Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Sucar Drom (del 25/08/2011 @ 09:58:47, in blog, visitato 1427 volte)
Auschwitz-Birkenau, 2 Agosto 1944
Il 2 agosto 1944 ad Auschwitz-Birkenau avviene l'ultima liquidazione dello
Zigeuner Familienlager nel settore BIIe, dove erano internate le famiglie sinte
e rom. Nel maggio 1944 le famiglie sinte e rom attuano con successo una rivolta
per scongiurare...
Rom e Sinti, prepariamo una grande manifestazione: partecipa anche tu!
Il Presidente della Federazione Rom e Sinti Insieme, Radames Gabrielli (in
foto), ha lanciato da alcuni giorni la proposta di organizzare una
manifestazione a Roma dal titolo "Sinti, Rom, Camminanti, Amici e Simpatizzanti
TUTTI UNITI"...
Francia, il razzismo non paga
Un anno fa Nicolas Sarkozy aveva lanciato il cosiddetto "giro di vite" contro i
rom arrivati in Francia dall'Est Europa, in particolare dalla Romania.
L'azione del Presidente francese aveva fatto scattare la reazione dell'Unione
Europa che aveva stig...
Immigrazione, Ministro Maroni: fatta la legge, trovato l'inganno
Il Ministro dell'Interno Maroni è riuscito a far approvare in via definitiva il
decreto legge n. 89 del 23 giugno 2011 recante misure di recepimento delle
direttive europee sulla libera circolazione dei cittadini e sul rimpatrio...
Reggio Emilia, la Lega Nord fomenta il razzismo
Nei giorni scorsi la Procura di Parma ha dato ordine alle Forze dell'ordine di
irrompere in tutti i cosiddetti "campi nomadi" di Reggio Emilia (ma anche in
quelli di Milano, Modena e Parma) per cercare una fantomatica...
Libano, i dom sono discriminati
Sono 2,2 milioni in tutto il Medio Oriente, tra Libano, Giordania, Territori
Palestinesi, Turchia, Iran e Iraq. In Libano sono una delle comunità più
emarginate. Rom e Sinti in Europa, Dom in Medio Oriente...
L'ipocrisia italiana e la tragedia infinita
A metà degli Anni Novanta vivevo a Roma ed ogni anno morivano nelle baraccopoli
capitoline tre ma anche quattro bambini. Il copione era sempre lo stesso il
fuoco di una candela o di un braciere e il gelo della notte...
Amplifica le tue informazioni
In questa pagina offriamo la possibilità di conoscere organizzazioni con cui
collaboriamo e pagine web che riteniamo offrano sguardi interessanti sulla
situazione delle minoranze linguistiche sinte e rom. I blog più aggiornati hanno
una sezione dedicata nella pagina principale...
Pubblicazioni
L'Istituto di Cultura Sinta su mandato della Sucar Drom ha pubblicato libri,
cortometraggi, mostre e cd musicali. Alcune pubblicazioni sono disponibili e
possono essere richieste...
Orta Nova (FG), una situazione abitativa inaccettabile
Pubblichiamo la lettera invita venti giorni fa, dall'Associazione di promozione
sociale Noialtri, al Sindaco del Comune di Orta Nova per sensibilizzarlo sulla
grave situazione abitativa vissuta da alcune fa...
Pisa, appello di un gruppo di sacerdoti della Diocesi
Siamo un gruppo di sacerdoti della diocesi di Pisa che, di fronte alla
situazione venuta a crearsi in seguito al recente sgombero a Cisanello di un
insediamento di famiglie rom, intendono condividere alcune consideraz...
Slovacchia, vogliono violare il corpo delle donne
In questa Europa attanagliata dalla crisi economica da alcuni anni e con una
classe politica simile, in maniera imbarazzante, a quella della Repubblica di
Weimar che portò all'ascesa in Germania del nazionalsocialismo...
Romania, una campagna per dire: anche io sono rom!
Le cifre ufficiali indicano che ci sono poco più di 500mila persone appartenenti
alla minoranza rom in Romania, ma sono in molti a pensare che i rom siano il
doppio e che quindi ritengono insufficienti le risorse destinate dal Governo
rumeno. "Molte persone di origine rom non dic...
Mantova, Sucar Drom: Relazione Morale (sintesi)
Questa sera, 25 agosto 2011, si terrà a Mantova l'Assemblea Elettiva
dell'Associazione Sucar Drom. Di seguito la sintesi della Relazione Morale del
Presidente Davide Gabrieli che sarà letta, discussa e votata dai Soci...
Di Fabrizio (del 25/08/2011 @ 09:55:32, in Regole, visitato 1662 volte)
Da
Roma_ex_Yugoslavia
La Macedonia non ha alcuna base giuridica per vietare ai Rom di viaggiare
9 agosto 2011, by Karin Waringo - Quasi 800 persone, soprattutto Rom, sono
state rimandate a casa dalle autorità di frontiera macedoni
Sembra un brutto scherzo. Cinque componenti di una famiglia macedone sono in
viaggio dalla loro città natale verso Belgrado, per partecipare al matrimonio di
un parente stretto. La macchina è carica di abiti tradizionali da sposa e
regali per la giovane coppia. Eppure, all'attraversamento del confine a Tabanovce,
una guardia di frontiera macedone ritira i loro passaporti, dicendo che sono
diretti a Surcin, l'aeroporto di Belgrado, per imbarcarsi su di un aereo diretto
verso l'Unione Europea.
La guardia li accusa di essere falsi richiedenti d'asilo, di quelli che
stanno mettendo la Macedonia nei guai con la UE. La famiglia nega. Dopo tutto,
hanno lasciato dietro a loro due bambini a scuola, così certo che torneranno in
Macedonia dopo il matrimonio. Ma le loro proteste non hanno sortito risultato,
se non i francobolli apposti dalla guardia di frontiera sui loro passaporti, ad
indicare il divieto a viaggiare. La famiglia è stata rispedita a casa.
Casi come questo - che è stato riportato dal network di OnG ARKA - sono
diventati frequenti da quando ai cittadini macedoni sono stati concessi visti
per viaggi di breve durata verso la UE. Un mese fa, la rivista internet
Balkan Insight ha citato il portavoce della polizia macedone, Ivo Kotevski,
che affermava che 80 persone erano state respinte alla frontiera.
Gordana Jankulovska, ministro dell'interno, è stata persino più specifica. In
un incontro al Forum di Salisburgo, dove si riuniscono i ministri di otto paesi
dell'Europa centrale ed orientale, ha annunciato che a 764 persone è stato
impedito di lasciare la Macedonia tra il 29 aprile ed il 27 giugno. Ha affermato
che lo scopo di questa "energica misura" era di prevenire l'abuso del regime
senza visti - nel 2010, 7.550 macedoni fecero richiesta di asilo nella UE.
Il problema è che le autorità macedoni non hanno alcun fondamento legale per
emettere un divieto a viaggiare. Rispondendo ad una nostra richiesta, ci è stato
detto che la misura si basa sull'art. 15 della legge sulla sorveglianza di
frontiera, che prende a prestito elementi del cosiddetto codice delle frontiere
di Schengen. Ma mentre il secondo definisci i criteri secondo cui ai cittadini
di paesi terzi può essere rifiutato l'ingresso nell'area Schengen, la Macedonia
ha effettivamente iniziato ad impedire ai suoi cittadini di lasciare il proprio
paese, cioè tutt'altra cosa.
Ciò che è ancora più preoccupante in queste misure è il fatto che, come nel
caso sopra riportato, sembrano riguardare principalmente i Rom. I Rom macedoni
sono spesso di pelle scura, per le guardie di frontiera è facile identificarli
ed isolarli. Al tempo della nostra indagine, uno dei pochi incaricati consolari
che aveva accettato di rispondere alle nostre domande senza far finta di non
sapere, ci raccontò di un caso, un esempio di manifesto abuso nel regime della
liberalizzazione dei visti per la UE - che diversi Rom viaggiassero in bus alla
volta di un matrimonio, ma si suppone che furono in grado di informare la
guardia di frontiera sull'esatta destinazione. Pudicamente riferì anche in
qualche modo di "problemi che abbiamo in alcune zone del paese" e sul fatto che
la Macedonia non fosse capace di fare di più per combattere la povertà.
