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Storia di gravi sprechi di denaro pubblico, di un sindaco colpevole di grave discriminazione razziale e di una famiglia Rom
Di Fabrizio (del 20/08/2011 @ 09:32:42, in Italia, visitato 1545 volte)

Breve storia della famiglia Dibran.
Uno sfratto per morosità (incolpevole) ancora senza soluzione. 2009: inizia l'odissea dello sfratto.

C'era una volta il progetto Città Sottili, per l'integrazione dei Rom ed extracomunitari del territorio pisano, affidato alla COOP Il Cerchio.
C'era ma non c'è più: cinquanta famiglie finiranno in mezzo alla strada, o nei boschi, non più persone ma animali, a causa del caro affitto e della miopia istituzionale. Parliamo di sfratti per morosità, incolpevole ancora una volta. E di un progetto costato una decina di milioni d'euro finiti in crusca e nelle tasche dei proprietari di casa, mentre si potevano costruire più di 50 alloggi pubblici (100 in autocostruzione) risolvendo in modo definitivo il problema.
Noi dell'Unione Inquilini conosciamo bene la vicenda di una famiglia integrata secondo le regole di Città Sottili, e pensiamo sia importante farla conoscere.
Si tratta di una famiglia allargata, 12 persone in tutto: il capofamiglia Dibran Izeir che è Ulema (guida spirituale), la moglie, il figlio scapolo, l'altro figlio sposato con nuora e i loro 5 figli, più la figlia e i due minori, che dividono un difficile cammino d'integrazione nella nostra città.
Eppure in buona parte il progetto ha funzionato, i bambini sono tutti regolarmente iscritti a scuola e frequentano la materna e la scuola elementare con regolarità, e rappresentano un futuro migliore per questa famiglia.
Non è stata invece portata a compimento l'inserimento lavorativo, che ha avuto più di una disavventura. I figli hanno lavorato come muratori e hanno partecipato materialmente alla costruzione delle nuove case del villaggio Rom di Coltano, come dipendenti lavoratori della cooperativa (oggi fallita) che ha avuto l'affidamento dei lavori. Ma non hanno ricevuto stipendi negli ultimi mesi e ad oggi nessuno di loro ha ricevuto le paghe arretrate: sono dunque disoccupati entrambi.
Iseir (baba) non ha un locale di culto per la preghiera comune e si arrangia come può.
La figlia e la nuora cercano, con qualche lavoretto di pulizia, di collaborare al sostentamento della famiglia lottando per la sopravvivenza, sostenuti dalla fiducia del progetto Città Sottili che li ha inseriti a Livorno provvisoriamente prima in Via del Litorale, e poi per tre anni nel palazzo nuovo in Piazza Cavallotti.
Finché lo sfratto di morosità ha interrotto la loro speranza di una vita dignitosa, e li ha portati come decine di famiglie livornesi a rivolgersi all'Unione Inquilini.
Dovevano pagare 1500 euro al mese per l'affitto delle due abitazioni contigue in cui sono state divisi i membri della famiglia di Baba.
Difficile capire come si possa pensare di inserire in abitazioni private a prezzi di mercato famiglie di badanti, muratori, colf.
Affitti astronomici per famiglie che al massimo potrebbero pagare 150 - 250 euro al mese, affitti/insostenibili per lavoratori precari, come tante troppe famiglie straniere e livornesi: la morosità è sicura e incolpevole. Il tempo stringe: bisogna che il Sindaco, firmi la proposta degli uffici e si attivi per le procedure necessarie a consentire la disponibilità dei locali individuati come alloggio temporaneo per la famiglia in emergenza abitativa, dall'ufficio casa.
L'inerzia della giunta comunale, di fronte a rischi di sgombero senza soluzione alternativa è indegno di una città a maggioranza di sinistra e progressista.
(dal comunicato stampa dell'ottobre 2009) dell'Unione Inquilini.

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2010: l'impegno dell'Unione Inquilini per questo caso, contro un'evidente gravissima discriminazione razziale.

