ma una ragazza bianca che e' stata "rapita dagli
zingari" da bambina, e successivamente salvata, rendendo cosi' la relazione
romantica accettabile e persino ammirevole, in quanto entrambi i protagonisti
risultano appartenere alla stessa etnia.
Ma oltre a questa "preoccupazione sessuale" (tuttora presente anche se latente
nell'inconscio del maschio bianco) e' sempre esistito nei confronti delle
popolazioni di colore anche un profondo pregiudizio igienico oltre che morale,
in quanto viste come impure, sia spiritualmente che fisicamente. Hoyland (1816)
ha ribattuto a lungo sulla convinzione elisabettiana che la pelle scura dei Rom
fosse semplicemente a causa di sporcizia. "Gli zingari, privi della loro
carnagione bruna", scrive, "sono quelli che molto tempo fa hanno interrotto il
loro modo sporco di vivere". E Celia Esplugas (1999), nel suo grossolano saggio
pieno di inesattezze e disinformazione, rincara la dose e ribadisce che "la
pulizia e l'igiene degli zingari non e' mai riuscita a soddisfare lo standard
inglese".
Kenrick e Puxon (1972) ritengono che l'attuale odio per i Rom sia una memoria
storica che risale alla loro prima apparizione in Europa, e nasce dalla
convinzione medioevale che il nero denoti l'inferiorita' e il male che erano ben
radicati nella mente occidentale. La pelle scura di molti zingari fa dunque
essere questo popolo vittima di un pregiudizio. Il folklore europeo contiene,
infatti, una serie di riferimenti alla carnagione dei Rom. Un proverbio greco,
ad esempio, dice: "Andare dai bambini zingari e scegliere il piu' bianco". E in
yiddish esistono proverbi come: "Lo stesso sole che sbianca il lino scurisce lo
zingaro" oppure "Nessun lavaggio rende mai bianco lo zingaro nero".
A indicare il colore della pelle, una diffusa auto-ascrizione in Romani e' "Kale'",
che significa appunto "neri", mentre i gage' (i non-Rom) sono indicati nella
stessa lingua, anche da Rom dalla pelle chiara che potrebbero essere fisicamente
indistinguibili da loro, come "parne'" o "parnorre'", vale a dire "bianchi."
Questi tratti sono stati rimarcati dal viaggiatore francese Félix Colson (1839)
che visitando la Romania, dov'era prassi consolidata offrire schiave Rom come
intrattenimento sessuale ai visitatori [1], scrisse: "La loro pelle e' quasi
marrone, e alcune di loro sono bionde e belle".
Ma anche se poteva essere utilizzata sessualmente, una donna Rom non poteva
diventare la moglie legale di un uomo bianco. Un tale matrimonio veniva
considerato "un atto malvagio e cattivo", e un sacerdote che l'avesse celebrato
sarebbe stato scomunicato, come indicato in un proclama anti meticciato del 1776
da Constantin, principe di Moldavia:
"Zingari che sposano donne moldave, e anche uomini moldavi che prendono in
moglie ragazze zingare, compiono un atto che e' interamente contro la fede
cristiana, non solo perche' queste persone sono tenute a passare tutta la loro
vita con degli zingari, ma soprattutto perche' i loro figli rimarranno per
sempre in schiavitu'. Un tale atto e' odioso a Dio, e contrario alla natura
umana. Qualsiasi prete che ha avuto l'audacia di celebrare un tale matrimonio,
che e' un grande atto malvagio ed eterno, verra' rimosso dal suo incarico e
severamente punito". (Ghibanescu, 1921)
Coloro che in passato hanno scritto a proposito del trattamento degli schiavi
hanno creduto, probabilmente per liberarsi la coscienza, che i Rom fossero
effettivamente ben disposti a tale condizione. Lecca (1908) sosteneva che "una
volta fatti schiavi... sembra preferissero quello stato", e Paspati (1861) si
chiedeva se i Rom non fossero "di per se' predisposti volontariamente alla
schiavitu'". Emerit (1930), dal canto suo, riteneva che "nonostante le punizioni
che i proprietari di schiavi infliggevano a caso, gli zingari non provavano del
tutto odio per questo regime tirannico, che di tanto in tanto aveva anche qualita' paterne".