Di conseguenza, per i Rom poter viaggiare è diventato una specie di lotteria.
Molti di quanti vengono fermati al confine, ci riproveranno. E' per questo che
le autorità macedoni hanno iniziato a bollare i loro passaporti. Ma non ci sono
basi giuridiche per questo divieto, che in realtà viola le leggi internazionali
sui diritti umani. E' per questo che la mia organizzazione, assieme ad altre, ha
scritto al governo macedone per esortarlo ad abbandonare questa pratica.
Governo che da parte sua non ha ancora sviluppato completamente la propria
strategia.
Il mese scorso Antonio Milošoski, ex ministro della giustizia, ha presentato
una proposta di riforma del codice penale, che renderebbe l'abuso del regime di
esenzione dei visti un reato penale. Mentre l'attuale proposta è rivolta alle
imprese di viaggio, che possono essere sanzionate anche in assenza di prove sul
loro coinvolgimento in presunti abusi, un'altra proposta intende sanzionare
quanti hanno fatto domanda d'asilo "sulla base di false ragioni", secondo quanto
riportato dall'agenzia di stampa macedone INA che cita fonti vicino al governo.
Queste sanzioni potrebbero includere la confisca temporanea dei passaporti.
Come ha spiegato l'ex ministro della giustizia in un incontro con Cecilia Malmström,
commissario UE agli affari interni, il governo macedone "si aspetta che queste
misure possano sradicare questi fenomeni non voluti e spiacevoli". Questo è,
alla fine, l'elemento più preoccupante dell'intera storia: il fatto che queste
violazioni dei diritti umani fondamentali accadano sotto gli auspici e
probabilmente il coinvolgimento della UE. Che a sua volta ha già inviato propri
rappresentanti nella regione.
Martellano nella testa dei governi: "Le migrazioni di Rom potrebbero
condizionare il processo di allargamento", come citato dai media serbi a
proposito di Pierre Mirel, direttore della commissione per i Balcani
Occidentali. O, nel caso di due settimane fa, di Robert Liddell, capo della
sezione politica della delegazione UE a Skopje: "Se nel clima attuale le
prossime adesioni saranno associate alle questioni migratorie,
allora aumenteremo il rischio di rifiuto."
Consapevole delle implicazioni, il governo macedone, al pari di quello
serbo, sta già negoziando con la commissione sulle misure da prendere senza
interferire con gli standard sui diritti umani. Sarebbe bene se questi negoziati
fossero aperti e se fossero condotti per una reale salvaguardia e non per
protezioni fasulle.
Dr Karin Waringo è presidente di Chachipe, un gruppo di pressione e
consulenza per il rispetto dei diritti dei Rom
NDR - Ho chiesto un parere a Francesco,
nostro redattore: ha sposato una ragazza macedone e conosce da tempo i
meandri kafkiani della burocrazia e della politica macedone. Questo il suo
parere:
"Questa storia la conosco dai media macedoni, fondamentalmente dipende dal
fatto che alcuni stati europei hanno minacciato alla Macedonia il ritiro del
regime no visa, perché molti rom ne hanno approfittato per espatriare. Ecco
perché adesso la Macedonia blocca l'espatrio in assenza di requisiti molto
rigidi per la popolazione rom. La mia opinione è che è un ricatto folle, si
parla di poche migliaia di persone (considerate che in tutto i macedoni saranno
circa due milioni) che vengono usate come strumento di pressione per politiche
razziste."
Di Fabrizio (del 24/08/2011 @ 09:27:03, in Italia, visitato 1434 volte)
Come potete vedere la lettera è di qualche mese fa. Eppure, potrebbe
essere stata scritta ieri o l'anno scorso, come se il tempo nei campi scorresse
immutabile, scandito dal ripetersi di
ricorrenti
tragedie, quasi fossero riti sacrificali all'esclusione sociale. Perché
riproporla adesso? A parte la mia disattenzione nel non averla pubblicata prima
(ma poco importa, come dicevo sopra):
- perché non si otterrà molto se certi temi vengono affrontati solo
sull'onda della commozione indotta dalla "pietas" giornalistica o delle
promesse ripetute nell'ennesimo convegno;
- e poi perché come scrivevo a inizio mese, soluzioni semplici e
praticabili ci sono, ma vengono costantemente e scientemente ignorate.
Con ciò, non mi convincono tutte le proposte di Antun Blazevic, ma gli
riconosco il merito di saper mantenere i piedi per terra.
Da
Nazione Rom - VENERDÌ 19 AGOSTO 2011
Roma 08/03/2011
Egregio Sindaco Alemanno,
Gli ultimi avvenimenti che sono accaduti a Roma mi hanno spinto a scriverLe
questa lettera, nella quale Le vorrei, nel mio piccolo, dare qualche
suggerimento: credo che me lo posso permettere, visto che sono quasi 25 anni che
lavoro come mediatore culturale a Roma.
Entrambi sappiamo che i Rom soffrono una discriminazione sistematica e
combattono contro un livello intollerabile di esclusione e violazioni dei
diritti umani, che non sono stati protetti da nessuna parte politica. Questa
situazione è caratterizzata da segregazione, espressioni di odio, profiling
etnico, sfratti continui ed espulsioni, ma sappiamo anche bene che non è una
cosa successa dall’oggi al domani, bensì è stata ereditata da tutte le giunte
precedenti.
Purtroppo a Lei è rimasto il compito, come primo cittadino, di affrontare la
situazione. Io non intendo criticare il Suo operato, ma credo che Lei non è in
possesso di tutti i dati "veri" sulla questione dei Rom a Roma (non per colpa
Sua, ma per le informazioni errate che sono state fornite ai suoi collaboratori
da persone che si ritengono informate sulla questione).
Non ho mai creduto che la responsabilità di questa situazione sia unilaterale e
coloro che sostengono questa posizione sbagliano. Io mi riferisco esclusivamente
alla situazione dei Rom provenienti dall’ex-Jugoslavia, in quanto non
appartenenti all’Unione Europea.
Lei è sicuramente a conoscenza di quanti sono i Rom che dai tempi del conflitto
bellico sono scappati dall’ex-Jugoslavia e sono venuti a vivere a Roma, e ai
quali non è stata data la possibilità di mettersi in regola, per una delle più
gravi conseguenze di quella guerra, cioè la ridefinizione dei confini
geografici. Durante il conflitto molti archivi istituzionali (nelle città di
Tuzla, Sarajevo, Srebrenica, ecc…) sono stati bombardati e non è rimasta nessuna
traccia dei dati personali; nel frattempo le persone si sono rifugiate in
Italia, scappando attraverso boschi e senza essere in possesso di nessun
documento. Adesso i nostri Consolati e le nostre Ambasciate non sono più in
grado di fornire loro dei documenti, perché non sanno come attribuire loro una
nazionalità, visto che i paesi un tempo situati in Croazia ora sono passati alla
Serbia e viceversa.
Ritengo che il "Piano Nomadi" nel caso dei Rom provenienti dall’ex-Jugoslavia
deve partire da questa impossibilità di attribuire loro una nazionalità di
provenienza. Al fine di favorire l’inserimento di questi Rom nella società
italiana, penso sia necessario dare loro un permesso di soggiorno e quindi
offrire loro la possibilità di lavorare.
Sull'occupazione, la strategia del Comune dovrebbe assicurare un accesso
effettivo al mercato del lavoro, per esempio attraverso lo strumento del
micro-credito per l'impresa e il libero impiego, insieme a misure per combattere
il lavoro sommerso e favorire l'assunzione dei Rom nell'amministrazione
pubblica. Poiché i Rom hanno bisogno di un alloggio e non di assistenzialismo,
anche permettere loro di usufruire delle vecchie caserme (non più di 30 famiglie
per posto), dando l’incarico agli stessi Rom di ricostruirle con l’aiuto del
Comune.
