Fondata nel 1985 in un Plattenbausiedlung (una sorta di unità
abitativa collettiva ndr) di Berlino Est, Sinti Swing è unica nella
storia della Germania Democratica: i suoi membri sono Sinti tedeschi i cui
genitori sono in qualche maniera sopravissuti ai campi di concentramento
nazisti. La banda suonava in jazz club e festival. Poi cadde il Muro e la
banda dovette reinventarsi. Dopo un breve iato, si riformò con alcuni dei
figli dei membri originari, incluso il trentatreenne Launenberg. Prima ci fu
un nuovo CD, poi venne girato un film sulla band; ora il gruppo
revitalizzato suona il suo mix inspirato a Django Reinhardt con grande
successo nelle feste jazz d'Europa. Parlando dal loro appartamento a
Lichtenberg, Launenberg e Huber discutono delle origini del Sinti swing,
della crescita nella Germania Democratica e della loro esperienza
nella Wende (svolta ndr)
Come si sono messi insieme i Sinti Swing?
Janko Launenberg: Qui a Lichtenberg, era il 1985. Fu fondata da uno dei miei
zii e mio padre. Lui portò i suoi due fratelli nella banda. E trovarono chi
suonava il violino. Era Bernd. Così formarono la banda. Per iniziare, suonarono
in molti club. Non per soldi, perché era la DDR. Dovevano avere un permesso
ufficiale e per loro era molto difficile, perché uno solo dei componenti della
banda era andato a scuola di musica. Erano autodidatti. Dovettero lottare a
lungo per un permesso.
E che tipo di esibizioni potevate fare a Berlino Est?
JL: All'inizio, in piccoli club di jazz e ritrovi giovanili. Soprattutto
swing. Django Reinhardt.
Ho sentito che c'era qualche difficoltà ad avere registrazioni di Django
Reinhardt nella DDR.
JL: nella Germania Est c'era solo una registrazione di Django Reinhardt.
Bernd Huber: Due: una degli anni '60 e una dei '70.
Janko, voi sete Sinti. Quant'è grande la comunità sinti a Berlino Est?
JL: Ce ne sono pochi. Qui a Berlino Est, c'erano cinque o sei famiglie. Nel
Magdeburgo, c'erano Sinti. E ad Halle ed Erfurt. Qui non erano in molti.
Com'era essere Sinti nella DDR? Il dogma comunista dell'eguaglianza e del
rispetto per le minoranze era una realtà nel quotidiano?
JL: Lo stato non faceva distinzioni: Non importava se eri uno Zingaro: eri un
cittadino della DDR. Ma c'erano pochissimi stranieri nella Germania dell'Est, e
noi avevamo i capelli e la pelle scura. Non era proprio razzismo, ma la gente si
comportava differentemente con chi appariva differente. Era piuttosto difficile:
ho avuto problemi a scuola.
BH: Da una parte, tutti eravamo considerati uguali. Dall'altra, nessuno si
occupava della storia unica dei Sinti. A scuola era sconosciuta. C'era un famoso
libro d'infanzia, Edo und Uko, molto popolare nel Blocco dell'Est ed
era su una famiglia sinti. Era una lettura richiesta nella DDR degli anni '70.
Ma, nel contempo, la gente non sapeva realmente chi fossero i Sinti e che Janko
lo fosse. Ho che avesse relazione con i personaggi del libro. Era un po'
contradditorio.
Nel III Reich, mezzo milione di Sinti furono messi a morte. Janko, tu hai
parenti morti nei campi di concentramento.
JL: E' vero. I genitori di mio padre furono uccisi. E da parte di mia madre,
solo suo padre e sua nonna ne uscirono vivi. Perse otto tra fratelli e sorelle.
La maggior parte della nostra famiglia andò dispersa. Saremmo in molti, ma molti
di più se non fosse accaduto. Se non fosse stato per Adolf Hitler, qui ci
sarebbero molti musicisti: ci sarebbero molti Sinti Swings.
BH: E' una cosa che la DDR non ha mai affrontato. A scuola si imparava del
fascismo e dell'Olocausto, ma non di che cosa era successo agli Zingari.
La vostra famiglia ha ricevuto una compensazione dallo stato?
JL: Mio nonno ha dovuto combattere a lungo per la cosiddetta pensione VDN
[Verfolgte des Naziregimes (Perseguitati dal Regime nazista, ndr)].
Alla fine l'ottenne, anche mia nonna. Ma ci furono molti Sinti che non
ricevettero niente.
Come Tedeschi dell'Est, com'è stata per voi la caduta del Muro?
BH: Domanda difficile. Da una parte, si sapeva che non si poteva andare
avanti. Le cose stagnavano. Quando cadde il Muro, naturalmente eravamo felici.
Nel contempo, non sapevamo cosa stava per succedere.
Quali furono le vostre prime impressioni dell'Ovest?
BH: Ci andammo un paio di giorni dopo. Fu come fare all'improvviso un salto
nel tempo. Quarant'anni nel corso di due minuti. Era attivo. Ogni cosa sembrava
un po' differente. Le auto avevano un odore differente: questo divertente, dolce
odore. I berlinesi dell'Ovest erano molto aperti.
JL: Appena sapemmo che il confino era stato aperto, l'attraversammo da Warschauer
Straße. Avevamo dei parenti che ci incontrarono dall'altra parte. Fu una festa
incredibile: non andammo a casa per tre giorni. Ogni notte si dormiva in un
posto diverso. C'erano così tanti colori: tutte le pubblicità al neon. Non
esistevano nell'Est. Lì ogni cosa era grigia.
