Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 12/08/2011 @ 09:17:17, in Regole, visitato 1702 volte)
Da
Roma_ex_Yugoslavia
RomaBuzzMonitor
COMUNICATO STAMPA 1 agosto 2011
Le Nazioni Unite, tramite Patricia O’Brien, sottosegretaria agli affari legali,
hanno respinto un reclamo di 155 Rom IDP (Persone Internamente Disperse, ndr)
in Kosovo, dove furono rilocate su un terreno contaminato dal piombo, dalle
agenzie ONU, UNMIK compresa, in base all'errato ragionamento che il reclamo è
piuttosto un attacco all'amministrazione UNMIK del Kosovo, e non una pretesa di
diritto privato. Per cinque anni e cinque mesi sino al 25 luglio2011, l'ufficio
affari legali dell'ONU non ha intrapreso nessuna azione.
La comunità Rom compilò il reclamo il 6 febbraio 2006, in base alla
risoluzione dell'assemblea 52-247, che diceva chiaramente:
9. Decide anche, nel rispetto dei reclami di terze parti contro
l'Organizzazione per lesioni personali, malattia o morte da operazioni di peacekeeping,
che:
(a) Tipologie risarcibili di danni o perdite saranno limitate alla
perdita economica, come spese mediche o riabilitative, mancati guadagni,
perdita di sostegno finanziario, spese di trasporto associate al danno,
malattia o assistenza medica, spese legali o di sepoltura...
Il reclamo presentato dai Rom riguardava chiaramente lesioni personali,
malattia e morte, causate dall'avvelenamento da piombo a cui i bambini e le
famiglie furono soggetti causa la sistemazione su terreno contaminato. La
richiesta era di affermare le responsabilità UNMIK in quanto in quel periodo era
gestore dell'amministrazione ad interim del Kosovo. Mentre l'UNMIK ha fatto, a
detta di diverse agenzie ed autori, sicuramente agito male come amministrazione
ad interim, la risposta richiesta in base alla risoluzione 52-247 era
chiaramente riferita ai danni e perdite subite dai Rom, quindi una pretesa di
diritto privato come previsto dalla risoluzione stessa.
L'ONU ha giustificato il proprio comportamento affermando che l'intera area
di Mitrovica è contaminata dal piombo, e difatti è così. Tuttavia, i Rom hanno
dimostrato come fossero stati costretti ad abbandonare un sito a bassa
contaminazione, per essere rilocati in un altro ad alta contaminazione,
dopodiché i livelli di piombo nel loro sangue erano diventati molto più alti di
quelli della popolazione circostante, inoltre l'OMS aveva richiesto
ripetutamente l'immediata evacuazione a causa dei gravi rischi per la salute. L'UNMIK
non ha mai intrapreso nessuna azione. Ora, in base a false argomentazioni,
declinano ogni responsabilità.
E' un giorno vergognoso quando la principale organizzazione dei diritti umani
nega persino l'apparenza della giustizia ad una delle minoranze più abusate del
mondo.
Per ulteriori informazioni, contattare:
Dianne Post, Attorney -
postdlpost@aol.com
602-271-9019 (USA)
Per scaricare la risposta ONU (testo in inglese e formato .pdf)
QUI
Di Fabrizio (del 04/08/2011 @ 09:10:28, in Regole, visitato 1357 volte)
Va dato atto a Reggionline di essere l'unica testata che ha
seguito passo passo l'indagine, dando anche più volte
voce ai Rom e ai Sinti
Reggionline.com martedì 2 agosto 2011 - La coordinatrice Carla Ruffini:
"Senza indagati precisi, quelle operazioni hanno infranto la legge italiana"
REGGIO - La
retata dei carabinieri di Reggio e Parma dello scorso 28 luglio in 9 campi
rom di Reggio e provincia ha fatto alzare più di un sopracciglio nel mondo della
politica locale, soprattutto negli ambienti di centro sinistra.
Un commento su quanto accaduto, anche se con qualche giorno di ritardo, è
giunto dalla Sel reggiana: "A ferita ancora aperta - fa sapere la coordinatrice
Carla Ruffini - vogliamo esprimere il nostro deciso disappunto per il
blitz effettuato. Sinistra Ecologia Libertà ritiene che la magistratura
competente e i carabinieri di Parma che hanno condotto l'operazione (insieme a
quelli reggiani, ndr) debbano fornire delle spiegazioni. Non può passare sotto
silenzio l'ingresso forzato in tutte le abitazioni dei nomadi residenti nei
campi a loro destinati. Quando le operazioni di polizia giudiziaria non portano
a indagare persone precise, ma si estendono all'intera popolazione di un
quartiere (come deve essere considerato un campo nomadi), si infrange la legge
sulla inviolabilità del domicilio e della libertà personale di soggetti non
indagati. I nomadi non sono sottouomini e chi lo pensa è un razzista bandito
dalla costituzione italiana. A questo proposito è opportuno che siano resi
pubblici i mandati di perquisizione firmati dal magistrato competente".
Secondo la Sel reggiana, un elemento inviolabile di civiltà è rappresentato
dalla legalità. "Ancor più se costituzionale - aggiunge la Ruffini - Siamo per
la repressione di chi delinque, siamo contro chi ruba nelle abitazioni e attenta
alla libertà degli altri cittadini. Condanna chi spaccia le droghe, senza se e
senza ma, perché alimenta la grande criminalità organizzata. Ciononostante,
pensiamo anche che l'opinione pubblica debba avere delle spiegazioni dalla
magistratura competente e dai carabinieri su quanto accaduto. Non basta
presentare arnesi da scasso o gioielli posseduti da qualcuno per giustificare
una operazione condotta contro una intera popolazione. La cultura muscolare che
appartiene ad una parte delle forze dell'ordine non si può conciliare con la
vita democratica e il rispetto che si deve a tutti i cittadini della nostra
nazione".