Ogni famiglia Rom dovrebbe essere messa nelle condizioni di portare
autonomamente i figli a scuola. Tutti i cittadini Rom dovrebbero anche essere
soggetti alla registrazione pubblica di nascite, matrimoni e decessi. Gli adulti
dovrebbero poter lavorare in piccole cooperative, appaltati dall’AMA, per la
pulizia delle aree pubbliche, per la raccolta differenziata e il riciclaggio dei
metalli e per la vendita nei mercatini degli oggetti riciclati. Le donne
dovrebbero poter accedere ai Consultori ed essere formate con corsi
professionali.
Quanto all’educazione, la strategia comunale dovrebbe avere come priorità,
l'abolizione della segregazione nelle classi, impiegando mediatori e insegnanti
Rom nelle scuole, proteggendo la loro cultura attraverso l'uso della loro lingua
e garantendo accesso all'educazione infantile e ai programmi d'insegnamento per
adulti.
Riguardo alla situazione dei giovani, propongo inoltre di creare un centro
culturale, dove è possibile offrire dei corsi e delle attività culturali. Tutto
questo dovrebbe essere seguito da una task force composta da persone
istituzionali e mediatori culturali.
Credo che usufruendo dei fondi dell’UE questo lavoro non peserà sul budget del
Comune. Inoltre tutti i presidenti dei municipi che si rifiutano di collaborare
con le locazioni si dovrebbero penalizzare, togliendo loro i benefici se non
permettono la creazione di micro-aree. La sistemazione in queste micro-aree fra
l’altro dovrebbe essere solo temporanea, affinché i Rom stessi non trovino una
sistemazione adeguata in case.
Buon lavoro
Cordiali saluti
Presidente Associazione culturale Theatrerom
Mediatore culturale Rom
Antun Blazevic
Da
Romanian_Roma
Cafebabel.com Romania: tra tradizione, educazione ed emancipazione; il
percorso di Letitia Mark, militante rom.
Letitia Mark combatte per l'integrazione dei rom nell'ovest della
Romania. Proveniente lei stessa da questa minoranza, dirige il centro ONG FEMROM
a Timisoara, (città dell'ovest della Romania), fondato circa sessanta anni fa.
Un progetto consistente in un paese, dove numerosi pregiudizi persistono nei
confronti dei due milioni di donne che risiedono lì.
Con una quarantina di bambini intorno a lei, Letitia Mark chiede: "Cosa
significa la ruota nella nostra bandiera?" Samuel, dell'età di 13
anni, conosce la risposta: la ruota simboleggia il viaggio, il blu rappresenta
il cielo e il verde l'erba. Mark, che i bambini chiamano affettuosamente "Doamna
Leti" vuole che questi bambini siano rispettosi nei confronti della loro
identità, di loro stessi e del mondo. E anche che siano ordinati. Neanche un
pezzettino di carta può essere buttato sul pavimento della sala comune.
Bandiera gitana
"OPRE ROMA – Alzatevi rom!"
La bandiera fu adottata nel 1971, durante il
primo congresso internazionale
romanì, così come l'appellativo "rom" e lo slogan "Opre roma – Alzatevi rom".
Solo dopo la caduta del comunismo il movimento romanì ha potuto
installarsi in Europa dell'Est, per permettere ai rom di lottare loro stessi per
i loro diritti.
In quanto a Mark, è piuttosto per caso che lei ha raggiunto il movimento romanì.
Appena dopo la rivoluzione del 1990, era in corso una conferenza all'università
di Timisoara,
durante la quale un oratore rumeno si lamentava dell'assenza di partecipazione
dei rom al dibattito sull'educazione. Mark, allora assistente universitaria, si
alzò, indignata, esclamando: "Ci sono abbastanza rom che potrebbero
prendere la parola, ma non sono stati invitati a farlo!"
Mark è diventata porta-parola dei rom. Quando fu invitata all'estero, i suoi
compatrioti mormoravano: "Fuggirà all'ovest". Delusa di tanta diffidenza al suo
riguardo, Mark si ritirò dalla politica. Ha continuato a credere al
significato e al peso dell'educazione. "Poiché tradizionalmente, non è facile
per una donna far fronte agli uomini", fondò l'organizzazione
FEMROM nel 1997,
un'associazione di donne rom, perorando la causa dell'educazione dei bambini.
All'inizio Mark era installata nella propria cucina. Doveva procurarsi estratti
degli atti di nascita e certificati di registrazione, in quanto senza questi
documenti, i bambini non hanno il diritto di frequentare la scuola. Dopo aspre
negoziazioni, le autorità municipali hanno finito per concedergli un territorio.
"Il terreno era praticamente incolto. E' stato necessario prima costruirmi un
tetto dove ripararmi."
Oggi, è in uno spazioso pianterreno che si svolgono i corsi di sostegno, corsi
d'informatica per donne e incontri interculturali. Alcune giovani donne rom,
studentesse in scienza dell'educazione, alloggiano nell'attico. Sono incaricate
dei corsi di sostegno e dei servizi di mediazione. Diventeranno le future
responsabili del centro, oppure perfino del movimento rom?
Mark lo spera. Gli piacerebbe approfittare della pensione, che gli spetterà
dall'epoca in qui era impiegata all'università. Ma il contratto d'affitto sta
giungendo a termine, è prevista la costruzione di un centro commerciale nei pressi del
centro ONG, e la municipalità rischia di vedere la presenza di FEMROM
di cattivo occhio. Nonostante il sostegno economico dell'Unione Europea, la ONG
manca di mezzi. Ad ogni modo, l'energia e l'animo gentile della presidente sono
ancora vivamente richiesti in questo focolare.
La propria biografia serve come esempio
Letitia Mark appartiene al gruppo dei "Rudari". La sua identità, la conosce da
sempre. Suo nonno era l'ultimo artigiano del villaggio, e scolpiva
cucchiai di legno. E sapeva raccontare storie. Ufficialmente, durante l'epoca
comunista, le minorità etniche non esistevano. Tutti dovevano essere uguali, ma
questa non era altro che teoria. In pratica significava che ogni cittadino
doveva contribuire alla prosperità dello stato. E' così che la famiglia di Letitia si trasferì a
Timisoara, i suoi genitori andarono a lavorare in
fabbrica. Per migliorare il reddito della famiglia, Mark chiedeva l'elemosina
quando era piccola. "All'inizio, mi vergognavo. Ma lo faceva mia nonna, lo
facevano le mie compagne. Finii per abituarmici." Mark ritiene che la sua
vita fosse proprio come quella dei Romanì dell'epoca contemporanea. Nel
contempo, è diventata sempre più femminista. "Ogni donna rivoltata dalla condivisione tradizionale dei
ruoli è una femminista." E Letitia si è ribellata: dopo la scuola elementare,
non voleva sposarsi, ma continuare gli studi. Fu la prima del suo comune a
prendersi il diploma. Allorché i suoi genitori rifiutarono che lei facesse gli studi
superiori, scappò di casa in direzione di Bucarest. Poi nel 1984 ritorna a Timisoara, con il titolo di professoressa di facoltà in greco e latino.
Il rovescio della fortuna e il futuro
Le espulsioni dei rom in Francia, durante l'estate 2010 hanno colpito
Mark.
Accanto ad una presenza "ben troppo massiccia di poliziotti", i giornalisti
gironzolavano intorno ai nuovi arrivati per domandare loro cose del tipo: "cosa
hai rubato?" "che tipo di criminale sei?" "Ho visto uomini e donne miserabili,
bambini che piangevano, quattro cose sotto al braccio, e questa immagine ha
evocato in me la deportazione. Ho avuto il risentimento che si poteva sempre
trasportare e deportare i rom come meglio si crede, e che nessuno si leva
contro, per prendere le loro parti e gridare: STOP!"