Ma dopo tre giorni sul Ku'damm, si capiscono le differenze importanti.
All'Est, avevi i soldi ma non potevi comperare niente. All'Ovest, non avevi
niente, non avevi denaro per comprare. Dopo tre giorni, avevi la sensazione di
aver visto il mondo, di aver visto tutto. Tutto. Tornammo a casa, pensando a
noi, a come ottenere una montagna di denaro. Non funzionò. E poi ci accorgemmo
che la banda non stava funzionando come nel passato. Prima, tutti ci chiamavano.
Ora dovevamo chiamare noi, fare noi la pubblicità. Il nostro appeal esotico se
ne era andato.
Così fu un periodo difficile per la banda?
JL: Nella DDR, suonavamo nei migliori locali di tutta la Germania Est. Quando
si aprirono i confini, anche Sinti Swing suonò in molti locali superbi. Poi, per
molto tempo fu come se la banda non esistesse. Suonammo in un paio di locali.
Poi incidemmo un disco, e venne girato un documentario sulla nostra banda. Ora
stiamo avendo un nuovo ritorno. Le cose vanno in una nuova direzione. Vediamo
gli studenti dei vecchi appassionati di jazz ed i fan di Django Reinhardt.
La musica di Django Reinhardt è ancora valida oggi?
JL: Assolutamente. Naturalmente, ha molto a che fare con gli anni '30 e '40.
Ma è senza tempo. Suoniamo di fronte ad un pubblico che non ha mai sentito
questa musica prima d'ora. Non puoi spiegarlo - devi solo vedere come
reagiscono. E' interessante il tipo di ritmo: le chitarre prendono il posto
delle percussioni. Più il mondo diviene moderno, più è attuale Django Reinhardt.
Vi manca niente dei tempi della DDR?
JL: Per prima cosa, la natura semplice delle persone. Il contatto sociale era
migliore, davvero. La gente era più amichevole. Oggi, tutto è più freddo ed è un
mondo di cane-mangia-cane. "Cosa mi importa di te? Non mi interessi. Sono
migliore di te." Tutto ciò non esisteva all'Est. Il sistema oggi non è
migliore di quello della DDR. Quando eri ammalato, andavi dal dottore e non
dovevi pagare milioni. Oggi quelle cose puoi solo sognarle. Avresti dovuto
vedere un festival di strada all'Est negli anni '80. Come partecipava la gente.
Era incredibile. La gente era felice. Avevano sicurezza. Erano bei tempi.
Ora ci sono molti Zingari a Berlino. Janko - tu, come Sinto, hai contatti
con questi nuovi Rom immigrati dai Balcani?
JL: Non molto. Suoniamo con un paio di musicisti rom, ma abbiamo davvero
pochi contatti con questo popolo. Vengono da altri posti. Non ci conoscono. I
dialetti sono piuttosto differenti ed hanno uno stile di vita completamente
differente dal nostro. Il contatto non viene da lì, pensando che abbiamo un
linguaggio comune e che proveniamo dal medesimo posto. Le nostre vite sono
troppo differenti.
Qual è la differenza tra Sinti e Rom? Non parlate tutti il romanés?
JL: Sì, ma gli Zingari cresciuti in Ungheria parlano una lingua differente da
quelli cresciuti in Germania. Ha a che fare col tempo. Visto in termini di
tempo, siamo più avanti di altri.
Gli Zingari dell'Europa orientale hanno portato la loro musica in
occidente con grande successo. Vedi una sorta di rinascimento nel campo della
musica rom e sinti?
JL: Attraverso questa musica che viene dall'est, la gente sta conoscendo i
Rom ed i Sinti. Siamo uno degli ultimi popoli non esplorati. La gente è curiosa.
Voi vivete a Lichtenberg, attorno a Weitlingkiez, conosciuto per essere un
posto malfamato e covo della destra...
JL: Era così nel passato, ma ora non più. Arrivano sempre più stranieri e
tutti i neonazisti si devono nascondere. Non possono esprimersi apertamente
perché ci sarebbero problemi. Ora sta arrivando molta gente da Friedrichshain.
Non penso che sia necessariamente un bene. Ma qui c'è pace tra razzismo e multi-kulti.
Siete politicamente attivi?
JL: Non direi. Nelle interviste tentiamo di informare la gente su chi siamo.
Non viviamo nelle roulotte e non pratichiamo più la magia.
Ci sono ancora dei pregiudizi?
JL: Naturalmente, ci sono pregiudizi dappertutto. Avevo una ragazza, mi disse
"Cosa, sei uno Zingaro? Non può essere! Se solo lo sapesse mia
nonna!" Pensava che gli zingari rapissero i bambini e rubassero. Rubare bambini:
è il colmo. Ma non mi devo arrabbiare.
Se ti chiamo Zingaro, va bene?
JL: Dipende da come lo dici. Se dici, "swing e musica jazz dello Zigeneur",
non è un insulto. Ma se qualcuno dice "Tu Zingaro!" ha tutto un altro
tono. E' meglio se si sa distinguere tra Rom e Sinti, e se mi dici "Hey Sinto!"