Di Fabrizio (del 01/08/2011 @ 09:27:56, in Regole, visitato 1508 volte)
DOMU DËKK BI corso Buenos Aires, 45, 20124 Milano, Italy
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politico, di orientamento al lavoro e ai servizi sociali, siamo accreditati in
Questura e in Prefettura e al Consolato Senegalese e a quello dello Sri Lanka a
Milano, e presto anche presso gli altri consolati.
Ci occupiamo anche di orientare chi desidera costituire un'associazione per
sostenere i progetti nel proprio paese.
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dell'immigrazione.
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reperibili on-line, ma riteniamo che il colloquio vis-à-vis sia il modo
migliore per lavorare insieme alle persone che ci portano i loro probemi e ci
chiedono di risolverli, perché ogni persona ha una sua specificità da tutelare.
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CRISTINA SEBASTIANI
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+39.0240047261
Di Fabrizio (del 30/07/2011 @ 09:11:25, in Regole, visitato 2088 volte)
Reggionline.com giovedì 28 luglio 2011 - Il primo intervento alle prime
luci dell'alba a Roncocesi, seguito da molti altri blitz. Si indaga su una serie
di furti
REGGIO - Intervento dei carabinieri di Parma, questa mattina, nel campo nomadi
di via Ancini, a Roncocesi. La retata - iniziata alle prime luci dell'alba - si
è protratta per molte ore, per concludersi poco dopo le 11.
Sul posto sono arrivate almeno 3 volanti e una camionetta: i carabinieri non
hanno voluto rivelare ulteriori particolari sul tipo di intervento effettuato.
Le famiglie sono state svegliate presto, le roulotte setacciate: le forze
dell'ordine avrebbero requisito materiale, ma al momento non è dato sapere se si
tratti di armi o altro.
Guarda la
fotogallery
In un primo momento, era sembrato che i militari stessero cercando armi
all'interno del campo di via Ancini - dove vive anche il pastore della locale
comunità evangelica - ma col passare delle ore si è venuto a sapere che quello
di Roncocesi è stato solo uno dei nove interventi compiuti dai militari in
altrettanti campi nomadi tra Reggio e provincia: i carabinieri sono intervenuti
anche in due accampamenti di Modena e in uno della provincia di Milano, a Senago.
Nell'operazione, denominata "Raiders", si stanno cercando i responsabili dei
numerosi furti avvenuti tra il marzo del 2009 e il febbraio del 2011 in ville
isolate, condomini e casali di campagna nei Comuni di Parma, Neviano Degli
Arduini, Langhirano, Lesignano de' Bagni e Traversetolo.
Le indagini sui colpi, partite dai carabinieri di Neviano, nel parmense, hanno
cercato di far luce su una sequela impressionante di ruberie, avvenute tutte con
la stessa modalità: i ladri entravano nelle case per poi tagliare e vuotare le
casseforti.
Nessuno, tra le decine di persone controllate, è stato arrestato. Sono però
stati sequestrati diversi oggetti in oro, gioielli e orologi ritenuti rubati,
oltre ad alcune ricevute emesse da negozi che acquistano oro e che ora sono al
vaglio degli investigatori.
Tra gli oggetti sequestrati anche numerosi attrezzi, come flessibili, trapani
elettrici e armi da scasso; i carabinieri hanno portato via anche alcune pistole
scacciacani.
Le perquisizioni di oggi sono state eseguite con l'impiego complessivo di 140
carabinieri e l'ausilio di unità cinofile e di un elicottero: iniziate alle
prime luci dell'alba, le operazioni terminate in tarda serata.
La protesta dei nomadi
Il giorno dopo il blitz dei carabinieri, i nomadi contestano alle forze
dell'ordine i modi del loro intervento. Lo ha riportato "La Gazzetta di Reggio".
A parlare, per loro, è Vladimiro Torre, sinto e presidente dell'associazione
Them Romanò: "Non si può fare di tutta l'erba un fascio. Non siamo ladri: siamo
contro la droga e contro la delinquenza - ha detto Torre - Penso che sia giusto
che chi sbaglia paghi, ma non è corretto spaventare i nostri bambini e le donne
arrivando alle 5 del mattino e buttando tutti fuori dalle nostre roulotte".
Torre, in contatto con diverse realtà del Comune di Reggio, racconta della
voglia di integrazione della comunità: "Io penso che sia giusto fare controlli,
giusto fermare chi non si comporta bene, ma non è possibile che si arrivi
all'alba in un luogo dove vivono tanti bambini e tante donne - continua - Ci
hanno sequestrato le cassette degli attrezzi, i trapani che usiamo per la
manutenzione delle roulotte e penso che questo non sia corretto. Noi vogliamo
integrarci. L'ho detto tante volte al sindaco Graziano Delrio e all'assessore
Matteo Sassi che non vogliamo più essere discriminati, accusati di essere quello
che non siamo. Eppure nonostante tanti sforzi, non cambia niente".
Un mediatore culturale, secondo Torre, potrebbe aiutare il processo di
integrazione: "Ho proposto più volte di nominarne uno - conclude - ma non sono
mai stato ascoltato".
