Blitz con sagome in 16 città per la nuova campagna di sensibilizzazione
ROMA - Sagome di cartone bianche e rosse raffiguranti bambini che lanciano
accuse tremende, come "mi hanno rubato l'aria pulita", "mi hanno rubato la mensa
scolastica", "mi hanno rubato una casa tutta mia", "mi hanno rubato il futuro",
posizionate in punti strategici dei centri storici: con questa azione
"aggressiva" è partita in 16 città italiane la campagna di Save the Children
"Allarme infanzia", che vuole accendere i riflettori sulla condizione dei minori
in Italia.
Secondo un rapporto dell'organizzazione, infatti, siamo agli ultimi posti in
Europa - peggio solo Grecia e Bulgaria - per "povertà di futuro" di bambini e
adolescenti, deprivati di opportunità, prospettive e competenze. In un dossier
lanciato oggi in concomitanza con l'inizio della campagna, dal titolo "L'Isola
che non sarà", Save the Children denuncia che il nostro Paese è sette volte in
fondo alla lista nell'Ue a 27 sui principali indicatori relativi all'infanzia.
Quattro le principali "ruberie" ai danni di bambini e adolescenti: il taglio dei
fondi per minori e famiglia, la mancanza di risorse per una vita dignitosa, il
basso livello di istruzione e il lavoro. L'Italia è al 18mo posto per la spesa
per l'infanzia e la famiglia, pari all'1% del pil. Quasi il 29% di bambini sotto
i 6 anni vive ai limiti della povertà, tanto che il nostro paese è al 21mo posto
in Ue per rischio povertà ed esclusione sociale fra i minori di età 0-6 anni e
il 23,7% vive in stato di deprivazione materiale. Ancora, il nostro Paese è al
22mo posto per quanto riguarda il basso livello d'istruzione, per dispersione
scolastica ed è all'ultimo posto per tasso di laureati.
Quanto al lavoro, i giovani disoccupati sono il 38,4% degli under 25, il quarto
peggior risultato a livello europeo, mentre i neet (giovani che non lavorano e
non sono in formazione) sono 3 milioni e 200.000 e posizionano l'Italia al
25esimo posto su 27. Save the Children ha voluto anche sondare le paure per il
futuro dei ragazzi e dei genitori, in una nuova indagine realizzata da Ipsos,
che attesta come il 25% degli adolescenti ritenga che il proprio futuro sarà più
difficile rispetto a quello dei genitori e che un ragazzo su 4 (il 23%) pensa di
andare all'estero per assicurarsi un'opportunità e l'80% dichiara di aver fatto
delle rinunce a causa della crisi. Preoccupante è il dato sull'aumento delle
disuguaglianze per l'accesso all'università: il 30% dei genitori non ce la fa a
pagare la retta dei figli. Per il 41% di madri e padri gli aiuti economici
diretti alle famiglia dovrebbero essere la più urgente misura anti-crisi del
governo. Solo il 16% dei genitori pensa che i figli riusciranno a realizzare i
loro sogni e ad avere una vita migliore della propria.
"Il generale impoverimento delle giovani generazioni - commenta il direttore
generale di Save the Children Italia, Valerio neri - va in parallelo con una
colpevole e annosa disattenzione nei loro confronti, che si sta traducendo in
una gravissima privazione di prospettive e, in una parola, di futuro. Cancellare
il futuro di bambini e ragazzi significa compromettere il futuro dell'intero
Paese". L'organizzazione chiede dunque un piano specifico di contrasto alla
povertà minorile, un piano d'investimento a favore dell'istruzione pubblica e un
nuovo piano per l'utilizzo dei fondi europei.
L'allarme di Save the Children è stato subito raccolto dal Garante per
l'infanzia e l'adolescenza, Vincenzo Spadafora, che si augura che "la paura di
cui parla Save the Children, e che personalmente confermo dal mio punto di vista
di istituzione che si occupa dei diritti dei minori, possa finalmente servire da
stimolo a tutti noi per intraprendere quanto prima decisioni utili a interventi
urgenti e strutturati in favore delle politiche per i minori e i giovani. Il
loro diritto a una vita piena di speranza deve essere un nostro dovere".
E anche il sottosegretario all'Istruzione, Marco Rossi-Doria, prende impegni
concreti: "possiamo cominciare dalla scuola - dice - estendendo le azioni messe
in campo contro la dispersione scolastica, aumentando il tempo scuola e le
occasioni di socialità positiva nelle aree difficili. Porterò avanti questo
impegno come sottosegretario all'Istruzione".
Da piccola Anina viveva in clandestinita'. Oggi e' una giovane donna che e'
riuscita, grazie a chi ha creduto in lei, ma soprattutto per il suo impegno, a
cambiare la sua vita, trasformandola in un viaggio incredibile: da quando era
mendicante per i marciapiedi di Lione ad essere finalmente ammessa alla
prestigiosa Universita' della Sorbona.
All'eta' di sette anni, con la sua famiglia, Anina era arrivata in Francia dalla
Romania e non parlava una parola di francese. Ha vissuto nei campi Rom, ha
conosciuto l'esclusione, la discriminazione, il doversi nascondere e chiedere
l'elemosina per le strade per riuscire a sopravvivere. Ma il suo destino e'
cambiato quando un insegnante, vedendola accattonare nelle strade di
Bourg-en-Bresse, le ha porto una mano, e le ha offerto la possibilita' di
frequentare una scuola.
Rifiutata inizialmente dai suoi compagni di classe per le sue origini, ha
reagito attaccandosi ancor piu' allo studio. Lo ha fatto per una questione di
orgoglio, per non soccombere, per dimostrare di non essere inferiore a nessuno,
per non deludere chi aveva creduto in lei. E' cosi' che si e' gettata anima e
corpo sui libri, e questo l'ha portata a raggiungere traguardi che altri, meno
motivati, a volte non riescono a raggiungere neppure durante i consueti anni di
scuola, nonostante tutti gli impedimenti, culturali e linguistici che ha dovuto
superare. Perche' in modo intelligente Anina ha subito capito che lo studio,
piu' di qualsiasi altra cosa, l'avrebbe potuta aiutare a ritagliarsi uno spazio
tutto suo, d'indipendenza e di dignita', dove non sarebbe stata piu' disprezzata
per cio' che era. Ed e' quello che ha fatto.
Oggi, a 23 anni, la sua storia viene raccontata in un'autobiografia, “Je suis
tzigane et je le reste”, scritta in collaborazione con il giornalista di RTL
Frédéric Veille. Oggi, finalmente, da brillante studentessa Anina puo'
riscattarsi, e mitigare la vergogna di essere Rom che i suoi genitori le avevano
trasmesso. Oggi, tutto quello che ha fatto per riappropriarsi della dignita' che
le era stata negata a causa della sua etnia, sta dando i suoi frutti. Nel mese
di settembre, infatti, Anina e' stata ammessa alla Sorbona e studiera' per
diventare magistrato: il suo sogno fin da quando era bambina. Perche' come
afferma lei stessa nel libro: "Il giudice e' il portavoce del diritto, e della
giustizia".
Questa storia di una persona semplice, povera, umile, partita svantaggiata in
tutto, che non ha trovato l'aiuto dei soldi, o dei favori politici, o le strade
preferenziali che vengono offerte solo a chi appartiene a una famiglia potente,
e' ancor piu' emblematica e significativa di tante altre, perche' dimostra che
solo noi stessi, con l'impegno, la volonta' e l'intelligenza, possiamo
riscattare la nostra condizione, e migliorarla. Ed e' per questo che Anina
dovrebbe essere indicata come un esempio per tutte le giovani ragazze Rom, e non
solo.