Di Fabrizio (del 17/04/2010 @ 09:16:55, in Europa, visitato 1733 volte)
di Piero Ignazi - 15 Aprile 2010
Tra le due guerre, fascismo e nazional-socialismo attecchirono vigorosi in
Ungheria. I movimenti che si richiamavano a quelle esperienze ammontavano a un
centinaio e solo la morte del leader del fascismo ungherese Julius Gömbös nel
'36 impedì una piena fascistizzazione del regime autoritario instaurato nel '32
dall'ammiraglio Miklós Horthy. L'alleanza con la Germania portò poi nel '44
all'instaurazione di un regime nazional-socialista vero e proprio incentrato sul
Partito delle Croci frecciate. E da quel momento iniziò la deportazione in massa
dei 500mila ebrei ungheresi. L'Ungheria ha quindi una storia cupa alle spalle.
Non meno travagliati sono stati i primi dieci anni del dopoguerra, culminati con
la rivolta del 1956. In seguito, il "comunismo al gulasch" aveva pacificato il
paese. Anche la riabilitazione delle vittime delle repressioni staliniane degli
anni bui come Laszló Rajk, o della rivolta del 1956, peraltro già avviata prima
dell'89, indirizzava il paese su un binario solido di transizione e
consolidamento democratico. Così è stato, finora, grazie a una serie di
alternanze al governo tra socialisti e moderati. Anche la presenza di partiti di
estrema destra non preoccupava più di tanto.
Diverso, invece, il quadro emerso dalle elezioni parlamentari di domenica
scorsa. Il Movimento per una Ungheria migliore (Jobbik), che alle elezioni del
2006 aveva raccolto appena il 2%, ma che già alle europee del 2009 era schizzato
al 14,8, a quelle parlamentari di domenica è arrivato al 16,7. Risultati che
fanno di questo partito uno dei più significativi di tutta Europa.
Come nella Fpö austriaca degli anni 90, guidata da Jorg Haider, anche Jobbik
alterna richiami più o meno mascherati ed eufemistizzati al passato delle Croci
frecciate con interventi sui temi d'attualità. Da un lato, agisce sulla
nostalgia animando un movimento paramilitare - la Guardia ungherese - con tanto
di divise, bandiere e organizzazione gerarchica che richiama le Croci frecciate;
riprende i toni antisemitici con espliciti attacchi a personalità ebraiche e
allusioni alle "forze occulte della finanza internazionale" che dissanguano la
nazione; difende criminali di guerra come Sandor Kepiro considerati dal Centro
Wiesenthal come il principale ricercato del 2010; e invita alla "soluzione
finale" (sic) del problema degli zingari.
Dall'altro si presenta come un partito nazionalista che vuole restaurare i fasti
dell'antica nazione magiara, i mille anni della "Sacra Corona" di Santo Stefano,
che predica di una politica aggressiva di law and order ma nulla più, e che si
dichiara ferocemente antisocialista e anti-establishment.
Jobbik è un altro partito dell'estrema destra populista che mescola abilmente
richiami alla storia nera ungherese con l'agitazione dei problemi attuali, reali
e meno, dell'Ungheria. La campagna anti-zingari e contro le influenze straniere
si sviluppa lungo due piani: nel primo si criminalizza la minoranza Rom (il 6%
della popolazione); nel secondo si accusano la Banca centrale e il governo
socialista di consentire con la nuova legge sulla proprietà agraria che la terra
ungherese possa "finire in mano straniere", e d'impedire una tassazione più
elevata sulle multinazionali. Dietro a tutto questo, ovviamente, c'è la
responsabilità della Ue che impone norme contrarie ai "veri" interessi della
nazione e del popolo.
Un tale armamentario ideologico si ritrova in molte parti d'Europa. Di fronte a
movimenti di questo genere sono possibili due strategie: quella francese,
dell'isolamento assoluto dell'estrema destra costi quel che costi in termini
elettorali; quella austriaca e olandese dell'inclusione dei partiti estremisti
al governo per ridimensionarli o modificarli. L'unica strada da non percorrere è
quella di far finta di niente, di considerare irrilevanti o folkloristiche le
posizioni xenofobe antisemite e nazionaliste. Perché hanno grande appeal in
momenti di crisi e di trasformazione, soprattutto presso le componenti più
spaventate e più esposte. E, quando si rompe la diga, queste posizioni possono
dilagare.
La piccola
Natálka, la bambina di due anni seriamente ustionata in un attacco doloso
contro la sua casa a Vítkov, sta reimparando a camminare. Sua madre, Anna
Siváková, ha detto all'Agenzia Stampa Ceca che la bambina non è più in grado di
camminare se qualcuno non la tiene per mano. Presto seguirà la riabilitazione
per i problemi col suo piede destro, che non vuole camminare. Poi affronterà
un'altra operazione, alle dozzine che ha già subito. Il 19 aprile sarà passato
esattamente un anno da quei tragici eventi che hanno cambiato le vite di così
tante persone.
L'11 maggio andranno a processo gli accusati di aver causato la disgrazia
della piccola bambina e dei suoi genitori, che pure furono feriti dalle fiamme.
I genitori di Natálka si ritroveranno di fronte agli assalitori. "Non faccio
previsioni. Non ho idea di come risponderò quando li vedrò," dice Siváková.
Recentemente la madre di Natálka ha ricevuto una copia delle accuse, circa 50
pagine, e ne ha letto i dettagli. "Dicono che Lukeš organizzò tutto. Chiamo gli
altri e li aspettò ad Opava. E' anche accusato di aver scelto la nostra casa,"
dice, aggiungendo che gli accusati si rimpallano le loro responsabilità. Però,
tutti si giustificano dicendo di non aver saputo che la casa fosse abitata. "La
polizia ha interrogato la ragazza di Lukeš a Vítkov. Lei ha detto che avevano
guidato diverse volte sino a casa nostra e di avervi visto giocare i bambini,"
dice Siváková.