Daniele Paletta
Di Fabrizio (del 11/07/2011 @ 09:38:05, in Regole, visitato 1171 volte)
Da
Roma_Francais (i link sono in francese)
Montpellier journal Le Vendredi 24 juin 2011 à 11:11
Un giovane Rom rumeno di 19 anni di fronte ai disfunzionamenti della
giustizia
Accusato di aver colpito la gamba un poliziotto con una pala, Jiji è in
detenzione provvisoria dal 25 maggio, anche se non ha smesso di proclamarsi
innocente. Si accumulano le anomalie poliziarie e giudiziarie dopo la
movimentata evacuazione di un terreno della SERM il 29 marzo a Montpellier
L'inchiesta del Montpellier journal è stata difficile.
"Sull'identificazione dell'autore del colpo, le versioni delle differenti fonti
di polizia divergono", scrivevamo il 19 aprile dopo la ferita alla testa di
un poliziotto il 29 marzo, durante il
movimentato sgombero di un campo di Rom rumeni installato su un terreno
della SERM a Garosud. Un altro dei quattro poliziotti sarebbe stato leggermente
ferito da un colpo di pala alla gamba, che non comporterebbe alcuna
incapacità totale al lavoro.
Incensurato
Verso la metà di maggio, Jiji, uno dei presunti autori delle violenze, viene
interrogato dalla polizia. Deve sostenere una comparizione immediata il 16
maggio per "violenza aggravata", ma l'udienza viene rinviata al 20
giugno. In questo intervallo, viene posto in detenzione provvisoria. Lunedì,
quando si è presentato al tribunale correzionale, questo giovane di 19 anni,
senza precedenti penali, era dunque alla sesta settimana di detenzione. Rischia
sette anni di prigione.
Dalla sintesi del presidente del tribunale, sembra che Jiji non sia accusato dai
poliziotti di aver portato il colpo alla testa, ma solamente quello alla gamba.
Inoltre, solo la presunta vittima accusa Jiji. Gli altri tre dichiarano
semplicemente che Jiji era presente e che aveva una pala. Due di loro aggiungono
che era "minaccioso". Jiji, da parte sua, aveva dichiarato durante la
prima audizione che era presente e di avere una pala. Oggi, dice che non era
presente in quanto viveva in un altro campo che non c'entrava niente con quello
sgomberato quel giorno. Ha sempre negato di aver colpito il poliziotto.
"Il dettaglio risolutivo"
Inoltre, secondo lil signor Benyoucef, avvocato di Jiji, la presunta vittima del
colpo di pala ha dichiarato durante la sua prima audizione: "Posso dirvi che
chi mi ha aggredito - chi mi ha aggredito - parla un buon francese."
Qualche settimana dopo, Jiji si fa interrogare e, sottolinea l'avvocato, "è
necessario rinviare la notifica dei suoi diritti, perché incapace di comprendere
e parlare il francese." E conclude: "E' il dettaglio
risolutivo".
Cioè: Jiji non può essere l'aggressore.
A chi credere? Al poliziotto o a Jiji? Dovremmo attribuire importanza alle
dichiarazioni di diverse persone presenti che hanno dichiarato ai membri del
Collettivo di sostegno ai Rom di Montpellier, cheper alcuni i poliziotti erano
"molto aggressivi" e "ben bevuti"? O a quelle di chi [...]
ha dichiarato che quella sera i poliziotti avevano "un comportamento
bizzarro"? (audizione riportata da Benyoucef)
Risultati dell'analisi del DNA non pervenuto al tribunale
Meraviglia inoltre la capacità dei poliziotti ad identificare Jiji tra diverse
centinaia di foto. In effetti, erano le 21.00 al momento dei fatti, dunque era
notte, erano presenti una ventina di persone e visibilmente regnava una certa
confusione. Il rapporto delle analisi sulle impronte ed il DNA sulla pala e
sulla rotula (si sospetta che la pala sia stata usata anche per il colpo alla
testa) potrebbe fornire indicazioni. Problema: lunedì il rapporto del
laboratorio Biomnis non era ancora giunto in tribunale. Da parte di Biomnis,
incaricata ad inizio aprile si disse al Montpellier journal che "il
caso non era stato segnalato come urgente" dagli inquirenti, ma che il
rapporto era pronto e doveva essere inviato al più tardi la prossima settimana.
Altro problema: Jiji è accusato di concorso in violenza o è il solo sospettato
ad essere stato arrestato.
Il procuratore ha dovuto riconoscere che il caso era stato condotto male e ha
tentato di giustificarlo con un cattivo passaggio di consegne tra il personale
di turno nel fine settimana e chi ha ripreso il dossier. Da parte sua Benyoucef
ha commentato: "Si è commesso un errore per la fretta. Si rinvii il dossier
all'istruttoria, ma occorre smettere di giocare con la libertà delle persone,
anche quando sono Rom." Il tribunale l'ha seguita nella prima parte e la
procedura è ripartita da zero: messa sottoaccusa di Jiji da parte di u
procuratore e presentazione davanti ad un giudice. Problema: se il rapporto del
laboratorio dovrà pur arrivare alla fine, l'arresto dei tre altri sospetti
potrebbe richiedere tempo. Durante il quale Jiji dovrà rimanere in carcere.
"E' fantastico, non importa cosa!"
Dopo l'udienza, spiega Benyoucef: "Avrebbe dovuto esserci un'apertura
d'informazione immediata. Quando si presenta in questo modo un presunto
colpevole, dev'essere pronto un dossier. A prescindere! Siamo talmente sommersi
di lavoro a livello d'accusa, siamo talmente soggetti a circolari che dicono:
"Bisogna perseguire, bisogna giudicare, bisogna condannare," che non ci si fa
più attenzione. C'è una volontà repressiva che inquina il dibattito. Siamo ad un
anno da una scadenza elettorale, siamo nella religione dei numeri: ci vorranno
7-8 mesi per fornire i dati dello spettro politico. Bisogna essere stakanovisti
dell'arresto,del giudizio breve, della condanna e dell'esecuzione della pena."