Di Fabrizio (del 27/04/2013 @ 09:07:16, in scuola, visitato 1962 volte)
A singhiozzo
Un caso di alto profilo in tribunale, genitori arrabbiati davanti alla
porta della scuola e sforzi, calmi e persistenti, che raccontano la storia
dell'integrazione dei Rom nell'istruzione croata.
Story and photos
by
Barbara Matejcic, a freelance journalist in Zagreb
-
27 marzo 2013
MEDJIMURJE COUNTY, Croazia | Tre anni dopo una sentenza a proposito
dell'appena iniziata integrazione scolastica, uno dei protagonisti di successo,
ora giovane uomo, dice che i Rom vanno meglio a scuola. Ma la sua fatica
nell'esprimersi in croato la dice lunga sulla scarsa istruzione disponibile a
molti Rom in uno stato in procinto di entrare nell'Unione Europea.
La Croazia iniziò a cercare l'integrazione scolastica, ben prima che il caso
Orsus e altri vs. Croazia arrivasse alla Corte Europea sui Diritti Umani nel
2003. I lenti progressi in quegli sforzi - e gli ostacoli che si opposero
all'accettazione della piccola minoranza romanì - vennero sottolineati l'autunno
scorso, quando i Croati gridavano slogan razzisti tentando di impedire ai dei
giovani rom di frequentare il prescuola nella regione di Medjimurje.
la scuola primaria Drzimurec-Strelec.
Dejan Orsus, uno dei 14 querelanti nel caso che prende il suo nome, si iscrisse
alla prima a Macinec, villaggio nella regione settentrionale di Medjimurje, nel
1999. In questa parte della Croazia, la maggior parte dei Rom vive in
insediamenti separati alla periferia dei villaggi a maggioranza croata, e a casa
parlano romanés. Dejan non parlava croato quando iniziò ad andare a scuola. Fu
messo in una scuola di soli alunni romanì, e lì rimase finché non lasciò la
scuola, nel 2006 quando aveva 15 anni, dopo aver completato la terza classe.
Dieci anni fa, quando Dejan andava ancora a scuola, il suo caso venne
sottoposto al tribunale dei diritti umani di Strasburgo, dopo che i ricorrenti
avevano perso a tutti i livelli del sistema giudiziario croato. Il 16 marzo
2010, il tribunale decise che la pratica di sistemare i Rom in classi separate,
equivaleva a discriminazione etnica.
Gli imputati - quattro scuole elementari, il ministero dell'istruzione, e la
regione di Medjimurje - sostenevano che la separazione degli alunni romanì era
giustificata a causa della loro scarsa conoscenza del croato, come stabilito da
perizie prima dell'iscrizione. Ma alcuni dei ricorrenti lamentavano di aver
passato l'intera vita scolastica in classi separate e che la loro competenza
linguistica non era stata testata regolarmente per determinare se potessero
essere inseriti in classi normali.
Quando ho incontrato Orsus a Parag, il più grande insediamento romanì in
Croazia, teneva in braccio un bambino. Ora ha 21 anni e dice che sta
frequentando il sesto grado in una scuola comunitaria - istituzione dove molti
adulti, soprattutto romanì. ricevono dal governo 210 euro al mese per continuare
la loro istruzione elementare, purché frequentino con regolarità. Gli ho chiesto
se fosse migliorato qualcosa nella scuola, a tre anni dalla sentenza del
tribunale. Mi ha guardato, incerto sull'aver compreso bene la domanda, così l'ho
ripetuta. Dejan ha annuito, dicendo: "Meglio, va meglio."
Si possono fare solo stime approssimative sul tasso di promozione degli
studenti romanì nella scuola primaria e secondaria, a causa dell'incertezza sul
numero reale dei Rom in Croazia e del fatto che il ministero dell'istruzione ha
iniziato a monitorare il rendimento scolastico dei Rom solo nel 2005. Nella
regione di Medjimurje, che ospita più Rom di qualsiasi altra regione croata,
sembra che pochi di loro vadano alle superiori o oltre. Di 1.589 scolari che
frequentano le scuole primarie della regione, dal primo all'ottavo grado,
soltanto 92 hanno raggiunto l'ottavo grado. Secondo il dipartimento regionale
per l'istruzione, la cultura e lo sport, solo 123 Rom frequentano le superiori.
Ogni anno si diplomano alle superiori circa 20 Rom.
L'elementare dr. Ivan Novak di Macinec, accusata a suo tempo di segregazione
scolastica, è frequentata da 465 bambini, 110 dei quali di etnia croata. I
bambini rom si concentrano nelle classi inferiori, sono i sette ottavi dei
primini, mentre i croati superano i Rom di cinque a uno nell'ottavo grado.
Bozena Dogsa
Quelle cifre mostrano non solo che la maggior parte dei Rom non riescono a
completare la scuola dell'obbligo, ma anche che il rapporto tra Rom e Croati
nelle scuole locali sta cambiando. La direttrice Bozena Dogsa, da 20 anni nel
mondo della scuola, dice che quando iniziò ad insegnare in loco solo un terzo
degli alunni era Rom, rispetto ai tre quarti di oggi.
Mentre in Croazia declina il tasso di natalità complessivo, quello tra i Rom
è aumentato negli ultimi 20 anni, cosa che molti pensano dipenda dalle politiche
governative negli anni '90, con be3nefici sociali ai genitori per arrestare il
declino della popolazione.
A differenza del censimento 2011 che contava 16.975 Rom - lo 0,4% della
popolazione - valutazioni più realiste stimano i Rom in 30.000, di cui forse
6.000 nella regione di Medjimurje. Classi di soli Rom esistono ancora a Macinec,
ed in altre scuole distrettuali di aree con molti Rom. Ci sono ancora bambini
che passano l'intero ciclo della loro istruzione, senza aver condiviso la
presenza di un Croato in classe, insegnante escluso. Non è necessariamente un
segno di deliberata segregazione,insistono alcuni educatori locali.
"Non abbiamo nessuna classe segregata. Come possono essere segregati i
bambini rom in una scuola dove sono la maggioranza? Non possiamo formare classi
per evitare la creazione di classi per soli rom. Chi integreremo con loro se non
ci sono bambini croati?" si chiede Dogsa. Puntualizza che gli insegnanti
passano i giorni prima dell'apertura della scuola a discutere sulle conseguenze
della composizione annuale delle classi, tenendo a mente il livello accademico
dei bambini, le amicizie, il rapporto tra bambini e bambine e altri fattori.
Dice: "Abbiamo 25 bambini rom in seconda e solo otto croati. Per noi
educatori non sarebbe accettabile separare quei quattro studenti in classi
differenti, dato che sono amici e vogliono rimanere assieme. Non penso che
dovremmo attenerci alle formalità solo per mostrare al mondo che stiamo facendo
un buon lavoro."
Ufficiosamente, gli insegnanti a Medjimurje ammettono che i bambini croati
sono tipicamente assegnati a classi con alunni romanì più capaci e, come dicono
spesso, "più civili", per essere3 sicuri che in un posto simile apprendano
meglio. Un insegnante nella scuola elementare di Kursanec, a predominanza Rom e
che fu anche tra quelle accusate nel caso Orsus, dice che i bambini nelle classi
di soli rom non si lamentano di essere segregati, perché in classi simili gli
standard sono più bassi. Gli alunni possono cavarsela con meno sforzo, al costo
di imparare meno. Anche dopo diversi anni di scuola, alcuni hanno scarse
capacità di lettura e scrittura, dice l'insegnante, che ci ha parlato a
condizione di non rivelare il suo nome. Aggiunge che per loro sarebbe più
efficace imparare a leggere e scrivere in romanes, cosa che li aiuterebbe a
cogliere più facilmente il concetto di apprendimento linguistico.
