Sono cresciuto con l'idea di essere uno zigano.
Volendo uscire da quest'idea, mi pensai Rumeno (...) Ho
riscoperto la mia identità (...). Voglio morire come una Persona
Umana.
Essere Rumeno non significava più essere un cittadino dello
stato di Romania, integratosi e che si sente legato ad essa.
Piuttosto, significava d'improvviso confrontarsi in termine di
sangue, eredi ed antenati. Ho avuto momenti difficili nel
dichiarare che i miei predecessori erano Daci o Romeni. Sapevo
che non era vero e ci mi rendeva differente dagli altri Rumeni.
I miei predecessori erano zingari. Crebbi arrabbiato e inizia a
chiedermi: "Chi sono veramente?"
La politica romanì deve trattare dei diritti umani generali,
deve collegarsi ai valori comuni e ai codici morali, e non
focalizzarsi esclusivamente sull'etnia o sui problemi nazionali.
Perciò preferisco una linea di condotta che non passi per gli
standard dei diritti umani internazionali o attraverso le loro
istituzioni ed organizzazioni.
C'è una riluttanza dei governi nel condannare pubblicamente,
in maniera chiara e inequivocabile, la violenza aperta e
l'espressa ostilità che portano alla violenza contro le persone
e la popolazione rom nel suo complesso.
Direi che come si trattano le persone rom nella vita di tutti i
giorni, può servire come una specie di "barometro" per misurare
lo stato della democrazia e la sua transizione alla democrazia
in una varietà di paesi. Ugualmente. l'atteggiamento pubblico
verso le questioni rom, serve come banco di prova della tenuta
delle istituzioni democratiche, del ruolo della legge e per il
consolidamento dei movimenti civili e delle associazioni. Questo
è proprio il caso delle democrazie recentemente emerse
nell'Europa Centrale e Orientale, dove vive la maggior parte
della popolazione rom miondiale.
Siamo un popolo senza un
territorio o uno stato proprio. Una delle conseguenze di questo
fatto è che la nostra identità culturale e il nostro status di
minoranza etnica sono stati difficilmente riconosciuti nella
vita pubblica.
Non avendo controllo di confini o pretese
territoriali, le questioni rom non sono percepite dalle
politiche nazionali e internazionali come crescita delle
"questioni della sicurezza", e quindi non viene data loro molta
attenzione nelle negoziazioni bilaterali e/o
multi/intergovernative riguardo la situazione delle minoranze.
Non essendo riconosciuti come un popolo, e infine come minoranza
nazionale, talvolta la vera "condizione umana" era e viene
tuttora frequentemente negata a individui e comunità rom, come
nel caso di tutto il pensiero e la pratica razzista.
Il
pensiero e l'agire politico di individui, comunità e
associazioni rom sembra dirigersi verso la "Soluzione della
Dimensione Umana" dei loro problemi e le loro relazioni con le
persone circostanti e le comunità locali che vivono accanto a
loro, nel senso che la Dimensione Umana nell'OSCE deve
comprendersi come componente interconnesso della costruzione
della democrazia e delle misure di sicurezza in Europa. Questa
"soluzione" ci sfida a ripensare le pratiche, attuali e
durature, di amministrazione dei diritti civici ed umani, in
collegamento diretto con unità e identità territoriali chiare,
omogenee, identità infine "purificate" (locali, etniche, ecc.)
L'Olocausto ancora non è stato riconosciuto come fatto politico.
La povertà del nostro popolo, la capisco sino ad un certo punto, non oltre: non
siamo a chiedere l'elemosina agli altri. La nostra miseria da forza ai nuovi
nazisti, dobbiamo averne conoscenza per combatterli.
La nostra terra, il ROMESTAN, ci è stato copiata ed è diventato patrimonio dei
discorsi della destra. Ricordatevi: in Germania la prima misura dei nazisti fu
di togliere la cittadinanza ai sinti, e la loro prima richiesta a guerra finita
fu di riaverla. Allora: la cittadinanza EU, richiesta da molti, non può essere
una riparazione per la mancata cittadinanza nazionale.
Siamo una nazione culturale: IL NOSTRO SIMBOLO NON E' LO STERMINIO, MA LA
SOPRAVVIVENZA.
Testimonianze e reazioni:
Nikralog
Bare dukhas shundjam ,so uguja amendir amaro pshal tai Baro Romano politiku
Nicolae Gheorghe.
Leskire bucha tai leskiro dzhivipnasko drom so jov kerdja vash romani nacija,
jachela an amare dzhija tai an amari historija.
Jov isis tai jachela pionero tai maribnari pal romani nacijaan tai romamani
politika.
Lokhi phu leske tai rajo po du sveto.
Bare dukhasa
Normund Rudevich tai sari amari familija
Riga, Latvia
R.I.P. Nicolae Gheorghe!
You remain in our memories as intelligent and bright individual full of
patriotism for Roma cause!
We always saw you as a person radiating optimism and respect.
All of us having the tests in this life to show our best qualities and YOU have
passed this test of life with the high scores.
You indeed dedicated your life till the end to Roma and to larger civil society!
And this is the example for us to follow!
Valery Novoselsky,
Roma Virtual Network
În numele familiei Domnului Nicolae Gheorghe și a celor care i-au fost
aproape, cu mare regret și durere profundă, confirm vestea decesul omului
Nicolae Gheorghe.
Corpul neînsuflețit va fi depus în capela bisericii Șerban Vodă (str. Petre
Țuțea – vezi hartă mai jos) începând de azi, orele 12.00.
Duminică, orele 13.00, la biserica mai sus amintită ne vom lua la revedere de la
cel care a fost neprețuit pentru mulți dintre noi, de la care și în ultimele
zile de viața ne vorbea despre poporul rom.
Dumnezeu sa-l odihnească.
On behalf of Mr. Nicolae Gheorghe family and those who were close, with great
regret and deep sadness, we confirm the news Nicolae Gheorghe passed away.
We can pay our respect to to him at the church chapel Serban Voda (St. Peter
Ţuţea - see map below) from today, 12.00.
Sunday, 13.00, to the above-mentioned church we shall say goodbye to the man who
was invaluable to many of us that in the last days of life of the people we
talked about Roma nation.
God rest him.
Ciprian Necula
Tel. 0729199395
Bucharest, Romania
Bara dukhasa ashundem o nasul vjastja – ke Nicolae Gheorghe –
gelotar.
O Sunto Del te jertol les, taj te avel leske feder ando cheri, sar sas pe e phuv!
Leski buti sas pinżardj ande savori lumia,
Vo sas baro manush, savo dyja pesko ilo pala romany nacja.
Mek te avel vushoro phuv pe Leste
Nadya Demeter tai sa amari familia
Drago phralalen thaj phejalen,
Drako kolegura,
Le Evropako Forumo e Romento thaj e Phirunento dukhade ilesa asunga pal o meripe
katar jekh ande amare bare Romane liderura o Nicolae Gheorghe ko 8 august 2013
besh.
O Nicolae Gheorghe sas drago amal thaj kolego save amen khetanes kergem bukij
lesa but bersh. Vov puterde ilesa kergas bukij pal e roma dzi palutno momento
katar leskoro trajo thaj ulavga amenca leskoro baro dzanipen thaj buxli
politikani eksperienca.
Leskoro tradipe amendar si baro xasaripen na numa leskere themeske e Rumunia
numa e sasti Romani nacijaki anda Evropa.
Savore e membrura anda ERTF bishaven peskere kondolencie karing e familia katar
e Nikolae Gheorghe.
Nek ovel lokhi e phuv leske.
Rudko Kawczynski, Soraya Post, Sebihana Skenderovska, Asmet Elezovski, Gheorghe
Raducanu, Svetlana Nentia, Ondrej Gina, Ljuan Koko, May Bittel, Robert Rustem,
Clémentine Trolong-Bailly.
* * *
Drago phralalen thaj phejalen,
Dear colleagues,
The European Roma and Travellers Forum has learnt with shock and dismay of the
untimely death of one of our greatest Roma leaders Nicolae Gheorghe, on 8 August
2013.