Occorre lo stesso ricordare che le accuse si basano sulle dichiarazioni di
quattro poliziotti, di cui uno solo, la vittima, afferma di essere stato colpito
da Jiji. Che quindi l'inchiesta viene condotta da poliziotti colleghi dei
quattro in questione. Commenta Benyoucef a tal proposito: "L'inchiesta
avrebbe dovuto essere assegnata alla gendarmeria." Infine va ricordato che
non è stato effettuato alcun alcoltest sui poliziotti. Quindi non possiamo
sapere se le accuse mosse da alcuni testimoni della scena siano accurate o meno.
Lamenti della madre di Jiji
Il caso è proseguito mercoledì, dato che il giudice doveva stabilire se
mantenere Jiji in detenzione o meno. Malgrado un certificato d'alloggio e la
proposta di firma quotidiana al commissariato, il giudice Philippe Treille ha
deciso di non liberare Jiji per due ragioni: "evitare una collusione tra
l'indagato ed i suoi (presunti) co-autori o complici" e "garantire
il mantenimento delle persone coinvolte alla giustizia". L'assoggettamento a
sorveglianza giudiziaria o agli arresti domiciliari non permetterebbe, secondo
il giudice, di raggiungere questi obiettivi. Diversi minuti dopo l'annuncio
della decisione, il pianto della madre di Jiji e la parole di rabbia di suo
padre, presenti in aula durante tutto il lunedì pomeriggio, risuonavano ancora
nel palazzo di giustizia.
Durante l'udienza, aveva dichiarato Benyoucef: "Non si può prendere in giro
la situazione. Sapete che è Rumeno. Abbiamo messo in carcere un Rumeno, come
volete che sia problematico? La libertà degli altri non è mai problematica. La
presunzione d'innocenza degli altri non è mai problematica. [...] Niente vale
fino al giorno che qualcosa vale la pena. Ma quel giorno, non ci sarà più
nessuno a rispondere, perché il sistema è fatto così. E' il tesoro pubblico che
emette un assegno il giorno che si rende conto di non potere affrontare il
problema."
"Il prefetto ha dato istruzioni improprie"
Infine, Benyoucef ricorda al Montpellier journal come, secondo lui, si è
arrivati a quel punto: "Il prefetto [Claude Baland] ha dato istruzioni
improprie ai servizi di polizia, perché tutta la giornata [29 marzo] ha
attaccato verbalmente queste persone. Se si è venuto a creare un tale stato dei
tensione, credo che sia dovuto a quello che ha subito quella gente durante il
giorno." (per ulteriori dettagli, leggere:
L'expulsion de Roms roumains d'un terrain
de la Serm se termine mal)
Coincidenza, giovedì mattina apprendiamo che
Georges Tron
era stato incriminato per "stupro e violenza sessuale in un incontro".Crimini
passibili con 20 anni di recluzione. L'ex segretario di stato nega le accuse
contro di lui. E' stato lasciato in libertà sotto controllo giudiziario. Gli è
proibito entrare in contatto con le presunte vittime e i testimoni. Una delle
due ricorrenti a dichiarato a
RTL: "Si fosse trattato del macellaio della porta accanto, sarebbe in
prigione. Oggi, lui è libero. Ci sono pressioni e minacce. Bisogna viverle. Ci
si aspetta che la giustizia sia battuta per aspettare a mettere queste persone
in prigione?"
Di Fabrizio (del 08/07/2011 @ 09:45:33, in Regole, visitato 1460 volte)
Affaritaliani.it Mercoledì 06.07.2011 10:16 - di Fabio Carosi
"A Roma è allarme rosso per la criminalità ma invece di affrontare il problema
chiamando imprese e commercio intorno ad un tavolo, questa politica spreca
risorse facendo la guerra a rom e puttane. E così fanno il gioco del crimine
organizzato che spinge perché il problema sicurezza sia circoscritto a giovani e
alcool".
Vincenzo Ciconte, docente di Storia delle criminalità organizzata a Roma
Tre, ex consulente della Commissione Antimafia e primo tra gli scrittori ad
occuparsi del fenomeno della Ndrangheta, sceglie Affaritaliani.it per analizzare
la serie di avvertimenti, omicidi e sequestri di proprietà riconducibili al
crimine organizzato, che hanno segnato le ultime settimane romane. Tanto da far
gridare ieri al sindaco Alemanno che Roma è un Far West e a porre il problema
sicurezza al ministro Roberto Maroni.
L'analisi di Ciconte è lucida e spietata. "Intanto omicidi e ferimenti non sono
legati ad un unico filo – dice – perché il ritorno alla città delle pistole è un
modo delle bande per accreditarsi sul territorio. Per mostrare la loro potenza
usano metodi plateali e non rinunciano a sparare e uccidere in pieno giorno.
Diversa invece è l'infiltrazione del crimine spa nel tessuto commerciale.
Ndranghetisti e camorristi hanno bisogno di lavorare nel silenzio per riciclare
e non vogliono che si scriva sui giornali, che si racconti cosa accade.
L'elemento comune denominatore è che siamo in una città aperta alle
scorribande".
Professore, eppure il problema sicurezza è stato al centro delle politiche
degli ultimi anni. A leggere la sua analisi sembra di essere di fronte ad un
fallimento. O No?