Dice l'insegnante, che tre anni fa i Croati per una settimana boicottarono
la scuola, dopo che vennero introdotte le cassi miste. Negli ultimi dieci anni
c'erano già state altre
proteste contro le scuole integrate. All'inizio dell'anno scolastico
2012-13, i residenti del vicino villaggio di Gornji Hrascan rifiutarono di
lasciare che un gruppo di giovani rom iniziasse il pre-scuola nella scuola del
villaggio che era composta da quasi solo Croati, sostenendo che non si potevano
accogliere nuovi alunni. Dopo uno stallo durato due giorni, i Croati cedettero
ed i Rom poterono da allora frequentare la scuola.
Le scuole materne sono state tra le maggiori beneficiarie degli schemi di
integrazione nei tre anni seguenti la decisione sul caso Orsus.. Anche se la
sentenza non obbligava la Croazia a prendere provvedimenti verso le scuole
segregate, il governo ha introdotto due nuovi programmi per dare ai Rom un
appoggio prima di iniziare la scuola primaria e per aiutarli una volta che la
frequentino.
Scuole materne per bambini che non abbiano fluidità nel croato operano oggi
nell'arco di tutto l'anno scolastico, invece che per soli tre mesi come in
precedenza. Molti genitori rom hanno afferrato questa opportunità per i loro
ragazzi, di trascorrere cinque ore al giorno a scuola, con trasporto verso e
dalla scuola e due pasti al giorno, tutto pagato dallo stato. Gli incaricati
della scuola di Gornji Hrascan dicono che il 90% dei bambini in età prescolare
ora frequentano, nonostante gli sforzi dei Croati all'inizio dell'anno
d'impedire l'ingresso ai Rom nella "loro" scuola.
Mantenendo aperti gli asili più a lungo durante tutto l'anno, gli educatori
sperano di inculcare l'abitudine alla frequenza scolastica nei più giovani e di
dare a chi parla romanes un vantaggio nell'imparare il croato, e ritengono che
il programma stia già dando risultati. Dogsa dice che soltanto un allievo nella
sua scuola è stata bocciata in prima, a fronte di una media di cinque prima
dell'apertura delle scuole materne.
Dogsa e altri presidi nell'area sostengono che il prossimo passo sarà di
rendere obbligatoria per tre anni la scuola materna, per rafforzare
ulteriormente i benefici della prima scolarità.
L'altra misura di integrazione ispirata dal caso Orsus è il programma di
doposcuola nelle elementari. Programmi simili esistono in molte scuole, qui a Medjimurje
lo scopo principale è di aiutare gli studenti rom con lezioni di lingua croata.
La scuola
Drzimurec-Strelec nel villaggio di Drzimurec partecipa al programma di
doposcuola, ma sinora sono inclusi soltanto i primini, causa la mancanza di
fondi, dice il direttore Djurdja Horvat. C'è ragione per credere che il
programma possa fare la differenza: con un simile progetto pilota tre anni fa
erano coinvolti gli studenti di quinta, nove dei 15 Rom che vi parteciparono
completarono tutti gli otto gradi della scuola primaria, aggiunge Horvat. Prima,
un solo studente rom all'anno completava il ciclo di studi. Aprire questo
programma a più allievi, come estendere la materna a tre anni, potrebbe
migliorare significativamente le prestazioni accademiche dei bambini rom, dice.
Comunque stiano le cose, la sua scuola sta cercando un metodo proprio. Dice:
"Quest'anno abbiamo circa 30 primini, la metà dei quali si trattiene. Quanti
partecipano difficilmente falliscono, perché acquisiscono fondamenta più solide.
Così ha provato di essere un buon metodo."
Radovan Balog, a capo del consiglio del villaggio di Parag, ha quattro
bambini a scuola. Ha riflettuto sulla risposta del suo vicino Dejan Orsus
riguardo la domanda su cosa sia cambiato dopo la sentenza della Corte Europea
dei Diritti Umani.
Dice: "Va meglio di prima, soprattutto perché quasi tutti i bambini ora vanno
alle materne."
"E poi, le scuole stanno coinvolgendo sempre più i genitori nell'istruzione
dei figli. Tuttavia, il problema è che anche quelli che si diplomano non
riescono a trovare lavoro, e questo genera la perdita di motivazione nel
continuare gli studi. La maggior parte lascia in quinta elementare o prima
media, o quando hanno 15 anni. E' l'età in cui ci si sposa e si hanno figli.
Così possono almeno avere gli assegni sociali che li aiutano a tirare avanti."
Balog dice che qui la segregazione è radicata: "Semplicemente, ci sono troppi
Rom e pochi Croati perché ci siano tutte classi miste."
L'insegnate di Kursanec ripropone un'idea nata dai movimenti per i diritti
civili negli Stati Uniti, che si è tentata di diffondere in un paio di posti in
Romania, come in altri luoghi in Europa dell'Est. Se i bambini rom venissero
portati con autobus nelle scuole a predominanza croata, a pochi chilometri di
distanza, si formerebbero classi di otto Croati e quattro Rom, così che
potrebbero imparare a ritmo più sostenuto.
Dice: "Sarebbe una spesa aggiuntiva, ma è più costoso non educare bambini che
un giorno potrebbero diventare utili membri della società, che trasformali in
casi da welfare."
Errata corrige: la scuola della regione di Medjimurje
riportata nel secondo paragrafo è una materna e non un asilo,
come da didascalia originale.
Le hanno detto che puzza ed è stupida, è finita in psichiatria
- Barbara Matejcic -
22.01.2013.
Alla fine dell'anno scolastico T.M. (14 anni) avrebbe terminato la scuola primaria e
avrebbe continuato gli studi, probabilmente in un istituto turistico dove
avrebbe ottenuto il diploma da cuoca. Questo era il suo sogno.
Invece T.M. è a casa da mesi, assume farmaci potenti, dorme molto, guarda la
televisione, ripassa poco le lezioni e tralascia lo studio. All'inizio dell'anno
scolastico, il 15 settembre, è stata ricoverata all'ospedale municipale a
Cakovec con la diagnosi di "disturbi d'ansia", così è scritto nella cartella
clinica. Due giorni prima si mostrava estremamente spaventata, dormiva male, era
ansiosa e nervosa, piangeva, non mangiava quasi nulla, aveva gli incubi e
pregava la madre di stare sempre con lei. É Stata ricoverata a Cakovec per un
peggioramento delle sue condizioni e, dopo tre giorni, è stata trasferita
all'Ospedale psichiatrico per bambini e giovani di Kukuljevicevo, a
Zagabria.
Nel reparto psichiatrico di Kukuljevicevo è stata messa su una barella, piangeva
e chiamava la madre e si lamentava delle vessazioni subite da parte dei compagni
di classe, secondo le dichiarazioni uscite dall'ospedale.
T.M. è alunna della scuola primaria Hodosan del comune di Međimursko. È l'unica
rom tra i 16 alunni della sua classe. La sua famiglia proviene dal villaggio rom
di Pribislav trasferitasi da due anni e mezzo nella cittadina di Hodosan. Suo
padre V.M. dice che se ne andarono da Pribislav a causa della povertà del
villaggio e nella speranza in un futuro migliore. A Hodosan hanno una bella casa
dove ci troviamo a parlare. Nella stanza di T.M. le pareti sono tinte di rosa
e viola con fiori applicati e le scritte "Love" e "Girl".
[] Il direttore "Non si possono educare i bambini a bastonate ne influenzarne i
genitori"
Il padre sostiene che abbia avuto problemi nella scuola di Hodosan dopo il
passaggio in 6a. Sedeva da sola in ultima fila, gli altri bambini la chiamavano
"zingara", le dicevano che puzza e che è stupida, non volevano stare in sua
compagnia, non volevano nemmeno prenderle la palla dalle mani durante l'ora di
educazione fisica e lei spesso tornava a casa piangendo.
