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\\ Mahalla : Storico per mese (inverti l'ordine)
Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Sucar Drom (del 25/08/2011 @ 09:58:47, in blog, visitato 1427 volte)

Auschwitz-Birkenau, 2 Agosto 1944
Il 2 agosto 1944 ad Auschwitz-Birkenau avviene l'ultima liquidazione dello Zigeuner Familienlager nel settore BIIe, dove erano internate le famiglie sinte e rom. Nel maggio 1944 le famiglie sinte e rom attuano con successo una rivolta per scongiurare...

Rom e Sinti, prepariamo una grande manifestazione: partecipa anche tu!
Il Presidente della Federazione Rom e Sinti Insieme, Radames Gabrielli (in foto), ha lanciato da alcuni giorni la proposta di organizzare una manifestazione a Roma dal titolo "Sinti, Rom, Camminanti, Amici e Simpatizzanti TUTTI UNITI"...

Francia, il razzismo non paga
Un anno fa Nicolas Sarkozy aveva lanciato il cosiddetto "giro di vite" contro i rom arrivati in Francia dall'Est Europa, in particolare dalla Romania. L'azione del Presidente francese aveva fatto scattare la reazione dell'Unione Europa che aveva stig...

Immigrazione, Ministro Maroni: fatta la legge, trovato l'inganno
Il Ministro dell'Interno Maroni è riuscito a far approvare in via definitiva il decreto legge n. 89 del 23 giugno 2011 recante misure di recepimento delle direttive europee sulla libera circolazione dei cittadini e sul rimpatrio...

Reggio Emilia, la Lega Nord fomenta il razzismo
Nei giorni scorsi la Procura di Parma ha dato ordine alle Forze dell'ordine di irrompere in tutti i cosiddetti "campi nomadi" di Reggio Emilia (ma anche in quelli di Milano, Modena e Parma) per cercare una fantomatica...

Libano, i dom sono discriminati
Sono 2,2 milioni in tutto il Medio Oriente, tra Libano, Giordania, Territori Palestinesi, Turchia, Iran e Iraq. In Libano sono una delle comunità più emarginate. Rom e Sinti in Europa, Dom in Medio Oriente...

L'ipocrisia italiana e la tragedia infinita
A metà degli Anni Novanta vivevo a Roma ed ogni anno morivano nelle baraccopoli capitoline tre ma anche quattro bambini. Il copione era sempre lo stesso il fuoco di una candela o di un braciere e il gelo della notte...

Amplifica le tue informazioni
In questa pagina offriamo la possibilità di conoscere organizzazioni con cui collaboriamo e pagine web che riteniamo offrano sguardi interessanti sulla situazione delle minoranze linguistiche sinte e rom. I blog più aggiornati hanno una sezione dedicata nella pagina principale...

Pubblicazioni
L'Istituto di Cultura Sinta su mandato della Sucar Drom ha pubblicato libri, cortometraggi, mostre e cd musicali. Alcune pubblicazioni sono disponibili e possono essere richieste...

Orta Nova (FG), una situazione abitativa inaccettabile
Pubblichiamo la lettera invita venti giorni fa, dall'Associazione di promozione sociale Noialtri, al Sindaco del Comune di Orta Nova per sensibilizzarlo sulla grave situazione abitativa vissuta da alcune fa...

Pisa, appello di un gruppo di sacerdoti della Diocesi
Siamo un gruppo di sacerdoti della diocesi di Pisa che, di fronte alla situazione venuta a crearsi in seguito al recente sgombero a Cisanello di un insediamento di famiglie rom, intendono condividere alcune consideraz...

Slovacchia, vogliono violare il corpo delle donne
In questa Europa attanagliata dalla crisi economica da alcuni anni e con una classe politica simile, in maniera imbarazzante, a quella della Repubblica di Weimar che portò all'ascesa in Germania del nazionalsocialismo...

Romania, una campagna per dire: anche io sono rom!
Le cifre ufficiali indicano che ci sono poco più di 500mila persone appartenenti alla minoranza rom in Romania, ma sono in molti a pensare che i rom siano il doppio e che quindi ritengono insufficienti le risorse destinate dal Governo rumeno. "Molte persone di origine rom non dic...

Mantova, Sucar Drom: Relazione Morale (sintesi)
Questa sera, 25 agosto 2011, si terrà a Mantova l'Assemblea Elettiva dell'Associazione Sucar Drom. Di seguito la sintesi della Relazione Morale del Presidente Davide Gabrieli che sarà letta, discussa e votata dai Soci...

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Di Fabrizio (del 25/08/2011 @ 09:55:32, in Regole, visitato 1662 volte)

Da Roma_ex_Yugoslavia

La Macedonia non ha alcuna base giuridica per vietare ai Rom di viaggiare

9 agosto 2011, by Karin Waringo - Quasi 800 persone, soprattutto Rom, sono state rimandate a casa dalle autorità di frontiera macedoni

Sembra un brutto scherzo. Cinque componenti di una famiglia macedone sono in viaggio dalla loro città natale verso Belgrado, per partecipare al matrimonio di un parente stretto. La macchina è carica di abiti tradizionali da sposa e regali per la giovane coppia. Eppure, all'attraversamento del confine a Tabanovce, una guardia di frontiera macedone ritira i loro passaporti, dicendo che sono diretti a Surcin, l'aeroporto di Belgrado, per imbarcarsi su di un aereo diretto verso l'Unione Europea.

La guardia li accusa di essere falsi richiedenti d'asilo, di quelli che stanno mettendo la Macedonia nei guai con la UE. La famiglia nega. Dopo tutto, hanno lasciato dietro a loro due bambini a scuola, così certo che torneranno in Macedonia dopo il matrimonio. Ma le loro proteste non hanno sortito risultato, se non i francobolli apposti dalla guardia di frontiera sui loro passaporti, ad indicare il divieto a viaggiare. La famiglia è stata rispedita a casa.

Casi come questo - che è stato riportato dal network di OnG ARKA - sono diventati frequenti da quando ai cittadini macedoni sono stati concessi visti per viaggi di breve durata verso la UE. Un mese fa, la rivista internet Balkan Insight ha citato il portavoce della polizia macedone, Ivo Kotevski, che affermava che 80 persone erano state respinte alla frontiera.

Gordana Jankulovska, ministro dell'interno, è stata persino più specifica. In un incontro al Forum di Salisburgo, dove si riuniscono i ministri di otto paesi dell'Europa centrale ed orientale, ha annunciato che a 764 persone è stato impedito di lasciare la Macedonia tra il 29 aprile ed il 27 giugno. Ha affermato che lo scopo di questa "energica misura" era di prevenire l'abuso del regime senza visti - nel 2010, 7.550 macedoni fecero richiesta di asilo nella UE.

Il problema è che le autorità macedoni non hanno alcun fondamento legale per emettere un divieto a viaggiare. Rispondendo ad una nostra richiesta, ci è stato detto che la misura si basa sull'art. 15 della legge sulla sorveglianza di frontiera, che prende a prestito elementi del cosiddetto codice delle frontiere di Schengen. Ma mentre il secondo definisci i criteri secondo cui ai cittadini di paesi terzi può essere rifiutato l'ingresso nell'area Schengen, la Macedonia ha effettivamente iniziato ad impedire ai suoi cittadini di lasciare il proprio paese, cioè tutt'altra cosa.

Ciò che è ancora più preoccupante in queste misure è il fatto che, come nel caso sopra riportato, sembrano riguardare principalmente i Rom. I Rom macedoni sono spesso di pelle scura, per le guardie di frontiera è facile identificarli ed isolarli. Al tempo della nostra indagine, uno dei pochi incaricati consolari che aveva accettato di rispondere alle nostre domande senza far finta di non sapere, ci raccontò di un caso, un esempio di manifesto abuso nel regime della liberalizzazione dei visti per la UE - che diversi Rom viaggiassero in bus alla volta di un matrimonio, ma si suppone che furono in grado di informare la guardia di frontiera sull'esatta destinazione. Pudicamente riferì anche in qualche modo di "problemi che abbiamo in alcune zone del paese" e sul fatto che la Macedonia non fosse capace di fare di più per combattere la povertà.