Nicolae Gheorge was a dear friend and collaborator whit whom we worked for many
years.
He selflessly worked for the Roma till the very last moment and shared with us
his vast knowledge and extensive political experience.
His passing away is a significant loss not only to his country Romania but to the
whole Roma nation in Europe, particularly given his moral stature, his vision
and his leadership.
All ERTF members express their sincere condolences to the bereaved family of
Nicolae Gheorghe.
May his soul rest in eternal peace.
Rudko Kawczynski, Soraya Post, Sebihana Skenderovska, Asmet Elezovski, Gheorghe
Raducanu, Svetlana Nentia, Ondrej Gina, Ljuan Koko, May Bittel, Robert Rustem,
Clémentine Trolong-Bailly.
Dear Collaborators,
Dear Friends,
I wanted to write to express my sorrow at the sad news of the death of Nicolae
Gheorghe. He was such a special person that no words are really adequate to
describe him.
Yesterday, the Roma nation lost a dedicated Human Rights Fighter, a Diplomat, a
Mediator and above all a great Human Being!
All of our friends that I have spoken to have their own treasured memories of
Nicolae Gheorghe, and I know how much they valued their friendship.
He brought happiness to everyone that knew him, and he will be sadly missed.
For me, it was a great pleasure and a privilege to know him, to work with him
and to learn from him.
In my life, I have been the student of two Roma teachers and true leaders.
Yesterday, I have lost one, miro drago dajo Nicolae.
Rest in peace.
Neka ovel lokhi tiri phuv drago dajo Nicolae.
Asmet Elezovski with his family
Kumanovo, Macedonia
Deal All,
so sad to know about the demise of Nicholae Gheorghe.
I think I met him at Zagreb in 2008. He was a sincere worker scholar for Roma
cause.
May God rest his soul in peace!
Harish Thakur
O Bajram Haliti, editori e "Nevimatanqe informativnune
agenciăko e Rromengeraqo" bićhalda aӡes telegramo e dukhaimasqo e Gheorghesqe
Nicolauesqe familiake –e rromnăke Nicoleta, ćhejenqe thaj ćhavenqe savo pala o
xarno nasvalipe mulo.
Pativalie Nicoleta,
Bare dukhasa sikava xor kethanutno dukhavipe feri o xasaripe Tumare kamle
rromesqo (Ghorghe Nicolaesqo). Pativalimasa ano sa e vaktesko ӡivipen mangav te
zurarav tumen kaj o ӡaipe naj agor e dromesqo., aj andrinpe ano nur savo
kethanutnisarel.
E Rromani nacia, e Gheorghe Nicolausqe ӡaimasa, xasarda na numaj lidere e
rromane naciăke, aj manuše savo kamla piro etnos thaj savenqe reslimata barikane
ӡangla te arakhel thaj prezentuil, iskirisavolpes ano telegram e Bajram
Halitesqo.
Bajram Haliti
Nicolae Gheorghe sas miri drago mal kajo 30 bersh, konessa tserdom but butti
khetanes. Jou sas baro lieduro ta Phuro kon sikadan amenge drom kaj te dzas
amengo Romano natsiessa. Nicolae tserdas pesko butti leskro dziessa/ilessa ta
les sas dzanipe politikane puthibiessa.
Chi pistarava leskro butti kanik var.
Miri kondolensie leskro familiake ta chavorenge !
Mukh o Baro Del den Leske shukar stedos thaj baht aro rajo.
Miranda Vuolasranta
Lic. Federico Hoffmann R.
Telf. 2268 61 97
Fax: 2268 59 04
Yanko Weiss Reinhardt
Romalen, thaj Phralalen,
con gran pesar recibimos la noticia de la muerte de un gran Rrom, O baro Shero
thaj baro manush, Nicolae Gheorghe Ya sabemos que cada uno que fallece de
nosotros, es uno menos en la Lucha para nuestra Libertad y dignidad,
especialmente cuando se trata de una gran personalidad como Don Nicolae. Ya
sabemos que cada uno de nosotros un Diá tiene que morir, pero por lo menos
sabemos que ahora podemos morir con Paz y en dignidad, en vez de morir en los
campos de concentracón.Yo estoy seguro Don Nicolae, después de tanta lucha ,va
encontrar la paz lo que merece junto al lado de Diós y su reino.
Adios Phrala thaj Amal
un ultimo abrazo de la distancia,descansa en la paz del Seńor
Mis más profundos pesamés tambíen a la Familia
Devlesa
Yanko
I was very shocked and sad when I hear about the death of Dr. Nicolae
Gheorghe just a day after I saw his name in one of the Roma net works.
It is hard to add more after your thoughts abut Dr. Nikolae Gheorghe death,
especially Thomas’ detailed account about him. I am really glad that I could
meet him in the early 90s when Thomas organized a very important symposium at
Greenwhich University on Roma Politics and Culture.
Having so many famous Roma activist and academics attending, I felt rather
scared to give my talk. I remember well, that Dr. Gheorghe was sitting front of
me, and his kind personality and interest gave me such a great support, that I
forget all my anxiety in no time. After that I looked out to read his very
thorough, intelligent yet never aggressive papers, that was to create
understanding between the Roma and non-Roma population of his country and beyond.
After loosing two colleagues in Hungarian ethnomusicology in the last few months,
I feel very sad to loose yet another excellent person in Romany studies.
I feel very honoured that I had the luck to have met him. My thoughts are with
his family and people who lost a deeply human person.
Rest in Peace, Nicolae, and God be with you.
Iren Kertesz Wilkinson
London, UK
Chers amis,
C'est avec tristesse que nous avons appris le décès de Nicolae Gheorghe. Nous
souhaitons lui rendre hommage. Il était l'un de ceux qui ont fondé l'organisation
tsigane mondiale. Nous nous souvenons que de tels hommes ont eu à combattre dans
les pires difficultés, et tout d'abord pour voyager librement. Et quand il
pouvait participer aux congrès, c'était souvent sans argent pour la nourriture
et l'hébergement. Les plus jeunes doivent pouvoir s'imaginer cela, s'en souvenir
et mesurer le chemin parcouru.
Męme si parfois nous avons eu des désaccords, il demeure notre frère pour
toujours.
***
Dear friends,
With sadness, our organisation learned Nicolae Gheorghe passing. We wish to pay
a tribute to him. He was one of those who founded the world romany organisation.
We remember that such men had to fight in the worst difficulties, first to
travel freely. And when he could attend the congresses, it was often with the
lack of money for accomodation. The youngers must be able to imagine it, to
remember it and to measure progress.
Even if sometimes we could disagree, he'll be our brother for ever.
Jean-Claude Mégret
Romano Yekhipe France
In urma cu cativa ani, Nicolae avusee curajul sa-mi impartaseasca
dificultatile princare treacea.
Intr-o zi ii trimisesem versurile de mai jos (autor necunoscut) si-mi scrisese
ca este curios sa experimenteze universul din "cealalta perspectiva". Acum este
"acasa" si sper implinit ca spirit.
Fie ca Nicolae sa-si gaseasca pacea si linistea mult dorita in D-zeu.
F.
Când singur pe drum sub poveri vei cădea
Zdrobit şi lipsit de putere,
Când nu va fi nimeni un sprijin să-ţi dea
Şi n-ai să găseşti mângâiere,
Atunci pe-ai Săi umeri Isus te va lua
Cu dragostea-I nespus de mare
Şi rănile toate ţi le va lega
În tine lăsând vindecare.
...
Când lipsuri şi temeri te vor încolţi
Să-ţi fure din piept fericirea,
Când glasuri străine te vor amăgi
Să cauţi în lume-mplinirea,
Atunci la Isus adăpost vei găsi
Şi n-ai să rămâi de ruşine;
În orice-ncercare tu vei birui
Căci Domnu-i alături de tine!
Când dorul de Casă, de Tatăl divin
Te va copleşi cu suspine,
Atunci nu uita că mai este puţin
Şi Domnul, Păstorul tău vine!