"Roma non è una città sicura e questo è palese. Solo che l'omicidio della
signora Reggiani è stata indicata come colpa del centrosinistra, mente quello
che è accaduto ieri in Prati non sembra avere colpevoli. Ma il vero nodo è
politico".
Ma la sua analisi tecnica non è troppo ispirata alla politica?
"Esatto la mia è un'analisi politica dei fenomeni ma non partitica. Il
sindaco ha vinto una campagna elettorale sulla sicurezza e dopo un po' ha fatto
correre le forze dell'ordine per reprimere lavavetri, prostitute, rom e ragazzi
che si drogano e bevono per manifestare il disagio sociale. Il risultato è che
se si combattono così non si garantisce la sicurezza della città e i fatti lo
dicono, smentendo questa politica. Perdonatemi, ma non penso si possa affrontare
il tema della movida e di ciò che genera con gli arresti. Contro il disagio
sociale ci vuole un'offerta diversa, un modo di vivere la città che non sia solo
aggregazione di massa intorno ad un bicchiere".
Sta forse dicendo che le ordinanze sulla sicurezza hanno distolto le forze
dell'ordine dalla vera emergenza?
"Dico solo che queste politiche concentrano Carabinieri, Polizia e guardia
di Finanza intorno alle risse".
E il resto, le bande, il crimine che acquista bar storici per riciclare cosa
fanno?
"Sono gli stessi mafiosi che spingono sull'allarme sicurezza sociale, perché
questo li mette al riparo dal clamore. E non si può minimizzare come è stato
fatto in questi anni da parte di tutta la classe dirigente politica, l'errore è
stato di non comprendere che si sono chiusi gli occhi".
Dunque, errore politico?
"Sì perché per correr dietro a finte emergenze sociali si è perso di vista
ciò che succedeva nel tessuto economico: l'economia romana è sotto aggressione
da parte della criminalità, basti pensare alla droga, all'usura, all'attacco
alle proprietà per riciclare i fiumi di denaro illegale e al gioco d'azzardo. Il
sequestro di ville, barche e bar storici è solo l'inizio di un lungo percorso e
se si continuerà a scavare si troveranno molte altre proprietà".
Che può fare la politica di fronte a questo fenomeno?
"Intanto piantarla con la pia illusione che basta spostare due prostitute e
vietare l'alcool alla sera per costruire una città sicura. Occorre chiamare i
commercianti e le imprese intorno ad un tavolo, lavorare sull'usura e
controllare municipio per municipio come avvengono i passaggi di proprietà di
immobili e locali e capire se questi fenomeni sono normali compravendite oppure
azioni di riciclaggio".
Così descritta Roma sembra una succursale della Calabria ndranghetista. Non è
esagerato?
"No, perché Roma non è ancora come Milano e la Lombardia dove esiste un
rapporto politica criminalità. Da noi episodi che coinvolgono consiglieri
regionali e sindaci sono ancora periferici come a Fondi e in Ciociaria. Ma se
nel giro di 2 anni avvengono significativi passaggi di proprietà nel cuore più
ricco della città e in un momento di crisi, vuol dire che qualcosa sta
succedendo. Ecco, Roma e il suo tessuto economico sono sotto attacco".
Di Fabrizio (del 25/06/2011 @ 09:56:16, in Regole, visitato 1770 volte)
L'Espresso di Fabrizio Gatti
I moduli dati a vigili e agenti per indicare il gruppo etnico delle
persone identificate. Un censimento occulto. E vietato (20 giugno 2011)
Schedature dei cittadini in base al gruppo etnico. A Milano non se ne aveva
notizia dalla caduta del fascismo. Basta invece sfogliare alcune schede
personali, compilate dai vigili urbani durante l'era del sindaco Letizia
Moratti, per scoprire che la pratica è stata adottata per anni. E
probabilmente è ancora in corso. Il gruppo etnico di appartenenza è uno dei
campi da riempire nel modulo di identificazione. Per gli italiani, viene scritta
la formula generica: "Europeo mediterraneo". Soltanto per i rom, nomadi o
stanziali che siano, italiani o stranieri, viene precisata l'appartenenza. Sulle
schede appare appunto la scritta "rom". Fatta così è sicuramente una
discriminazione: i rom non sono cittadini europei? Ovviamente sì. Allora perché
rimarcare l'etnia di appartenenza soltanto per loro?
Ma c'è di più. Gli uffici della vigilanza urbana, ora promossa al rango di
polizia locale, avrebbero sbagliato numerose schede. I funzionari milanesi,
comprensibilmente confusi su geografia e antropologia, avrebbero schedato come
rom numerosi cittadini romeni che rom non sono. Il risultato è prima di tutto
statistico. Si tratta di solito delle schede sulle persone indagate o arrestate
con l'accusa di avere commesso reati. Così la minoranza rom si ritrova
ingiustamente accusata di crimini che non ha mai compiuto. Non solo a Milano, ma
a livello nazionale. Le schede vengono infatti consegnate al gabinetto di
Polizia scientifica della questura. E da lì, i dati sono inseriti nel casellario
centrale d'identità, potente archivio del dipartimento di Pubblica sicurezza del
ministero dell'Interno. Nessuno è in grado di calcolare quante siano le persone
coinvolte nell'errore.
La responsabilità della schedatura non è soltanto dei vigili urbani di Milano.