Di conseguenza, per i Rom poter viaggiare è diventato una specie di lotteria. Molti di quanti vengono fermati al confine, ci riproveranno. E' per questo che le autorità macedoni hanno iniziato a bollare i loro passaporti. Ma non ci sono basi giuridiche per questo divieto, che in realtà viola le leggi internazionali sui diritti umani. E' per questo che la mia organizzazione, assieme ad altre, ha scritto al governo macedone per esortarlo ad abbandonare questa pratica. Governo che da parte sua non ha ancora sviluppato completamente la propria strategia.

Il mese scorso Antonio Milošoski, ex ministro della giustizia, ha presentato una proposta di riforma del codice penale, che renderebbe l'abuso del regime di esenzione dei visti un reato penale. Mentre l'attuale proposta è rivolta alle imprese di viaggio, che possono essere sanzionate anche in assenza di prove sul loro coinvolgimento in presunti abusi, un'altra proposta intende sanzionare quanti hanno fatto domanda d'asilo "sulla base di false ragioni", secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa macedone INA che cita fonti vicino al governo. Queste sanzioni potrebbero includere la confisca temporanea dei passaporti.

Come ha spiegato l'ex ministro della giustizia in un incontro con Cecilia Malmström, commissario UE agli affari interni, il governo macedone "si aspetta che queste misure possano sradicare questi fenomeni non voluti e spiacevoli". Questo è, alla fine, l'elemento più preoccupante dell'intera storia: il fatto che queste violazioni dei diritti umani fondamentali accadano sotto gli auspici e probabilmente il coinvolgimento della UE. Che a sua volta ha già inviato propri rappresentanti nella regione.

Martellano nella testa dei governi: "Le migrazioni di Rom potrebbero condizionare il processo di allargamento", come citato dai media serbi a proposito di Pierre Mirel, direttore della commissione per i Balcani Occidentali. O, nel caso di due settimane fa, di Robert Liddell, capo della sezione politica della delegazione UE a Skopje: "Se nel clima attuale le prossime adesioni  saranno associate alle questioni migratorie,  allora aumenteremo il rischio di rifiuto."

Consapevole delle implicazioni, il governo macedone, al pari di quello serbo, sta già negoziando con la commissione sulle misure da prendere senza interferire con gli standard sui diritti umani. Sarebbe bene se questi negoziati fossero aperti e se fossero condotti per una reale salvaguardia e non per protezioni fasulle.

Dr Karin Waringo è presidente di Chachipe, un gruppo di pressione e consulenza per il rispetto dei diritti dei Rom


NDR - Ho chiesto un parere a Francesco, nostro redattore: ha sposato una ragazza macedone e conosce da tempo i meandri kafkiani della burocrazia e della politica macedone. Questo il suo parere:

"Questa storia la conosco dai media macedoni, fondamentalmente dipende dal fatto che alcuni stati europei hanno minacciato alla Macedonia il ritiro del regime no visa, perché molti rom ne hanno approfittato per espatriare. Ecco perché adesso la Macedonia blocca l'espatrio in assenza di requisiti molto rigidi per la popolazione rom. La mia opinione è che è un ricatto folle, si parla di poche migliaia di persone (considerate che in tutto i macedoni saranno circa due milioni) che vengono usate come strumento di pressione per politiche razziste."

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Come potete vedere la lettera è di qualche mese fa. Eppure, potrebbe essere stata scritta ieri o l'anno scorso, come se il tempo nei campi scorresse immutabile, scandito dal ripetersi di ricorrenti tragedie, quasi fossero riti sacrificali all'esclusione sociale. Perché riproporla adesso? A parte la mia disattenzione nel non averla pubblicata prima (ma poco importa, come dicevo sopra):

  • perché non si otterrà molto se certi temi vengono affrontati solo sull'onda della commozione indotta dalla "pietas" giornalistica o delle promesse ripetute nell'ennesimo convegno;
  • e poi perché come scrivevo a inizio mese, soluzioni semplici e praticabili ci sono, ma vengono costantemente e scientemente ignorate.

Con ciò, non mi convincono tutte le proposte di Antun Blazevic, ma gli riconosco il merito di saper mantenere i piedi per terra.

Da Nazione Rom - VENERDÌ 19 AGOSTO 2011

Roma 08/03/2011

Egregio Sindaco Alemanno,

Gli ultimi avvenimenti che sono accaduti a Roma mi hanno spinto a scriverLe questa lettera, nella quale Le vorrei, nel mio piccolo, dare qualche suggerimento: credo che me lo posso permettere, visto che sono quasi 25 anni che lavoro come mediatore culturale a Roma.

Entrambi sappiamo che i Rom soffrono una discriminazione sistematica e combattono contro un livello intollerabile di esclusione e violazioni dei diritti umani, che non sono stati protetti da nessuna parte politica. Questa situazione è caratterizzata da segregazione, espressioni di odio, profiling etnico, sfratti continui ed espulsioni, ma sappiamo anche bene che non è una cosa successa dall’oggi al domani, bensì è stata ereditata da tutte le giunte precedenti.

Purtroppo a Lei è rimasto il compito, come primo cittadino, di affrontare la situazione. Io non intendo criticare il Suo operato, ma credo che Lei non è in possesso di tutti i dati "veri" sulla questione dei Rom a Roma (non per colpa Sua, ma per le informazioni errate che sono state fornite ai suoi collaboratori da persone che si ritengono informate sulla questione).

Non ho mai creduto che la responsabilità di questa situazione sia unilaterale e coloro che sostengono questa posizione sbagliano. Io mi riferisco esclusivamente alla situazione dei Rom provenienti dall’ex-Jugoslavia, in quanto non appartenenti all’Unione Europea.

Lei è sicuramente a conoscenza di quanti sono i Rom che dai tempi del conflitto bellico sono scappati dall’ex-Jugoslavia e sono venuti a vivere a Roma, e ai quali non è stata data la possibilità di mettersi in regola, per una delle più gravi conseguenze di quella guerra, cioè la ridefinizione dei confini geografici. Durante il conflitto molti archivi istituzionali (nelle città di Tuzla, Sarajevo, Srebrenica, ecc…) sono stati bombardati e non è rimasta nessuna traccia dei dati personali; nel frattempo le persone si sono rifugiate in Italia, scappando attraverso boschi e senza essere in possesso di nessun documento. Adesso i nostri Consolati e le nostre Ambasciate non sono più in grado di fornire loro dei documenti, perché non sanno come attribuire loro una nazionalità, visto che i paesi un tempo situati in Croazia ora sono passati alla Serbia e viceversa.
Ritengo che il "Piano Nomadi" nel caso dei Rom provenienti dall’ex-Jugoslavia deve partire da questa impossibilità di attribuire loro una nazionalità di provenienza. Al fine di favorire l’inserimento di questi Rom nella società italiana, penso sia necessario dare loro un permesso di soggiorno e quindi offrire loro la possibilità di lavorare.

Sull'occupazione, la strategia del Comune dovrebbe assicurare un accesso effettivo al mercato del lavoro, per esempio attraverso lo strumento del micro-credito per l'impresa e il libero impiego, insieme a misure per combattere il lavoro sommerso e favorire l'assunzione dei Rom nell'amministrazione pubblica. Poiché i Rom hanno bisogno di un alloggio e non di assistenzialismo, anche permettere loro di usufruire delle vecchie caserme (non più di 30 famiglie per posto), dando l’incarico agli stessi Rom di ricostruirle con l’aiuto del Comune.