Oricâte eşecuri vei întâmpina
Şi-oricât valul greu te loveşte,
Să ştii că există în Cer Cineva
Ce nemăsurat te iubeşte!
NGO-OJQ-NVO-BRO
"Amareo Ternipe"
Gjakovë-Kosovo
Na-Rayipni-Organizata "Amareo Ternipe" andar i Gjakova/Kosova,
telegramo dukhaimsqo e familiake Nicolau
PO anav e NGo "Amareo Ternipe" kotar i Kosova/Gjakova bićhalav aӡes telegramo e
dukhaimasqo e Gheorghesqe Nicolauesqe familiake –e rromnăke Nicoleta, ćhejenqe
thaj ćhavenqe savo pala o xarno nasvalipe mulo.
Pativalie Nicoleta,
Bare dukhasa sikava xor kethanutno dukhavipe feri o xasaripe Tumare kamle
rromesqo (Ghorghe Nicolaesqo). Pativalimasa ano sa e vaktesko ӡivipen mangav te
zurarav tumen kaj o ӡaipe naj agor e dromesqo., aj andrinpe ano nur savo
kethanutnisarel.
E Rromani nacia, e Gheorghe Nicolausqe ӡaimasa, xasarda na numaj lidere e
rromane naciăke, aj manuše savo kamla piro etnos thaj savenqe reslimata barikane
ӡangla te arakhel thaj prezentuil, iskirisavolpes.
Te avel lohki leski phuv! Sasa baro Manuš.
Respektea,
Emrah Cermjani
Consultant in a part of BPRI project at "Bethany Christian Services"-Mission in
Kosovo
Ass.Director-OJQ-NVO-BRO-NGO-"Amareo Ternipe"-Gjakov/Kosovo
Musa Zajmi No:163
50 000 Gjakovë, Kosovë
E-mail: emrah.cermjani@gmail.com
amareo.ternipe@gmail.com
Mob: +377 44 569 634
www.amareo-ternipe.webs.com
www.radioprosperiteti.org
Dragi Nikolaj,
neka ti je pokoj dusi.
za Svetski parlament Roma,
Predsednik - Dragoljub Ackovic
Dear Nikolaj,
God rest your soul.
For Roma World parliment,
President- Dragoljub Ackovic
Dear friends - I was truly sorry to hear of Nicolae's death -
I had heard of his being 'not well' a while ago. I first met Nicolae in 1998
during a Roma-Police seminar we organised in Peterborough, UK. He swept into the
seminar room in a wide brimmed stetson hat - his personality and personal power
were striking. I got to know him better, as a human being and not just a 'Roma
leader' when my car ran out of petrol as I was driving him back to London from
the seminar. It was a cold, rainy, grim Sunday, and I had been running guests
back and forth to the train station all day. He said I had been mother to
everyone but not to myself, pushed the car out of the middle of the road - and
we sat for over an hour discussing our politics, our history and 'where we were
coming from', unconcerned about how we could sort out our problem. I realised
that Nicolae was not only an intellectual but also an enlightened and kindly man
- the Roma cause has lost a great champion.
Rest in Peace!
Jeanette Buirski - formerly of European Dialogue
Di Fabrizio (del 04/08/2013 @ 09:02:01, in Kumpanija, visitato 1714 volte)
Tutto comincia da una frase innocente, che sento ripetere
spesso da amici e conoscenti di origine rom: "Non siamo
tutti uguali."
Secondo flash: "Non demordiamo ma i tempi sono cupi e
purtroppo gli stessi Rom non si rendono conto che l'unica vera
grande ricchezza è la nostra cultura e se muore non avremo nulla
da rivendicare. Tutti si dedicano al sociale e nessuno all'arte
e ad elevare e promuovere la cultura." scrive Santino
Spinelli.
E perché tutti si dedicano al sociale? Forse, perché c'è una situazione che
perdura da decenni, e l'età media di un rom difficilmente arriva ai 60, e c'è
chi muore per i morsi dei topi, chi per un incendio (accidentale o no), chi per
inedia. Insomma, la situazione di questa minoranza (in tutto il continente) è di
una vera e propria crisi sociale. Prima che dire se sia giusto o sbagliato, è
quantomeno LOGICO e CONSEGUENTE che la cosa possa e debba preoccupare, a volta
in modo giusto a volte in modo sbagliato.
Alla stessa maniera, sospetto che esistano modi giusti e modi sbagliati di
occuparsi di CULTURA, partendo dalla considerazione che i due termini (SOCIALE e
CULTURA) non siano disgiunti, ma almeno a livello teorico vadano tenuti assieme,
se non altro per provare a risolvere la situazione attuale di isolamento e
discriminazione (culturale e sociale) di tutti i romanì.
Il secondo nodo è quel "Non siamo tutti uguali", che non è solo un giudizio
morale. Una comune origine etnica in un'Europa così sfaccettata socialmente, non
può essere il viatico per unire assieme l'artista ricco e/o famoso e chi
sopravvive a stento e mai è andato a scuola.
C'è un terzo punto e riguarda chi non è e non sarà mai rom o sinto, ma che come
loro è destinato ad interagirvi: che immagine si può avere di questo popolo,
quali i suoi aspetti da evidenziare?
Ho raccolto in
ebook le testimonianze di giovani rom di tutta
Europa, e notavo che da un decennio circa sta emergendo anche tra loro il nucleo
di una futura borghesia, cioè di quella classe media che in passato ha
accompagnato lo sviluppo dei nostri popoli in Occidente. Con tutte le ambiguità
e imprecisioni nel definire come "borghesia" questo nucleo nascente, e la
confusione aumenta in quanto non è tuttora possibile definire dove finisca il
concetto di "borghesia" come classe produttiva ed intellettuale, e dove inizi il
concetto di (sempre ipotetica) "classe dirigente".
"Classe dirigente" è un termine che adopero in quanto passare da
LUMPENPROLETARIAT a CLASSE INTEGRATA provoca sempre e in chiunque cambiamenti di
visione e di appetiti. Insomma: ci sono aspetti positivi in questo cambiamento,
altri più complicati.
Spiego meglio quel "classe integrata": se, come avviene quasi sempre,
l'integrazione passa per lo stomaco pieno - prima che da qualsiasi altra ragione identitaria, potremmo ragionare sulla storia nostra: a partire dal rivoluzioni
di fine secolo XVIII - inizio secolo XIX, la borghesia in tutto l'Occidente
emarginò l'aristocrazia e assunse nei singoli stati nazionali un ruolo
dirigente, in senso politico, economico e culturale.
Ma il confronto non riguardò esclusivamente borghesia e aristocrazia: c'erano
(ci sono tuttora) le plebi e il proletariato. La borghesia si ritagliò il
proprio ruolo dirigente, facendosi forza della situazione di privazione estrema
(culturale, economica, politica) di queste due classi, ed usandole come massa di
sfondamento, suonando la ritirata quando le loro rivendicazioni superavano la
soglia del conflitto e dell'interesse borghese, e tradendo spesso e volentieri
le promesse iniziali. Il tutto, ovviamente, riassunto in maniera molto
sintetica.
Da questo rapporto di forza, discende anche la questione di chi rappresenta chi.
Cioè, chi scrive di proletariato, i loro rappresentanti nei parlamenti, ecc.
quasi mai appartengono a quella classe, lo stesso vale per chi fa loro scuola,
per chi realizza i programmi televisivi o le riviste destinate a loro.
Succede così, è abbastanza ovvio, che chi si auto-proclama rappresentante di
quell'umanità negletta che sono rom e sinti, abbia fatto una scelta per censo
più che etnica. Ha bisogno, come ne ha bisogno il terzo settore - come ne ha
bisogno la politica - come ne ha bisogno l'università, di una fetta negletta di
umanità, per avere uno scalino ulteriore nella sua personale scalata, artistica,
economica, culturale.