Ha anche letto che un'altro accusato, Müller, si bruciò la mano lanciando le
molotov. L'accusa dice che un'ora dopo cercò di curarsi a casa di un amico. Dice
anche che il gruppo intendeva commettere l'attacco una settimana prima, ma che
non trovarono una macchina per farlo.
Gli incendiari, tutti estremisti di destra di Bruntál e Opava, lanciarono tre
molotov piene di benzina attraverso le finestre della casa. Natálka, che non
aveva ancora due anni, soffrì di ustioni di secondo e terzo grado sull'80% del
corpo. I genitori furono ustionati più lievemente.
L'attacco cambiò completamente la vita della famiglia. Anche dopo che Natálka
tornò a casa dopo otto mesi di ricovero, niente era più lo stesso. "Pensavamo
che sarebbe stato meglio dopo il ritorno a casa. Sbagliavamo. Era solo
l'inizio," dice Siváková. La piccola Natálka ha subito dozzine di operazioni ed
ora ha paura dei dottori. Urla disperatamente quando vede l'ospedale, e presto
dovrà sottoporsi ad un'altra degenza. "Tra due settimane dobbiamo iniziare la
riabilitazione. Poi sarà operata alle mani. Starà in ospedale per un mese. Non
so come farà," dice la giovane madre.
David Vaculík, Jaromír Lukeš, Ivo Müller e Václav Cojocaru affronteranno il
processo in mezzo a straordinarie misure di sicurezza. Sono accusati di aver
commesso un tentato omicidio multiplo, tra cui una bambina, a sfondo razziale.
Rischiano l'ergastolo. "Per me sarebbe giusto se ricevessero la pena più dura
possibile. Ci hanno condannato ad una pena che durerà tutta la vita. Penso che
debbano soffrire come sta soffrendo la nostra famiglia," dice Siváková.
Czech Press Agency, translated by Gwendolyn Albert
Con questa "soluzione" la città multiculturale di Cluj rimane molto indietro
rispetto alle raccomandazioni della Commissione Europea riguardo alla
desegregazione e le politiche inclusive, o a quelle che si riferiscono alla
necessità di prendere decisioni col coinvolgimento delle comunità rom - idee
ripetute questa settimana al secondo Summit Europeo dei Rom(http://www.nieuwsbank.nl/en/2010/04/09/H007.htm).
Secondo le dichiarazioni del vicesindaco, il Consiglio ha iniziato a
considerare una risoluzione per identificare i proprietari a Pata Rat per
espropriare i terreni dove sistemare i Rom delle vie Cantonului e Coastei e
dintorni. Oltre al diniego totale del pericolo si segregazione etnica, non viene
posta attenzione al problema fondamentale di queste persone: la mancanza di
documenti di residenza e di documenti d'identità permanenti, che potrebbero
assicurare loro la sicurezza nella vita di tutti i giorni.
Queste recenti decisioni e proposte sono state prese come d'abitudine per le
autorità locali: ad es. senza consultare i rappresentanti delle comunità rom e
senza nemmeno avvertire i diretti interessati. Per oltre dieci anni hanno subito
improvvisi sgomberi e rimozioni forzate da un posto all'altro, diventando via
via vittime di una crescente segregazione residenziale che riproduce ed aggrava
tutti i loro problemi, dall'accesso all'istruzione di qualità, a quello ad un
lavoro decente, sino alla discriminazione istituzionale. Né ora, né altrimenti,
è mai stato offerto alle organizzazioni rom un quadro legale in cui discutere
della questione, le autorità non si sono consultate con loro e quando è stato
fatto un tentativo in questo senso da parte delle organizzazioni, le loro
opinioni sono state ignorate. Inoltre, anche se ci sono persone di etnia rom
nelle autorità locale, in Prefettura, nei Consigli Distrettuale e Comunale di
Cluj, non hanno preso una posizione ufficiale contro la ghettizzazione dei Rom
in città. Questo dimostra che le posizioni da loro occupate non sono
sufficientemente indipendenti da servire gli interessi di quanti dovrebbero
rappresentare, ma che sono subordinate alle decisioni di queste strutture di
potere.
Chiediamo l'attenzione del Consiglio Cittadino e dell'Ufficio del Sindaco di
Cluj perché il loro nuovo progetto è un progetto di ghettizzazione etnica, una
manifestazione di discriminazione istituzionale e perciò una grave violazione
dei diritti umani, con gravi conseguenze sulla cronica esclusione
socio-economica e non-riconoscimento dei Rom come parte integrale della città. I
firmatari di questa petizione chiedono urgentemente di fermare questo progetto e
sviluppare strategie che assicurino effettivamente condizioni di vita durature e
decenti per tutti i cittadini di Cluj.
Potete appoggiare la nostra richiesta firmando la petizione in lingua rumena
a: http://www.petitieonline.ro/petitie-p19395057.html
(per chi non ha familiarità con la lingua, cliccare su Semneaza petitia,
poi nella prima casella indicare nome e cognome, nella seconda la propria mail -
confermare nella terza - e nell'ultima il codice di validazione, le altre
caselle sono facoltative. ndr)
Cluj, 11.04.2010.