Ogni famiglia Rom dovrebbe essere messa nelle condizioni di portare autonomamente i figli a scuola. Tutti i cittadini Rom dovrebbero anche essere soggetti alla registrazione pubblica di nascite, matrimoni e decessi. Gli adulti dovrebbero poter lavorare in piccole cooperative, appaltati dall’AMA, per la pulizia delle aree pubbliche, per la raccolta differenziata e il riciclaggio dei metalli e per la vendita nei mercatini degli oggetti riciclati. Le donne dovrebbero poter accedere ai Consultori ed essere formate con corsi professionali.
Quanto all’educazione, la strategia comunale dovrebbe avere come priorità, l'abolizione della segregazione nelle classi, impiegando mediatori e insegnanti Rom nelle scuole, proteggendo la loro cultura attraverso l'uso della loro lingua e garantendo accesso all'educazione infantile e ai programmi d'insegnamento per adulti.
Riguardo alla situazione dei giovani, propongo inoltre di creare un centro culturale, dove è possibile offrire dei corsi e delle attività culturali. Tutto questo dovrebbe essere seguito da una task force composta da persone istituzionali e mediatori culturali.

Credo che usufruendo dei fondi dell’UE questo lavoro non peserà sul budget del Comune. Inoltre tutti i presidenti dei municipi che si rifiutano di collaborare con le locazioni si dovrebbero penalizzare, togliendo loro i benefici se non permettono la creazione di micro-aree. La sistemazione in queste micro-aree fra l’altro dovrebbe essere solo temporanea, affinché i Rom stessi non trovino una sistemazione adeguata in case.

Buon lavoro

Cordiali saluti
Presidente Associazione culturale Theatrerom
Mediatore culturale Rom
Antun Blazevic

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Di Marylise Veillon (del 23/08/2011 @ 09:42:23, in scuola, visitato 1541 volte)

Da Romanian_Roma

Cafebabel.com Romania: tra tradizione, educazione ed emancipazione; il percorso di Letitia Mark, militante rom.

Letitia Mark combatte per l'integrazione dei rom nell'ovest della Romania. Proveniente lei stessa da questa minoranza, dirige il centro ONG FEMROM a Timisoara, (città dell'ovest della Romania), fondato circa sessanta anni fa. Un progetto consistente in un paese, dove numerosi pregiudizi persistono nei confronti dei due milioni di donne che risiedono lì.

Con una quarantina di bambini intorno a lei, Letitia Mark chiede: "Cosa significa la ruota nella nostra bandiera?" Samuel, dell'età di 13 anni, conosce la risposta: la ruota simboleggia il viaggio, il blu rappresenta il cielo e il verde l'erba. Mark, che i bambini chiamano affettuosamente "Doamna Leti" vuole che questi bambini siano rispettosi nei confronti della loro identità, di loro stessi e del mondo. E anche che siano ordinati. Neanche un pezzettino di carta può essere buttato sul pavimento della sala comune.

Bandiera gitana

"OPRE ROMA – Alzatevi rom!"

La bandiera fu adottata nel 1971, durante il primo congresso internazionale romanì, così come l'appellativo "rom" e lo slogan "Opre roma – Alzatevi rom". Solo dopo la caduta del comunismo il movimento romanì ha potuto installarsi in Europa dell'Est, per permettere ai rom di lottare loro stessi per i loro diritti.
In quanto a Mark, è piuttosto per caso che lei ha raggiunto il movimento romanì. Appena dopo la rivoluzione del 1990, era in corso una conferenza all'università di Timisoara, durante la quale un oratore rumeno si lamentava dell'assenza di partecipazione dei rom al dibattito sull'educazione. Mark, allora assistente universitaria, si alzò, indignata, esclamando: "Ci sono abbastanza rom che potrebbero prendere la parola, ma non sono stati invitati a farlo!"

Mark è diventata porta-parola dei rom. Quando fu invitata all'estero, i suoi compatrioti mormoravano: "Fuggirà all'ovest". Delusa di tanta diffidenza al suo riguardo, Mark si ritirò dalla politica. Ha continuato a credere al significato e al peso dell'educazione. "Poiché tradizionalmente, non è facile per una donna far fronte agli uomini", fondò l'organizzazione FEMROM nel 1997, un'associazione di donne rom, perorando la causa dell'educazione dei bambini. All'inizio Mark era installata nella propria cucina. Doveva procurarsi estratti degli atti di nascita e certificati di registrazione, in quanto senza questi documenti, i bambini non hanno il diritto di frequentare la scuola. Dopo aspre negoziazioni, le autorità municipali hanno finito per concedergli un territorio. "Il terreno era praticamente incolto. E' stato necessario prima costruirmi un tetto dove ripararmi."



Oggi, è in uno spazioso pianterreno che si svolgono i corsi di sostegno, corsi d'informatica per donne e incontri interculturali. Alcune giovani donne rom, studentesse in scienza dell'educazione, alloggiano nell'attico. Sono incaricate dei corsi di sostegno e dei servizi di mediazione. Diventeranno le future responsabili del centro, oppure perfino del movimento rom?

Mark lo spera. Gli piacerebbe approfittare della pensione, che gli spetterà dall'epoca in qui era impiegata all'università. Ma il contratto d'affitto sta giungendo a termine, è prevista la costruzione di un centro commerciale nei pressi del centro ONG, e la municipalità rischia di vedere la presenza di FEMROM di cattivo occhio. Nonostante il sostegno economico dell'Unione Europea, la ONG manca di mezzi. Ad ogni modo, l'energia e l'animo gentile della presidente sono ancora vivamente richiesti in questo focolare.

La propria biografia serve come esempio

Letitia Mark appartiene al gruppo dei "Rudari". La sua identità, la conosce da sempre. Suo nonno era l'ultimo artigiano del villaggio, e scolpiva cucchiai di legno. E sapeva raccontare storie. Ufficialmente, durante l'epoca comunista, le minorità etniche non esistevano. Tutti dovevano essere uguali, ma questa non era altro che teoria. In pratica significava che ogni cittadino doveva contribuire alla prosperità dello stato. E' così che la famiglia di Letitia si trasferì a Timisoara, i suoi genitori andarono a lavorare in fabbrica. Per migliorare il reddito della famiglia, Mark chiedeva l'elemosina quando era piccola. "All'inizio, mi vergognavo. Ma lo faceva mia nonna, lo facevano le mie compagne. Finii per abituarmici." Mark ritiene che la sua vita fosse proprio come quella dei Romanì dell'epoca contemporanea. Nel contempo, è diventata sempre più femminista. "Ogni donna rivoltata dalla condivisione tradizionale dei ruoli è una femminista." E Letitia si è ribellata: dopo la scuola elementare, non voleva sposarsi, ma continuare gli studi. Fu la prima del suo comune a prendersi il diploma. Allorché i suoi genitori rifiutarono che lei facesse gli studi superiori, scappò di casa in direzione di Bucarest. Poi nel 1984 ritorna a Timisoara, con il titolo di professoressa di facoltà in greco e latino.

Il rovescio della fortuna e il futuro

Le espulsioni dei rom in Francia, durante l'estate 2010 hanno colpito Mark. Accanto ad una presenza "ben troppo massiccia di poliziotti", i giornalisti gironzolavano intorno ai nuovi arrivati per domandare loro cose del tipo: "cosa hai rubato?" "che tipo di criminale sei?" "Ho visto uomini e donne miserabili, bambini che piangevano, quattro cose sotto al braccio, e questa immagine ha evocato in me la deportazione. Ho avuto il risentimento che si poteva sempre trasportare e deportare i rom come meglio si crede, e che nessuno si leva contro, per prendere le loro parti e gridare: STOP!"
"Talvolta", confessa Mark, "mi dico che ho commesso un errore". Abbassa gli occhi. "Avrei dovuto mirare ad una carriera professionale che mi avesse permesso di avere una reale influenza politica." Bussano alla porta dell'ufficio. Una bambina piccola mostra con fierezza la sua pagella. "Brava!" Gli occhi di Mark luccicano. Si percepisce che sono queste piccole riuscite che gli ridanno energia.