Ma puntualmente, se gli si chiede (noi gagé siamo ignoranti, purtroppo), un
parere, un contributo anche personale (perché anche noi gagé non ce la facciamo
più), ecco che mi sento dire: il problema è un altro (il problema è sempre un
altro, gliel'abbiamo insegnato noi gagé), quella è gente ignorante. IGNORANTE,
parola chiave, come una cartina al tornasole, che mi restituisce la dimensione
di un nascente conflitto di classe, in una società che le classi come le
intendiamo noi non le aveva ancora conosciute.
L'altro aspetto di questo conflitto in nuce, è che se vado a parlare con gli
IGNORANTI, mi diranno con pochi giri di frase: "Se non vivi la nostra realtà,
non puoi capire. Quella gente (gli ISTRUITI, ndr.) non ci
rappresenta."
E allora, chi rappresenterà questa gente, cioè LA PIETRA DELLO SCANDALO? Chi può
farlo lontano da grezzi interessi?
Non ho risposta, perché il problema è tuttora irrisolto anche per la NOSTRA di
società.
L'unico suggerimento che mi sento di dare, è capire quanto può essere grande e
comprensivo il concetto iniziale CULTURA. Se si fosse in grado di capire che
anche
il ghetto, anche la deprivazione,
producono cultura e la fanno circolare,
il confronto potrebbe continuare.
Di Fabrizio (del 02/08/2013 @ 09:07:08, in Kumpanija, visitato 2332 volte)
LA NUDA CRONACA: L'esito della II guerra mondiale era già cambiato, con la
ritirata da Leningrado e lo sbarco anglo-americano in Normandia. In Polonia i
Russi guadagnavano terreno ogni giorno. Per il grande esercito tedesco era già
iniziato il richiamo dei riservisti. La notte tra il 2 e il 3 agosto, venne
definitivamente liquidato dalle guardie naziste il campo di concentramento di
Auschwitz-Birkenau. Le cifre (discordi, tanto per cambiare) dicono di circa
3.000 Rom e Sinti gasati.
Ricorrenze simili sono spiazzanti ad agosto (ogni agosto), mentre
guardiamo i bambini giocare in spiaggia o i cani correre felici sulle colline. Un po' come festeggiare il natale in Brasile o in Australia. E
tra una settimana, arriva per i milanesi un appuntamento simile, a due passi da casa mia.
Non voglio scrivere niente su questa comunanza, su questa storia che
lega il mio popolo a quello dei Rom e dei Sinti. Perché sarei prolisso, cupo, e
allora è meglio il silenzio.
Perché chi può è giusto che si goda il casino dei bambini e dei cani,
anche un momento di gioia può ricordare i tempi in cui erano più sfortunati.
Godiamoceli ora.
Potrebbe essere un buon ricordo il concentrarsi sul silenzio, su chi ci è
caro, su chi pagò quei tempi. Da anni i Rom e i Sinti commemorano il giorno con
una candela accesa, questo si può fare e (credo di non mancare di rispetto a
nessuno) si può scegliere una candela anti-zanzare, vista la stagione.
Insomma, non necessariamente questa
Il silenzio che vorrei: che ALMENO per un giorno la stampa e internet li
lasciassero in pace, Rom e Sinti... questi ladri, sfigati, senza terra, che
nessuno è mai riuscito a sterminare. Poi,
domani, ricominciate pure, ma un giorno di tregua per rispettare il dolore è il
minimo che può chiedere un essere umano. Vero che sono umani anche loro? Vero, che l'unica maniera per insegnare il rispetto è di praticarlo (almeno un giorno)?
Ma il silenzio, se dev'essere, che sia il nostro, di chi ha nella penna o
nella tastiera un'arma. E se non voglio cadere nella cupezza, scelgo le parole
tratte da un film, incredibilmente spiritoso e profondo:
...
e rispetto ad Auschwitz mi sembra un punto vista leggero e interessante.
D'altronde chi poteva esprimersi così se non un matto, sapendo che nei lager era
una gara tra chi fosse messo peggio, tra matti, rom, sinti, ebrei e invalidi.
Lasciamo a loro la parola, cerchiamo di imparare da loro
La notte tra il 2 e il 3 agosto 1944 le SS sterminarono gli ultimi
sopravvissuti dello Ziguenerlager di Auschwitz - Birkenau. Migliaia di sinti e
rom sono spinti nelle camere a gas e poi bruciati nei forni crematori.
Per commemorare l'atto finale della follia nazista e fascista ti chiediamo di
accendere delle piccole candele sul davanzale della tua finestra la notte tra il
due e il tre agosto. Perchè ciò non possa più accadere!
Il comandante del campo di steriminio, Rudolf Höss, scrive: "Nell'Agosto del
1944, rimanevano ad Auschwitz circa 4.000 zingari da mandare nelle camere a gas.
Fino all'ultimo momento essi non sapevano che cosa li attendesse. Cominciarono
ad orientarsi soltanto quando furono condotti al V° crematorio. Non era facile
introdurli nelle camere a gas."
Verso mezzanotte lo spogliatoio era pieno di persone. L’inquietudine cresceva di
minuto in minuto. Si sarebbe potuto credere di essere in un gigantesco alveare.
Da ogni parte si sentivano grida disperate, gemiti, lamenti pieni di accuse:
“Siamo tedeschi del Reich! Non abbiamo fatto niente!” […].
Moll ed i suoi aiutanti tolsero la sicura alle pistole ed ai fucili e spinsero a
tutta forza e senza pietà le persone che intanto si erano spogliate, fuori dallo
spogliatoio e dentro le tre camere a gas, dove dovevano essere uccise.
Mentre percorrevano l’ultimo corridoio molti piangevano per la disperazione,
altri si facevano il segno della croce ed imploravano Dio.
[…] Anche dalle camere a gas si potevano ancora sentire per un poco grida
disperate e richiami, finché il gas letale non fece effetto e spense anche
l’ultima voce.
F. Müller, Sonderbehandlung. Drei Jahre in den Krematorien und Gaskammern von
Auschwitz, p.107, Monaco, 1979.
Vuoi conoscere cosa è successo in Italia?
Visita il primo museo virtuale sul Porrajmos in Italia:
www.porrajmos.it
Giovedì 6 giugno 2013 alle 21,00, ingresso ad offerta libera CGIL Salone Di Vittorio - Piazza Segesta 4, con ingresso da
Via Albertinelli
14 (discesa passo carraio) a Milano
"Io, la mia famiglia Rom e Woody Allen" di Laura Halilovich - Italia - 2009 -
con la presenza di Frances Oliver Catania, che ha seguito la
comunità di Pessano con Bornago (quella della nonna della regista, raccontata nel film)
Il film fa parte della rassegna HO INCONTRATO ANCHE DEGLI ZINGARI FELICI V
Edizione, dedicata alle donne Rom, organizzata dall'Associazione La Conta in collaborazione con: l'Associazione
"Aven Amentza - Unione di Rom e Sinti", Associazione "ApertaMente di Buccinasco"
e la Redazione di Mahalla - Rom e Sinti da tutto il mondo
Di Fabrizio (del 21/05/2013 @ 09:00:56, in Kumpanija, visitato 1430 volte)
[..] Ebbene: in tal senso io sono come un negro in una società razzista che
ha voluto gratificarsi di uno spirito tollerante. Sono, cioè, un "tollerato".
La tolleranza, sappilo, è solo e sempre puramente nominale. Non conosco un
solo esempio o caso di tolleranza reale. E questo perché una "tolleranza
reale" sarebbe una contraddizione in termini. Il fatto che si "tolleri" qualcuno
è lo stesso che lo si "condanni". La tolleranza è anzi una forma i condanna più
raffinata. Infatti al "tollerato" - mettiamo al negro che abbiamo preso ad
esempio - si dice i far quello che abbiamo preso ad esempio - si dice i far
quello che vuole, che egli ha il pieno diritto di seguire la propria natura, che
il suo appartenere a una minoranza non significa affatto inferiorità eccetera
eccetera. Ma la sua "diversità" - o meglio la sua "colpa di essere diverso" -
resta identica sia davanti a chi abbia deciso di tollerarla, sia davanti a chi
abbia deciso di condannarla. Nessuna maggioranza potrà mai abolire dalla propria
coscienza il sentimento della "diversità" elle minoranze. L'avrà sempre,
eternamente, fatalmente presente. Quindi - certo - il negro potrà essere negro,
cioè potrà vivere liberamente la propria diversità, anche fuori - certo - dal
"ghetto" fisico, materiale che, in tempi di repressione, gli era stato
assegnato.