Pavel Doghi, president of Amare Phrala Association Enikő Vincze, professor Babesc-Bolyai University, member of the Romani Criss
board
Di Sucar Drom (del 20/04/2010 @ 00:42:35, in blog, visitato 1747 volte)
Mantova, Nicola Sodano è il nuovo Sindaco
Nicola Sodano è stato proclamato sindaco di Mantova; oggi il primo cittadino ha
fatto il suo ingresso nel palazzo municipale di via Roma. Sempre oggi l'ufficio
centrale elettorale dovrebbe certificare l'elezione dei quaranta consiglieri
comunali: avrebbe dovuto farlo ieri ma l'esame di 55 schede contestate ha
richiesto un supplemento di lavoro. Intanto, Sodano parla della su...
Torino, per un giorno cittadini come gli altri
Ieri davanti alla Sindone, in Duomo, sono sfilati un centinaio di cittadini rom
e sinti. Accompagnati dalla presidente Carla Osella dell’AIZO, sono arrivati,
sotto un violento scroscio di pioggia, nel primo pomeriggio, ragazzi, famiglie,
un folto...
Francia, Django Reihnardt la leggenda del jazz
Una piazza della capitale francese da pochi giorni porta il suo nome, accanto al
mercato delle pulci. D’altra parte non poteva essere altrimenti dato che,
grazie a lui e alla sua chitarra, la Francia e Parigi sono state il punto di
riferimento del jazz europeo tra le due guerre mondiali. Eppure di nascita era
be...
Ministero dell'Interno, iniziative dell'Italia: sicurezza, immigrazione e asilo
Il Ministero dell’Interno ha fatto il bilancio delle azioni del Governo italiano
in tema di sicurezza, immigrazione e asilo, attraverso la pubblicazione
"Iniziative dell’Italia: sicurezza, immigrazione e asilo". La pubblicazione
contiene anche alcune righe su quanto il Governo Italiano sta approntando per le
minoranze sinte e rom. Dal testo si evince che sono stati stanziati 64 milioni
di euro per i primi intervent...
Mantova, il neo Sindaco incontra Sucar Drom
Questa mattina il Vice Presidente dell'associazione Sucar Drom, Bernardino
Torsi, e il Segretario, Carlo Berini, hanno incontrato il neo Sindaco di
Mantova, Nicola Sodano. L’incontro si è svolto nell’ufficio del Sindaco in via
Roma, sede del Comune...
Amnesty International, firma contro il "piano nomadi"
Continua la campagna di sensibilizzazione di Amnesty International sulla
situazione dei Rom. Dopo la presentazione del documento “Stop agli sgomberi
forzati dei rom in Europa”, diffuso giovedì 8 aprile dall’associazione, in
occasione del secondo summit dell’Unione europea sulle...
Milano sceglie la forza
Il Comune ha dismesso ogni politica per l’immigrazione, preferendo additare gli
stranieri come responsabili del degrado, sgomberando i rom rumeni a ritmo
continuo, usando la polizia locale per interventi di pubblica sicurezza. E
affermando, nel contempo, il proprio potere municipale. Stanti le ultime stime
dell’ISMU (Blangiardo, et al...
Milano, continuano gli sgomberi e si pensa a nuove misure draconiane
Il Comune di Milano continua la politica degli sgomberi contro i Rom con
cittadinanza rumena e i Sinti camminanti con Cittadinanza italiana. Gli sgomberi
sono così tanti e continui che diventa difficile avere un quadro completo. Oggi
la notizia che gli Agenti del Nucleo Pr...
Di Fabrizio (del 20/04/2010 @ 16:13:58, in sport, visitato 1970 volte)
Milano, 12:37
Sgomberati dai campi nomadi, protagonisti sul campo di San Siro per la
semifinale di Champions League: una ventina di bimbi rom questa sera
accompagneranno per mano, sul tappeto erboso del Meazza, i giocatori di Inter e
Barcellona. I bambini, tra quelli che erano stati sgomberati con le loro
famiglie dagli insediamenti di via San Dionigi e del cavalcavia Bacula, ora sono
ospiti della Casa della caritĂ di don Virginio Colmegna, coinvolto
nell'iniziativa di questa sera dal presidente dell'Inter Massimo Moratti. Mentre
i 20 ospiti del Meazza seguiranno la partita dalle tribune, gli altri assistiti
della Casa della caritĂ la vedranno tutti insieme, nel centro del parco Lambro,
insieme al sacerdote.
A nove anni capii di essere differente e non capivo perché. Ero sempre stata
una bambina felice. A scuola avevo molti amici. Ma tutto questo cambiò in
quinta.
In Bulgaria, come in molte parti dell'Europa dell'Est, i bambini rom non
hanno accesso all'istruzione di qualità. I bambini rom nelle scuole segregate
vengono promossi senza saper leggere o scrivere. Nella città dove son nata,
abbiamo una scuola segregata sino alla quarta. La scuola è a soli 100 metri da
casa mia, ma mia madre non voleva che andassi là. Sapeva che non avrei ricevuto
una buona istruzione e mi iscrisse alla scuola pubblica per gli studenti
bulgari.
La decisione non fu facile. Il percorso da e per la scuola era difficile.
Anche mio padre ed i nonni non erano d'accordo con la sua decisione. Non
capivano perché avrei dovuto andare a scuola così lontano da casa e separarmi
dai miei cugini. Ma mia madre sapeva il perché. Sapeva quanto fosse importante
l'istruzione. Mi protesse dall'essere presa in giro dai bambini della scuola. I
miei genitori decisero di parlarmi soltanto in bulgaro così da non sviluppare
accenti particolari. Ma non poterono proteggermi a lungo.