Fu Bayle St. John (1853), che baso' il suo saggio interamente su cio' che aveva
scritto Grellman e che (come il creatore di Carmen Bizet) non aveva mai
incontrato un Rom in vita sua, che per primo scrisse che gli zingari erano "una
razza molto bella, le donne in particolare. Queste formose, scure di pelle,
bellissime donne, riescono a stupirci solo a pensare a come certi occhi, certi
denti e tali figure possano esistere nell'atmosfera soffocante delle loro
tende". Preoccupandosi pero' di aggiungere, secondo la morale pudica dell'epoca
vittoriana, che era "dispiaciuto di dover ammettere la loro indole estremamente
dissoluta". Al carattere lussurioso delle donne zingare accenna anche Celia Esplugas (1999): "La sfiducia nel comportamento morale degli zingari e' estesa
al loro comportamento sessuale e gli uomini non Rom vengono attratti dal mistero
di questa razza, dalla bellezza delle donne, e dal loro stile di vita molto
libero".
La presunta mancanza di morale tra gli zingari e' stata esplicitata con veemenza
nelle critiche alle loro pratiche sessuali che hanno sempre descritto un totale
disinteresse per la decenza e il rispetto verso il corpo, in particolare da
parte delle donne zingare. Per questo, in gran parte nell'arte, nella musica e
nella letteratura del XIX secolo, la zingara e' stata caratterizzata da
stereotipi quali lo spirito libero, forte, deviante, esigente, sessualmente
eccitante, seducente, e indifferente ai sentimenti altrui [2]. Questa
costruzione romantica della donna zingara puo' essere letta come una
contrapposizione alla donna bianca, corretta, controllata, casta, e sottomessa
come l'ideale vittoriano europeo richiedeva.
Certi atteggiamenti maschili, come quelli di St. John ed altri, cioe' di parlare
della donna zingara senza averne mai incontrata una, sono ancora oggi presenti.
Nel 1981, sulla rivista Cosmopolitan, e' apparso un articolo scritto dallo
specialista in arti marziali Dave Lowry, dal titolo: "Che cosa si prova ad
essere una ragazza zingara", dove mentre l'autore sostiene di aver consentito a
una ragazza Rom, Sabinka, di raccontare la propria vita, e' chiaro fin
dall'inizio che Sabinka e' Dave Lowry stesso. Un indizio per la motivazione che
puo' spingere un uomo bianco adulto ad affrontare un tema del genere e' in primo
luogo da riferirsi alla "libido maschile" e alle "fantasie erotiche senza fine".
Ma in nessun luogo la diffusione di questa immagine erotica della donna zingara
e' piu' evidente come sul sito d'aste eBay, dove le "sexy camicette zingare"
vengono offerte ogni giorno, pubblicizzate da procaci modelle dalle
caratteristiche tutte Rom. Un altro sito, "La Zingara", informa il visitatore
che gli zingari sono normalmente di pelle scura con audaci occhi lampeggianti,
ma non e' raro trovarne dai capelli oro o cremisi... la maggior parte vivono in
carri chiamati
vardo, perennemente in viaggio... il fuoco e' il centro della vita
familiare zingara... e tante altre piccole o grandi stronzate spacciate per
verita'.