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Di Fabrizio (del 23/08/2011 @ 09:13:11, in Kumpanija, visitato 2694 volte)

Domenica scorsa discutevo via Facebook su come sia facile scatenare commenti razzisti quando la comunicazione da parte nostra è troppo retorica. Spero di non aver ecceduto nell'animosità e nel caso me ne scuso. Ragionando a mente fredda, sono seguiti alcuni "pensieri laterali" a quello scambio di idee.

L'anno scorso ho avuto la fortuna di conoscere Paul Polansky e di accompagnarlo in alcune presentazioni a Milano delle sue opere. I lettori della Mahalla lo dovrebbero conoscere bene, perché ho scritto spesso di lui.

Diciamo che il personaggio è quantomeno singolare: fotografo, giornalista, sociologo, scrittore, poeta, premio Günther Grass nel 2004, e soprattutto amico e conoscitore dei Rom.

Però anche lui ha un suo lato oscuro, se dovessimo giudicarlo (che brutta parola!) con i nostri occhi di "intellettuali democratici", sempre pronti a dividere i buoni dai cattivi.

Polansky è stato anche un pugile dilettante e, da quello che racconta di se stesso, non ne è per niente pentito. Amava e ama tuttora la violenza fisica, i pugni, il sangue, anche quando oggi, a quasi 70 anni, si trova nuovamente a combattere la violenza delle istituzioni e l'indifferenza della società.

C'è un suo libro: Boxing poems, edizioni Velo Press, in cui la sua asciutta poesia non viene messa al servizio di un'ennesima causa civile, ma descrive in prima persona il suo rapporto con la violenza, alla ricerca di quelle che ne sono le radici. Ricerca che si risolve (forse, ma non si sa) nelle ultime due poesie.

Rispetto alla discussione che ricordavo all'inizio, mi è tornato in mente un curioso episodio raccontato nell'introduzione di Boxing poems: Polansky si trovava a Praga a leggere le sue poesie su una delle tante tragedie nascoste della storia dei Rom. Nella sala si fecero avanti alcuni skinhead con atteggiamento minaccioso. Il vecchio pugile capì cosa poteva succedere, una volta la storia sarebbe sicuramente finita in rissa, ma stavolta Polansky mollò il suo libro e si mise a recitare a quel pubblico insolito le sue poesie sulla boxe.

"...novello pifferaio magico, catturò l'attenzione di quei teppisti, suscitando la loro ammirazione, anche per il valore letterario dell'opera. Era dunque riuscito ad aprire un dialogo, trasformando dunque un libro di sola e pura violenza in un'opera frutto di un atto estremamente umano, capace di acquietare, e soprattutto di far riflettere anche quelle persone che sfogano in malo modo il lato aggressivo del proprio carattere. Come dire che non basta rinchiudere un cane che morde, ma si deve cercare di parlarne e curarlo" [pag. 9]

Perché le radici della violenza che Polansky ha cercato, non erano ipoteticamente in qualcuno e qualcosa di estraneo, ma appartengono saldamente a ciascuno di noi. Comprenderlo è la strada per capire gli altri.

Termino anticipandovi che sto facendo in modo di riportare Paul Polansky a Milano per la fine di settembre.

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Di Fabrizio (del 22/08/2011 @ 09:57:46, in Europa, visitato 2624 volte)

C'è un articolo di venerdì scorso de Il Piccolo che rapidamente ha fatto il giro del web italiano. Qualcuno mi ha segnalato anche questo, e poi Adriano Sofri su Repubblica, oppure QUA. Per mia deformazione ho dato un occhio anche alla stampa estera e, posso almeno assicurarvi che è tutto vero.

La notizia sta sollevando grande scandalo ed indignazione; un po' come quando, perdonate il paragone, si scoperchia un bidone e la spazzatura è rimasta "nascosta" lì troppo tempo. CERTO CHE SENTI LA PUZZA, DOVEVI INTERVENIRE PRIMA! Insomma, succede che della Slovacchia sappiamo mediamente poco (figuriamoci dei Rom che stanno lì), anche se è a poche ore dall'Italia, e varrebbe la visita di noi turisti. Cose da non perdere: sicuramente tante città che mantengono un'impronta centroeuropea che altrove s'è persa, boschi, montagne e poi la birra.

Quello che gli Slovacchi non vorrebbero farvi vedere sono i ghetti dove vivono buona parte dei Rom: se in Italia ci vergogniamo dell'abbandono dei campi sosta, lì ci sono insediamenti di legno, pietre e fango ai margini dei comuni più piccoli, o enormi ghetti urbani di edilizia degli anni '50-'60, che da decenni necessiterebbero di interventi di risanamento.

L'ingresso della Slovacchia nella UE, come in altri paesi dell'ex blocco sovietico, era subordinato al ripianamento della situazione di grave esclusione sociale di buona parte della minoranza rom. In realtà ha provocato il fenomeno opposto, con aumento di prezzi e taglio dei servizi sociali, che hanno portato a ricorrenti rivolte urbane e disordini nel febbraio 2004, ripetutisi nel 2006.

Quindi una minoranza rom che non si rassegna ed è anche pronta a scendere in piazza, in maniera violenta se è il caso. Diciamo che da questo punto di vista, è perfettamente parte integrante della UE; dopo la GB potrebbe succedere anche nella vicina Repubblica Ceca. In Slovacchia, accanto a situazioni di estrema marginalità e devianza, convive una presenza di intellettuali rom impegnati in politica (sempre in polemica tra loro), nei media, nel campo della musica e dello spettacolo, nell'imprenditoria e manovalanza edile. Quindi la situazione è parecchio sfaccettata.

L'altra faccia della medaglia è un razzismo anti-rom sempre più esplicito e violento, con scontri ed attentati. Specchio di questo razzismo è l'atteggiamento delle autorità, riassunto nell'articolo iniziale de Il Piccolo. ATTENZIONE PERO': un atteggiamento simile, soprattutto da parte dello stato e degli intellettuali slovacchi, non nasce dall'oggi al domani, ma è saldamente radicato nel passato. Il caso delle sterilizzazioni forzate, nasce negli anni '70, ancora al periodo della Cecoslovacchia-dopo primavera di Praga, e lo scandalo scoppiò nel 2004 nella Repubblica Ceca grazie all'ERRC. In seguito le indagini raggiunsero anche la Slovacchia. Sembra (ma le ricerche sono ancora in corso) che l'ultimo caso sia avvenuto nel 2007. Nella Mahalla potete trovare diverse notizie sugli ultimi 6 anni; ECCO PERCHE' MI STUPISCE IL VOSTRO STUPORE.

Un altro fenomeno preoccupante di razzismo istituzionale, che riguarda diversi paesi dell'Europa centro-orientale, è quello della segregazione scolastica dei bambini rom posti, senza ragione alcuna, in classi differenziali. Sarebbe un discorso molto lungo, che si potrebbe riprendere in seguito (magari prima di farvi stupire da un ennesimo articolo che troverete in rete), se nel frattempo volete informarvi leggete, prendendovi il tempo che vi necessita, QUI.

Se invece cercaste altre notizie sulla Slovacchia, QUI. Buona lettura.

PS: e se volete avere un'idea di quale possa essere il dibattito pubblico in Slovacchia a proposito di questi temi, ma avete ovvie difficoltà con la lingua locale, date una scorsa a questa fila di commenti. Dove, ma sul Giornale, naturalmente...