Tuttavia la figura mentale del ghetto sopravvive invincibile. Il negro sarà
libero, potrà vivere nominalmente senza ostacoli la sua diversità eccetera
eccetera, ma egli resterà sempre dentro un"ghetto mentale", e guai se uscirà a
lì.
Egli può uscire a lì solo a patto i adottare l'angolo visuale e la mentalità
di chi vive fuori dal ghetto, cioè della maggioranza.
Nessun suo sentimento, nessun suo gesto, nessuna sua parola può essere
"tinta" dall'esperienza particolare che viene vissuta a chi è
rinchiuso idealmente entro i limiti assegnati a una minoranza (il ghetto
mentale). Egli deve rinnegare tutto se stesso, e fingere che alle sue spalle
l'esperienza sia un'esperienza normale, cioè maggioritaria.
[...]
Perché non parlo di fascisti. Parlo di "illuminati", di "progressisti". Parlo
di persone "tolleranti". Dunque, ecco provato quanto ti dicevo: fin che il
"diverso" vive la sua "diversità" in silenzio, chiuso nel ghetto mentale che gli
viene assegnato, tutto va bene: e tutti si sentono gratificati della tolleranza
che gli concedono. Ma se appena egli dice una parola sulla propria esperienza di
"diverso", oppure, semplicemente, osa pronunciare delle parole "tinte" dal
sentimento della sua esperienza di "diverso", si scatena il linciaggio, come nei
più tenebrosi tempi clerico-fascisti. Lo scherno più volgare, il lazzo più
goliardico, l'incomprensione più feroce lo gettano nella degradazione e nella
vergogna.
[...]
Pier Paolo Pasolini: GENNARIELLO in Lettere Luterane -
L'Unità Einaudi (pagg. 23-26)
"Sono nato nel nord del Kosovo, nel 1983. Mia madre
era una contadina, allevava mucche, pecore e galline, vendeva latte e formaggi.
Mio padre, invece, aveva un negozio di alimentari". Una vita di sacrifici, ma
tranquilla, almeno fino a metà degli anni '80. "Fu allora che iniziarono le
manifestazioni razziste tra le diverse etnie jugoslave e il prezzo di un chilo
di pane salì all'equivalente di 10mila lire [circa 12 euro attuali; NdR]". Enis,
un ragazzo rom simpatico e solare, e la sua famiglia fuggirono in Romagna nel
1986. "Per vivere chiedevamo l'elemosina e abitavamo in una baracca fatta di
cartone, sotto un ponte".
A sei anni Enis ha scoperto la scuola, "un mondo nuovo. Mi trovavo veramente
bene, perché fino ad allora non avevo idea che esistesse una vita normale". Non
ci sono stati problemi con nessuno: "Ti racconto una cosa. Facevo la terza
elementare e un giorno, quando sono tornato al campo nomadi, ho trovato le
nostre tre roulotte e la baracca bruciate, per colpa di un cortocircuito. Non
c'era più niente, né i vestiti né i giochi né, soprattutto, il mio cane, un
cucciolo di pastore tedesco. Sono stato malissimo". La scuola venne informata
dell'accaduto. "Il giorno dopo ogni compagno, e anche le maestre e le bidelle,
mi hanno regalato qualcosa, dei vestiti, dei giocattoli". Anche un cane, ma
quello non lo ha accettato: "Non mi andava di affezionarmi ad un altro cane, lo
vedevo come un tradimento per il mio".
Enis si è sposato molto giovane, a undici anni. Troppo pochi? "In generale sì,
ma noi rom a quell'età siamo più che maturi di corpo, perché cresciamo molto
prima. Quindi il matrimonio da giovani diventa una cosa bella: è come essere
fidanzati, con la differenza che lei viene a fare parte della tua famiglia e si
cresce insieme". Dopo circa un anno è nato il primo figlio.
Era giovane anche quando ha scoperto la sessualità con gli uomini. "Ero sulle
rive di un fiume con dei parenti e, quando mi sono appartato per mettermi il
costume, è arrivato un signore e mi ha proposto un'esperienza sessuale. Io ho
accettato". Non è un ricordo bello e neppure brutto: "E' solo un ricordo. Un
ricordo bello è la prima notte con mia moglie". Per anni Enis non si è fatto
domande sul proprio orientamento sessuale. "Non conoscevo il mondo gay e non
sapevo neppure che esistessero i bisessuali". Poi, da adolescente, ha conosciuto
Matteo, un ragazzo più grande: "Ero alla ricerca di qualcosa, ma non avevo
ancora capito quello che mi piaceva e lui mi ha aiutato a capire che sono bisessuale".
Grazie a Matteo, Enis ha iniziato ad interrogarsi sulla propria sessualità.
Molte risposte sono arrivate frequentando gli attivisti gay: "Per un periodo
sono andato all'Arcigay, quando ho scoperto la mia bisessualità, perché cercavo
di capire chi fossi. Grazie anche a loro ora sono in pace con me stesso".
Enis, comunque, non si è limitato a frequentare l'associazione, ma ha iniziato
ad andare anche in posti dove gli uomini si incontrano tra loro per fare sesso:
"Saune, locali gay, parchi pubblici, parcheggi...". Lì, però, l'esperienza non è
stata altrettanto positiva e quindi ora frequenta raramente questi posti: "Da
una parte è difficile trovare delle persone disponibili per frequentarle,
dall'altra c'è una sorta di razzismo. Non è molto forte, ma c'è". Un rom in un
luogo di battuage viene subito etichettato come un rapinatore - o anche peggio.
Per questo ha deciso di cercare amicizia e compagnia in altri modi: "Mi sono
iscritto ad alcuni siti gay e ho iniziato a conoscere gli amici degli amici,
grazie al passaparola".
All'inizio i sensi di colpa erano molti, anche perché Enis è credente,
musulmano: "Gli imam dicono che è un grande peccato avere rapporti con persone
del proprio sesso". Enis ha iniziato a fare ricerche: "Ho letto tante scritture
sacre e non ho trovato niente, solo che il peccato più grave è ammazzare". Enis
non è praticante: "Prego a modo mio e faccio fatica a pensare che bastino solo
trenta giorni all'anno per farsi perdonare i propri peccati. Quando qualcuno mi
convincerà che per essere musulmano bisogna per forza pregare cinque volte al
giorno e digiunare nel mese di Ramadan, io diventerò ateo. Insomma, credo molto
in Dio, ma non credo nelle persone che vogliono rappresentarlo, come gli imam o
i preti, per questo non vado in moschea".
Enis crede ancora meno nel futuro dell'Italia: "Qui sono tutti delinquenti. E
poi l'Italia dovrebbe essere basata sul lavoro e sulla libertà, invece
attualmente il lavoro non c'è e io non mi sento per niente libero...". Le
politica nello Stivale gli fa schifo. "Ti racconto una cosa. Durante la guerra
in Jugoslavia, tutti gli stati aiutavano l'Italia per i profughi, ai quali
avrebbero dovuto dare 35mila lire al giorno. Sai quanti soldi abbiamo visto?
Neanche una lira. E poi in Italia i rom vivono peggio che in qualsiasi altro
paese europeo, in campi nomadi abbandonati in mezzo al nulla, senza documenti e
senza alternative. Io me la sono cavata, ho comprato una casa di proprietà, ho
cinque figli e vanno tutti a scuola. Pensi che mi hanno dato i documenti? No. E
allora, anche se adesso mi offrissero la cittadinanza, io non la vorrei".