"Talvolta", confessa Mark, "mi dico che ho commesso un errore". Abbassa gli
occhi. "Avrei dovuto mirare ad una carriera professionale che mi avesse permesso
di avere una reale influenza politica." Bussano alla porta dell'ufficio. Una
bambina piccola mostra con fierezza la sua pagella. "Brava!" Gli occhi di Mark
luccicano. Si percepisce che sono queste piccole riuscite che gli ridanno
energia.
Domenica scorsa discutevo via Facebook su come sia facile scatenare
commenti razzisti quando la comunicazione da parte nostra è troppo retorica.
Spero di non aver ecceduto nell'animosità e nel caso me ne scuso. Ragionando a
mente fredda, sono seguiti alcuni "pensieri laterali" a quello scambio di idee.
L'anno scorso ho avuto la fortuna di conoscere
Paul Polansky e di accompagnarlo in alcune presentazioni a Milano delle sue
opere. I lettori della Mahalla lo dovrebbero conoscere bene, perché ho scritto
spesso di lui.
Diciamo che il personaggio è quantomeno singolare: fotografo, giornalista,
sociologo, scrittore, poeta, premio Günther Grass
nel 2004, e soprattutto amico e conoscitore dei Rom.
Però anche lui ha un suo lato oscuro, se dovessimo giudicarlo (che brutta
parola!) con i nostri occhi di "intellettuali democratici", sempre pronti a
dividere i buoni dai cattivi.
Polansky è stato anche un pugile dilettante e, da quello che racconta di se
stesso, non ne è per niente pentito. Amava e ama tuttora la violenza fisica, i
pugni, il sangue, anche quando oggi, a quasi 70 anni, si trova nuovamente a
combattere la violenza delle istituzioni e l'indifferenza della società.
C'è un suo libro:
Boxing poems, edizioni Velo Press, in cui la sua asciutta poesia non viene
messa al servizio di un'ennesima causa civile, ma descrive in prima persona il suo
rapporto con la violenza, alla ricerca di quelle che ne sono le radici. Ricerca
che si risolve (forse, ma non si sa) nelle ultime due poesie.
Rispetto alla discussione che ricordavo all'inizio, mi è tornato in mente un
curioso episodio raccontato nell'introduzione di Boxing poems: Polansky
si trovava a Praga a leggere le sue poesie su
una delle tante tragedie nascoste della storia dei Rom. Nella sala si fecero
avanti alcuni skinhead con atteggiamento minaccioso. Il vecchio pugile capì cosa
poteva succedere, una volta la storia sarebbe sicuramente finita in rissa, ma
stavolta Polansky mollò il suo libro e si mise a recitare a quel pubblico
insolito le sue poesie sulla boxe.
"...novello pifferaio magico, catturò l'attenzione di quei teppisti,
suscitando la loro ammirazione, anche per il valore letterario dell'opera.
Era dunque riuscito ad aprire un dialogo, trasformando dunque un libro di
sola e pura violenza in un'opera frutto di un atto estremamente umano,
capace di acquietare, e soprattutto di far riflettere anche quelle persone
che sfogano in malo modo il lato aggressivo del proprio carattere. Come dire
che non basta rinchiudere un cane che morde, ma si deve cercare di parlarne
e curarlo" [pag. 9]
Perché le radici della violenza che Polansky ha cercato, non erano
ipoteticamente in qualcuno e qualcosa di estraneo, ma appartengono saldamente a
ciascuno di noi. Comprenderlo è la strada per capire gli altri.
Termino anticipandovi che sto facendo in modo di riportare Paul Polansky a
Milano per la fine di settembre.
Di Fabrizio (del 22/08/2011 @ 09:57:46, in Europa, visitato 2624 volte)
C'è un articolo di
venerdì scorso de
Il Piccolo che rapidamente ha fatto il giro del web italiano. Qualcuno mi
ha segnalato anche
questo, e poi Adriano Sofri su
Repubblica, oppure
QUA. Per mia deformazione ho dato un occhio anche alla stampa estera
e, posso almeno assicurarvi che è tutto vero.
La notizia sta sollevando grande scandalo ed indignazione; un po' come
quando, perdonate il paragone, si scoperchia un bidone e la spazzatura è rimasta
"nascosta" lì troppo tempo. CERTO CHE SENTI LA PUZZA, DOVEVI INTERVENIRE
PRIMA! Insomma, succede che della Slovacchia sappiamo mediamente poco
(figuriamoci dei Rom che stanno lì), anche se è a poche ore dall'Italia, e
varrebbe la visita di noi turisti. Cose da non perdere: sicuramente
tante città che mantengono un'impronta centroeuropea che altrove s'è persa,
boschi, montagne e poi la birra.
Quello che gli Slovacchi non vorrebbero farvi vedere sono i ghetti dove vivono
buona parte dei Rom: se in Italia ci vergogniamo dell'abbandono dei campi sosta,
lì ci sono insediamenti di
legno, pietre e fango ai margini dei comuni più piccoli, o
enormi ghetti urbani di edilizia degli anni '50-'60, che da decenni
necessiterebbero di interventi di risanamento.
L'ingresso della Slovacchia nella UE, come in altri paesi dell'ex blocco
sovietico, era subordinato al ripianamento della situazione di grave esclusione
sociale di buona parte della minoranza rom. In realtà ha provocato il fenomeno
opposto, con aumento di prezzi e taglio dei servizi sociali, che hanno portato a
ricorrenti rivolte urbane e
disordini nel febbraio 2004, ripetutisi nel
2006.
Quindi una minoranza rom che non si rassegna ed è anche pronta a scendere in
piazza, in maniera violenta se è il caso. Diciamo che da questo punto di
vista, è perfettamente parte integrante della UE; dopo la GB potrebbe succedere anche nella vicina
Repubblica Ceca. In Slovacchia, accanto a situazioni di estrema marginalità
e devianza, convive una presenza di intellettuali rom impegnati in politica
(sempre in polemica tra loro), nei media, nel campo della musica e dello spettacolo, nell'imprenditoria e manovalanza edile. Quindi la situazione è parecchio sfaccettata.
L'altra faccia della medaglia è un razzismo anti-rom sempre più esplicito e
violento, con scontri ed attentati. Specchio di questo razzismo è
l'atteggiamento delle autorità, riassunto nell'articolo iniziale de Il Piccolo.
ATTENZIONE PERO': un atteggiamento simile, soprattutto da parte dello stato e
degli intellettuali slovacchi, non nasce dall'oggi al domani, ma è saldamente
radicato nel passato. Il caso delle sterilizzazioni forzate, nasce negli anni
'70, ancora al periodo della Cecoslovacchia-dopo primavera di Praga, e lo scandalo scoppiò nel 2004 nella
Repubblica Ceca grazie all'ERRC. In seguito le indagini raggiunsero anche la
Slovacchia. Sembra (ma le ricerche sono ancora in corso) che l'ultimo caso sia
avvenuto nel 2007. Nella
Mahalla potete trovare diverse notizie sugli ultimi 6 anni; ECCO PERCHE' MI
STUPISCE IL VOSTRO STUPORE.
Un altro fenomeno preoccupante di razzismo istituzionale, che riguarda
diversi paesi dell'Europa centro-orientale, è quello della segregazione
scolastica dei bambini rom posti, senza ragione alcuna, in classi differenziali.
Sarebbe un discorso molto lungo, che si potrebbe riprendere in seguito (magari
prima di farvi stupire da un ennesimo articolo che troverete in rete), se nel
frattempo volete informarvi leggete, prendendovi il tempo che vi necessita,
QUI.
Se invece cercaste altre notizie sulla Slovacchia,
QUI. Buona lettura. PS: e se volete avere un'idea di quale possa essere il dibattito
pubblico in Slovacchia a proposito di questi temi, ma avete ovvie difficoltà con
la lingua locale, date una scorsa a
questa fila di commenti. Dove, ma sul Giornale, naturalmente...