Due altri siti che forniscono dettagli del tutto inventati della cultura Romani,
appartengono a Morrghan Savistr'i, una donna che si dichiara Rom nata in
America, e Allie Theiss, una sedicente discendente dei Rom provenienti dalla
Transilvania. Sul
suo sito (adesso non piu' funzionante e in vendita, dato lo
strepitoso successo avuto - ndr), la signora Savistr'i, affermava di essere una
Maga del Caos e una
Shuvani, la cui occupazione principale sarebbe stata quella
di elaborare alcuni rituali Rom per la pulizia e la purificazione, piu' recenti
e meno complessi di quelli tradizionali che per la maggior parte i Rom non sono
in grado di fare a causa della scarsita' dei materiali, nonche' per la quantita'
di tempo richiesta per svolgerli adeguatamente. La signora Savistr'i ci faceva
anche sapere che aveva due gatti, di nome Fuzz Face e Mr. Pants, dei quali ci
raccontava tutte quante le peripezie.
Allie Theiss, invece, scrive libri di
magia gitana e amore. Confessa al lettore di non sapere di dove i Rom siano
originari (e' una che ha studiato molto - ndr), ma non importa quali siano le
loro vere origini, perche' gli zingari sono apprezzati per le loro notevoli
abitilita' psichiche e per il dono che hanno di attirare la buona fortuna,
oppure per rovinare una vita con una maledizione. Tutti, dice la signora Theiss,
sono nati con tale dono, ma cio' che rende innati i loro poteri e' il rapporto
che hanno con la natura. Il loro legame con gli spiriti della vita all'aria
aperta permette al loro dono di evolversi in modo naturale. Inoltre non vagano
piu' per il mondo in una roulotte trainata da cavalli, ma si sono modernizzati e
viaggiano in auto, in autobus e in aereo".
Tre libri che raccontano stupidita' piu' o meno simili sono: "Cuore zingaro" di
Sasha White. (Puo' un uomo piegato alla sedentarieta' convincere una donna dallo
spirito libero a rischiare il suo Cuore Zingaro? Attenzione: questo libro
contiene immagini esplicite di sesso con linguaggio contemporaneo). Isabella
Jordan: "Zingari, Vagabondi e Calore: un'Antologia del Romanzo Erotico"
(Perdetevi negli occhi scuri e nella sfera di cristallo di un'amante zingara!) E
infine la serie di Alison Mackie "Cronache zingare" ("In ogni letto matrimoniale
che Tzigany de Torres costruisce insieme alla moglie, gitana, egli conferisce un
fascino potente: quello che garantisce per una vita il piacere di fare l'amore...")
E poi aggiunge: "Quello che mi qualifica a scrivere di zingari? Ebbene, ho avuto
una tata andalusa che si chiamava Ahalita"; una giustificazione non infrequente
tra gli scrittori bianchi che vogliono scrivere di non bianchi (si veda ad
esempio Sue Monk Kidd: "La vita segreta delle api"). E' in questo modo che l'identita'
Romani rimane ancora in gran parte controllata dal mondo non Romani, dal cinema
di Hollywood e da romanzieri e giornalisti della domenica come quelli che ho
citato.
In ogni caso, per concludere, che un'etichetta etnica possa essere
metaforicamente applicata non e' necessariamente offensivo. Spesso puo'
accadere, ma gli stereotipi non sono dannosi fintanto che sono riconosciuti come
tali. E' noto infatti che nella filmografia i mafiosi non rappresentano tutti
gli italiani, e che l'Italia ha dato anche Botticelli, Leonardo e Michelangelo.
Oggi, con una maggiore copertura dei media e l'accesso a siti web informativi,
l'ignoranza non puo' piu' essere usata come una giustificazione. La gente deve
arrivare quindi a capire che il termine letterario "zingari" e' qualcosa di
molto diverso dai Rom, la cui vera storia e' complessa e in costante movimento.
Percio' le ragioni che portano alla perpetuazione inesorabile del mito della
zingara in quanto oggetto di desiderio sessuale devono essere cercate altrove,
ed esaminate a parte. Non per questo dobbiamo dire addio a Carmen, Esmeralda e
alle loro sorelle di fantasia, pero' dovremmo riconoscerle per chi e per quello
che realmente sono.