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Di Fabrizio (del 22/08/2011 @ 09:47:38, in media, visitato 1599 volte)

Da British_Roma (i link sono in inglese, NDR)

Ieri sera alla TV: Bogus Beggars - by Diarmuid Doyle

Martedì 16 agosto 2011 - Ireland’s Bogus Beggars (TV3) è tanto falso come titolo di programma, [sintomatico] di dove sia arrivata la televisione irlandese. Un mese di indagini sull'accattonaggio organizzato in Irlanda, focalizzate sulla comunità rom, che sembravano determinate a provare che [il paese] fosse al centro di una truffa su larga scala, che avrebbe coinvolto i circoli del crimine internazionale, facendo una fortuna alle spalle degli innocenti benefattori irlandesi.

Alla fine, il giornalista Paul Connolly ha dovuto alzare le mani e concordare che non c'era niente di fatto - nessuna gang, nessun Mr. Big a capo di essa, e nessuna grande somma di denaro ottenuta dal chiedere l'elemosina in Irlanda. Ha invece trovato un mondo di "estrema povertà, disperazione ed una comunità in lotta per la sopravvivenza."

Capita, che si mettano mesi di lavoro in una storia e non poche risorse nell'inchiesta, e tuttavia non c'è nessuna storia. In quelle circostanze, non la si trasmette. Ma qualcuno a TV3, molto più in alto di Paul Connolly, sembra aver deciso che in un modo o nell'altro ci sarebbe stata un'ora di televisione di questo lavoro.

Il risultato è stato un disastro imbarazzante, che fa vergognare TV3. Ha promozionato il programma dicendo che si trattava di un'esposizione sull'accattonaggio organizzato in Irlanda, ben sapendo che non era così.

"TV3 Si Infiltra Nel Sinistro Mondo Dell'Accattonaggio Organizzato in -La Truffa Dei Mendicanti D'Irlanda-" recitava un comunicato stampa che accompagnava il dvd con l'anteprima, uno slogan in diretta contraddizione con ciò che il programma rivelava e che porterà sicuramente a lettere di protesta dei telespettatori.

Connoly ha fatto del suo meglio, ma le sue fonti originali gli hanno giocato un brutto tiro. Tutto ciò che ha trovato è che alcuni Rom mendicano in modo aggressivo (cosa che è contro la legge), ma due minuti in O'Connell St. avrebbero dimostrato che anche alcuni irlandesi mendicano in modo aggressivo. Difficilmente può dirsi giornalismo investigativo.

Dove il programma ha veramente raschiato il fondo del barile, è stato nelle intervisti ai membri dei gruppi di estrema destra anti-immigrati - l'equivalente del British National Party - che descrivevano i Rom come "sanguisughe" che non avevano niente da contribuire alla società irlandese, e che dovrebbero essere deportati tutti, nessuno escluso.

La decisione editoriale iniziale di coinvolgere costoro nel documentario è stata bizzarra, ma includere ciò che avevano da dire è stato imperdonabile, dopo che l'indagine aveva stabilito che non c'era nessun circuito criminale rom , nessun accattonaggio organizzato e nessun enorme profitto. Dire che il programma è stato deludente sarebbe un eufemismo. E' stato una disgrazia.

[...]

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Di Fabrizio (del 21/08/2011 @ 09:08:28, in Italia, visitato 1816 volte)

Cominciano i rientri dalle ferie. Come augurio di "bentornato" a chi dopo il mare o la montagna leggerà ancora queste pagine, ho rispolverato un post di Pirori del gennaio 2005. Il mese prima c'era stato lo tsunami in estremo oriente, e le ricche società occidentali si preparavano ad affrontare fattivamente la situazione. Noterete come l'argomento possa essere discusso in diverse maniere e punti di vista, a seconda del vostro umore al rientro. Dimenticavo: auguri anche a chi le ferie non le ha fatte o se le è già dimenticate!



La carità è un concetto difficile ed antipatico. Ma l'antipatia ha le sue eccezioni: non ho nessuna voglia di ammollare un Euro a quel giovane accovacciato davanti alla chiesa, ma se me lo chiede la Vodafone, lo faccio + volentieri, con un SMS a qualcuno che mai ho conosciuto e mai vedrò. A chi andrà il mio contributo? Da quelle parti, la metà della popolazione vive di elemosine, mica sono come i nostri antenati del Polesine!

Apperò! In questi casi si scopre che le popolazioni (lontane) che vivono di elemosina, hanno una loro dignità, che non riconosciamo ai mendicanti nostrani.

Manghel = [dal verbo Manghe = chiedere] Per i Rom, significa tanto carità, che fare la carità, che andare in giro a chiedere oboli agli angoli delle strade...

Durante queste vacanze (stranamente) avevo qualche soldo in tasca. Il bello dell'elemosina sarebbe farlo perché uno ne ha voglia, non perché si senta obbligato. Così, per mettermi la coscienza in pace, TOT alle vittime dello Tsunami, e un paio di euro alla Romnì entrata nel negozio del mio amico. In realtà volevo scambiare con lei due chiacchiere nella sua lingua e vederne la reazione (alcuni amici mi avevano raccontato di reazioni impensabili). Sono rimasto deluso: indifferente, la Romnì ha mantenuto il suo occhio spento, rispondendo solo con un "Grazie" in italiano stentato.

Preciso: neanche a me piace fare la carità: credo che serva solo a radicare la dipendenza dagli altri. Qualche volta è dannosa (l'alcolizzato che va a spendere il soldo per un altro bicchiere, il bambino che consegna il ricavato al capomafia…)
Donando cose è + facile evitare equivoci. Però, anche in questi casi mi è capitato di girare per campi nomadi e vedere tra i rifiuti (di solito, il campo è un rifiuto unico) i pacchi di vestiti donati dalla Caritas.
Qualcosa sul donare l'ho imparato parlando con i Rom. Ancora oggi capita che la famiglia lavori e chieda lo stesso il "manghel". Chiedere la carità è un retaggio che si portano dietro da quando erano un popolo nomade, e faceva parte di uno scambio rituale con la popolazione stanziale. Deridono chi gli mette in mano 20 centesimi e scappa. Apprezzano chi torna a scambiare due chiacchiere o un caffè, e se capita, saranno loro a prestarti qualcosa.

A questo punto (come un buon padrone di casa), vi presento due ospiti:

  • Davo: di lontane origini Sinti. Vive nello stato di Washington (estremo NW degli USA) in mezzo alle foreste. Incrocia poche persone, più frequentemente orsi e leoni di montagna. Ha simpatie politiche per i Repubblicani. Nonostante il suo aspetto (una via di mezzo tra il marine in pensione e il boscaiolo agiato) e la diceria che ai Rom e ai Sinti non piaccia leggere, ha una conoscenza libresca fenomenale.
  • Günther: arriva dalla Germania, non è Rom ma li ha sempre frequentati. Da tempo vive in California e continua a frequentarli anche lì. Politicamente è un progressista, è appassionato di discipline e religioni orientali.

Discutono della situazione in una città di provincia in Australia: seduti davanti al supermarket, un gran numero di Aborigeni, che chiedono la carità e si ubriacano col ricavato della giornata. Per non sembrare razzista, il consiglio comunale permette loro di bere alcolici per strada, cosa proibita nel resto della contea.