Le voci che appaiono sul modulo prestampato sarebbero state decise dal ministero
dell'Interno e sono identiche per tutte le questure d'Italia. Gli stessi moduli
vengono distribuiti anche ai comandi della polizia locale che hanno allestito un
laboratorio per il fotosegnalamento. E' l'operazione in cui alla persona da
arrestare o semplicemente da identificare viene scattata la fotografia di fronte
e di lato. E vengono prese le impronte digitali e i dati personali. La voce
"gruppo etnico" compare almeno dal 2008. "I moduli distribuiti alle questure e
alla polizia locale sono gli stessi", spiega un funzionario del ministero, "il
campo "gruppo etnico" è compreso tra le caratteristiche antropologiche. Ma la
sua compilazione non è obbligatoria, né consente la ricerca automatica nel
databe del casellario. Non posso cioè digitare al terminale un gruppo etnico e
avere l'elenco di tutti gli appartenenti. Gli uffici di fotosegnalamento della
polizia di Stato lasciano di solito il campo libero: il gruppo etnico viene
specificato soltanto se si è di fronte a una persona senza documenti, che non è
in grado di dare notizie sulla propria identità o nazionalità. Ma non sappiamo
quali disposizioni siano state date dai comandi di polizia locale".
Le polizie locali insomma decidono da sé. E' l'effetto della secessione della
sicurezza, tanto cara all'attuale ministro dell'Interno, Roberto Maroni, e alla
Lega Nord. Ecco alcuni casi, tra quelli scoperti da "l'Espresso". Vasile C., 25
anni, e Ioan N., 49, vengono arrestati per ricettazione. E registrati nel
casellario dalla polizia locale di Milano secondo i normali criteri: cognome,
nome, padre, madre, sesso, data di nascita, stato civile, luogo di nascita,
provincia, Stato di nascita, residenza, comune, provincia, cittadinanza,
professione, motivo del segnalamento, impronte digitali, impronte palmari e
fotografie del volto. Non basta questo alla precisione dell'identificazione? No,
i vigili compilano anche il campo "gruppo etnico": rom.
"L'Espresso" ha rintracciato gli agenti che hanno fatto le indagini, ma non il
fotosegnalamento: "Erano romeni, non rom", spiegano. Tre mesi dopo vengono
arrestati i presunti capi della banda, cinque italiani. Uno è nato a Como, due a
Gravedona e Valsolda in provincia di Como, due a Melito Porto Salvo, Reggio
Calabria. E quale può essere il gruppo etnico dei cinque? Lombardo insubrico per
i comaschi? Grecanico-ionico per gli altri due? I vigili scrivono semplicemente:
"Europeo mediterraneo", una classificazione generica che comprende milioni di
cittadini da Gibilterra a Istanbul.
Di Carlo Berini tratto dalla newsletter n. 19 di Articolo 3
Secondo l'UNHCR, le
domande di asilo presentate in Italia nel 2008 sono state 30.324, e i
principali paesi di origine dei richiedenti asilo sono stati, nell'ordine,
la Nigeria con 5.333 domande, la Somalia con 4.473 domande, l'Eritrea con
2.739 domande, l'Afghanistan con 2.500 domande e la Costa d'Avorio con 1.844
domande.
Il numero complessivo dei rifugiati riconosciuti residenti in Italia è
indicato dall'UNHCR come pari, a giugno 2009, a circa 47.000 persone.
A titolo di confronto, può evidenziarsi che i rifugiati accolti in Germania
sono circa 580.000, quelli accolti nel Regno Unito 290.000, mentre quelli
ospitati nei Paesi Bassi ed in Francia sono, rispettivamente, 80.000 e
16.000
(it.wikipedia.org/wiki/Diritto_di_asilo)
A fronte dei numeri dobbiamo certo interrogarci su quanto la nostra
legislazione riesca a recepire in maniera adeguata le richieste d'asilo, ma
anche le richieste per lo status di rifugiato. In questo breve intervento, però,
vorrei limitarmi a sollevare una questione poco affrontata in Italia, ovvero il
diritto d'asilo per quei Cittadini di Paesi terzi che appartengono alla
minoranza linguistica rom.
In Italia sono presenti dal '400 sinti e rom italiani, a cui per altro lo
Stato italiano non ha ancora riconosciuto lo status di appartenenti ad una
minoranza storica linguistica (articolo 6 della Costituzione e legge 482/99), ma
sono anche presenti rom immigrati dalla ex Yugoslavia e rom immigrati dalla
Romania. Sui numeri delle presenze effettive c'è molta confusione, ma
incrociando le stime dell'Istituto
di Cultura Sinta e i dati del Ministero dell'Interno, la presenza di queste
minoranze è molto esigua. Unendo i dati riferiti sia ai sinti e rom italiani che
ai rom immigrati non superiamo le centomila persone.
L'immigrazione più consistente di rom in Italia si è vista negli anni Novanta
ed è essenzialmente dovuta a due fattori: la dissoluzione della ex Yugoslavia e
la caduta del comunismo in Romania.
La dissoluzione della ex Yugoslavia (compresa la guerra in Kosovo nei due
momenti, 1996 e 1999) è presente in tutti noi per gli orrori che ha provocato e
per il diretto coinvolgimento dell'Italia nel secondo periodo. In quegli anni i
rom vengono risucchiati nella voragine della guerra e della violenza ma, non
avendo né ambizioni nazionalistiche né rivendicazioni territoriali, sono
schiacciati tra le diverse fazioni in guerra. Il risultato evidente, anche per
chi è stato poco attento a quanto è avvenuto, è che oggi non esiste uno Stato
nazionale rom.
Per queste ragioni le famiglie rom che sono scappate, principalmente dai
territori della Bosnia-Erzegovina e dai territori del Kosovo, lo hanno fatto
perché le loro case sono state distrutte o occupate da famiglie appartenenti ad
altre minoranze, perché erano perseguitate, perché rischiavano di essere
sterminate.