Quando fui in quinta, i bambini rom del mio quartiere iniziarono a
frequentare la mia stessa scuola. Erano amici d'infanzia e così parlavo e
giocavo con loro. Ma una alla volta le mie compagne di classe si allontanarono
da me quando mi videro interagire con i nuovi compagni rom. Mi indicarono
chiamandomi "zingara". Non sapevo perché. Era qualcosa di sbagliato? Perché
pensavano che fossi differente? Mi sentivo colpevole, come se avessi fatto
qualcosa di sbagliato.
Da allora furono insulti, umiliazioni e comportamenti aggressivi da parte
delle mie compagne e persino da qualche maestra. Non ho mai detto ai miei
genitori o condiviso con qualcuno cosa succedeva a scuola. Mi sentivo in
imbarazzo.
Nonostante quegli anni difficili ho sempre avuto mia madre ad incoraggiarmi
nel continuare gli studi. Mi sono diplomata ed ho iniziato a studiare
giornalismo nell'Università di Sofia. Ma persino all'università non ho potuto
scappare dai pregiudizi della gente. Alla prima lezione gli studenti iniziarono
a discutere di "zingari puzzolenti". Per un momento mi preoccupai che mi
avessero riconosciuta. Ma non sapevano che fossi Rom. Non gli passava per la
mente che potesse esserci una studentessa rom che frequentava il loro corso.
Fu all'università che iniziai ad interessarmi alla storia, alla lingua ed
alla cultura del popolo rom. Lessi libri sulla sturia dei Rom, ed ebbi la
possibilità di incontrare altri studenti, insegnanti, giornalisti ed
intellettuali di origine rom. Dopo che mi laureai, iniziai a lavorare come
reporter per il giornale rom Drom
Dromendar. Capii presto che non avevo niente di cui vergognarmi. Sono una
donna rom e ne sono orgogliosa.
Violeta Naydenova
nel video, "I'm a European Roma Woman." (per
chi legge su Facebook, il
link al video,
ndr)
Molti dei miei simili non condividono questo punto di vista. Molti giovani rom
oggi crescono senza mai sapere della loro storia e di chi sono realmente. Molti
Rom di successo nascondono la loro vera identità. Si nascondono come facevo io.
Molti stereotipi radicati nella nostra società ci fanno sentire come cittadini
di seconda classe; come se non fossimo parte della società ed appartenessimo
solo ai ghetti e alle mahalle.
I Rom sono il più grande gruppo minoritario in Europa. Soffrono di alti tassi
di analfabetismo, disoccupazione e povertà. Ancora non abbiamo un approccio
mirato e coordinato per affrontare questi problemi. L'Europa non può ancora
ignorare i Rom.
L'Europa deve prevedere l'accesso all'istruzione di qualità per tutti i
bambini. Nonostante le decisioni per una riforma in questo senso della Corte
Europea dei Diritti Umani rivolte contro la Repubblica Ceca, la Grecia ed,
appena un mese fa, la Croazia, ai Rom viene regolarmente negato un pari accesso
all'istruzione. L'Europa deve iniziare a mettere in discussione le questioni di
identità - assicurandosi che gli studenti imparino l'uno dall'altro, sulle loro
differenze e sul fatto che la diversità non è un male. Al contrario, la
diversità è qualcosa che arricchisce tutti.
La decisione di mia madre di mandarmi alla scuola pubblica mi ha cambiato la
vita. Ora lavoro per aiutare a cambiare la vita di altri giovani rom. Presso
l'Open Society Institute aiuto i Rom dell'Europa Centrale ed Orientale ad
ottenere tirocini e formazione scolastica. Queste opportunità insegnano ai
giovani rom come diventare i migliori avvocati di se stessi e migliorare la loro
comunità.
Ma non possiamo farlo da soli. Assieme a noi l'Europa deve impegnarsi per
assicurare che tutti Rom abbiano pari accesso all'istruzione di qualità - ed
espandere e consolidare una nuova generazione di donne e uomini rom che guidino
la loro comunità ad un cambiamento reale in tutte le sfere pubbliche delle loro
vite.
Di Fabrizio (del 22/04/2010 @ 09:24:04, in Italia, visitato 2162 volte)
Segnalazione di Gianluca Tarasconi
TU TAJ ME IO E TE
DIRITTI DEL POPOLO ROM E CONVIVENZA
LA SCUOLA LA CASA LA FAMIGLIA
I BAMBINI DI RUBATTINO E ALTRE STORIE NOI NON CI STANCHIAMO.
SI STANCHERANNO PRIMA LORO. Che cosa succede nel cuore di un bambino rom che si mette la cartella sulle
spalle e, un giorno dopo l'altro, va a scuola, accolto, amato e rispettato?
Che cosa succede nel cuore di uomini e donne rom che vedono rispettati i loro
diritti e la loro dignità?
E che cosa succede invece quando le ruspe cancellano i diritti e la dignità?