Davo:
…[ho notato che] le capre selvatiche hanno perso il loro istinto… D'inverno, stazionano nei pressi dei recinti o dei campi da golf, e finché non gli viene dato il cibo, non migrano.
Da noi si dice: "Un orso ammaestrato è un orso morto". Anche loro si sono abituati ad infilare il muso nei bidoni dell'immondizia e se per caso non trovano niente, rimediano devastando gli impianti di condizionamento o introducendosi nei campeggi (da cui li cacciamo a fucilate…)
Se il clima è favorevole, si possono "raccogliere" diversi $ in una giornata… Abbastanza da essere tramutati in vino e da permettere di vivere con i rifiuti, senza alcuna necessità di migliorare.
Mi viene in mente il caso di padre Morebeck e i mendicanti locali o di passaggio.
Queste prete ha sempre dedicato sforzi e risorse a quello che chiamava "amore pratico", indirizzato a persone in situazioni particolari…
Li avrebbe aiutati a trovare lavoro, ma giunto a quasi 80 anni di età ha scoperto che i $ non possono risolvere i problemi…
E' più facile e anche più "popolare" offrire denaro che finirà nelle tasche degli spacciatori di crack o di mercanti di vino a buon mercato. E ho conosciuto cristiani praticanti che letteralmente lavavano i piedi e donavano i propri stivali ai "viandanti" nelle nostre terre (anche se io non sono quel tipo di persona).

Non pretendo di avere "risposte per tutti"… Ma so quale sarebbe la mia risposta.
Baxt!
Davo

——
Günther:
Davo,
Secondo te, è bene se ci sono prospettive diverse nella stessa situazione?
Ogni forma di vita è interdipendente con le altre. Esiste l'adattabilità. Per fare un esempio tratto dagli animali: tempo fa in famiglia abbiamo allevato un visone per 5 anni. Mio figlio più piccolo (che allora aveva un anno) stava mangiando dell'uva dalla nostra vigna, e gli si è avvicinato festante questo cucciolo di visone. Quando hanno finito di dividersi i grappoli, ho riportato mio figlio in casa, e il visone l'ha seguito. Non abbiamo mai avuto problemi con le sue ghiandole odorifere, che adoperava soltanto contro i cani e gli estranei.
Arrivato all'età di 5 anni, ha deciso di tornare nel suo mondo, tornando ogni tanto a farci visita e incrementando di parecchio la popolazione dei visoni nei nostri dintorni.
Penso che ci debba essere adattabilità, sulla base dei bisogni o delle circostanze. Non si deve generalizzare, perché ognuno di noi è differente dall'altro, persino "due piselli nello stesso baccello" lo sono.
"Uccidere l'orso" appartiene a una prospettiva limitata e fascista…
"Se vedi un ubriaco abbandonato sul marciapiede, imitalo, cosicché la tua arroganza non ti porti a condannarlo, per quanto ti possa sembrare la cosa più facile da fare."

(L'immagine è tratta da http://www.pewterkingdom.com)

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Breve storia della famiglia Dibran.
Uno sfratto per morosità (incolpevole) ancora senza soluzione. 2009: inizia l'odissea dello sfratto.

C'era una volta il progetto Città Sottili, per l'integrazione dei Rom ed extracomunitari del territorio pisano, affidato alla COOP Il Cerchio.
C'era ma non c'è più: cinquanta famiglie finiranno in mezzo alla strada, o nei boschi, non più persone ma animali, a causa del caro affitto e della miopia istituzionale. Parliamo di sfratti per morosità, incolpevole ancora una volta. E di un progetto costato una decina di milioni d'euro finiti in crusca e nelle tasche dei proprietari di casa, mentre si potevano costruire più di 50 alloggi pubblici (100 in autocostruzione) risolvendo in modo definitivo il problema.
Noi dell'Unione Inquilini conosciamo bene la vicenda di una famiglia integrata secondo le regole di Città Sottili, e pensiamo sia importante farla conoscere.
Si tratta di una famiglia allargata, 12 persone in tutto: il capofamiglia Dibran Izeir che è Ulema (guida spirituale), la moglie, il figlio scapolo, l'altro figlio sposato con nuora e i loro 5 figli, più la figlia e i due minori, che dividono un difficile cammino d'integrazione nella nostra città.
Eppure in buona parte il progetto ha funzionato, i bambini sono tutti regolarmente iscritti a scuola e frequentano la materna e la scuola elementare con regolarità, e rappresentano un futuro migliore per questa famiglia.
Non è stata invece portata a compimento l'inserimento lavorativo, che ha avuto più di una disavventura. I figli hanno lavorato come muratori e hanno partecipato materialmente alla costruzione delle nuove case del villaggio Rom di Coltano, come dipendenti lavoratori della cooperativa (oggi fallita) che ha avuto l'affidamento dei lavori. Ma non hanno ricevuto stipendi negli ultimi mesi e ad oggi nessuno di loro ha ricevuto le paghe arretrate: sono dunque disoccupati entrambi.
Iseir (baba) non ha un locale di culto per la preghiera comune e si arrangia come può.
La figlia e la nuora cercano, con qualche lavoretto di pulizia, di collaborare al sostentamento della famiglia lottando per la sopravvivenza, sostenuti dalla fiducia del progetto Città Sottili che li ha inseriti a Livorno provvisoriamente prima in Via del Litorale, e poi per tre anni nel palazzo nuovo in Piazza Cavallotti.
Finché lo sfratto di morosità ha interrotto la loro speranza di una vita dignitosa, e li ha portati come decine di famiglie livornesi a rivolgersi all'Unione Inquilini.
Dovevano pagare 1500 euro al mese per l'affitto delle due abitazioni contigue in cui sono state divisi i membri della famiglia di Baba.
Difficile capire come si possa pensare di inserire in abitazioni private a prezzi di mercato famiglie di badanti, muratori, colf.
Affitti astronomici per famiglie che al massimo potrebbero pagare 150 - 250 euro al mese, affitti/insostenibili per lavoratori precari, come tante troppe famiglie straniere e livornesi: la morosità è sicura e incolpevole. Il tempo stringe: bisogna che il Sindaco, firmi la proposta degli uffici e si attivi per le procedure necessarie a consentire la disponibilità dei locali individuati come alloggio temporaneo per la famiglia in emergenza abitativa, dall'ufficio casa.
L'inerzia della giunta comunale, di fronte a rischi di sgombero senza soluzione alternativa è indegno di una città a maggioranza di sinistra e progressista.
(dal comunicato stampa dell'ottobre 2009) dell'Unione Inquilini.

Unione Inquilini - Livorno
Sez. Mauro Giani
Via Pieroni, 27 – 57123 Livorno
Tel. 0586 884635 - fax 0586 211016
La sede è aperta ogni giorno a mattino o al pomeriggio (escluso il sabato)
E mail: unioneinquilini.livorno@gmail.com Sito internet: www.unioneinquilini.it


2010: l'impegno dell'Unione Inquilini per questo caso, contro un'evidente gravissima discriminazione razziale.