E poi in Italia "ci sono veramente tante persone razziste, che pensano che i rom
sono tutti ladri, sono tutti sporchi, sono gente da evitare, perché pensano solo
a fregarti. E i razzisti stanno diventando sempre di più. Secondo me la gente
ormai non ha più niente per cui lottare, come negli anni '70 o '80, e quindi
vuole dimostrare qualcosa, anche se non capisco cosa e a chi devono
dimostrarlo". Il simbolo del pregiudizio sono le auto costose che qualche rom
possiede: "Non ce l'abbiamo tutti. Alcuni hanno venduto tutto nel loro paese e
quando sono venuti qua si sono comprati una bella macchina, che è l'unico bene
in loro possesso. Altri se la sono presa delinquendo, ma non per questo siamo
tutti delinquenti". Osservazione ovvia, eppure un'intera etnia è crocifissa a
questi pesanti stereotipi.
Stereotipi come quelli recentemente rilanciati da Cristiana Alicata, l'ex
dirigente lesbica del PD laziale secondo cui la partecipazione rom alle primarie
romane sarebbe stata frutto solo di una compravendita di voti (Il grande
colibrì): "Ho letto quello che ha scritto, ma sinceramente non mi meraviglio: la
politica è fatta così e lei non è l'unica. Una pecora nera in più o in meno in
mezzo ad un milione di pecore nere non fa differenza. Poi noi siamo una
minoranza e non abbiamo nessuna voce; sono loro, i politici, ad averla".
Lesbiche, gay, trans e bisessuali sono forse più sensibili al tema della
discriminazione, tuttavia non sono affatto immuni dal pregiudizio: "Sai, a
volte, durante un rapporto sessuale, mi chiedono per quale motivo sono
circonciso e io rispondo che sono rom e di religione islamica. Spesso mi mollano
lì con una scusa e se ne vanno. Dicono che si è fatto tardi, è questa la scusa
classica. Oppure all'improvviso dicono che non vogliono più fare sesso perché
sono fidanzati...". Nessuno dice esplicitamente di non aver voglia di andare a
letto con un rom, "perché secondo me la gente è molto ipocrita e fifona".
Dall'altra parte, Enis deve stare attento all'omofobia presente nella comunità
rom: "Se mi dichiarassi, sarebbe uno scandalo, non solo perché ho dei figli, ma
anche perché non giudichiamo bene l'omosessualità e il concetto di bisessualità
non esiste neppure. Sono tutti argomenti tabù. Quando il discorso proprio viene
fuori, tutti dicono: 'Quella è gente malata, non bisogna avere a che fare con
loro, perché portano le malattie'. Poi però anche tra i rom ci sono tantissimi
omosessuali". Enis ne conosce parecchi: "Ad esempio il mio
amico più caro, che
per me è come un fratello, è gay. Pensa, ci siamo incrociati in un parco dove si
incontrano gli uomini e vivevamo nello stesso campo! Per scherzare io a volte lo
chiamo 'frocio di merda' e lui mi risponde che il suo stivale è più etero di
me!".
Di Fabrizio (del 21/04/2013 @ 09:01:46, in Kumpanija, visitato 2180 volte)
Per la semplice ragione che in quest'Italia che affonda, abbiamo TUTTI
problemi più seri. E gli zingari sono nelle nostre stesse peste: qua siamo messi
talmente male, che sta diventando difficile anche rubare.
La conta dei corpi
Molti bambini nel campo morivano
di avvelenamento da piombo.
Il dottore locale
disse che l'avvelenamento da piombo
impediva lo sviluppo
del sistema immunitario dei bambini.
La gente più anziana che soffriva di avvelenamento da piombo
finiva soltanto col cervello più lento.
Senza sistema immunitario
i bambini piccoli morivano di continuo:
raffreddore, influenza, herpes, pidocchi
e morsi nel letto dalle cimici.
Temevo per Anna
la mia sorellina di sette anni.
Iniziava a dimenticare le cose.
Poi non riuscì più a camminare dritta.
Il dottore disse che
aveva bisogno di una dieta migliore.
Fu allora che mio padre
iniziò a rubare.
E anch'io.
Ma lasciamo perdere le questioni complicate, come la pancia ed il portafogli
che sono vuoti, se apri la finestra virtuale del tuo computer, ti accorgi
che c'è anche una tristezza ideale, o di valori. Faccio un esempio: qualcuno s'è
accorto che tra un po' ricorre il 25 aprile? Dalla metà degli anni '70 non mi
son perso una manifestazione, eppure due sere fa mi sono scoperto a pensare: ma
che cos'è questa festa?
Sono domande da non farsi...
Perché io non voglio ASSOLUTAMENTE parlare di Rom e Sinti, che quando c'è una
festa non sta mai bene nominare i parenti con le pezze al culo e che puzzano di
pecora... Ma tu, metti caso, sapresti festeggiare la liberazione dal fascismo,
sapendo che sono passati quasi 70 anni, e che a Milano (questa grande e
benemerita città medaglia d'oro e tanto altro) succede che
i
fascisti non solo ci siano ancora. ma ancora agiscano come squadristi?
Come celebriamo il Natale
Due giorni prima di Natale
Il nonno ci conduce
Al vecchio campo, in una
Fabbrica di mattina abbandonata
Vicino al centro di Bologna,
Per mettere dei fiori
Sotto una lapide di marmo
Dedicata ai nostri parenti
Che furono ammazzati
Il 23 dicembre 1990
Quando alcuni poliziotti fuori servizio
Fecero fuoco contro le nostre baracche.
Eravamo cattolici quando vivevamo
Vicino al centro città,
Oggi siamo evangelici.
E' per questo che non siamo più stati
Attaccati?
O è perché adesso siamo
20 chilometri lontano
Dall'abitato?
Una cosa è certa:
Gli assassini non sono più in prigione,
Ma noi siamo ancora in un campo.
Oppure, che negli stessi giorni a
Bolzano (e in
cento situazioni simili sconosciute e non denunciate) ci sono quelle che
chiameremmo retate?
La sopravvissuta all'Olocausto
Una donna anziana
Si è intrufolata nel nostro campo
La notte scorsa.
Il nonno la conosce
Dai tempi della Seconda guerra mondiale.
Nel 1943 era in un lager fascista
Ad Agnone, nel centro Italia,
Dove perse 15 parenti.
Ha detto che ricevevano solo 100 grammi
Di pane al giorno.
Dopo la guerra è stata trasferita
In un campo vicino a Roma.
La settimana scorsa le autorità
Hanno abbattuto con le ruspe la baracca
Dove aveva vissuto per 60 anni.
Non sa più dove siano
i suoi figli, i nipoti,
i pronipoti.
Li ha perduti quando la polizia
Ha lanciato i gas lacrimogeni.
Quando gli ispettori vengono da noi
Speriamo che non la trovino.
Se lo faranno, il nonno
Dirà loro
Che lei è un mulo,
Un fantasma zingaro
Che è venuto da noi
Per una breve visita.
E chissenefrega! direte. Perché anche nell'Italietta pre-guerra, queste cose
succedevano, ma chi volevi che ci facesse caso... succedeva sempre (o quasi
sempre) a qualcun altro, e magari pure a qualcuno che ti stava antipatico.
Certo, non mi stupisco se poi, a furia di non protestare e mandare giù tutto,
prima o poi qualche capoccia ne approfittò, ed il risveglio fu tragico per i
poveri Italiani belli e addormentati.
Oggi, se dovessi festeggiare il 25 aprile, lo farei con i Rom di Dione Cassio,
tanto saremmo i soliti 4 gatti, e loro che ci guarderebbero con un misto di
compatimento e presa in giro. Ma almeno, saprei che quella è la gente giusta.
Pensate che i partigiani, quelli veri, siano saliti in montagna con l'Iphone?
Erano gente affamata, stracciata, con le scarpe rotte (eppur bisogna andare),
spesso ladruncoli o gente senza arte né parte (chi si ricorda di
Nino?),
di sicuro non avrebbero capito una generazione che si crede giovane a 40 anni
suonati, e che il massimo della protesta che sa fare è postare la propria
insoddisfazione su FB (credendo magari che ci sia pure qualcuno che lo legga)?