Mentre altri Paesi europei si sono attivati per un pronto sistema di
accoglienza, con il riconoscimento del diritto d'asilo, in Italia ciò non è
successo: ad un primo rilascio dei permessi di soggiorno umanitari non è seguita
nessuna altra azione, tant'è che oggi ci sono intere famiglie che non hanno
nessun documento. Inoltre, al contrario di quanto fatto per gli altri profughi,
queste famiglie sono state costrette a vivere nei cosiddetti 'campi nomadi' (sia
regolari che irregolari, come ad esempio il Casilino 900 di Roma chiuso un anno
fa), un'invenzione legislativa tutta italiana che non ha eguali in Europa (per
la Lombardia si veda la legge 77/89).
I pochi rom profughi dalla ex Yugoslavia che hanno ottenuto il diritto d'asilo
lo hanno ottenuto dopo aver intrapreso un percorso giudiziario come è successo a
R. A., nata a Sarajevo, che nel 2005 ottiene dal tribunale di Roma il
riconoscimento del diritto d'asilo.1
Per quanto riguarda in particolare i rom profughi dal Kosovo, il Ministero
dell'Interno nel 1999/2000 stimava l'arrivo di circa 5.000 persone: la maggior
parte ha ricevuto la protezione umanitaria temporanea, pochissimi hanno avuto il
riconoscimento del diritto d'asilo e quasi nessuno lo status di rifugiato,
secondo quanto stabilito dalla Convenzione di Ginevra.
Nel tempo molte famiglie provenienti dalla ex Yugoslavia, soprattutto in Toscana
e in Piemonte, sono riuscite ad ottenere permessi di soggiorno permanenti, ma in
alcune Regioni, come la Lombardia e il Lazio, la situazione è ancora irrisolta
con conseguenze prevedibili. E' però da segnalare l'iniziativa del Comune di
Roma, che negli ultimi mesi ha iniziato, a partire dagli ex abitanti di Casilino
900, un processo di regolarizzazione per molte famiglie. Diversa è la situazione
a Milano, dove la passata Amministrazione comunale aveva di fatto dichiarato
guerra ai rom. L'allora Vice Sindaco di Milano, Riccardo De Corato, aveva
dichiarato: "Queste sono persone di pelle scura, non europee come voi e me", ha
poi aggiunto: "Il nostro obiettivo finale è quello di avere zero campi nomadi a
Milano".2
La situazione milanese vede per altro coinvolti soprattutto i rom immigrati
dalla Romania. Le migrazioni più consistenti si hanno nel periodo compreso tra
il 1990 e il 1997 e nel 2002. Le due immigrazioni hanno avuto motivazioni
diverse. La prima per sfuggire ai pogrom, la seconda per motivi economici,
facilitata dalla possibilità di entrare in Italia senza il bisogno del visto.
Nel 2007 con l'entrata della Romania nell'Unione europea gli arrivi in Italia
sono insignificanti.
Le esplosioni di violenza razzista nei confronti delle comunità rom sono
ampiamente documentate da diversi organismi internazionali; esemplare in questo
senso, e ormai tristemente famosa, è la sommossa di Hadareni, avvenuta nel 1993,
durante la quale tre rom furono torturati e uccisi, 19 case bruciate e 5
distrutte.3 Eppure, se prendiamo il periodo compreso tra il
1990 e il 2002, non troviamo nessuna persona appartenente alla minoranza rom, di
fatto profuga dalla Romania, che abbia ricevuto una qualsiasi protezione da
parte dell'Italia.
La situazione che ho illustrato è stata fotografata alcune settimane fa anche
dal Rapporto della Commissione per i diritti umani del Senato.4
Questa breve riflessione vuole porre un problema che è ben presente sul
nostro Paese, ma che quasi nessuno sta affrontando, con conseguenze drammatiche
per famiglie intere che dopo essere sfuggite dai loro Paesi si ritrovano nel
nostro, l'Italia, che ancora oggi non applica le convenzione internazionali che
ha sottoscritto.
1
http://www.giuristidemocratici.it/post/20050429052522/post_html
2
http://www.giornalettismo.com/archives/87829/giro-vite-rom-italia-riflette/
3
http://www.comune.torino.it/intercultura/s3.asp?p0=44&p1=APPROFONDIMENTI&p2=Documenti&p3=Minoranze
4
http://www.senato.it/documenti/repository/commissioni/dirittiumani16/RAPPORTO
ROM .pdf
Di Fabrizio (del 03/06/2011 @ 09:16:45, in Regole, visitato 1629 volte)
Da
RomSinti@Politica
Cassazione: Illegittimo il rigetto dell’istanza di revoca della detenzione
cautelare se le motivazioni rimandano a pregiudizi e stereotipi relativi al
gruppo etnico Rom di appartenenza dell’imputato
Resa nota la decisione della Cassazione n. 17696/2010 in merito alla nota
vicenda della minore Rom accusata di aver sottratto una neonata a Ponticelli
(Na).
Per ragioni di opportunità, il collegio di difesa ha reso noto soltanto oggi
la decisione della Corte di Cassazione, V. sez. penale, n. 17696/2010 depositata
il 7 maggio 2010, con la quale era stata annullata la decisione del Tribunale
per i Minorenni di Napoli di respingere l'istanza di scarcerazione di A.V., la
quindicenne Rom accusata di avere rapito una neonata a Ponticelli (NA) nel
maggio 2008, avvenimento che scatenò la devastazione dei campi rom di
Ponticelli. La minorenne Rom era stata condannata in primo grado alla pena
detentiva di anni 3 e 8 mesi, sentenza poi confermata in appello. E' tuttora
pendente il ricorso in Cassazione.