La famiglia Dibran è stata tutelata dal sindacato e ha ricevuto attestati di solidarietà da molti livornesi, come dimostrano le immagini girate sui siti dell'Unione Inquilini. Per un anno con picchetti affollati, siamo riusciti a farli rimanere nella loro abitazione in piazza Cavallotti. Già a aprile 2010 l'ufficio casa comunale aveva individuato una sistemazione provvisoria idonea che il sindaco di Livorno non ha mai voluto sottoscrivere, perché erano responsabili gli amministratori pisani dell'alloggio in città della famiglia.
Famiglia che però è residente in città da anni con figli nati a Livorno e iscritti alle scuole cittadine.
Che sia difficile gestire l'emergenza casa e il sociale in città, lo dimostrano le dimissioni, in rapida successione, dei due assessori titolari delle scomodissime deleghe. Così nonostante le sollecitazioni dell'ufficio, il sindaco ha congelato la questione per mesi. L'esecuzione dello sfratto, in assenza di soluzioni alternative si è risolta nell'ottobre 2010 con sette bambini sfollati con la loro famiglia. A seguito delle proteste del comitato sfrattati le donne e i figli sono stati precariamente alloggiati da affittacamere fino alla farsa finale: accusati di aver rubato la mobilia (che invece era stata ammassata in una stanza, su richiesta dell'ufficiale giudiziario) sono stati privati di qualsiasi tutela dal sindaco di Livorno. Le accuse sono cadute quasi subito, ma ormai per i Dibran, sfollati e spaventati dalla minaccia di essere separati dai figli, è rimasta solo la fuga nei boschi. Da parte nostra abbiamo chiesto l'intervento della protezione civile a causa del gelo invernale in assenza di abitazioni alternative, ma non abbiamo avuto risposte positive. Siamo a Giugno 2011 ma nulla è cambiato per i piccoli esposti a terribili rischi: due incidenti sono costati quasi la vita a due di loro, e ignoti criminali hanno tentato di rapire i figli sotto gli occhi atterriti della giovanissima mamma.
In tutto il territorio livornese non c'è un solo campo autorizzato e adeguatamente attrezzato con servizi igienici per i rom livornesi (che sono poche decine) costretti a nascondersi nei boschi. Situazione intollerabile davvero dopo la tragica morte di quattro bimbi rom nel 2007. Specie dopo le accorate dichiarazioni del sindaco che ha fatto promesse mai mantenute. Così i Dibran non possono rientrare in città pur essendo residenti e non possono avere una sistemazione di cui pure hanno diritto trattandosi di sfratto incolpevole e avendo a suo tempo fatto domanda di emergenza abitativa. Per questo siamo pronti a portare il caso di questa famiglia all'attenzione della stampa, per farne un caso nazionale e ad interessare l'autorità di giustizia internazionale: si tratta con tutta evidenza di una situazione gravissima di discriminazione razziale e di omissione di tutela nei confronti di minori.
La legge deve essere uguale per tutti: così non è stato nei confronti di una famiglia sfrattata, privata di soccorso solo perché è Rom.

La scuola, è stata l'unica istituzione pubblica, rimasta fedele ai valori democratici costituzionali.
Riteniamo importante divulgare una copia della lettera inviata dalla preside della scuola al Sindaco, lettera a oggi ancora priva di risposta. Per rispettare il riserbo dell'istituto scolastico abbiamo omesso nomi e riferimenti personali.
Questa lettera ci ha profondamente commosso. Anche se il sindaco si è dimostrato sordo e muto. Siamo convinti con l'aiuto della popolazione livornese di riuscire a sconfiggere il razzismo e la xenofobia: occorre obbligare l'amministrazione comunale a rispettare la decisione del Consiglio Regionale che impegna i comuni ad occuparsi dei rom residenti (a Livorno poche decine), per garantire loro il diritto allo studio, alla salute e al lavoro.
Nel caso della famiglia Dibran sfrattata per morosità incolpevole è inserita nelle liste dell'emergenza abitativa, la risposta va data come a tutti gli altri, assegnando loro dei locali, in una residenza temporanea per sfrattati, in attesa di un'assegnazione definitiva.
Scrivete la vostra opinione al sindaco acosimi@comune.livorno.it e all' unioneinquilini.livorno@gmail.com.
Unione Inquilini – Livorno


Livorno 13 giugno 2011
La lettera della Comunità scolastica inviata al Sindaco Cosimi all'inizio di aprile 2011.
Relazione sulla situazione della famiglia Dibran

La comunità scolastica delle scuole frequentata dai bambini e bambine della famiglia Dibran quest'anno si è trovata a fronteggiare l'emergenza relativa al recupero di 7 bambini Rom, di origine macedone, nati in Italia, (5 a Livorno) che già frequentavano da diversi anni la scuola e che, avendo perso la casa in cui erano residenti in Livorno, dal mese di novembre 2010 sono sfollati ai margini di un campo nomadi di Marina di Pisa.
I bambini appartengono tutti ad un unico nucleo famigliare che risiede regolarmente a Livorno (in Via dei Cavalieri) ed è iscritta all'anagrafe dal 7 agosto 2004. Pur essendo costretti a vivere nel Campo di Marina di Pisa, sono tuttora a tutti gli effetti cittadini livornesi.
Gli adulti maschi svolgono lavoretti occasionali, raccolgono rottami di ferro e altri rottami, ma non hanno risorse sufficienti a provvedere alla propria autonoma sussistenza e ad un'abitazione decorosa per i bambini. La coppia dei capostipite (già in salute precaria) vive insieme a 7 figli /nuore che sono a loro volta genitori di 9 bambini da 1 a 11 anni. I sei bambini più grandi, da già da alcuni anni frequentavano le scuole elementari e dell'infanzia.
Il clan famigliare è molto protettivo, i genitori fanno del loro meglio e i bambini sono molto legati a loro, non fanno accattonaggio, ma non riescono a trovare alcun lavoro stabile. Cercano lavoro attivamente e sono regolarmente iscritti ai Centri per l'Impiego di Livorno. Anche i lavori più umili nei cantieri, nei ristoranti e nelle lavanderie non vengono loro affidati, e chi si prederebbe una zingara in casa per fare i lavori domestici o la badante? Senza contare che le donne hanno anche degli altri bambini molto piccoli da accudire. Sono genitori che hanno grandi difficoltà a corrispondere ai bisogni materiali dei loro figli, ma sono tuttavia pienamente soddisfacenti dal punto di vista affettivo: amano molto i loro bambini e i bambini sono molto legati a loro. Pertanto non si possono ipotizzare soluzioni di allontanamento che sarebbero ingiustamente punitive per i genitori ed eccessivamente dolorose per i bambini.
La famiglia, pur figurando da sette anni nelle anagrafi comunali di Livorno, dopo aver perso la casa, che non era in condizioni di pagare, in questi ultimi mesi è vissuta in terra di nessuno, in condizioni igieniche ed economiche gravemente precarie, sempre nella speranza che qualcuno si muovesse a risolvere il problema e trovasse loro un'abitazione.
Nel primo mese anche gli operatori scolastici non sapevano cosa fare e si sono limitati alla mera assistenza, portando loro indumenti e viveri per alleviare lo stato di necessità, ma nella impossibilità di provvedere ai bisogni di cura e di educazione dei bambini. Questi bambini non hanno più una scuola di stradario perché il Comune di Pisa ha ripetutamente intimato loro di lasciare il Campo, impedisce categoricamente di poter ampliare i ricoveri preesistenti al loro arrivo e minaccia da un momento all'altro lo sgombero coatto. Perciò le condizioni dei piccoli, che avevano sempre vissuto in appartamento e avevano sempre frequentato con grande regolarità le nostre scuole, sono man mano sempre più degradate, malvisti anche dagli altri bambini del campo che hanno almeno una baracca, un minimo di servizi igienici e una scuola di riferimento.
Ad un certo punto la scuola, pur comprendendo bene che la sospensione della frequenza non dipendeva dalla loro volontà, in obbedienza alle norme sull'adempimento dell'obbligo scolastico si sarebbe trovata nella necessità di denunciarli e in ogni caso non poteva più tollerare che questi bambini rimanessero esclusi dal consorzio civile e dai diritti garantiti dalla carta dei diritti dell'infanzia. Visto che l'unica scuola di competenza era pur sempre la nostra, che non potevamo semplicemente girarci dall'altra parte o spostare questo fardello dalla nostra coscienza alla coscienza di qualcun altro, si è creata una rete di solidarietà che ha mobilitato docenti e genitori che si sono rivolti a tutte le associazioni di volontariato del territorio per trovare un qualsiasi mezzo per poter andare a prendere i bambini al campo di Marina di Pisa e portarli a scuola.
Da due mesi andiamo a prenderli tutte le mattine, così per otto ore vivono in un ambiente caldo, confortevole ed educativo. I bambini hanno almeno un pasto caldo al giorno, stanno insieme ai loro compagni che vogliono loro bene, hanno ritrovato le loro maestre e cercano di recuperare le competenze scolastiche e uno stile di vita meno selvatico (in un mese era vanificato tutto il bagaglio di buone maniere che questi bambini avevano acquisito).
L'associazione onlus "Gli Amici della Zizzi" ha messo a disposizione un pulmino a titolo gratuito, e tutte le mattine vari genitori si alternano nell'impegno di andare a prendere i bambini al Campo insieme ad un operatore dell'Associazione disponibile a quell'ora ma non abilitato a guidare il pulmino, mentre tutti i pomeriggi l'Associazione con il suo pulmino li riaccompagna al Campo a Marina di Pisa.
Non di meno la situazione appare di difficile gestione perché ogni giorno bisogna trovare un genitore o un docente con un orario di lavoro compatibile, capace di guidare il pulmino, oppure bisogna avere due macchine disponibili.
Certamente anche gran parte dei problemi "scolastici" sarebbero risolti se questa gente avesse un alloggio o un accampamento regolare. In questo caso l'assolvimento dell'obbligo scolastico e il fardello della responsabilità passerebbe in capo alla scuola di competenza di quel territorio, ubicata più o meno nell'arco di un chilometro e comunque nell'ambito dello stesso Comune, senza dover percorrere 20 chilometri da un Comune a un altro. Certo i bambini (e anche noi della comunità scolastica) soffrirebbero nel lasciare le loro maestre e i loro compagni, dovrebbero riguadagnarsi il rispetto e l'affetto di altre persone, cosa non facile quando un bambino arriva a scuola sporco, con i pidocchi e con gli abiti incrostati di fango. E' difficile spiegare che non hanno la lavatrice, non hanno l'acqua calda, che dormono in quattro nello stesso giaciglio, trasmettendosi irreparabilmente pidocchi ed infezioni batteriche di vario tipo e che se i vestiti e i cappotti e le scarpe sono pieni di fango, talvolta è più facile buttarli via che trovare i soldi per portarli in lavanderia.
Quando piove il campo diventa un acquitrino ma oltre agli inconvenienti igienici e alle gravi malattie da raffreddamento questi bambini sono esposti anche ad altri rischi perché, come si è detto, convivono, mal sopportati, con le altre famiglie già insediate nel Campo, dove ci sono bambini e ragazzi di tutte le età che formano vere e proprie bande in lotta fra loro. Così, anche se questi bambini sono molto piccoli, capita spesso che si facciano male, che cadano accidentalmente nel corso di giochi pericolosi o che vengano colpiti da pietre come è accaduto al piccolo Rucudi di 6 anni che per poco non ci ha rimesso un occhio. L'ultima che si è fatta male è Naxije di 11 anni che dovendo raggiungere al buio la baracca degli zii, per chiedere una medicina per il fratellino con la febbre, ha ricevuto una spinta ed è caduta su un grosso rottame metallico lasciato incustodito nel Campo. E' stata prontamente portata in ospedale dove le hanno messo una trentina di punti fra interni ed esterni ad una coscia. La ferita molto profonda ha fortunatamente sfiorato per un soffio l'arteria femorale ma ancora Naxi non ha recuperato la mobilità ordinaria ed è costretta a rimanere al Campo senza scuola.
Si tratta di famiglie in condizioni di gravissimo disagio, però non rubano e non fanno accattonaggio e i bambini sono perfettamente integrati nelle nostre classi. Hanno perso due mesi di scuola tra novembre e dicembre e quindi non hanno risultati scolastici particolarmente brillanti, ma stanno rapidamente recuperando. In più, hanno l'affetto dei compagni e delle maestre e ogni tanto trovano un'altra mamma che li porta a casa per fare un bagno e una pulizia più accurata dei capelli e degli indumenti. La scuola è la loro opportunità per riuscire a costruirsi una vita migliore e a sfuggire alla spirale di esclusione sociale e povertà alla quale sembrano inesorabilmente destinati.
Crediamo che sia dovere di ogni persona ma, soprattutto, delle Istituzioni fare il possibile perché il percorso di integrazione sociale riprenda dal punto nel quale, a novembre, si è tristemente interrotto.