Di Fabrizio (del 22/08/2011 @ 09:47:38, in media, visitato 1599 volte)
Da
British_Roma (i link sono in inglese, NDR)
Ieri sera alla TV: Bogus Beggars - by Diarmuid Doyle
Martedì 16 agosto 2011 -
Ireland’s Bogus Beggars (TV3)
è tanto falso come titolo di programma, [sintomatico] di dove sia arrivata la
televisione irlandese. Un mese di indagini sull'accattonaggio organizzato in
Irlanda, focalizzate sulla comunità rom, che sembravano determinate a provare
che [il paese] fosse al centro di una truffa su larga scala, che avrebbe
coinvolto i circoli del crimine internazionale, facendo una fortuna alle spalle
degli innocenti benefattori irlandesi.
Alla fine, il giornalista
Paul Connolly ha dovuto alzare le mani e concordare che non c'era niente di
fatto - nessuna gang, nessun Mr. Big a capo di essa, e nessuna grande somma di
denaro ottenuta dal chiedere l'elemosina in Irlanda. Ha invece trovato un mondo
di "estrema povertà, disperazione ed una comunità in lotta per la
sopravvivenza."
Capita, che si mettano mesi di lavoro in una storia e non poche risorse
nell'inchiesta, e tuttavia non c'è nessuna storia. In quelle circostanze, non la si
trasmette. Ma qualcuno a TV3, molto più in alto di Paul Connolly,
sembra aver deciso che in un modo o nell'altro ci sarebbe stata un'ora di
televisione di questo lavoro.
Il risultato è stato un disastro imbarazzante, che fa vergognare TV3. Ha
promozionato il programma dicendo che si trattava di un'esposizione
sull'accattonaggio organizzato in Irlanda, ben sapendo che non era così.
"TV3 Si Infiltra Nel Sinistro Mondo Dell'Accattonaggio Organizzato in -La
Truffa Dei Mendicanti D'Irlanda-" recitava un comunicato stampa che accompagnava
il dvd con l'anteprima, uno slogan in diretta contraddizione con ciò che il
programma rivelava e che porterà sicuramente a lettere di protesta dei
telespettatori.
Connoly ha fatto del suo meglio, ma le sue fonti originali gli hanno giocato
un brutto tiro. Tutto ciò che ha trovato è che alcuni Rom mendicano in modo
aggressivo (cosa che è contro la legge), ma due minuti in O'Connell St.
avrebbero dimostrato che anche alcuni irlandesi mendicano in modo aggressivo.
Difficilmente può dirsi giornalismo investigativo.
Dove il programma ha veramente raschiato il fondo del barile, è stato nelle
intervisti ai membri dei gruppi di estrema destra anti-immigrati - l'equivalente
del
British National Party -
che descrivevano i Rom come "sanguisughe" che non avevano niente da contribuire
alla società irlandese, e che dovrebbero essere deportati tutti, nessuno
escluso.
La decisione editoriale iniziale di coinvolgere costoro nel documentario è
stata bizzarra, ma includere ciò che avevano da dire è stato imperdonabile, dopo
che l'indagine aveva stabilito che non c'era nessun circuito criminale rom ,
nessun accattonaggio organizzato e nessun enorme profitto. Dire che il programma
è stato deludente sarebbe un eufemismo. E' stato una disgrazia.
[...]
Di Fabrizio (del 21/08/2011 @ 09:08:28, in Italia, visitato 1816 volte)
Cominciano i rientri dalle ferie. Come augurio di "bentornato"
a chi dopo il mare o la montagna leggerà ancora queste pagine, ho rispolverato
un post di
Pirori del gennaio 2005. Il mese prima c'era stato lo tsunami in estremo
oriente, e le ricche società occidentali si preparavano ad affrontare
fattivamente la situazione. Noterete come l'argomento possa essere discusso in
diverse maniere e punti di vista, a seconda del vostro umore al rientro.
Dimenticavo: auguri anche a chi le ferie non le ha fatte o se le è già
dimenticate!
La carità è un concetto difficile ed antipatico. Ma l'antipatia ha le sue
eccezioni: non ho nessuna voglia di ammollare un Euro a quel giovane
accovacciato davanti alla chiesa, ma se me lo chiede la Vodafone, lo faccio +
volentieri, con un SMS a qualcuno che mai ho conosciuto e mai vedrò. A chi andrà
il mio contributo? Da quelle parti, la metà della popolazione vive di elemosine,
mica sono come i nostri antenati del Polesine!
Apperò! In questi casi si scopre che le popolazioni (lontane) che vivono di
elemosina, hanno una loro dignità, che non riconosciamo ai mendicanti nostrani.
Manghel = [dal verbo Manghe = chiedere] Per i Rom, significa tanto carità, che
fare la carità, che andare in giro a chiedere oboli agli angoli delle strade...
Durante queste vacanze (stranamente) avevo qualche soldo in tasca. Il bello
dell'elemosina sarebbe farlo perché uno ne ha voglia, non perché si senta
obbligato. Così, per mettermi la coscienza in pace, TOT alle vittime dello
Tsunami, e un paio di euro alla Romnì entrata nel negozio del mio amico. In
realtà volevo scambiare con lei due chiacchiere nella sua lingua e vederne la
reazione (alcuni amici mi avevano raccontato di reazioni impensabili). Sono
rimasto deluso: indifferente, la Romnì ha mantenuto il suo occhio spento,
rispondendo solo con un "Grazie" in italiano stentato.
Preciso: neanche a me piace fare la carità: credo che serva solo a radicare la
dipendenza dagli altri. Qualche volta è dannosa (l'alcolizzato che va a spendere
il soldo per un altro bicchiere, il bambino che consegna il ricavato al
capomafia…)
Donando cose è + facile evitare equivoci. Però, anche in questi casi mi è
capitato di girare per campi nomadi e vedere tra i rifiuti (di solito, il campo
è un rifiuto unico) i pacchi di vestiti donati dalla Caritas.
Qualcosa sul donare l'ho imparato parlando con i Rom. Ancora oggi capita che la
famiglia lavori e chieda lo stesso il "manghel". Chiedere la carità è un
retaggio che si portano dietro da quando erano un popolo nomade, e faceva parte
di uno scambio rituale con la popolazione stanziale. Deridono chi gli mette in
mano 20 centesimi e scappa. Apprezzano chi torna a scambiare due chiacchiere o
un caffè, e se capita, saranno loro a prestarti qualcosa.
A questo punto (come un buon padrone di casa), vi presento due ospiti:
- Davo: di lontane origini Sinti. Vive nello stato di Washington (estremo NW
degli USA) in mezzo alle foreste. Incrocia poche persone, più frequentemente
orsi e leoni di montagna. Ha simpatie politiche per i Repubblicani. Nonostante
il suo aspetto (una via di mezzo tra il marine in pensione e il boscaiolo
agiato) e la diceria che ai Rom e ai Sinti non piaccia leggere, ha una conoscenza libresca
fenomenale.
- Günther: arriva dalla Germania, non è Rom ma li ha sempre frequentati. Da
tempo vive in California e continua a frequentarli anche lì. Politicamente è un
progressista, è appassionato di discipline e religioni orientali.
Discutono della situazione in una città di provincia in Australia: seduti
davanti al supermarket, un gran numero di Aborigeni, che chiedono la carità e si
ubriacano col ricavato della giornata. Per non sembrare razzista, il consiglio
comunale permette loro di bere alcolici per strada, cosa proibita nel resto
della contea.
Davo:
…[ho notato che] le capre selvatiche hanno perso il loro istinto… D'inverno,
stazionano nei pressi dei recinti o dei campi da golf, e finché non gli viene
dato il cibo, non migrano.
Da noi si dice: "Un orso ammaestrato è un orso morto". Anche loro si sono
abituati ad infilare il muso nei bidoni dell'immondizia e se per caso non
trovano niente, rimediano devastando gli impianti di condizionamento o
introducendosi nei campeggi (da cui li cacciamo a fucilate…)
Se il clima è favorevole, si possono "raccogliere" diversi $ in una giornata…
Abbastanza da essere tramutati in vino e da permettere di vivere con i rifiuti,
senza alcuna necessità di migliorare.