La famiglia Dibran è stata tutelata dal sindacato e ha ricevuto attestati di solidarietà da molti livornesi, come dimostrano le immagini girate sui siti dell'Unione Inquilini. Per un anno con picchetti affollati, siamo riusciti a farli rimanere nella loro abitazione in piazza Cavallotti. Già a aprile 2010 l'ufficio casa comunale aveva individuato una sistemazione provvisoria idonea che il sindaco di Livorno non ha mai voluto sottoscrivere, perché erano responsabili gli amministratori pisani dell'alloggio in città della famiglia.
Famiglia che però è residente in città da anni con figli nati a Livorno e iscritti alle scuole cittadine.
Che sia difficile gestire l'emergenza casa e il sociale in città, lo dimostrano le dimissioni, in rapida successione, dei due assessori titolari delle scomodissime deleghe. Così nonostante le sollecitazioni dell'ufficio, il sindaco ha congelato la questione per mesi. L'esecuzione dello sfratto, in assenza di soluzioni alternative si è risolta nell'ottobre 2010 con sette bambini sfollati con la loro famiglia. A seguito delle proteste del comitato sfrattati le donne e i figli sono stati precariamente alloggiati da affittacamere fino alla farsa finale: accusati di aver rubato la mobilia (che invece era stata ammassata in una stanza, su richiesta dell'ufficiale giudiziario) sono stati privati di qualsiasi tutela dal sindaco di Livorno. Le accuse sono cadute quasi subito, ma ormai per i Dibran, sfollati e spaventati dalla minaccia di essere separati dai figli, è rimasta solo la fuga nei boschi. Da parte nostra abbiamo chiesto l'intervento della protezione civile a causa del gelo invernale in assenza di abitazioni alternative, ma non abbiamo avuto risposte positive. Siamo a Giugno 2011 ma nulla è cambiato per i piccoli esposti a terribili rischi: due incidenti sono costati quasi la vita a due di loro, e ignoti criminali hanno tentato di rapire i figli sotto gli occhi atterriti della giovanissima mamma.
In tutto il territorio livornese non c'è un solo campo autorizzato e adeguatamente attrezzato con servizi igienici per i rom livornesi (che sono poche decine) costretti a nascondersi nei boschi. Situazione intollerabile davvero dopo la tragica morte di quattro bimbi rom nel 2007. Specie dopo le accorate dichiarazioni del sindaco che ha fatto promesse mai mantenute. Così i Dibran non possono rientrare in città pur essendo residenti e non possono avere una sistemazione di cui pure hanno diritto trattandosi di sfratto incolpevole e avendo a suo tempo fatto domanda di emergenza abitativa. Per questo siamo pronti a portare il caso di questa famiglia all'attenzione della stampa, per farne un caso nazionale e ad interessare l'autorità di giustizia internazionale: si tratta con tutta evidenza di una situazione gravissima di discriminazione razziale e di omissione di tutela nei confronti di minori.
La legge deve essere uguale per tutti: così non è stato nei confronti di una famiglia sfrattata, privata di soccorso solo perché è Rom.

La scuola, è stata l'unica istituzione pubblica, rimasta fedele ai valori democratici costituzionali.
Riteniamo importante divulgare una copia della lettera inviata dalla preside della scuola al Sindaco, lettera a oggi ancora priva di risposta. Per rispettare il riserbo dell'istituto scolastico abbiamo omesso nomi e riferimenti personali.
Questa lettera ci ha profondamente commosso. Anche se il sindaco si è dimostrato sordo e muto. Siamo convinti con l'aiuto della popolazione livornese di riuscire a sconfiggere il razzismo e la xenofobia: occorre obbligare l'amministrazione comunale a rispettare la decisione del Consiglio Regionale che impegna i comuni ad occuparsi dei rom residenti (a Livorno poche decine), per garantire loro il diritto allo studio, alla salute e al lavoro.
Nel caso della famiglia Dibran sfrattata per morosità incolpevole è inserita nelle liste dell'emergenza abitativa, la risposta va data come a tutti gli altri, assegnando loro dei locali, in una residenza temporanea per sfrattati, in attesa di un'assegnazione definitiva.
Scrivete la vostra opinione al sindaco acosimi@comune.livorno.it e all' unioneinquilini.livorno@gmail.com.
Unione Inquilini – Livorno


Livorno 13 giugno 2011
La lettera della Comunità scolastica inviata al Sindaco Cosimi all'inizio di aprile 2011.
Relazione sulla situazione della famiglia Dibran