Nonostante ciò era brava a scuola, ha frequentato i corsi supplementari ed ha
superato la 6a e la 7a classe con successo. Il padre ha detto di essersi recato
alla scuola una trentina di volte per segnalare il comportamento degli studenti
ma il preside gli ha risposto che "non si possono educare i bambini col bastone
ne influenzarne i genitori". Nel giugno 2012, durante un'assemblea di classe, il
padre della ragazza ha pregato i genitori degli altri alunni di parlare ai
propri figli. Chiese aiuto al centro per l'aiuto sociale dicendo che avrebbe
tolto la figlia dalla scuola a causa dei pericoli per la sua salute mentale, gli
è stato risposto che avrebbe dovuto pagare una multa per l'abbandono scolastico.
All'inizio di quest'anno scolastico T.M. è crollata e da allora, sotto
consiglio medico, ha smesso di frequentare le lezioni.
Durante un'intervista telefonica l'insegnante Zeljka Tot ha detto "i bambini
sono bambini" ma ha affermato di non aver mai sentito parlare di maltrattamenti.
T.M. è stata descritta come una bambina coscienziosa e solitaria che studia
molto. Non ha mai dato problemi agli insegnanti. Ha aggiunto che non
socializzava con gli altri bambini. Il padre dice che, da quando ha smesso di
andare a scuola, nessuno ha mai chiamato per sapere come stava, ne gli studenti
ne gli insegnanti. L'insegnante ha confermato dandone la causa ai genitori che
non avrebbero saputo motivarne l'assenza.
Il direttore Ivan Baric ha detto a sua volta che si tratta di "una scuola
piccola, pacifica ed esemplare" e che non ci sarebbe niente di cui lamentarsi in
T. M., ma che le accuse del padre non sono vere. Ha confermato che il padre
fosse venuto a scuola ma solo "due o tre volte" e di certo non più di dieci.
"Non abbiamo notato nulla di quello che ha affermato, ma non possiamo sapere
esattamente cosa sia successo. Sappiamo molto sulla popolazione rom e spesso
costringono le bambine a ritirarsi dalla scuola primaria per farle sposare
precocemente " afferma il direttore Baric.
Però il padre insiste sull'importanza di continuare l'educazione della figlia e
intende trasferirla in un'altra scuola, a Kraljevec. "I medici hanno detto che è
ora sta meglio e che può tornare a scuola, ma non voglio più mandarla in quella
vecchia. Speriamo bene, altrimenti non riuscirà a finire l'ottava classe e a
continuare gli studi" ci ha detto lunedì 21 gennaio.
L'ispezione del Ministero non ha contattato i genitori
Nel frattempo, la scuola di Hodosan è stata oggetto di un'ispezione da parte del
Ministero della Scienza, dell'Istruzione e dello Sport, che ha rilevato che ne
gli insegnanti ne gli studenti avevano violato il codice etico di condotta degli
studenti e che i genitori, che avevano accusato la scuola di discriminazione,
non avrebbero specificato quando e in che modo fosse avvenuta, come indicato
nella lettera che hanno mandato dal Ministero.
Ma il padre di T. M. dice che nessuno li ha contattati in questi mesi, ne dal
Ministero ne dalla scuola, per cui si può concludere che l'ispezione del
Ministero non ha considerato le dichiarazioni di entrambe le parti e che la
conclusione è stata fatta solo sulla base di ciò che è stato detto a scuola.
Inoltre, la lettera del Ministero non menziona nemmeno le misure che potrebbero
essere adottate per reinserire la studentessa in classe e per farle terminare la
scuola primaria. Come è invece la raccomandazione del medico dell'ospedale
psichiatrico "si chiede la partecipazione della scuola e l'aiuto del personale
docente nel lavorare per migliorare le relazioni della ragazza coi compagni."
Lucia Kuharic, avvocato del Centro di Studi per la Pace al quale il padre ha
chiesto aiuto, ha detto che in tali situazioni la scuola, in base alla legge
antidiscriminazione, debba essere segnalata col ragionevole sospetto di
discriminazione presso il mediatore o ombudsman speciali previo consenso della
persona ritenuta oggetto di discriminazione. Inoltre, dice, la scuola dovrebbe
prendere alcune misure per fermare la condotta violenta nei confronti di un
bambino, condurre immediatamente un colloquio col vittima di violenza in
presenza di uno staff di scuola professionale, fornire ai genitori il
riferimento per ottenere un aiuto professionale il più presto possibile,
condurre un colloquio con il bambino o i bambini che hanno commesso violenza
mostrando loro l'inaccettabilità di tale comportamento così come ai loro
genitori e riportare tutto ciò all'interno di un rapporto ufficiale.
La scuola, dice l'avvocato, non ha fornito le prove di aver agito secondo le
regole ed il padre di T.M. è pronto a citare in giudizio la scuola per
discriminazione.
L'istruzione, elemento centrale nel progresso del popolo rom
E' notorio per tutti l'importanza fondamentale che ricopre l'istruzione, nello
sviluppo della persona e delle popolazioni.
C'è un ampio consenso tra professionisti e rappresentanti delle diverse comunità
rom, quanto all'importanza fondamentale dell'istruzione rispetto alla crescita
sociale. Allo stesso modo, c'è consenso nell'evidenziare le difficoltà
incontrate per abbordare in modo efficace le situazioni maggiormente
problematiche in questo campo.
"Se dai un pesce a un uomo affamato, lo nutri una giornata. Se gli insegni a
pescare, lo nutrirai per tutta la vita". (Lao-tsé)
Nel caso delle comunità gitane, si continua a constatare un certo disavanzo. L'abandono
prematuro del sistema scolastico, nello specifico durante la transizione tra la
scuola primaria e secondaria, gli alti indici di assenteismo, il limitato
accesso ai nidi e alla scuola materna, o la percentuale bassa di promossi verso
i livelli medi e superiori, sono motivi di preoccupazione per tutti gli
operatori implicati.
Un approccio della situazione della popolazione gitana Navarra, in relazione al
sistema dell'istruzione, rileva l'esistenza di diverse situazioni:
Situazioni di accesso normalizzato al sistema scolare tra i 3 e 16 anni, che
si riscontra in un gruppo che incomincia il suo percorso dal prescolare e
termina la scuola dell'obbligo, benché tuttavia con scarsi casi di promozione ai
livelli superiori.
Situazioni di inserimento nel sistema scolastico, che presentano però problemi
riguardo all'assistenza regolare e la continuità nell'ultima fase
dell'insegnamento dell'obbligo.
Situazioni di gravi esclusioni dal sistema scolare, come la descolarizzazione
di minori durante il percorso relativo alla scuola dell'obbligo (6-16 anni),
l'assenteismo protratto, l'irregolarità nell'assistenza e l'abandono precoce
senza giungere fino alla tappa delle classi secondarie.
La mancanza di accesso ai nidi e alla scuola materna (0-6 anni), comporta
importanti effetti di svantaggio rispetto agli alunni che si sono inseriti già
durante questa tappa. Nonostante l'accesso dei bambini e bambine gitani a questi
livelli si stia incrementando, non può però essere considerata una tendenza
maggioritaria né durante il ciclo pre-scolare (0-3 anni), né tantomeno nel ciclo
della materna (3-6 anni).
"La grandiosità dell'imparare qualcosa, sta nel fatto che nessuno può
togliercelo". (B.B King)
Uno degli obiettivi del
Piano di Assistenza Globale alla Popolazione Rom di
Navarra è quello di aumentare le competenze del corpo insegnante, e
dell'insieme degli operatori che agiscono nell'ambito educativo, con lo scopo di
migliorare l'efficacia degli interventi riguardo agli alunni rom.