Livorno Aprile 2011

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Di Fabrizio (del 19/08/2011 @ 10:26:23, in conflitti, visitato 1790 volte)

Da Czech_Roma

Romea.cz

I ghetti cechi a rischio di disordini come in Inghilterra?
Praga, 13.8.2011 16:57, iDNES.cz, translated by Gwendolyn Albert

iDNES.cz riporta che mentre alcuni esperti o parti interessate ritengono che violenze simili a quelle che ora affliggono le città in Inghilterra potrebbero verificarsi nella Repubblica Ceca, altri non vedono la situazione così disastrosa. "Qualcosa di simile potrebbe avvenire nella Repubblica Ceca. Qui la situazione è di preoccupazione, paura e tensione. E' solo una questione di tempo prima che esploda," dice Ivan Veselý, attivista romanì dell'associazione Dženo. Secondo lui, violenze simili potrebbero essere innescate tanto dall'impatto delle riforme governative che da attacchi a sfondo razziale.

Jitka Gjuričová, direttrice del dipartimento di prevenzione del crimine presso il Ministero degli Interni, non esclude la possibilità di disordini. Dice: "Se lo stato non sviluppa un intervento davvero massiccio per far uscire la gente dalle località socialmente escluse e dar loro la possibilità di unirsi alla società civile, allora potrebbe accadere."

Il sociologo Ivan Gabal, che ha guidato il team di ricercatori che cinque anni fa mappò i ghetti, ammonisce che l'esclusione sociale nella repubblica Ceca si sta intensificando e viene trasferita da generazione in generazione. Se lo stato riducesse troppo severamente la rete di sicurezza sociale, potrebbe esacerbare la situazione. Tuttavia, secondo lui è difficile prevedere rivolte.

Marie Gailová, direttrice dell'associazione Romodrom - che aiuta chi abita nei ghetti, considera la riduzione del welfare un potenziale detonatore di violenza. Dice: "Non credo che qui ci saranno eventi simili in larga scala, ma se le donne non riuscissero a sfamare le loro famiglie, potrebbe succedere. Una volta che la gente è messa in un angolo senza niente, sono gettati nell'aggressività e nella depressione. Naturalmente, è anche colpa loro, ma hanno bisogno d'aiuto."

Gailová considera un enorme problema che ora in località isolate una generazione stia crescendo senza sapere cosa voglia dire un lavoro. "Specialmente nei grandi ghetti della Boemia settentrionale e della Moravia, osserviamo la prima generazione di ragazzi e ragazze che sono cresciuti in un ambiente dove non hanno mai visto nessuno mantenere un lavoro," concorda Gabal. Secondo lui, i politici hanno voltato le spalle a questi problemi.

D'altra parte, Monika Šimůnková, commissario del governo per i diritti umani, non ritiene che lo scenario britannico possa ripetersi a breve nel paese, o comunque non nella stessa misura. Dice: "Nondimeno, purtroppo è vero che molti dei presupposti per la violenza che si sono incontrati in Bretagna, ci sono anche in alcune località ceche socialmente escluse."

L'agenzia governativa per l'inclusione sociale nelle località rom, di cui Šimůnková è responsabile, sta aiutando persone in 26 quartieri impoveriti del paese, attraverso l'istruzione, l'impiego e l'alloggio. Tuttavia, il commissario avverte che i problemi accumulatisi nel corso dei decenni, non si possono risolvere dall'oggi al domani.

Jan Černý, direttore del programma d'integrazione sociale Gente nel Bisogno, non prevede il verificarsi di violenze. "Basterebbero pochi eccessi e l'alveare inizierebbe a ronzare, ma non credo che le api pungeranno qualcuno," dice. Tuttavia, aggiunge che la minoranza romanì è connesso tramite un forte sentimento di mutua solidarietà, e che i membri della comunità sono molto sensibili ad ogni ingiustizia, anche se accadesse dall'altro capo del paese.


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