La comunità scolastica delle scuole frequentata dai bambini e bambine della famiglia Dibran quest'anno si è trovata a fronteggiare l'emergenza relativa al recupero di 7 bambini Rom, di origine macedone, nati in Italia, (5 a Livorno) che già frequentavano da diversi anni la scuola e che, avendo perso la casa in cui erano residenti in Livorno, dal mese di novembre 2010 sono sfollati ai margini di un campo nomadi di Marina di Pisa.
I bambini appartengono tutti ad un unico nucleo famigliare che risiede regolarmente a Livorno (in Via dei Cavalieri) ed è iscritta all'anagrafe dal 7 agosto 2004. Pur essendo costretti a vivere nel Campo di Marina di Pisa, sono tuttora a tutti gli effetti cittadini livornesi.
Gli adulti maschi svolgono lavoretti occasionali, raccolgono rottami di ferro e altri rottami, ma non hanno risorse sufficienti a provvedere alla propria autonoma sussistenza e ad un'abitazione decorosa per i bambini. La coppia dei capostipite (già in salute precaria) vive insieme a 7 figli /nuore che sono a loro volta genitori di 9 bambini da 1 a 11 anni. I sei bambini più grandi, da già da alcuni anni frequentavano le scuole elementari e dell'infanzia.
Il clan famigliare è molto protettivo, i genitori fanno del loro meglio e i bambini sono molto legati a loro, non fanno accattonaggio, ma non riescono a trovare alcun lavoro stabile. Cercano lavoro attivamente e sono regolarmente iscritti ai Centri per l'Impiego di Livorno. Anche i lavori più umili nei cantieri, nei ristoranti e nelle lavanderie non vengono loro affidati, e chi si prederebbe una zingara in casa per fare i lavori domestici o la badante? Senza contare che le donne hanno anche degli altri bambini molto piccoli da accudire. Sono genitori che hanno grandi difficoltà a corrispondere ai bisogni materiali dei loro figli, ma sono tuttavia pienamente soddisfacenti dal punto di vista affettivo: amano molto i loro bambini e i bambini sono molto legati a loro. Pertanto non si possono ipotizzare soluzioni di allontanamento che sarebbero ingiustamente punitive per i genitori ed eccessivamente dolorose per i bambini.
La famiglia, pur figurando da sette anni nelle anagrafi comunali di Livorno, dopo aver perso la casa, che non era in condizioni di pagare, in questi ultimi mesi è vissuta in terra di nessuno, in condizioni igieniche ed economiche gravemente precarie, sempre nella speranza che qualcuno si muovesse a risolvere il problema e trovasse loro un'abitazione.
Nel primo mese anche gli operatori scolastici non sapevano cosa fare e si sono limitati alla mera assistenza, portando loro indumenti e viveri per alleviare lo stato di necessità, ma nella impossibilità di provvedere ai bisogni di cura e di educazione dei bambini. Questi bambini non hanno più una scuola di stradario perché il Comune di Pisa ha ripetutamente intimato loro di lasciare il Campo, impedisce categoricamente di poter ampliare i ricoveri preesistenti al loro arrivo e minaccia da un momento all'altro lo sgombero coatto. Perciò le condizioni dei piccoli, che avevano sempre vissuto in appartamento e avevano sempre frequentato con grande regolarità le nostre scuole, sono man mano sempre più degradate, malvisti anche dagli altri bambini del campo che hanno almeno una baracca, un minimo di servizi igienici e una scuola di riferimento.
Ad un certo punto la scuola, pur comprendendo bene che la sospensione della frequenza non dipendeva dalla loro volontà, in obbedienza alle norme sull'adempimento dell'obbligo scolastico si sarebbe trovata nella necessità di denunciarli e in ogni caso non poteva più tollerare che questi bambini rimanessero esclusi dal consorzio civile e dai diritti garantiti dalla carta dei diritti dell'infanzia. Visto che l'unica scuola di competenza era pur sempre la nostra, che non potevamo semplicemente girarci dall'altra parte o spostare questo fardello dalla nostra coscienza alla coscienza di qualcun altro, si è creata una rete di solidarietà che ha mobilitato docenti e genitori che si sono rivolti a tutte le associazioni di volontariato del territorio per trovare un qualsiasi mezzo per poter andare a prendere i bambini al campo di Marina di Pisa e portarli a scuola.