Uno dei mezzi contemplati dal Plan è quello di introdurre e diffondere in aula
diverse risorse, mirando a una particolare attenzione nei confronti della
diversità.
Il ministero dell'educazione adatterà e svilupperà insieme all'alunno rom
alcuni sistemi validi che abbiano ottenuto risultati positivi nelle aule
(materiale interculturale, pedagogico ecc ...).
Il ministero dell'educazione includerà nella sua offerta formativa, una
formazione specifica del corpo insegnante in merito alla cultura gitana,
adattamento curriculare e particolare attenzione nei confronti della diversità.
Si realizzeranno azioni di sensibilizzazione insieme alle famiglie rom, con lo
scopo di stimolare la loro implicazione nello sviluppo dell'istruzione dei
propri figli(e)
Si svilupperanno attività scolastica dei genitori, con lo scopo di stimolare
la partecipazione degli stessi alle attività dei vari centri e APYMAS
(associazioni di padri e madri).
"Insegnare ai bambini a contare è buono, però insegnar loro quello che realmente
conta è ancora meglio" (Bob Talbert)
"IO VADO A SCUOLA"/"K-I SKÒLA 3AV"/"ESKOLARA NOA", è una campagna di
sensibilizzazione che pretende di contribuire a ridurre le disugualianze
educative esistenti tra la comunità rom e il resto della società, ciò per mezzo
di questo documentario.
Questo documentario riflette testimonianze di bambini e bambine, adolescenti,
giovani, donne e uomini adulti, ognuno protagonista della propria campagna di
sensibilizzazione. In queste testimonianze loro esprimono le loro opinioni e il
loro vissuto rispetto all'istruzione formale.
Il suo formato audiovisivo e di breve durata permette di farlo giungere a
tutta la popolazione.
Apporta esempi, opinioni, riflessioni, che ci aiuteranno a lavorare su questo
tema.
E' stato progettato ed elaborato dalla comunità rom.
Solo colui che sa è libero, è maggiormente libero colui che sa di più...
Solo la cultura dona libertà...
Non proclamare la libertà di volare, piuttosto dona delle ali; né quella di
pensare, piuttosto dona pensieri.
La liberà dei popoli è la cultura.
(Miguel de Unamuno)
Di Fabrizio (del 22/03/2013 @ 09:01:10, in scuola, visitato 1738 volte)
Crescono sempre più i nati in Italia. I bimbi rom sempre più esclusi
dal sistema scolastico. 15 marzo 2013 -
Presentato il rapporto "Alunni con cittadinanza non italiana.
Approfondimenti e analisi. A.s. 2011/2012" elaborato dal Ministero
dell'istruzione e dalla Fondazione Ismu.
Sono 415 le scuole italiane nelle quali la presenza degli alunni stranieri
raggiunge o supera il 50% e se si considerano le sole scuole dell'infanzia otto
bambini stranieri su dieci sono nati in Italia.
Lo evidenzia il rapporto Alunni con cittadinanza non italiana. Approfondimenti e
analisi. A.s. 2011/2012 elaborato dal Ministero dell'istruzione, dell'università
e della ricerca (Miur) e dalla Fondazione Ismu. Nell'anno scolastico 2011/2012,
gli alunni stranieri nati in Italia sono 334.284 e rappresentano il 44,2% sul
totale degli alunni con cittadinanza non italiana. Cinque anni fa erano meno di
200mila, il 34,7%. Nelle scuole dell'infanzia i bambini stranieri nati in Italia
sono l'80,4%, più di otto su dieci, ma in alcune regioni la percentuale è ancora
più alta e supera l'87% in Veneto e l'85% nelle Marche, sfiora l'84% in
Lombardia e l'83% in Emilia Romagna. Mentre non raggiunge il 50% nel Molise e lo
supera di poco in Calabria, Campania e Basilicata. Negli ultimi cinque anni gli
studenti stranieri nati in Italia sono cresciuti del 60% nelle scuole
dell'infanzia (dove hanno raggiunto le 126mila unità, a partire dalle 79mila del
2007/2008) e nelle primarie (145mila), mentre sono più che raddoppiati nelle
secondarie di primo grado (46mila) e di secondo grado (17mila).
Secondo il rapporto del Miur e dalla Fondazione Ismu in totale le scuole in cui
la presenza di alunni stranieri non è inferiore a quella degli italiani sono 415
(corrispondenti allo 0,7% delle scuole), 10 in più dell'anno scolastico
precedente. Due terzi delle province italiane hanno almeno una scuola con un
numero di alunni stranieri non inferiore al 50%. Le scuole dell'infanzia con
almeno il 50% degli alunni stranieri sono 233. Le province con il maggior numero
di scuole con almeno il 50% di alunni stranieri sono Milano (55), Torino (34),
Brescia (32).
Gli alunni con cittadinanza rumena si confermano, per il sesto anno consecutivo,
il gruppo nazionale più numeroso nelle scuole italiane (141.050 presenze),
seguono gli albanesi (102.719) e i marocchini (95.912). Tra le crescite annue
più rilevanti si registrano quelle degli alunni moldavi (+ 12,3%) nei diversi
livelli scolastici, e ucraini (+ 11,7%) nelle primarie e filippini nelle
secondarie di primo grado (+8,5%) e di secondo grado (+11,2%).
La Lombardia si conferma la prima regione per il maggior numero di alunni con
cittadinanza non italiana (184.592). Seguono il Veneto, (89.367), e l'Emilia
Romagna con (86.944), il Lazio (72.632) e il Piemonte (72.053). Quanto agli
alunni rom, sinti e caminanti diminuiscono gli iscritti. Sono 11.899 nell'anno
scolastico 2011/2012, il numero più basso degli ultimi cinque anni, in
diminuzione del 3,9% rispetto al 2010/2011. Significativo il calo di iscritti
nelle scuole superiori di secondo grado (con una variazione del -26% dal
2007/2008 al 2011/2012) scesi a sole 134 unità di cui 10 in tutto il Nord Ovest.
Si osserva un calo degli iscritti nella scuola primaria, -5,7% rispetto ai
cinque anni precedenti, nelle scuole dell'infanzia, -5,8%, mentre risulta
leggermente in crescita il numero di iscritti nelle scuole secondarie di primo
grado. Un fortissimo calo di iscrizioni si registra già nel passaggio dalla
scuola primaria alla scuola secondaria di primo grado, solo la metà degli alunni
rom prosegue gli studi pur essendo nella fascia dell'obbligo di istruzione.
Nadia, giovane rom, non vuole saperne dei libri... Appunti e riflessioni di uno
storico "maestro di strada".
Lunedì pomeriggio mi trovavo a Cosenza nel Circolo di via Popilia mentre erano
in corso le ultime attività del "doposcuola" frequentato da molti bambini dei
campi Rom. C'è anche Pamela (nome di fantasia, molto diffuso in quella
comunità), madre di Nadia (altro nome di fantasia) che in prima media ha smesso
di andare a scuola prima di dicembre e ora sembra, insieme alla madre, essere
ritornata sui suoi passi. Per sommi capi conosco la sua storia e c'è qualcosa
che non torna nel racconto che mi è stato fatto; quasi distrattamente, ma con
intento provocatorio le dico:
"Perché Nadia non vuole andare a scuola, è lei che non vuole mandarcela!".
Pamela non si scompone:
"Ma no, è lei che da sempre la scuola non gli entra in testa".
"Allora significa che il suo errore è cominciato da molti anni!".
Ancora non si scompone:
"Già alla scuola materna non voleva andare".
"Se è per questo anche mio figlio non voleva andarci, alla fine ha vinto lui,
però poi alla scuola elementare c'è andato. So che anche sua figlia c'è andata".
"Sì ma sempre senza voglia, non l'ha mai accettata".
