Pubblicato: 23/01/2013 15:37 di Monica Pasquino,
Presidente dell'Associazione di Promozione Sociale S.CO.S.S.E.
Era nella fredda stagione invernale, tre anni fa, che qualche tg locale mostrava
le immagini dello sgombero di Casilino 900. Dal 19 gennaio al 15 febbraio del
2010, a Roma, sono state trasferite più di 600 persone, con una sistematica
violazione dei diritti umani e dell'infanzia.
Kher in romani chib - esattamente come il suo equivalente italiano
casa - è una
parola semanticamente vaga a cui ognun* dà un valore personalissimo. Una
villetta a due piani è la casa di una famiglia benestante in provincia; una
stanza è la casa di una precaria a Milano; un container è la casa di una coppia
terremotata in Irpinia, un posto letto è la casa di uno studente universitario a
Roma, così come una macchina diventa la casa di un poveraccio sfrattato a
Napoli.
"Di qualsiasi materiale sia fatta, la tua kher è sacra", racconta un rom nella
rivista curata dall'Associazione 21 luglio, poco importa se sia una baracca o
una roulotte o se la tua kher si trovi in un campo nomade dove l'abitare è
sinonimo di ghettizzazione, in ogni caso, la violazione della tua kher è un
gesto di violenza verso i tuoi affetti, verso il tuo corpo ed è una violazione
dei tuoi riti e della tua libertà.
In Italia solo lo 0.23% della popolazione totale è rom, una delle medie più
basse in Europa. Tra questi solo il 2-3% dei rom è realmente "nomade". A Roma le
comunità rom che vivono nei campi nomadi, che si distinguono in villaggi
attrezzati, campi tollerati e insediamenti informali, sono lo 0.24% della
popolazione complessiva. Tutto il resto sono allarmi infondati, campagne
discriminatorie e narrazioni stereotipanti che alimentano paure e insicurezze
"facili" da stimolare, soprattutto in anni di recessione, di assenza di lavoro e
tagli al welfare e ai servizi essenziali.
Nella produzione di un ordine del discorso dominante, le notizie vengono
selezionate, accorpate, differenziate: alcuni casi di cronaca vengono messi in
risalto, altri lasciati in ombra o taciuti. Tutto si muove all'interno di una
dinamica che sta a noi comprendere e districare, per non farci travolgere da
un'ingiusta lettura del presente. La politica dei campi nomadi è iniziata in
città alla metà degli anni Ottanta, quando la Regione ha approvato una legge che
prevedeva la creazione di insediamenti per comunità ritenute non idonee o
desiderose di vivere in una kher simile alle nostre.
Nel 1994 il Sindaco Francesco Rutelli ha presentato il primo Piano Nomadi della
Capitale che prevedeva la costruzione di 10 campi in un anno. I governi che si
sono succeduti al Campidoglio negli anni Novanta, al di là della collocazione
politica, hanno proposto altri Piani Nomadi, tutti con lo stesso obiettivo:
risolvere le "emergenze", mettere in "sicurezza" i quartieri abitati da
italiani, fare sgomberi e concentrare i rom in villaggi attrezzati sempre più
lontani dal contesto urbano.
L'approccio emergenziale, l'isolamento dei rom che dovrebbe garantire la
sicurezza della cittadinanza italiana, le pratiche e le retoriche securitarie
che giustificano vari casi di violenza urbana sono alcune delle modalità della
produzione di corpi e di spazi nella città. Sono una delle forme della
governamentalità del nostro tempo che lede la libertà di tutt* noi, non solo
quella di rom e migranti, rimbalza al centro dell'attenzione cittadina, ci fa
girare con circospezione la sera, riempie le nostre chiacchiere al bar e le
dichiarazioni degli amministratori.
I campi nomadi sono gabbie costruite su base etnica, sono un'invenzione tutta
italica, frutto in particolare delle istituzioni della Capitale, e rappresentano
una forma dell'abitare che è estranea alla consuetudine abitativa di rom e sinti.
I villaggi attrezzati, come quello che il Sindaco Veltroni inaugurò a via
Salone, uno dei più grandi d'Europa, sono circondati da recinzioni metalliche e
gli ingressi sono controllati da un sistema di videocamere: questi sono segni
lampanti della biopolitica che caratterizza questi villaggi attrezzati, i Cie e
le altre politiche di controllo a cui sono sottoposti i cittadini stranieri.
L'ultimo
Piano Nomadi della Capitale è opera di Gianni Alemanno (2009), e ha
l'obiettivo di realizzare 13 villaggi attrezzati per accogliere circa 6000 rom.
Il Piano Nomadi dell'attuale Sindaco costa attualmente circa 20 milioni di euro
l'anno ai cittadini romani, ma non ha ancora raggiunto alcun obiettivo, anzi, le
condizioni di vita dei rom sono drasticamente peggiorate per l'isolamento dal
resto della città, per la mancanza di manutenzione, per il sovraffollamento e
per l'aumento di comportamenti devianti. Ai 20 milioni annui vanno aggiunti i
soldi spesi per gli sgomberi dei campi informali (circa 500 dall'estate del 2009
ad oggi) che rappresentano una cifra 10 volte più alta di quella spesa dal
Comune di Roma per l'inclusione lavorativa dei rom nello stesso lasso di tempo.
Nella prossima primavera, con le elezioni amministrative, abbiamo l'occasione di
voltare pagina e finalmente proporre politiche di medio e lungo termine dirette
all'inclusione sociale di rom e sinti:
- perché la libertà si con-divide tra tutt* gli abitanti di Roma, non si divide;
- per chiudere gradualmente tutti i villaggi attrezzati;
- per abbandonare
l'approccio emergenziale e securitario;
- per proporre una cultura che superi i
pregiudizi e avvii percorsi di conoscenza e dialogo fra culture diverse;
- per
sospendere ogni azione di sgombero e trasferimento forzato che non rispetti le
Convenzioni internazionali.
Nella Repubblica romana di domani, vorremmo che nessun* potesse più violare la
tua kher.