Milano
29 Aprile 2010 Camera del Lavoro
Corso di Porta Vittoria 43 -
Salone Di Vittorio
dalle ore 19.30
ore 19.30 - APERITIVO SOLIDALE
Installazioni video
Musica dal vivo con i Muzikanti di Balval
Mostra "Immagini e storie dei bambini di Rubattino"
ore 20.30 - VITA DA ROM
Intervengono: Tommaso Vitale, professore di sociologia dell'Università di Milano-Bicocca Stefano Pasta, volontario del servizio rom della comunità di S. Egidio Assunta Vincenti, Marialuisa Amendola, mamme Rubattino Jovica Jovic, musicista
Introduce Paolo Limonta, maestro elementare
Modera Patrizia Quartieri, Consigliere Comunale e Presidente della Commissione Pari
Opportunità
Comitato Zona 3 per una Scuola di Qualità
Una nota di Ernesto Rossi
Una delle cose più belle in assoluto che sono successe (stanno
succedendo) in questa città negli ultimi tempi riguarda, stranamente forse, e
comunque in modo inedito, i bambini rom, ripetutamente cacciati e respinti dai
luoghi di fortuna in cui vivono con le loro famiglie, e conseguentemente dalla
scuola, che molti di loro frequentano con grande passione.
Riguarda la rivolta civile (raramente questo termine appare così appropriato) di
alcune maestre ed anche di alcuni genitori degli altri bambini, i
piccoli gagè loro compagni di classe, contro l'esclusione e il rifiuto.
I bambini appartengono a tutti, rappresentano un possibile futuro: meglio e più
insieme crescono, e più c'è speranza che la diversità, come spesso si sente
ripetere, venga riconosciuta quella ricchezza che è, anche in natura (ma noi
umani, almeno in parte poco apparteniamo a questa ‘natura', cui ci siamo
sottratti, promessa, condizione, speranza di un futuro diverso).
Questa storia verrà presentata e discussa nella serata del 29 aprile in Camera
del Lavoro di Milano alle 19.30: l'esperienza di Rubattino, luogo geometrico
della violenza insensata (ma c'è una violenza sensata?) contro gl'inermi, che
nasce, come diceva Curzio Malaparte, da "Una misteriosa paura degli inermi"e
induce il "furor d'abiezione".
Ci sono bambini, altrove, che a scuola vengono lasciati senza mensa, a pane e
acqua; refezione non più usata, nell'Italia democratica, nemmeno per i
carcerati. Milano, essendo città accogliente e civile – e ricca - non commette
di queste brutalità; ma essendo anche pratica e concreta, risolve il problema
alla radice: niente scuola, niente problemi. Sapete? è il decoro, che va
tutelato; bisogna difendere, con le unghie, con i denti, con uomini in assetto
antisommossa, la nostra sicurezza.
A questa vicenda milanese rimane tristemente (e vergognosamente) estranea
l'amministrazione della città, sindaco, vicesindaco decorato al valor incivile,
assessori, consiglieri comunali, zonali, cattivi consiglieri malconsigliati:
loro sono i mandanti. Che, come l'assessora competente, durante uno sgombero,
proprio a Rubattino, vanno a celebrare la Giornata Mondiale dell'Infanzia. E
mentre lì parlano, nemmeno gli si strozza la voce in gola.
Quella che si presenta giovedì sera in Camera del Lavoro è dunque una storia che
tutti dovrebbero conoscere, per capire, imparare, ragionare. Per tirare – poi -
un mezzo sospiro di sollievo: non siamo ancora perduti.
Di Fabrizio (del 22/04/2010 @ 09:52:07, in Italia, visitato 3069 volte)
Segnalazione di Tommaso Vitale su un
caso presentato
dieci giorni fa
21.04.2010
I poteri di ordinanza devono far fronte a reali situazioni contingibili di
pericolo e di emergenza. La precarietà abitativa di gruppi di Sinti deve essere
affrontata nel rispetto dei loro diritti fondamentali e con gli strumenti
legislativi ordinari (TAR Lombardia, n. 981/2010).
Segna un precedente giurisprudenziale assai importante per la causa dei diritti
dei Rom e dei Sinti in Italia, la sentenza pronunciata dal TAR Lombardia, sez. III, n. 981/2010 (dd. 06.04.2010) che ha annullato l'ordinanza del Sindaco del
Comune di Gambolò volta ad ordinare lo sgombero di un gruppo di Sinti cittadini
italiani, insedianti con le loro roulottes da almeno tre decenni in un'area
periferica del Comune.
Il Sindaco del predetto Comune aveva ordinato ai Sinti di liberare l'area, sulla
base dei rapporti della Polizia locale che avevano indicato la precarietà delle
condizioni igienico-sanitarie dell'insediamento.
Il Sindaco aveva dunque invocato gli artt. 50 comma 5 e 54 del D.lgs. n.
267/2000, come modificato dal D.L. n. 92/08, sostenendo che l' allontanamento
del gruppo di Sinti poteva essere giustificato da motivi di tutela della salute
pubblica e della sicurezza urbana.
Accogliendo il ricorso inoltrato dai Sinti medesimi, il TAR Lombardia ha invece
sostenuto che i poteri di ordinanza del Sindaco per motivi di tutela della
salute pubblica, di cui all'art. 50 comma 5 d.lgs. n. 267/2000, possono essere
giustificati solo da circostanze imprevedibili all'origine di vere e proprie
emergenze igienico sanitarie non fronteggiabili con mezzi ordinari (Consiglio di
Stato, sez. V. sentenza n. 868 dd. 16.02.2010). Nell'ordinanza sindacale,
invece, i paventati pericoli per la salute dei residenti, indotti, secondo il
Sindaco di Gambolò, dall'insediamento dei Sinti, non risultavano minimamente
accertati e documentati, rilevandosi soltanto una situazione di precarietà
igienica dei luoghi, che ben può essere affrontata con mezzi ordinari.