Interloquisce Franca:
"Ma no! Fino alla quinta andava tutto bene, poi in quinta è successo qualcosa
che non so ed è cambiata".
"Allora, - insisto - è lei che non vuole mandarla, e cosa fa tutto il giorno?".
"Si alza tardi, verso le nove e mezza, poi passa il tempo così. Devo dire che
nei lavori di casa è coscienziosa, li fa volentieri".
Nel frattempo vedo sgusciare all'esterno una ragazzina che intuisco essere lei:
è alta, slanciata, capelli lunghi sciolti, una figura che per quel poco che ho
visto mi sembra di portamento elegante.
Finalmente Pamela reagisce:
"Io ho fatto fino alla prima elementare, poi ho abbandonato. Vorrei che lei
facesse la scuola perché solo le scuole danno il pensare" e si tocca la fronte
con le dita della mano riunite: il gesto che indica il pensare. "Ma lei con la
scuola proprio non si trova".
Poi ripete interrogativamente: "Perché solo la scuola dà il pensare".
Franca ripete che è successo qualcosa in quinta. Io invece resto senza parole; è
la prima volta che sento riassunto in una sola frase ciò che faticosamente, da
anni cerco di ripetere a tanti miei colleghi e compagni di lotta per
l'educazione: la scuola serve innanzitutto a se stessi, a costruirsi gli
strumenti di pensiero. E questa scena non mi esce di mente e continuo a pormi
delle domande, la prima delle quali vi giro: perché Pamela insiste a voler
retrodatare il disimpegno scolastico della figlia, nonostante evidenti prove
contrarie? E lo chiedo perché in migliaia di incontri avuti con i genitori di
allievi "difficili" è una affermazione piuttosto frequente.
La seconda domanda è cosa è successo in quinta, ma soprattutto - mi capita
spesso di fare questa domanda durante incontri formativi con docenti ed
educatori - perché vi interessa tanto il saperlo, perché abbiamo un bisogno
direi ossessivo di sapere "cosa c'è dietro"; non possiamo limitarci a vedere
Nadia come è oggi, a immaginare una figura elegante, mentre invece forse è
sguaiata; a immaginarla silenziosa e discreta quando invece, magari, urla al
disopra di tutte le compagne. Se vogliamo incontrare l'allievo dobbiamo avere
innanzitutto uno sguardo contemplativo, uno sguardo non analitico, che non si
separa da ciò che guarda, che si confonde in esso così come facevano i mistici
nei confronti di Dio: un'assenza di pensiero, uno stato fusionale. Senza questa
contemplazione iniziale ogni altra conoscenza sarà raccolta come dato che
inchioda la persona ai propri parametri oggettivi, ossia ad uno stereotipo
costruito con i paludamenti della scienza che non è scienza e non è neppure
conoscenza personale: è una costruzione mentale artificiosa che deve creare
l'illusione del controllo su una realtà che ci sfugge e ci inquieta.
La terza domanda è cosa significa "alleanza educativa" nel caso di Pamela. Io
credo che la frase: "solo la scuola dà il pensare" è il nucleo di una possibile
alleanza, è il punto in cui Pamela ha espresso un suo sogno. Forse appena cinque
minuti dopo avrà fatto qualcosa per smentire questo nobile proposito. Forse farà
molte cose per smentirsi. Ma il senso di una alleanza è proprio quello di
custodire in due una buona intenzione e di potersi appellare a quella intenzione
condivisa, il poter ricordare l'uno all'altro il comune intento. Alleanza
significa che da quel punto può cominciare una narrazione condivisa.
Quando parlo di queste cose vedo che spesso non ci si capisce, molti dicono che
l'alleanza c'è, ma poi non sanno esemplificare, è più implicita che esplicita,
non è stata formalizzata, non c'è stato un rito officiante. Perché un'alleanza
che non sia sufficientemente condivisa dalle parti non è un'alleanza, ma una
dichiarazione unilaterale che trasforma l'asimmetria di una relazione in una
struttura di potere. E quindi insisto che l'alleanza deve avere dei riti
appropriati, una enunciazione davanti ai testimoni giusti, una scrittura, un
simbolo che ce ne faccia ricordare. Dobbiamo potere in ogni momento ricordare a
noi educatori e ai nostri interlocutori quella parte buona di sé che
nell'alleanza si è impegnata.
La quarta domanda è cos'è che impedisce all'istituzione scuola un dialogo umano
con Pamela? Perché nei confronti di Pamela o c'è il disinteresse o si attiva una
catena persecutoria che le contesterà - come ho fatto io provocatoriamente - di
essere una madre sciagurata, di violare i diritti dei bambini, di eludere le
leggi dello Stato e quant'altro. Cos'è che impedisce alle tante donne che di
mestiere fanno le docenti e le educatrici di empatizzare con questa donna, di
capire che non è all'altezza dei suoi sogni perché è sopraffatta dai bisogni,
perché la sua mente non è libera, perché nessuno le riconosce il pensare -
neppure lei stessa - ed il nostro compito non è inchiodarla al suo piatto
realismo, ma sostenerla con i mezzi del pensiero e della riflessione a
migliorare se stessa. Ecco cosa potrebbe significare fare un lavoro educativo
con i genitori degli allievi 'che la scuola non gli è mai piaciuta'.
Di Fabrizio (del 26/02/2013 @ 09:00:40, in scuola, visitato 1736 volte)
Disegnatore di moda aiuta il progetto
Romsky' Mentor
Prague, 9.2.2013 20:32, (ROMEA)
Jana Baudyshovà, translated by Gwendolyn Albert
2013: Il progetto Romsky' Mentor si svolge nel centro comunitario di Pràdelna
a Praga 5 per il secondo anno di fila
Il centro comunitario di Pràdelna in via Holechkova a Praga 5 sta ospitando il
Romsky'
Mentor per il secondo anno di fila. Il processo d'integrazione porta lo stesso
nome ed ancora una volta ha la collaborazione di successo del disegnatore di
moda Pavel Berky.
Si gela, ma la "casetta", come i bambini chiamano il centro, è pieno di
giovani voci. Poco prima delle 15.00 Pavel arriva col "suo" gruppo. Lo schermo
cinematografico nella piacevole penombra dell'attico, è riempito da sfumature
colorate anni '60: vestiti a fiori, capelli lunghi, pantaloni a zampa
d'elefante, segni della pace e il sorriso di Janis Joplin.
"Wow!" mi dico, guardando un gruppo di adolescenti che ascoltano attentamente le
storie dei loro nonni quando erano giovani. Non hanno paura di fare domande se
qualcosa li interessa e così il flusso della conversazione rotola su droga,
guerre, religione, amore libero, ed anche il lato scuro dello stile di vita
hippy.
Poi, la moda diventa la star dello show, ed inizia un vortice di misurare,
accorciare, cucire, selezionare i tessuti e intrecciare nastri nei capelli.
Quasi dimentico che sono lì col compito di scrivere sul progetto Romsky'
Mentor.
Raggiungere una cosa e capirne un'altra
Il progetto internazionale si svolge contemporaneamente con successo in
Bulgaria, Ungheria, Macedonia e Slovacchia. E' stato portato in Repubblica Ceca
dall'Open Society Foundations (OSF) e sin dal 2011 viene sviluppato da ROMEA.
"Lo scopo principale è contribuire verso l'integrazione dei bambini
svantaggiati, attuando attività ricreative nel campo delle arti e della cultura
nelle scuole," dice la coordinatrice Iva Hlavàchkovà.
Uno dei punti di contatto tra il progetto e il mondo esterno è un artista romanì
di successo: un professionista che regolarmente si incontra con un gruppo di
bambini e, assieme ad un pedagogo, ha preparato un programma per loro, in base
alla sua attenzione professionale. Come parte del programma, i bambini quindi
familiarizzano con un'attività specifica e coi suoi contesti più ampi, ma
soprattutto creano e inventano loro stessi.