A me quest'Italia fa male, non tanto perché si spacca tra Rodotà e Marini
(sapendo che comunque la vostra opinione non conta più niente), ma perché se io
per caso fossi una ragazzina rom appena arrivata in Italia, mio padre non mi
farebbe girare da sola per strada, per non parlare della notte. E non c'entra
niente il LORO problema culturale, à un problema nostro e democratico: perché
quella ragazzina da sola rischierebbe di essere aggredita, violentata, o
quantomeno presa a sputi e male parole da NOI, o da chi assomiglia a noi. Non è
neanche fascismo, è quasi Medio Evo.
Pensavo di essere sopravvissuta
Sono sopravvissuta alle bande della gioventù hitleriana
scappando a Praga.
Dopo che mi hanno portato a Lety,
sono sopravvissuta:
fame,
fucilazioni,
iniezioni letali,
squadre di lavoro,
pestaggi
stupri
tifo
e annegamenti
nel fusto di acqua piovana.
Dopo la guerra
volevo una vita migliore
ed ho sposato un uomo bianco.
Solo uno dei miei otto figli
ha ereditato la mia pelle scura di zingara.
Ora lui è in ospedale
a riprendersi da due operazioni
dopo che gli skinheads
lo hanno impalato su un palo metallico.
Non so se sto vivendo
nel 1939 o nel 1995.
Pensavo di essere sopravvissuta,
ma credo di aver solo
barcollato senza arrivare da nessuna parte.
E' fascismo o non lo è? C'è chi afferma che dopo tanti anni anche i fascisti
devono avere la libertà di manifestare le loro opinioni. Non mi scandalizzerebbe
più di tanto, se non fosse per il vecchio vizio di manifestarle con l'ausilio di
sassi, bastoni e tirapugni. Ma non è uno scandalo, perché per esprimere quelle
stesse opinioni, oggi non è più necessario essere fascisti.
Siamo alle
cronache recenti, e qua occorre SOSTARE UN POCO. Non è più necessario essere
fascisti, la china è in discesa anche per chi è democratico e antirazzista. Nel
momento che non si ha più la capacità antifascista di indignarsi per Dione
Cassio, "può capitare" a tutti (sottolineo: a tutti) di scivolare su un assunto
del tipo: se i Rom partecipano alle nostre manifestazioni di vita democratica,
dev'esserci qualcuno che ne trae vantaggio. Sanzionando una separazione tra noi
e loro, ma anche tra di noi (chi ne trae vantaggio e chi no). Perché i Rom non
dovrebbero partecipare alla società come tutti gli altri? E se qualcosa partisse
da loro, perché questi stessi democratici e antirazzisti non se ne accorgono
mai? Se non si riconosce loro il diritto a far parte della nostra società e dei
suoi riti (buoni o cattivi che siano), il campo, il ghetto (dove accadono le
peggiori cose), diventano PER FORZA la logica soluzione. Da democratici e
antirazzisti (a maggior ragione se con responsabilità politiche) mi aspetterei
ragionamenti politici e non di pancia, qual è il dito e quale la luna? Chi fa
politica, si deve scandalizzare per una compravendita (ipotetica, non provata)
di voti, o per le condizioni materiali in cui questa gente è tuttora costretta?
Da dove iniziereste? DOV'E' LA POLITICA E DOVE LO STRABISMO?
Eros
Gli ispettori vengono da noi
Ogni settimana,
Per assicurarsi
Che non infrangiamo nessuna
regola del campo.
Siccome è un campo
Per nomadi
Non ci è concesso avere
Strutture permanenti.
Neanche un traliccio
Per le rose di mia nonna.
Neanche una tenda fissa
che in estate ci ripari dal sole.
Neanche due pali
Cementati al suolo
Per sostenere
I fili per la biancheria
E asciugare i nostri vestiti.
La sola struttura permanente
Che alla fine ci hanno concesso
E' la gabbia attorno
alla cuccia di Eros
Perché è un pitbull.
Oggi Eros sembra
Uno di noi
E sta lì accovacciato
Senza niente da fare.
Non dobbiamo prendercela con questi Rom e Sinti, che non capiscono e
continuano a chiamare tutto ciò fascismo. Non hanno studiato, la complessità non
sempre è nelle loro cifre, ma questa cosa l'hanno chiara, come i nostri nonni:
fascismo era
fame, violenza, esclusione, dover scappare. Il resto, era roba da
carta stampata, o da tastiera, virtuale insomma.
E' vietato sedere all'ombra.
E' vietato ridere, cantare, ballare.
E' vietato fumare, mangiare, bere.
E' vietato cucinare, lavarsi, farsi belli.
E' vietato sputare, cacare, scopare.
E' vietato lamentarsi, piangere, urlare.
E' vietato pregare, chiedere l'elemosina, rubare.
e' vietato correre dall'altra parte del confine.
Cercare la libertà è assolutamente proibito.
e allora, ripeto, non voglio ASSOLUTAMENTE parlare di Rom e Sinti,
ma nel loro inno c'è una NERA LEGIONE, ed ancora oggi - mentre festeggiamo
la libertà ritrovata, gli
zoccoli dei cavalli della nera legione corrono per le pianure d'Europa. Una
legione con volti da bambino,
berretti da basket e maglie alla moda: non sapremmo riconoscere le differenze tra
noi e loro. Sono lì per rassicurarci...
Comunque: se il 25 aprile non è una festa, cosa resta? La capacità di
scandalizzarsi per cosa succede ancora? Ma se oggi la capacità di scandalizzarsi
e di scendere in piazza a protestare (cioè: RENDERSI VISIBILI, CONDIVIDERE FISICAMENTE LA POLITICA) resta ai soli fascisti e al M5S (per
ragioni ovviamente diverse), continuo a chiedermi: COSA RESTA???
Di Fabrizio (del 09/03/2013 @ 09:08:23, in Kumpanija, visitato 1370 volte)
"I Rom uccidono i cavalli"
Mediaroma(NdR: conosco allevatori rom di cavalli, in
Lombardia e altrove. Magari non sarà così per tutti, ma per loro è quasi un
tabù: non alleverebbero mai un animale, ma neanche un pollo - per fare un esempio,
per macellarlo. Lettura consigliata
Raccontino)
La dichiarazione di Nihal Kobal, presidentessa della Camera dei Macellai di Sakarya,
in cui lamenta che i Rom macellerebbero cavalli, ha suscitato reazioni tra
gli stessi (regione di Marmara). Il presidente dell'associazione locale dei Rom, Orhan Tanyel,
ha detto che presto faranno una denuncia in merito a tale dichiarazione.
La dichiarazione di Nihal Kobal nasce da voci secondo cui carne di cavallo
verrebbe venduta di nascosto ad un ristorante di Sakarya.
Secondo lei i cavalli verrebbero macellati dai Rom del posto. Orhan Tanyel,
presso la sede della sua associazione, ha fatto una contro-dichiarazione stampa
sulla questione, in cui afferma: "Perché Kobal se la prende solo coi Rom? E'
possibile che qualcuno tra di noi che macelli cavalli. Potrebbe fornire i loro
nomi, senza stigmatizzarci tutti. Non c'è necessità di sottolineare l'origine
etnica di questa gente. D'altra parte, sappiamo che non ci sono Rom tra i
macellai conosciuti per vendere carne di cavallo."
Di Fabrizio (del 05/03/2013 @ 09:05:28, in Kumpanija, visitato 1539 volte)
YOUR MIDDLE EASTGli zingari d'Irak - incontro con un popolo in
isolamento - di
Nizar Latif (giornalista freelance da Baghdad)
Il villaggio di Fuwwaar si trova presso la città di Diwaniyah, 180 km a sud
di Baghdad, ma rimane isolata dal mondo esterno - parte è dovuto al suo stile di
vita zigano e parte alla considerevole presenza dei militari, che
controllano il traffico in entrata e in uscita.
Uomini armati osservano con attenzione chi entra, in cerca di prostitute e
altri piaceri proibiti. Gli stranieri che tentano di entrare nel villaggio
vengono uccisi, sulla base di semplici sospetti, da militanti dei gruppi armati.