Ugualmente, il TAR Lombardia rileva che l'adozione dell'ordinanza di
allontanamento non poteva nemmeno essere giustificata da motivi di sicurezza
urbana. Anche dopo le modifiche introdotte dal decreto-legge n. 92/2008 ed i
nuovi poteri attribuiti ai Sindaci in materia, il potere di ordinanza sindacale
ai sensi del nuovo art. 54 del d.lgs. n. 267/2000 deve sempre riferirsi alla
tutela della sicurezza pubblica, intesa come un'attività di prevenzione e
repressione dei reati penali, come indicato dalla giurisprudenza costituzionale
(Corte Cost., n. 196/2009), escludendosi invece gli ambiti di riferimento della
polizia amministrativa locale.
Di conseguenza, la presenza di situazioni di degrado o marginalità urbane,
incuria o occupazione abusiva di immobili, di alterazione del decoro urbano,
richiamate dal D.M. 5 agosto 2008, non possono giustificare di per sé
l'attribuzione dei poteri di ordinanza del Sindaco, se non viene dimostrato il
nesso con fenomeni di criminalità suscettibili di minare la sicurezza pubblica e
la capacità obiettiva di tali situazioni di degrado di determinare situazioni
contingibili ed immediate di pericolo per la collettività. Altrimenti, il potere
di ordinanza dei Sindaci sarebbe suscettibile di incidere su diritti individuali
fondamentali in modo assolutamente indeterminato e al di fuori delle garanzie
costituzionali e internazionali.
Il Comune di Gambalò non avrebbe sufficientemente motivato in ordine ai
paventati pericoli immediati per l'incolumità o la sicurezza pubblica derivanti
dalla presenza dell'insediamento di Sinti sul proprio territorio e pertanto
l'ordinanza sindacale appare illegittima per carenza di motivazione e di
istruttoria.
La sentenza del TAR Lombardia sottolinea infine che, anche alla luce della
consolidata presenza della comunità Sinti sul territorio del comune di Gambolò
da almeno tre decenni, la questione dovrebbe essere oggetto di accurata
ponderazione, tenendo conto del rispetto dei diritti fondamentali degli
appartenenti alla comunità Sinti e del necessario bilanciamento con l'interesse
pubblico, anche alla luce degli strumenti istruttori e partecipativi previsti
tanto dalla legge n. 241/90 quanto dalla legge regionale n. 77/1989 in materia
di interventi per le popolazioni nomadi.
Il Comune di Gambolò è stato anche condannato al pagamento delle spese legali.
Di Fabrizio (del 23/04/2010 @ 08:58:42, in Italia, visitato 1757 volte)
Segnalazione di Monica Rossi
Repubblica.itSalta l'intesa scritta gia' da tempo concordata e
utilizzata anche con i nomadi di altri campi gia' sgomberati
L'assessore Belviso incontra una delegazione di nomadi al dipartimento
promozione dei servizi sociali e della salute del Comune
Non è stato raggiunto un accordo tra il comune di Roma e la comunità rom di Tor
dè Cenci sulla chiusura del campo e al ricollocamento della popolazione. Si è
conclusa con un nulla di fatto la riunione tra l'assessore alle Politiche
sociali, Sveva Belviso, e alcuni rappresentanti del campo di Tor dè Cenci, dove
attualmente vivono circa 350 rom macedoni e bosniaci, di cui 200 bambini e 150
adulti.
Erano già stati fatti diversi incontri con i rappresentanti spontanei di tor dè
cenci, ha riassunto l'assessore, nel corso dei quali era stata rifiutata la
proposta avanzata dal campidoglio di spostarsi presso il campo attrezzato di
castel romano. "Alla fine di una serie di incontri- ha detto- abbiamo convenuto
di accogliere la proposta fatta dallo stesso campo di trasferire la popolazione
nomade all'interno del primo nuovo campo che verrà realizzato per la fine
dell'estate".
"Su questa base- ha aggiunto- abbiamo trovato un accordo insieme con la
popolazione di tor dè cenci, confermato fino a questa mattina e confermato
verbalmente anche adesso". Il problema, però, è che i rom si sono rifiutati di
firmare questa dichiarazione di intenti in cui l'amministrazione comunale e la
popolazione di tor dè cenci si dovrebbero impegnare a collaborare per il
trasferimento.(Segue)
"Hanno detto di voler vedere il campo nuovo - ha detto Belviso- ma i campi non
autorizzati non hanno capacità decisionale". Č Il comune che "ha scelto di
andare incontro all'esigenze della popolazione e di non dividerla all'interno
dei campi autorizzati". Insomma, "abbiamo accolto la richiesta di trasferire
tutta la popolazione 'avente diritto' di tor dè cenci in un'unica area
attrezzata", cosa che è "è stata confermata oggi", anche se i rom "hanno paura
di mettere una firma".
Insomma, sintetizza l'assessore, "ad oggi confermano la loro disponibilità a
collaborare e a trasferirsi, ma non vogliono firmare". Le intenzioni del
campidoglio però sono chiare: "noi arriveremo fino alla fine cercando il
rapporto diplomatico come abbiamo fatto finora". "Sono convinta- ha aggiunto-
che alla fine accetteranno, altrimenti si procederà con le modalità di forza.
Non ci sono altre possibilità: quel campo verrà chiuso". Il prossimo passo
dell'amministrazione capitolina riguarda il campo della Martora: "Il focus
dell'amministrazione si sposta sul campo della Martora- ha detto ancora Belviso-
la prossima settimana inizia il fotosegnalamento, hanno accettato il trasloco e
verranno trasferiti nei campi autorizzati i primi di giugno".
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