Mi viene in mente il caso di padre Morebeck e i mendicanti locali o di
passaggio.
Queste prete ha sempre dedicato sforzi e risorse a quello che chiamava "amore
pratico", indirizzato a persone in situazioni particolari…
Li avrebbe aiutati a trovare lavoro, ma giunto a quasi 80 anni di età ha
scoperto che i $ non possono risolvere i problemi…
E' più facile e anche più "popolare" offrire denaro che finirà nelle tasche
degli spacciatori di crack o di mercanti di vino a buon mercato. E ho conosciuto
cristiani praticanti che letteralmente lavavano i piedi e donavano i propri
stivali ai "viandanti" nelle nostre terre (anche se io non sono quel tipo di
persona).
…
Non pretendo di avere "risposte per tutti"… Ma so quale sarebbe la mia risposta.
Baxt!
Davo
——
Günther:
Davo,
Secondo te, è bene se ci sono prospettive diverse nella stessa situazione?
Ogni forma di vita è interdipendente con le altre. Esiste l'adattabilità. Per
fare un esempio tratto dagli animali: tempo fa in famiglia abbiamo allevato un
visone per 5 anni. Mio figlio più piccolo (che allora aveva un anno) stava
mangiando dell'uva dalla nostra vigna, e gli si è avvicinato festante questo
cucciolo di visone. Quando hanno finito di dividersi i grappoli, ho riportato
mio figlio in casa, e il visone l'ha seguito. Non abbiamo mai avuto problemi con
le sue ghiandole odorifere, che adoperava soltanto contro i cani e gli estranei.
Arrivato all'età di 5 anni, ha deciso di tornare nel suo mondo, tornando ogni
tanto a farci visita e incrementando di parecchio la popolazione dei visoni nei
nostri dintorni.
Penso che ci debba essere adattabilità, sulla base dei bisogni o delle
circostanze. Non si deve generalizzare, perché ognuno di noi è differente
dall'altro, persino "due piselli nello stesso baccello" lo sono.
"Uccidere l'orso" appartiene a una prospettiva limitata e fascista…
"Se vedi un ubriaco abbandonato sul marciapiede, imitalo, cosicché la tua
arroganza non ti porti a condannarlo, per quanto ti possa sembrare la cosa più
facile da fare." (L'immagine è tratta da http://www.pewterkingdom.com)
Di Fabrizio (del 20/08/2011 @ 09:32:42, in Italia, visitato 1545 volte)
Breve storia della famiglia Dibran.
Uno sfratto per morosità (incolpevole) ancora senza soluzione. 2009:
inizia l'odissea dello sfratto.
C'era una volta il progetto Città Sottili, per l'integrazione dei Rom ed
extracomunitari del territorio pisano, affidato alla COOP Il Cerchio.
C'era ma non c'è più: cinquanta famiglie finiranno in mezzo alla strada, o nei
boschi, non più persone ma animali, a causa del caro affitto e della miopia
istituzionale. Parliamo di sfratti per morosità, incolpevole ancora una volta. E
di un progetto costato una decina di milioni d'euro finiti in crusca e nelle
tasche dei proprietari di casa, mentre si potevano costruire più di 50 alloggi
pubblici (100 in autocostruzione) risolvendo in modo definitivo il problema.
Noi dell'Unione Inquilini conosciamo bene la vicenda di una famiglia integrata
secondo le regole di Città Sottili, e pensiamo sia importante farla conoscere.
Si tratta di una famiglia allargata, 12 persone in tutto: il capofamiglia Dibran
Izeir che è Ulema (guida spirituale), la moglie, il figlio scapolo, l'altro
figlio sposato con nuora e i loro 5 figli, più la figlia e i due minori, che
dividono un difficile cammino d'integrazione nella nostra città.
Eppure in buona parte il progetto ha funzionato, i bambini sono tutti
regolarmente iscritti a scuola e frequentano la materna e la scuola elementare
con regolarità, e rappresentano un futuro migliore per questa famiglia.
Non è stata invece portata a compimento l'inserimento lavorativo, che ha avuto
più di una disavventura. I figli hanno lavorato come muratori e hanno
partecipato materialmente alla costruzione delle nuove case del villaggio Rom di
Coltano, come dipendenti lavoratori della cooperativa (oggi fallita) che ha
avuto l'affidamento dei lavori. Ma non hanno ricevuto stipendi negli ultimi mesi
e ad oggi nessuno di loro ha ricevuto le paghe arretrate: sono dunque
disoccupati entrambi.
Iseir (baba) non ha un locale di culto per la preghiera comune e si arrangia
come può.
La figlia e la nuora cercano, con qualche lavoretto di pulizia, di collaborare
al sostentamento della famiglia lottando per la sopravvivenza, sostenuti dalla
fiducia del progetto Città Sottili che li ha inseriti a Livorno provvisoriamente
prima in Via del Litorale, e poi per tre anni nel palazzo nuovo in Piazza
Cavallotti.
Finché lo sfratto di morosità ha interrotto la loro speranza di una vita
dignitosa, e li ha portati come decine di famiglie livornesi a rivolgersi
all'Unione Inquilini.
Dovevano pagare 1500 euro al mese per l'affitto delle due abitazioni contigue in
cui sono state divisi i membri della famiglia di Baba.
Difficile capire come si possa pensare di inserire in abitazioni private a
prezzi di mercato famiglie di badanti, muratori, colf.
Affitti astronomici per famiglie che al massimo potrebbero pagare 150 - 250 euro
al mese, affitti/insostenibili per lavoratori precari, come tante troppe
famiglie straniere e livornesi: la morosità è sicura e incolpevole. Il tempo
stringe: bisogna che il Sindaco, firmi la proposta degli uffici e si attivi per
le procedure necessarie a consentire la disponibilità dei locali individuati
come alloggio temporaneo per la famiglia in emergenza abitativa, dall'ufficio
casa.
L'inerzia della giunta comunale, di fronte a rischi di sgombero senza soluzione
alternativa è indegno di una città a maggioranza di sinistra e progressista.
(dal comunicato stampa dell'ottobre 2009) dell'Unione Inquilini.
Unione Inquilini - Livorno
Sez. Mauro Giani
Via Pieroni, 27 – 57123 Livorno
Tel. 0586 884635 - fax 0586 211016
La sede è aperta ogni giorno a mattino o al pomeriggio (escluso il sabato)
E mail:
unioneinquilini.livorno@gmail.com Sito internet:
www.unioneinquilini.it
2010: l'impegno dell'Unione Inquilini per questo caso, contro un'evidente
gravissima discriminazione razziale.
La famiglia Dibran è stata tutelata dal sindacato e ha ricevuto attestati di
solidarietà da molti livornesi, come dimostrano le immagini girate sui siti
dell'Unione Inquilini. Per un anno con picchetti affollati, siamo riusciti a
farli rimanere nella loro abitazione in piazza Cavallotti. Già a aprile 2010
l'ufficio casa comunale aveva individuato una sistemazione provvisoria idonea
che il sindaco di Livorno non ha mai voluto sottoscrivere, perché erano
responsabili gli amministratori pisani dell'alloggio in città della famiglia.
Famiglia che però è residente in città da anni con figli nati a Livorno e
iscritti alle scuole cittadine.