Da due mesi andiamo a prenderli tutte le mattine, così per otto ore vivono in un ambiente caldo, confortevole ed educativo. I bambini hanno almeno un pasto caldo al giorno, stanno insieme ai loro compagni che vogliono loro bene, hanno ritrovato le loro maestre e cercano di recuperare le competenze scolastiche e uno stile di vita meno selvatico (in un mese era vanificato tutto il bagaglio di buone maniere che questi bambini avevano acquisito).
L'associazione onlus "Gli Amici della Zizzi" ha messo a disposizione un pulmino a titolo gratuito, e tutte le mattine vari genitori si alternano nell'impegno di andare a prendere i bambini al Campo insieme ad un operatore dell'Associazione disponibile a quell'ora ma non abilitato a guidare il pulmino, mentre tutti i pomeriggi l'Associazione con il suo pulmino li riaccompagna al Campo a Marina di Pisa.
Non di meno la situazione appare di difficile gestione perché ogni giorno bisogna trovare un genitore o un docente con un orario di lavoro compatibile, capace di guidare il pulmino, oppure bisogna avere due macchine disponibili.
Certamente anche gran parte dei problemi "scolastici" sarebbero risolti se questa gente avesse un alloggio o un accampamento regolare. In questo caso l'assolvimento dell'obbligo scolastico e il fardello della responsabilità passerebbe in capo alla scuola di competenza di quel territorio, ubicata più o meno nell'arco di un chilometro e comunque nell'ambito dello stesso Comune, senza dover percorrere 20 chilometri da un Comune a un altro. Certo i bambini (e anche noi della comunità scolastica) soffrirebbero nel lasciare le loro maestre e i loro compagni, dovrebbero riguadagnarsi il rispetto e l'affetto di altre persone, cosa non facile quando un bambino arriva a scuola sporco, con i pidocchi e con gli abiti incrostati di fango. E' difficile spiegare che non hanno la lavatrice, non hanno l'acqua calda, che dormono in quattro nello stesso giaciglio, trasmettendosi irreparabilmente pidocchi ed infezioni batteriche di vario tipo e che se i vestiti e i cappotti e le scarpe sono pieni di fango, talvolta è più facile buttarli via che trovare i soldi per portarli in lavanderia.
Quando piove il campo diventa un acquitrino ma oltre agli inconvenienti igienici e alle gravi malattie da raffreddamento questi bambini sono esposti anche ad altri rischi perché, come si è detto, convivono, mal sopportati, con le altre famiglie già insediate nel Campo, dove ci sono bambini e ragazzi di tutte le età che formano vere e proprie bande in lotta fra loro. Così, anche se questi bambini sono molto piccoli, capita spesso che si facciano male, che cadano accidentalmente nel corso di giochi pericolosi o che vengano colpiti da pietre come è accaduto al piccolo Rucudi di 6 anni che per poco non ci ha rimesso un occhio. L'ultima che si è fatta male è Naxije di 11 anni che dovendo raggiungere al buio la baracca degli zii, per chiedere una medicina per il fratellino con la febbre, ha ricevuto una spinta ed è caduta su un grosso rottame metallico lasciato incustodito nel Campo. E' stata prontamente portata in ospedale dove le hanno messo una trentina di punti fra interni ed esterni ad una coscia. La ferita molto profonda ha fortunatamente sfiorato per un soffio l'arteria femorale ma ancora Naxi non ha recuperato la mobilità ordinaria ed è costretta a rimanere al Campo senza scuola.
Si tratta di famiglie in condizioni di gravissimo disagio, però non rubano e non fanno accattonaggio e i bambini sono perfettamente integrati nelle nostre classi. Hanno perso due mesi di scuola tra novembre e dicembre e quindi non hanno risultati scolastici particolarmente brillanti, ma stanno rapidamente recuperando. In più, hanno l'affetto dei compagni e delle maestre e ogni tanto trovano un'altra mamma che li porta a casa per fare un bagno e una pulizia più accurata dei capelli e degli indumenti. La scuola è la loro opportunità per riuscire a costruirsi una vita migliore e a sfuggire alla spirale di esclusione sociale e povertà alla quale sembrano inesorabilmente destinati.
Crediamo che sia dovere di ogni persona ma, soprattutto, delle Istituzioni fare il possibile perché il percorso di integrazione sociale riprenda dal punto nel quale, a novembre, si è tristemente interrotto.

Livorno Aprile 2011