Oltre a sviluppare competenze, però, i bambini imparano a lavorare in gruppo e
ottenere competenze sociali. Il modello positivo incarnato da una figura romanì
di successo, li motiv a sviluppare le loro idee sul futuro e di sforzarsi in un
percorso di carriera di successo.
Il progetto è aperto a tutti i bambini e, last but not least,
contribuisce ai bambini romanì o no ad imparare la cultura altrui. Il progetto
fa crescere la tolleranza e facilita l'integrazione scolastica.
Rivive la moda di tutto il secolo scorso
L'anno scorso il progetto Romsky'
Mentor si è focalizzato sullo spirito tradizionale del vestire romanì,
l'estetica dei suoi colori, il tipo di materiali adoperati, storia romanì,
cultura e moda indiana. Quest'anno Pavel, assieme al suo collega mentore,
l'insegnante Lenka Jiroudkovà, ha deciso di dedicare la sessione ad un viaggio
attraverso la storia della moda nel XX secolo.
Nell'accogliente attico della "casetta", grazie agli sforzi comuni, vediamo una
serie di fotografie di eleganti ragazze in attillati cappotti scuri, ombrelli
che ruotano dietro le schiene, come si fosse appena usciti dagli anni '40 o '50.
Vediamo punk hard-core con creste, hip-hopper con i pantaloni cascanti e dark
lady gotiche con cappotti che arrivano sino a terra, più neri del nero.
Col passare del pomeriggio, il centro comunitario si muta in una versione da
camera di Woodstock. Prevale tra i presenti un'atmosfera confortevole e
amichevole, mentre ci si diverte creando, godendo l'amicizia, condividendo
obiettivi comuni. Non ho dubitato per un momento - dopo tutto, di essere tra i
figli dei fiori.
Potete trovare qualcosa di più sul progetto Romsky'
Mentor sul sito di
ROMEA o su Facebook. IL progetto è totalmente finanziato da Open Society Foundation,
come parte del Programma Arti e Cultura di Budapest, e d anche parte del
Decennio Inclusione dei Rom.
Di Fabrizio (del 30/01/2013 @ 09:05:05, in scuola, visitato 1719 volte)
La scuola, bella come un camion
Par VERONIQUE SOULE' Envoyée spéciale à Vesoul - 6 janvier 2013 à 19:08
Libération
Il camion scolastico nell'area di sosta di Vesoul, all'ora di uscita dei
bambini. I corsi vanno dalla scuola materna alle superiori. (Photo
Raphael Helle)
GRAND ANGLE: Come scolarizzare meglio i bambini itineranti, francesi e
stranieri? Andando loro incontro con veicoli convertiti in aula. Visita a bordo
di un camper parcheggiato nell'area di sosta di Vesoul.
Dopo le medie, Tonia - 13 anni, voleva andare alle superiori, ma con la vita
che fa, secondo lei non sarebbe stato possibile: "Rimaniamo fermi durante
l'inverno e dopo siamo in viaggio. Verso aprile-maggio, si parte in
pellegrinaggio per
Saintes-Maries-de-la-Mer e torniamo a settembre, da ottobre siamo qui, a Vesoul,
per la vendemmia." Senza contare che "qui al mattino, noi ragazze
abbiamo da fare, e da organizzare la carovana". Allora, è difficile andare
alle superiori... Seduto ad un altro tavolino nel camper scolastico dell'area di
sosta di Vesoul (Haute-Saône), Benoist - 18 anni, si lamenta della realtà. "Avrei
voluto studiare di più, dice, perché per lavorare chiedono di saper
leggere e scrivere. E vorrei prendere la patente." Indica suo padre,
rottamaio, e gli da un buffetto: "Non mi piace il suo lavoro". A suo
fianco, Alphonse - 15 anni, ammette: "Andare a scuola tutti i giorni, no,
non mi piacerebbe". Piuttosto vorrebbe darsi all'edilizia, ma si è anche
rimesso a studiare, per corrispondenza. Come per Benoist, l'obiettivo è passare
il Certificato di Formazione Generale (CFG), un attestato di poco al di sotto
rispetto a quello delle scuole superiori.
Questa mattina sono venuti cinque ragazzi col camion scolastico, un veicolo
trasformato in aula, con disegni e tabelline appese alla parete, fermo proprio
nel mezzo dell'area di sosta a Vesoul, Alta Saona. Assieme agli insegnanti,
faranno una relazione al Centre
national d'enseignement à distance (Cned). Un secondo camion, parcheggiato
accanto, raccoglie i più piccoli. Il campo, asfaltato, con guardiola
all'ingresso, bagni chimici, acqua ed elettricità, è ben apprezzato dalla gens du voyage.
Mentre molte di queste aree sono situate ai bordi di strade trafficate, qui
siamo circondati dal verde, [il campo] in questo momento ospita una dozzina di
grandi camper colorati. Le donne girano con i bambini in braccio, mentre gli
uomini discutono seduti intorno ad un tavolo sotto il sole.
Tre circolari ed un messaggio dal ministro
La scolarizzazione degli enfants du voyage - il termine ufficiale in
Francia (1) - e dei Rom stranieri è attualmente una preoccupazione del governo.
Il 10 ottobre, la Corte dei Conti ha fornito un rapporto critico, in cui si
sottolinea che ci sono troppi bambini non scolarizzati, particolarmente nella
scuola materna e alle superiori. Nel contempo, sono state pubblicate tre
circolari. Affermano che i bambini itineranti (francesi e stranieri) hanno il
diritto di essere accolti nelle scuole, senza dover aspettare che le famiglie
riescano a procurare tutti i documenti - è il caso dei Rom che vivono in
accampamenti regolarmente sgomberati. Il 29 novembre, il ministro
all'istruzione, George Pau-Langevin, ha ripetuto il concetto durante un
colloquio a Grenoble.
L'Alta Saona e soprattutto Belfort et Montbéliard (Doubs), sono sede di
un'antica comunità di gens du voyage, arrivata lì almeno da due secoli.
Il dipartimento conta tre grandi famiglie - gli Adolphe, i Weiss
e i Winterstein, inizialmente commercianti ambulanti nelle campagne. Oggi,
secondo l'associazione franco-Saonarda Gadjé, sarebbero 6.000-8.000.
Rottamai, commercianti ambulanti, intessitori di cesti, operai edili... per
la maggior parte dell'anno vivono nelle aree di sosta - obbligatorie per i
comuni di oltre 5.000 abitanti - o su terreni familiari di proprietà. D'estate
soggiornano a Saintes-Maries-de-la-Mer
(Bouches-du-Rhône). Dopo, ritroveranno le loro famiglie sparpagliate in Francia
o all'estero, o si riuniscono in località turistiche dove è più facile trovare
dei piccoli lavori.
Le più grandi, come Tonia e Marie-Milka, fanno i compiti nel camion
scolastico. (Photo Raphaël Helle)
120 alunni iscritti al Cned
Il primo camion scuola - "antenna scolastica mobile" nel linguaggio ufficiale
- ha iniziato a circolare nel 1992, per l'insegnamento della religione
cattolica, ben supportato da queste comunità cristiane. Oggi, se ne contano una
trentina in tutto l'Esagono. Il dispositivo viene coordinato dall'accademia. Ma
gli insegnanti che lavorano nei tre camion scolastici della regione sono stati
assoldati da una scuola cattolica a contratto, e a questo titolo retribuiti
dall'Educazione Nazionale.