Note:
[1] E 'stata proprio questa consuetudine ad essere in gran parte responsabile
del fatto che molti zingari sono ormai di pelle chiara. Tra le belle ragazze, le
piu' gradite erano quelle di pelle piu' chiara e bionde, e le figlie
indesiderate di queste unioni sessuali automaticamente diventano schiave,
facendo aumentare nelle successive discendenze i tratti parne', rendendo sempre
meno visibili quelli kale'.
[2] Il fascino per il mondo proibito e tabu' delle donne zingare, in musica
e'caratterizzato al meglio con l'opera Carmen, che ne' e' l'immagine
predefinita: gitana spagnola disponibile sessualmente e promiscua e nei suoi
affetti.
Per il post mi sono liberamente ispirata alla lettura del libro di Ian Hancock:
"Danger! Educated Gypsy: Selected Essays"
...
Dalla prefazione di Jean Léonard-Touadi:
... Un inferno con tanti gironi e ciascuna consorteria pro-Africa che si
impadronisce di un girone e lo spaccia per il tutto. Ogni associazione ha la
"sua Africa": quella dei lebbrosi, dei bambini soldato, dell'Aids, dei pozzi da
scavare, delle mutilazioni genitali da combattere, delle periferie degradate
degli "street boys" e delle masse da evangelizzare. Tutte battaglie sacrosante.
Ci può essere il pericolo, però, che diventi l'Africa della messa in scena,
della spettacolarizzazione e dello sfruttamento della sofferenza altrui a fini
di "fund raising". La fibra emotiva qui è di rigore. Si tratta di suscitare la
"pietas" del donatore eventuale, senza minimamente preoccuparsi di fare capire
le cause remote e attuali delle situazioni. Qui gli africani sono passivi, oltre
che pazienti, in attesa che irrompa il "deus ex machina" europeo che tutto sana,
tutto risolve e salva. E gli africani, grati di tanta generosità, vengono
mostrati mentre ballano e cantano inni di ringraziamento. Quest'Africa della
drammatizzazione della bontà europea ignora la soggettività di popoli che da
sempre si sono caratterizzati per la loro precipua capacità di resistenza e di "debroullardise"
(arte di arrangiarsi). Donne, giovani e intere comunità - tramortiti dai
meccanismi infernali della globalizzazione neoliberale e da poteri locali
conniventi - che cercano di dare un senso alla loro esistenza ridotta a una
ginnastica individuale e collettiva di sopravvivenza. Cambiare l'immagine
dell'Africa non significa dare voce a quelle realtà, come spesso si sente dire;
ma tendere un megafono perché queste voci arrivino il più lontano possibile. In
altri termini, l'immagine delle Afriche che hanno smesso di guardare il cielo
degli aiuti rende giustizia alla realtà di un continente che ha imparato a
"ottimizzare l'anarchia" della politica e dell'economia ufficiali. Forse ciò
servirà poco alle operazioni di raccolta fondi ma è più aderente al vissuto
individuale e collettivo degli africani.
[...]
Dall'introduzione di Daniele Mezzana
... quest'immagine dell'Africa a Sud del Sahara è, purtroppo, rintracciabile
nei molti punti di vista che si occupano, a diverso titolo, delle vicende di
tale continente. Non solo i "cattivi" pensano a un'Africa stereotipata e, per
così dire, araldica, ma anche, spesso, i "buoni", o addirittura i buoni
"intelligenti". Tutto ciò ha come conseguenza una concezione asimmetrica delle
relazioni internazionali, a svantaggio dei Paesi africani, e una forma, in
qualche modo crudele, di forte isolamento di tali Paesi, che si risolve in una
sostanziale, spesso involontaria, negazione dell'umanità africana. Questo
accentua, se possibile, il dolore che l'Africa già patisce, poiché aggiunge ai
suoi numerosi problemi la sofferenza, del tutto inutile ed evitabile, prodotta
dall'incomprensione e da uno stigma neanche tanto nascosto. La realtà, in
effetti, è profondamente diversa, o quanto meno più complessa di quanto non
pensino tante persone, anche colte e avvertite.