Che sia difficile gestire l'emergenza casa e il sociale in città, lo dimostrano
le dimissioni, in rapida successione, dei due assessori titolari delle
scomodissime deleghe. Così nonostante le sollecitazioni dell'ufficio, il sindaco
ha congelato la questione per mesi. L'esecuzione dello sfratto, in assenza di
soluzioni alternative si è risolta nell'ottobre 2010 con sette bambini sfollati
con la loro famiglia. A seguito delle proteste del comitato sfrattati le donne e
i figli sono stati precariamente alloggiati da affittacamere fino alla farsa
finale: accusati di aver rubato la mobilia (che invece era stata ammassata in
una stanza, su richiesta dell'ufficiale giudiziario) sono stati privati di
qualsiasi tutela dal sindaco di Livorno. Le accuse sono cadute quasi subito, ma
ormai per i Dibran, sfollati e spaventati dalla minaccia di essere separati dai
figli, è rimasta solo la fuga nei boschi. Da parte nostra abbiamo chiesto
l'intervento della protezione civile a causa del gelo invernale in assenza di
abitazioni alternative, ma non abbiamo avuto risposte positive. Siamo a Giugno
2011 ma nulla è cambiato per i piccoli esposti a terribili rischi: due incidenti
sono costati quasi la vita a due di loro, e ignoti criminali hanno tentato di
rapire i figli sotto gli occhi atterriti della giovanissima mamma.
In tutto il territorio livornese non c'è un solo campo autorizzato e
adeguatamente attrezzato con servizi igienici per i rom livornesi (che sono
poche decine) costretti a nascondersi nei boschi. Situazione intollerabile
davvero dopo la tragica morte di quattro bimbi rom nel 2007. Specie dopo le
accorate dichiarazioni del sindaco che ha fatto promesse mai mantenute. Così i
Dibran non possono rientrare in città pur essendo residenti e non possono avere
una sistemazione di cui pure hanno diritto trattandosi di sfratto incolpevole e
avendo a suo tempo fatto domanda di emergenza abitativa. Per questo siamo pronti
a portare il caso di questa famiglia all'attenzione della stampa, per farne un
caso nazionale e ad interessare l'autorità di giustizia internazionale: si
tratta con tutta evidenza di una situazione gravissima di discriminazione
razziale e di omissione di tutela nei confronti di minori.
La legge deve essere uguale per tutti: così non è stato nei confronti di una
famiglia sfrattata, privata di soccorso solo perché è Rom.
La scuola, è stata l'unica istituzione pubblica, rimasta fedele ai valori
democratici costituzionali.
Riteniamo importante divulgare una copia della lettera inviata dalla preside
della scuola al Sindaco, lettera a oggi ancora priva di risposta. Per rispettare
il riserbo dell'istituto scolastico abbiamo omesso nomi e riferimenti personali.
Questa lettera ci ha profondamente commosso. Anche se il sindaco si è dimostrato
sordo e muto. Siamo convinti con l'aiuto della popolazione livornese di riuscire
a sconfiggere il razzismo e la xenofobia: occorre obbligare l'amministrazione
comunale a rispettare la decisione del Consiglio Regionale che impegna i comuni
ad occuparsi dei rom residenti (a Livorno poche decine), per garantire loro il
diritto allo studio, alla salute e al lavoro.
Nel caso della famiglia Dibran sfrattata per morosità incolpevole è inserita
nelle liste dell'emergenza abitativa, la risposta va data come a tutti gli
altri, assegnando loro dei locali, in una residenza temporanea per sfrattati, in
attesa di un'assegnazione definitiva.
Scrivete la vostra opinione al sindaco acosimi@comune.livorno.it e all'
unioneinquilini.livorno@gmail.com.
Unione Inquilini – Livorno
Livorno 13 giugno 2011
La lettera della Comunità scolastica inviata al Sindaco Cosimi all'inizio di
aprile 2011.
Relazione sulla situazione della famiglia Dibran
La comunità scolastica delle scuole frequentata dai bambini e bambine della
famiglia Dibran quest'anno si è trovata a fronteggiare l'emergenza relativa al
recupero di 7 bambini Rom, di origine macedone, nati in Italia, (5 a Livorno)
che già frequentavano da diversi anni la scuola e che, avendo perso la casa in
cui erano residenti in Livorno, dal mese di novembre 2010 sono sfollati ai
margini di un campo nomadi di Marina di Pisa.
I bambini appartengono tutti ad un unico nucleo famigliare che risiede
regolarmente a Livorno (in Via dei Cavalieri) ed è iscritta all'anagrafe dal 7
agosto 2004. Pur essendo costretti a vivere nel Campo di Marina di Pisa, sono
tuttora a tutti gli effetti cittadini livornesi.
Gli adulti maschi svolgono lavoretti occasionali, raccolgono rottami di ferro e
altri rottami, ma non hanno risorse sufficienti a provvedere alla propria
autonoma sussistenza e ad un'abitazione decorosa per i bambini. La coppia dei
capostipite (già in salute precaria) vive insieme a 7 figli /nuore che sono a
loro volta genitori di 9 bambini da 1 a 11 anni. I sei bambini più grandi, da
già da alcuni anni frequentavano le scuole elementari e dell'infanzia.
Il clan famigliare è molto protettivo, i genitori fanno del loro meglio e i
bambini sono molto legati a loro, non fanno accattonaggio, ma non riescono a
trovare alcun lavoro stabile. Cercano lavoro attivamente e sono regolarmente
iscritti ai Centri per l'Impiego di Livorno. Anche i lavori più umili nei
cantieri, nei ristoranti e nelle lavanderie non vengono loro affidati, e chi si
prederebbe una zingara in casa per fare i lavori domestici o la badante? Senza
contare che le donne hanno anche degli altri bambini molto piccoli da accudire.
Sono genitori che hanno grandi difficoltà a corrispondere ai bisogni materiali
dei loro figli, ma sono tuttavia pienamente soddisfacenti dal punto di vista
affettivo: amano molto i loro bambini e i bambini sono molto legati a loro.
Pertanto non si possono ipotizzare soluzioni di allontanamento che sarebbero
ingiustamente punitive per i genitori ed eccessivamente dolorose per i bambini.
La famiglia, pur figurando da sette anni nelle anagrafi comunali di Livorno,
dopo aver perso la casa, che non era in condizioni di pagare, in questi ultimi
mesi è vissuta in terra di nessuno, in condizioni igieniche ed economiche
gravemente precarie, sempre nella speranza che qualcuno si muovesse a risolvere
il problema e trovasse loro un'abitazione.
Nel primo mese anche gli operatori scolastici non sapevano cosa fare e si sono
limitati alla mera assistenza, portando loro indumenti e viveri per alleviare lo
stato di necessità, ma nella impossibilità di provvedere ai bisogni di cura e di
educazione dei bambini. Questi bambini non hanno più una scuola di stradario
perché il Comune di Pisa ha ripetutamente intimato loro di lasciare il Campo,
impedisce categoricamente di poter ampliare i ricoveri preesistenti al loro
arrivo e minaccia da un momento all'altro lo sgombero coatto. Perciò le
condizioni dei piccoli, che avevano sempre vissuto in appartamento e avevano
sempre frequentato con grande regolarità le nostre scuole, sono man mano sempre
più degradate, malvisti anche dagli altri bambini del campo che hanno almeno una
baracca, un minimo di servizi igienici e una scuola di riferimento.
Ad un certo punto la scuola, pur comprendendo bene che la sospensione della
frequenza non dipendeva dalla loro volontà, in obbedienza alle norme
sull'adempimento dell'obbligo scolastico si sarebbe trovata nella necessità di
denunciarli e in ogni caso non poteva più tollerare che questi bambini
rimanessero esclusi dal consorzio civile e dai diritti garantiti dalla carta dei
diritti dell'infanzia. Visto che l'unica scuola di competenza era pur sempre la
nostra, che non potevamo semplicemente girarci dall'altra parte o spostare
questo fardello dalla nostra coscienza alla coscienza di qualcun altro, si è
creata una rete di solidarietà che ha mobilitato docenti e genitori che si sono
rivolti a tutte le associazioni di volontariato del territorio per trovare un
qualsiasi mezzo per poter andare a prendere i bambini al campo di Marina di Pisa
e portarli a scuola.
Da due mesi andiamo a prenderli tutte le mattine, così per otto ore vivono in un
ambiente caldo, confortevole ed educativo. I bambini hanno almeno un pasto caldo
al giorno, stanno insieme ai loro compagni che vogliono loro bene, hanno
ritrovato le loro maestre e cercano di recuperare le competenze scolastiche e
uno stile di vita meno selvatico (in un mese era vanificato tutto il bagaglio di
buone maniere che questi bambini avevano acquisito).