La decisione del Tribunale per i Minorenni di Napoli aveva suscitato perplessità
e sconcerto presso il collegio di difesa dell'accusata, nonché presso
organizzazioni di tutela dei diritti dei Rom, per il ricorso da parte del
collegio giudicante ad affermazioni che rimandavano - piuttosto che a
valutazioni sulla pericolosità sociale della singola imputata - a pregiudizi e
stereotipi di matrice etnico- razziali nei confronti della popolazione Rom in
generale.
Nel rigettare l'istanza di scarcerazione, infatti, il collegio giudicante aveva
ritenuto che continuavano a sussistere i presupposti per la custodia cautelare
derivanti dal pericolo di fuga e di recidiva in conseguenza del fatto che
"l'appellante (sarebbe) pienamente inserita negli schemi tipici della cultura
rom" per cui "sia il collocamento in comunità che la permanenza in casa
risultano, infatti, misure inadeguate anche in considerazione della citata
adesione agli schemi di vita Rom, che per comune esperienza determinano nei loro
aderenti il mancato rispetto delle regole".
L'esame della situazione personale dell'interessata viene così filtrata
attraverso la sua adesione a schemi di vita tipicizzati del popolo cui essa
appartiene, che sarebbero caratterizzati in generale e tout court dal mancato
rispetto delle regole.
A detta del collegio di difesa, sembrava dunque configurarsi nel giudizio della
Corte un pericoloso principio per cui la mera appartenenza al gruppo etnico rom
renderebbe di per sé inconciliabile l'applicazione delle misure cautelari a
prescindere da una seria valutazione su basi personali ed individuali, mediante
invece l'utilizzo di una "categorizzazione" o "profilo etnico".
La Corte di Cassazione ha accolto i rilievi della difesa sostenendo che "non
è legittimo, in quanto riconducibile ad una visione per stereotipi (mal celatasi
dietro ad un generico richiamo alla "comune esperienza") marcata da pregiudizi
di tipo razziale, il riferimento agli schemi culturali dell'etnia di
appartenenza".
La vicenda presa in esame dalla Cassazione richiama una recente giurisprudenza
maturata in seno alla Corte europea dei diritti dell'uomo, nel caso Paraskeva
Todorova c. Bulgaria (CEDU, sentenza dd. 25 marzo 2010, caso n. 37193/07).
Qui, una corte bulgara, nel condannare l'imputata di origine etniche Rom, aveva
espressamente respinto la raccomandazione del pubblico ministero per
l'applicazione della pena condizionale, dichiarando che una cultura di impunità
era imperante entro la minoranza etnica Rom, così sottintendendo che la sentenza
doveva fungere da esempio per l'intera medesima comunità. La Corte di Strasburgo
ha quindi concluso che le autorità giudiziarie bulgare avevano violato il
principio del processo giusto (art. 6 CEDU), in relazione a quello di non
discriminazione (art. 14 CEDU).
Si ringrazia per la segnalazione l'avv. Cristian Valle, del Foro di Napoli.
Di Fabrizio (del 26/05/2011 @ 09:41:00, in Regole, visitato 1628 volte)
Milano 25/5/2011 -I giudici sono stati i primi obiettivi della campagna
elettorale delle destre a Milano, i cittadini stranieri, come prevedibile, sono
invece l'obiettivo del secondo turno.
In particolare i cittadini Rom sembrano avere un posto d'onore nella
campagna elettorale del Sindaco uscente: la città è stata tappezzata di
manifesti dove si paventa il rischio che Milano diventi una "zingaropoli".
Anche i cittadini italiani e stranieri di fede musulmana non sono comunque
stati dimenticati e il Presidente del Consiglio ha dichiarato che Milano
potrebbe diventare una "zingaropoli islamica" con la più grande moschea
d'Europa.
"Di fronte al contenuto altamente discriminatorio dei manifesti e delle
dichiarazioni di questi giorni nei confronti dei Rom, una minoranza protetta ex
lege e dei cittadini italiani e stranieri di fede musulmana, abbiamo presentato
stamani, ai sensi del D.Lgs. 215/2003 e del D.Lgs. 286/1998, un ricorso al
Tribunale Civile di Milano contro la Lega Nord e il Popolo della Libertà"
dichiara l'avv. Pietro Massarotto presidente del Naga, "Abbiamo denunciato il
linguaggio e i contenuti altamente discriminatori delle affissioni e delle
dichiarazioni, ma anche il fatto di aver utilizzato l'esistenza stessa di
cittadini stranieri e Rom come fattore di paura sociale." Prosegue il presidente
del Naga, "Proviamo a sostituire alcuni termini utilizzati nella cartellonistica
della Lega Nord con altri relativi ad altri gruppi sociali e/o minoranze:
"Milano giudeopoli con Pisapia" "Milano finocchiopoli con Pisapia" oppure "La
più grande chiesa cattolica/sinagoga d'Europa", cosa sarebbe successo? Abbiamo
pensato che fosse urgente intervenire e cercare di porre argini ad un processo
di normalizzazione della discriminazione chiedendo al giudice, con provvedimento
di urgenza, la rimozione dei manifesti e la cancellazione dai siti di queste
inaccettabili dichiarazioni", conclude Massarotto.
Augurandoci di vedere una città dove tutte le minoranze saranno accolte,
tutelate e valorizzate, come Naga continueremo a dare assistenza a chiunque e a
denunciare ogni forma di discriminazione.
Info: naga@naga.it - 349 16 03 305 – 02
58 10 25 99
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