[...]
Penso che sarebbe un libro indicato a chi si interessa alle tematiche
solitamente trattate in MAHALLA
Società africane. L'Africa sub-sahariana tra immagine e realtà - Anno 2005 -
Editore Zelig - Collana Futura - 330 p., brossura (cur. Mezzana Daniele,
Quaranta Giancarlo)
Di Fabrizio (del 22/01/2013 @ 09:08:31, in Italia, visitato 1572 volte)
di Massimiliano Perna - 20 gennaio 2013 -
Altreconomia
Nel campo Rom di Baranzate vivono circa 350 persone, la maggior parte
proprietarie del terreno, acquistato circa 25 anni fa. Un anno fa iniziano le
procedure di esproprio per i cantieri della manifestazione internazionale. Lo
sgombero potrebbe essere avviato già il 15 febbraio
L'Expo 2015 si avvicina e i lavori proseguono a ritmo frenetico. Uscendo dalla
Fiera di Rho e proseguendo verso Baranzate, oltre al carcere di Bollate adesso
ci sono anche i cantieri a imporsi alla vista degli automobilisti. A pochi
chilometri dalla Fiera c'è una via lunga, piena di buche e pozze di acqua e
fango, circondata da un mosaico di muretti e reti di cinta su cui si adagiano
lamiere e vegetazione. È l'ingresso del campo Rom di Baranzate, dove vivono
circa 350 persone, la maggior parte proprietarie del terreno, acquistato circa
25 anni fa. Un agglomerato di casette costruite abusivamente, ma semplici e
ordinate, dentro le quali vivono famiglie con bambini e anziani. Un luogo
lontano dalla città, dove la vita scorreva con le sue dinamiche quotidiane fino
a prima che l'Expo 2015 portasse tensione.
Il 21 dicembre 2011, infatti, sul sito della Regione Lombardia, sul Corriere
della Sera e su Il Giorno viene pubblicato un avviso di esproprio dei terreni
dell'area in cui verranno eseguiti i lavori di realizzazione di una bretella che
collegherà Molino Dorino all'A8 (l'autostrada "dei Laghi"). Un'infrastruttura
che passerà esattamente sopra il terreno agricolo che ospita il campo.
Nove mesi dopo, il 13 e 14 settembre 2012, alcuni rappresentanti di
Infrastrutture Lombarde S.p.a., società incaricata dalla Regione, si presentano
al campo accompagnati da polizia e vigili urbani: scattano foto, visitano ogni
abitazione e fanno firmare dei moduli di "presa in possesso" dei terreni, per un
valore di appena sette euro al metro quadro.
Il 12 dicembre, ai proprietari dei terreni, non a tutti (per via di un errore di
indirizzo: come destinazione è indicata Milano e non Baranzate), vengono inviate
le raccomandate con le quali si avvisa che il 15 febbraio il terreno dovrà
essere liberato, pena lo sgombero coatto con l'ausilio della forza pubblica.
Una domenica, Viviana, una volontaria che da 2 anni, in assoluto silenzio, si
spende per dare una mano a queste persone, che la considerano "una di famiglia",
decide di accompagnarmi al campo. Passiamo casa per casa, riceviamo la cortese
accoglienza di Vlad, Giuliano e tanti altri, che vivono con enorme ansia
l'approssimarsi del 15 febbraio. La loro preoccupazione è per i figli, che vanno
a scuola, studiano e per i quali l'espulsione dal campo sarebbe una tragica
frattura con quella che, in tanti, chiamano "integrazione". "Ho due figli che
vanno a scuola – afferma Vlad - e sono nati in Italia, anche se so che per la
legge questo non conta. Quando mia figlia scrive in italiano mi emoziono e mi
sento orgoglioso. Perché per loro voglio un futuro diverso, migliore. Se ci
buttano per strada come faremo?". "Quando sono venuti quelli di Infrastrutture
Lombarde – prosegue Vlad - io non ero in casa, hanno fatto firmare mia moglie
che è analfabeta e ha siglato con una X. Poi ho scoperto che si trattava della
cessione del terreno, tra l'altro ad un prezzo bassissimo".