L'associazione onlus "Gli Amici della Zizzi" ha messo a disposizione un pulmino
a titolo gratuito, e tutte le mattine vari genitori si alternano nell'impegno di
andare a prendere i bambini al Campo insieme ad un operatore dell'Associazione
disponibile a quell'ora ma non abilitato a guidare il pulmino, mentre tutti i
pomeriggi l'Associazione con il suo pulmino li riaccompagna al Campo a Marina di
Pisa.
Non di meno la situazione appare di difficile gestione perché ogni giorno
bisogna trovare un genitore o un docente con un orario di lavoro compatibile,
capace di guidare il pulmino, oppure bisogna avere due macchine disponibili.
Certamente anche gran parte dei problemi "scolastici" sarebbero risolti se
questa gente avesse un alloggio o un accampamento regolare. In questo caso
l'assolvimento dell'obbligo scolastico e il fardello della responsabilità
passerebbe in capo alla scuola di competenza di quel territorio, ubicata più o
meno nell'arco di un chilometro e comunque nell'ambito dello stesso Comune,
senza dover percorrere 20 chilometri da un Comune a un altro. Certo i bambini (e
anche noi della comunità scolastica) soffrirebbero nel lasciare le loro maestre
e i loro compagni, dovrebbero riguadagnarsi il rispetto e l'affetto di altre
persone, cosa non facile quando un bambino arriva a scuola sporco, con i
pidocchi e con gli abiti incrostati di fango. E' difficile spiegare che non
hanno la lavatrice, non hanno l'acqua calda, che dormono in quattro nello stesso
giaciglio, trasmettendosi irreparabilmente pidocchi ed infezioni batteriche di
vario tipo e che se i vestiti e i cappotti e le scarpe sono pieni di fango,
talvolta è più facile buttarli via che trovare i soldi per portarli in
lavanderia.
Quando piove il campo diventa un acquitrino ma oltre agli inconvenienti igienici
e alle gravi malattie da raffreddamento questi bambini sono esposti anche ad
altri rischi perché, come si è detto, convivono, mal sopportati, con le altre
famiglie già insediate nel Campo, dove ci sono bambini e ragazzi di tutte le età
che formano vere e proprie bande in lotta fra loro. Così, anche se questi
bambini sono molto piccoli, capita spesso che si facciano male, che cadano
accidentalmente nel corso di giochi pericolosi o che vengano colpiti da pietre
come è accaduto al piccolo Rucudi di 6 anni che per poco non ci ha rimesso un
occhio. L'ultima che si è fatta male è Naxije di 11 anni che dovendo raggiungere
al buio la baracca degli zii, per chiedere una medicina per il fratellino con la
febbre, ha ricevuto una spinta ed è caduta su un grosso rottame metallico
lasciato incustodito nel Campo. E' stata prontamente portata in ospedale dove le
hanno messo una trentina di punti fra interni ed esterni ad una coscia. La
ferita molto profonda ha fortunatamente sfiorato per un soffio l'arteria
femorale ma ancora Naxi non ha recuperato la mobilità ordinaria ed è costretta a
rimanere al Campo senza scuola.
Si tratta di famiglie in condizioni di gravissimo disagio, però non rubano e non
fanno accattonaggio e i bambini sono perfettamente integrati nelle nostre
classi. Hanno perso due mesi di scuola tra novembre e dicembre e quindi non
hanno risultati scolastici particolarmente brillanti, ma stanno rapidamente
recuperando. In più, hanno l'affetto dei compagni e delle maestre e ogni tanto
trovano un'altra mamma che li porta a casa per fare un bagno e una pulizia più
accurata dei capelli e degli indumenti. La scuola è la loro opportunità per
riuscire a costruirsi una vita migliore e a sfuggire alla spirale di esclusione
sociale e povertà alla quale sembrano inesorabilmente destinati.
Crediamo che sia dovere di ogni persona ma, soprattutto, delle Istituzioni fare
il possibile perché il percorso di integrazione sociale riprenda dal punto nel
quale, a novembre, si è tristemente interrotto.
Livorno Aprile 2011
Da
Czech_Roma
Romea.cz
I ghetti cechi a rischio di disordini come in Inghilterra?
Praga, 13.8.2011 16:57, iDNES.cz, translated by Gwendolyn Albert
iDNES.cz riporta che mentre alcuni esperti o parti interessate ritengono che
violenze simili a quelle che ora affliggono le città in Inghilterra potrebbero
verificarsi nella Repubblica Ceca, altri non vedono la situazione così
disastrosa. "Qualcosa di simile potrebbe avvenire nella Repubblica Ceca. Qui la
situazione è di preoccupazione, paura e tensione. E' solo una questione di tempo
prima che esploda," dice Ivan Veselý, attivista romanì dell'associazione Dženo.
Secondo lui, violenze simili potrebbero essere innescate tanto dall'impatto
delle riforme governative che da attacchi a sfondo razziale.
Jitka Gjuričová, direttrice del dipartimento di prevenzione del crimine
presso il Ministero degli Interni, non esclude la possibilità di disordini.
Dice: "Se lo stato non sviluppa un intervento davvero massiccio per far uscire
la gente dalle località socialmente escluse e dar loro la possibilità di unirsi
alla società civile, allora potrebbe accadere."
Il sociologo Ivan Gabal, che ha guidato il team di ricercatori che cinque
anni fa mappò i ghetti, ammonisce che l'esclusione sociale nella repubblica Ceca
si sta intensificando e viene trasferita da generazione in generazione. Se lo
stato riducesse troppo severamente la rete di sicurezza sociale, potrebbe
esacerbare la situazione. Tuttavia, secondo lui è difficile prevedere rivolte.
Marie Gailová, direttrice dell'associazione Romodrom - che aiuta chi abita
nei ghetti, considera la riduzione del welfare un potenziale detonatore di
violenza. Dice: "Non credo che qui ci saranno eventi simili in larga scala, ma
se le donne non riuscissero a sfamare le loro famiglie, potrebbe succedere. Una
volta che la gente è messa in un angolo senza niente, sono gettati
nell'aggressività e nella depressione. Naturalmente, è anche colpa loro, ma
hanno bisogno d'aiuto."
Gailová considera un enorme problema che ora in località isolate una
generazione stia crescendo senza sapere cosa voglia dire un lavoro.
"Specialmente nei grandi ghetti della Boemia settentrionale e della Moravia,
osserviamo la prima generazione di ragazzi e ragazze che sono cresciuti in un
ambiente dove non hanno mai visto nessuno mantenere un lavoro," concorda Gabal.
Secondo lui, i politici hanno voltato le spalle a questi problemi.
D'altra parte, Monika Šimůnková, commissario del governo per i diritti
umani, non ritiene che lo scenario britannico possa ripetersi a breve nel paese,
o comunque non nella stessa misura. Dice: "Nondimeno, purtroppo è vero che molti
dei presupposti per la violenza che si sono incontrati in Bretagna, ci sono
anche in alcune località ceche socialmente escluse."
L'agenzia governativa per l'inclusione sociale nelle località rom, di cui
Šimůnková è responsabile, sta aiutando persone in 26 quartieri impoveriti
del paese, attraverso l'istruzione, l'impiego e l'alloggio. Tuttavia, il
commissario avverte che i problemi accumulatisi nel corso dei decenni, non si
possono risolvere dall'oggi al domani.
Jan Černý, direttore del programma d'integrazione sociale Gente nel
Bisogno, non prevede il verificarsi di violenze. "Basterebbero pochi eccessi e
l'alveare inizierebbe a ronzare, ma non credo che le api pungeranno qualcuno,"
dice. Tuttavia, aggiunge che la minoranza romanì è connesso tramite un forte
sentimento di mutua solidarietà, e che i membri della comunità sono molto
sensibili ad ogni ingiustizia, anche se accadesse dall'altro capo del paese.
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