Lena, dinamica bruna di 35 anni e madre di tre figli, si ricorda ancora bene
di suor Marie Stili che veniva, al volante del suo camion, a fare scuola ai
bambini zigani nel campo di Roye, accantoa Lure (30 km. da Vesoul). "Era una
piccola suora, racconta. All'epoca, si diceva che faceva scuola ai selvaggi. Per
finanziare il camion-scuola, si andava a vendere dei gingilli all'uscita del
liceo. Quando si capita su brave persone così, si migliora".
Oggi, la funzione del camion scuola si è evoluta. Non si tratta più di
sostituirsi ad un edificio scolastico. L'idea è piuttosto di essere un "ponte",
un incitamento ad andare a scuola o alle superiori, spiega Cyrille Schiltz,
incaricato della missione dipartimentale ed accademica per la scolarizzazione
degli enfants du voyage.
Nella regione, la quasi totalità frequenta dalle elementari alle medie. Di
contro, vanno poco alle materne e avrebbero bisogno di sostegno in vista del
proseguimento alle superiori. Una volta lì, i tassi di abbandono prematuro sono
alti e si ritrovano senza diploma - ma anche senza brevetto o Certificato di
Attitudine Professionale - sul mercato del lavoro.
Ora, 120 enfants du voyage si sono iscritti al Cned, un servizio
gratuito per le famiglie itineranti - presentando il carnet de circulation [documento
in via di soppressione ndr] Il Cned offre contributi sino al compimento delle
elementari e corsi specifici sino ai 16 anni per i tanti che abbandonano le
superiori. I programmi sono personalizzati, o almeno si sforzano di esserlo, ad
esempio: si descrive ai ragazzi un seducente compagno Django-Reinhardt…
Quelli più in ritardo negli studi frequentano i camion dove insegnanti
specializzati spiegano nozioni di base. Una sessantina una volta alla settimana
va in un istituto per prepararsi al Certificato di Formazione Generale. A volte
si aggregano a classi "normali" per corsi di musica o informatica.
Per i più giovani, "Il nostre ruolo è convincere le loro madri a mandare i
figli alla materna, far capire loro che cosa significhi", sottolinea
Marie-Christine Savourat mentre prepara il pongo, i puzzle ed il Lego nel camion
scuola dove, per tutta la mattina, si occupa di cinque bambini tra i 2 e i 4
anni. Insegnante dal 1984, ogni due anni "si ricicla". "Ho realizzato un
sogno, dice. Nelle mie classi, spesso ho avuto a che fare con gli
enfants du voyage. E vedevo che abbandonavano la scuola senza sapere leggere e
scrivere. L'istruzione è un diritto per tutti. Perché dovrebbero essere esclusi?
Questo camion ci permette progressi favolosi".
All'elementare Jean-Macé de Lure, dove frequentano una dozzina di enfants du voyage,
le insegnanti sottolineano che per prima cosa occorre rassicurare i genitori. "All'iscrizione,
sottolinea una di loro, vogliono sapere se le porte saranno chiuse bene, se
i bambini saranno lasciati da soli, chi può andare a prenderli. Nella loro
cultura, la madre che lascia i suoi bambini a degli estranei è una cattiva madre".
Sul terreno della famiglia di Adolphe a Roye, Daisy circondata dai suoi. (Photo
Raphaël Helle)
Bambini "più autonomi degli altri"
Molti in casa parlano il manouche, ma imparano anche il francese.
Dunque la lingua non è una barriera. Gli enfants du voyage sono "più
autonomi e più collaborativi degli altri", sottolineano gli
insegnanti, ma sono anche più assenti. "All'inizio i genitori ci chiedono se
conosciamo la cultura zigana, se non ci arrabbieremo se loro partono, se ci
piacciono i manouches." Quando chiediamo ai genitori sulle loro esperienze
scolastiche, in breve tornano a galla i cattivi ricordi - insulti durante la
ricreazione, finire dietro la lavagna... Daisy, 22 anni: "Mi mettevano sul
fondo della classe a fare delle divisioni. Io invece volevo imparare a
leggere e scrivere. Gli altri studenti ci dicevano -siete gitani, avete i
pidocchi-. Allora rispondevo con doppia violenza. Per fortuna, c'è stato un
maestro davvero gentile che mi ha aiutato."
Oggi Daisy fa compravendita di vestiti al mercato. Non solo è orgogliosa
della sua occupazione: "Ho i miei affari, le mie carte, un permesso per il
commercio ambulante. So leggere e scrivere, posso lavorare. La scuola m'ha
aiutato con lo stretto indispensabile, come i miei genitori."
Tuttavia, Daisy vuole incoraggiare i figli a "tentare di studiare. Perché
è diventato molto difficile lavorare nei mercati e forse non sarà più possibile."
Ma come conciliare la scuola quotidiana dei viaggianti nella Lorena ed anche per
Daisy, fino al Belgio? "Il domani non ci appartiene," conclude.
Lena ha incoraggiato sua figlia di 16 anni, Soleil - nome scelto alla nascita
da suo padre che disse: "Sarà il sole della mia vita!" -, a prendere il
Certificato di Formazione Generale. "Perché andare alle superiori? Siamo
nomadi e amiamo questa vita. Non credo dobbiamo lamentarci. No. La nostra vita è
dura ma non cambierà. Come se vi chiedessimo di vivere in carovana come noi."
"Bébé" (nome da nomade, il suo cognome vero è Octave) Adolphe, capo famiglia
di 54 anni, possiede il camper più grande sul campo di Roye. Molla la chitarra e
poi ci invita a entrare nella sala dove c'è il wifi. "Per noi, la scuola
significa potersi istruire, ma anche continuare la vita da voyageur, preservare
il nostro modo di vivere e i nostri valori - la natura, il rispetto degli
anziani, i mestieri tradizionali," spiega Bébé Adolphe, che vende
biancheria per la casa, dopo aver fatto diversi mestieri. "Occorrerebbero
più camion scolastici. Ma a cosa serve un titolo di studio, quando siamo in 5 a
cercare lavoro? Noi crediamo nella scuola della vita."
(1) Al termine "Zigano", considerato come peggiorativo,
l'Unione Europea ha sostituito quello, generico, di "Rom". In Francia i testi
parlano di "gens du
voyage" e più recentemente di "famiglie itineranti o sedentarizzate da poco" e
per gli stranieri di "arrivi allofoni".
Enerida Isufi, 24 anni, vive Coriza. Una volta completati gli studi a Tirana in
due facoltà ha avviato la ricerca di un lavoro. Ha bussato a tante porte per
cercare lavoro nel suo profilo. E' laureata in relazioni pubbliche e
comunicazione, così come in diritto.
Enerida si è sacrificata molto per proseguire gli studi nelle due facoltà, ha
dovuto affrontare i pregiudizi e ha scavalcare muri, ma è riuscita. Però, a 24
anni, nessuno lo accetta. Io so perché: "Sono stati stabiliti stereotipi e pregiudizi in relazione a questa minoranza. Questa è una forma di discriminazione
dei casi più realistici, non capita solo a me, ma che è subita dalla maggior parte dei giovani
rom laureati", dice. Enerida è orgogliosa di appartenere alla
comunità rom. Mostra i casi specifici in cui si sono verificati rifiuti. La
ragazza si è assunta una grande responsabilità. Sta rompendo tabù e
stereotipi razziali creati per la comunità rom in Albania. Enerida ora vede la
vita come una doppia sfida di fronte ad un mercato del lavoro altamente
competitivo, ma anche per la sua origine. Non intende nascondersi o soprassedere,
vuole che essere rom sia per lei uno scudo e non una barriera.
Mentre si cammina sulla strada che è la stessa di tutti, ricorda che
tutti ignorano, e nemmeno prendono la briga di conoscere. Enerida è in realtà
una ragazza da ammirare. E 'orgogliosa della comunità di cui fa parte, vuole che
cadano i pregiudizi e non chi vi è sottoposto.
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