A casa di Milan arrivo mentre stanno cenando. Per senso di ospitalità sbarazzano
rapidamente e mi fanno sedere al loro tavolo, offrendomi subito dell'acqua e il
pane che la moglie ha appena sfornato. Ha lo sguardo sveglio ed è pronto ad
arrivare fino alla Corte Europea di Strasburgo per far valere i propri diritti:
"Da qui, senza un'alternativa non me ne vado. Siamo pacifici e disposti a
trattare, ma devono darci una soluzione che eviti che la mia famiglia finisca in
mezzo alla strada".
Anche la comunità Rom e Sinti si è mobilitata promuovendo incontri con gli
assessori del Comune di Milano (che ha la competenza sulla zona), Majorino e
soprattutto Granelli, per cercare una soluzione che impedisca a ben 350 persone,
tra cui una settantina di bambini, più donne e anziani (c'è anche un uomo malato
e in dialisi), di finire per strada, senza un tetto e senza alcuna tutela. Gli
abitanti del campo hanno anche nominato dei legali, al fine di difendere i
propri diritti ed opporsi alle procedure attuate da Infrastrutture Lombarde.
Il Comune, dal canto suo, ha fissato per il 23 gennaio un incontro con i
rappresentanti della comunità, per proporre delle soluzioni. L'assessore
Granelli, attraverso il suo ufficio stampa, afferma: "Ci stiamo già occupando
della vicenda, stiamo facendo valutazioni e studiando proposte che formuleremo
nel corso dell'incontro del 23 gennaio con i diretti interessati. Preferiamo
parlarne direttamente con loro, senza anticipare nulla alla stampa".
Pressoché identica la posizione del sindaco Pisapia. Il suo portavoce, Marco
Dragoni, ci dice: "A fine mese ci sarà una riunione tra il Comune e i soggetti
coinvolti nella vicenda e in quella sede sarà stabilito cosa fare. Questo è il
metodo migliore per affrontare i problemi. Fino ad allora l'Amministrazione non
ritiene di dover fare dichiarazioni che possano anticipare eventuali decisioni
che saranno valutate nell'incontro già fissato".
Nessuno vuole sbilanciarsi, ma intanto nel cuore di tutte le persone incontrate
al campo risiede la stessa angoscia. Il primo pensiero è per la famiglia, per i
figli e per la scuola. Bambini come gli altri, educati e dolci, ospitali e con
gli occhi curiosi a seguire le parole che scambio con i loro padri e le loro
madri. C'è un'enorme senso della dignità nelle parole che ascolto e c'è anche il
rispetto per le forze dell'ordine che "fanno il proprio lavoro". C'è la speranza
riposta in Pisapia ("è stato avvocato di molti Rom", sussurra un uomo) e
nell'assessore Granelli. Non ci sono parole violente, né atteggiamenti
aggressivi. Questa gente vuole solo continuare a vivere e a far crescere i
propri figli, sperando che siano più forti e preparati degli stereotipi
insopportabili, dell'emarginazione e dell'indifferenza che viene a loro
riservata.
Pochi giorni fa (il 14 gennaio) il Comune di Milano ha approvato la mozione a
favore del progetto "Expo dei Popoli", un coordinamento di Ong, associazioni,
reti della società civile che lavora per la realizzazione del Forum dei Popoli
in programma per il 2015 a Milano, in concomitanza con l'Expo. Se davvero può
esistere un Expo dei Popoli, allora sarebbe bene che sia il Comune sia le
associazioni che lavorano al Forum si impegnassero affinché ne facciano parte
tutti i popoli. Compresi quelli che da soli lottano per i loro diritti in un
campo alle porte di Milano.
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