Fuwwaar assomiglia ad un sito archeologico nel deserto; abbandonato dalla
gente e con poche case - distrutte o in via di distruzione. Rimangono rifiuti e
poche persone, devastate da migliaia di anni di guerra. Una famiglia qui e una
lì. Le pareti delle case sono di fango e il tetto, le poche famiglie che ne
hanno uno, è di argilla. Le case rimanenti sono aperte al sole e alle
intemperie. Il villaggio manca di scuole, centri medici o di acqua potabile.
C'è una lotta in corso. Sono stati messi in discussione e combattuti da
tutti: lo stato, il governo, la costituzione, la legge, religione, costumi,
tradizioni e persino la società. La lotta segna i loro volti e corpi. Sono
invecchiati molto più velocemente rispetto alla loro controparte nella società
maggioritaria.
Sono vivi ma sopravvivono. La loro unica colpa è di essere nati così. Gli
zingari, in Irak in generale e a Diwaniyah in particolare, affrontano il
confinamento sociale e la mancanza di servizi. Il capo degli zingari di Diwaniyah,
che per ragioni di sicurezza si fa chiamare Abu Saleh, ci dice: "Patiamo
numerosi problemi e questioni: soprattutto la non esistenza di qualsiasi
servizio. Non c'è acqua, elettricità o altri servizi, oltre al confinamento
sociale e alla malevola percezione degli zingari nella società. D'estate
soffriamo la calura, in queste povere case senza elettricità. Alcuni bambini per
rinfrescarsi si gettano nelle acque dei liquami. Il nostro unico accesso
all'acqua viene dagli scarichi contaminati per uso non-domestico."
Tutta la regione affronta difficoltà simili, puntualizza Abu Saleh,
specialmente dopo l'assalto armato al villaggio di cinque anni fa.
"Ma non abbiamo altra scelta," aggiunge. "Quanti sono emigrati avevano
possibilità finanziarie ed erano di famiglia benestante, con i mezzi per
guadagnarsi da vivere. Noi non abbiamo una professione, né un lavoro, né un
salario o qualche altra fonte per guadagnarci da vivere."
Dice che la prostituzione e le altre forme di corruzione sono terminate
cinque anni fa, e che le famiglie che gestivano queste attività sono emigrate.
Quelle che ora sono qui, dice, sono estremamente povere e non hanno lavoro né
altri mezzi per vivere.
"Mendicano per mangiare!" dice. "Sono le stesse famiglie che si sono
insediate nel villaggio negli anni '70 e sono rimaste sino a oggi."
Il problema degli zingari riguardo il lavoro va oltre la mancanza di
competenze o i contatti con i reclutatori. Viene loro rifiutato a causa
della stigmatizzazione sociale. Socialmente, sono disprezzati e gli stranieri
rifiutano di socializzare con loro. Sono spalle al muro sul piano sociale,
tribale, religioso e governativo, e non viene loro permesso di condurre i propri
affari. Sono anche esclusi dai servizi della sicurezza sociale, lanciati dal
governo iracheno a protezione dei poveri nel paese.
Abu Aysir siede accanto alla strada che attraversa il villaggio, vende della
verdura appoggiata a terra. Serve per mantenere la sua famiglia di due mogli e
quattro bambini. "Nonostante tutte le sofferenze, l'assenza di servizi, la
disoccupazione, la povertà e tutte le nostre difficili condizioni," dice "la
verità è che non abbiamo praticato il terrorismo o agito contro la sicurezza del
paese."
"Non abbiamoi mai preso partito, anche nelle circostanze più dure, causando
problemi, il ché ci rende molto patriottici," aggiunge, "eppure ci sono stati
dei martiri tra il nostro popolo, che hanno perso la vita in atti di terrorismo
e violenza. Neanche per un giorno abbiamo pensato di ricorrere alla violenza e
al terrorismo, non ci apparttengono. E oggi qui, viviamo nella marginalizzazione
e nel totale disprezzo delle nostre esigenze di base, come la disponibilità di
un minimo di lavoro, di cui vivere. Non è giusto che beviamo acqua sporca dal
torrente, senza acqua potabile, elettricità e altri servizi."
Gli zingari sono stati soggetti di numerosi brutali attacchi da parte di Al
Qaeda e di militanti sciiti, in diverse città dell'Irak. Attacchi che hanno
lasciato migliaia di morti; donne, bambini e uomini, senza alcun intervento da
parte del governo, che è rimasto in silenzio.
Una giovane di ventotto anni, Shakir, dice: "Cinque anni fa, fanatici delle
milizie sciite hanno lanciato centinaia di attacchi contro il nostro villaggio,
e hanno bruciato le nostre case. Con le loro spade hanno macellato brutalmente
le nostre donne, uomini e bambini. Hanno smembrato i loro corpi e tagliato le
teste dalle nuche. Nel contesto sociale delle tribù arabe, tagliare la testa
dalla parte posteriore del collo rappresenta il più basso grado per morire e che
il valore è zero. E' una forma di odio e disumanizzazione essere uccisi
brutalmente. Questi militanti sciiti si distinguevano nell'ucciderci e
torturarci."
Aggiunge: "Il governo e i funzionari iracheni furono ciechi e sordi ai
crimini brutali di cinque anni fa. Secondo me, li hanno persino appoggiati, dato
che la maggioranza dei politici sono fanatici sciiti." Secondo Shakir, dozzine
di famiglie lasciarono il villaggio per stabilirsi in città più sicure, e molte
di quelle rimaste hanno perso, almeno, due o tre componenti, uccisi dalle
milizie estremiste sciite.
La famiglia di
Abu Saleh è tra queste. Ha diviso il resto del suo clan in 22 piccoli gruppi,
mandandoli a mendicare, una dura soluzione, ma l'unica che permettesse di
mantenersi uniti.
"Ho diviso il mio clan in piccoli gruppi, composti da una o due famiglie, e
li mandati in diverse provincie irachene," spiega. "Era l'unico modo per
guadagnare qualcosa senza essere riconosciuti dalle milizie che cercano sempre
di ucciderci, o da altra gente che potesse riconoscerci e rifiutarsi di darci
qualcosa. Uno zingaro non è in grado di ottenere un lavoro, perché la gente
comune si sentirebbe in disgrazia e disonorata, se lo facesse. Inoltre, il
governo iracheno è sempre più dominato da islamisti fanatici, e mai assumerebbe
degli zingari. Ci trattano come animali."
Il gruppo sarà via per un mese e oltre. Al loro ritorno nel villaggio,
dovranno condividere quanto guadagnato con le altre famiglie che mancano di un
reddito. Prima del 2003, Fuwwaar ospitava oltre 1.700 zingari. Oggi sono meno di
200.
"L'isolamento mi fa sognare il momento che sentirò di appartenere al resto
della razza umana e dell'umanità," dice Sama, 22 anni. "La solitudine di questo
posto senza vita, ti fa vivere un dolore e una pena che uccidono lo spirito. La
sera vado verso il deserto qua vicino e penso a cosa ci riserva il futuro. La
scena di bambini miseri e vecchie stanche seduti in circolo di fronte a una
delle case del villaggio, che ricordavano i giorni passati e ora, mentre si
chiedevano dove sarebbero finite, tra le altre cose, è stato una dei motivi che
mi ha spinto a lasciare la mia amara realtà e cercare la solitudine, solo per
scoprire che noi tutti non siamo responsabili della tragedia che stiamo
vivendo."
Perché pagare per errori mai commessi, si chiede. Ma è anche preoccupa anche
di lasciare la comunità, perché neanche fuori ci sarebbero garanzie di successo.
Dov'è la speranza, si chiede.
"Abbiamo il diritto di rimproverare i nostri antenati?" si chiede un'anziana
che da giovane vendeva il proprio corpo. "No, non li biasimo. Siamo destinati ad
essere zingari ed in questo modo dobbiamo vivere."
Molte delle donne del villaggio sono disposte a fare tutto il necessario per
provvedere alle loro famiglie. Dentro il villaggio possono lavorare e sentirsi
rispettate, lontano dagli insulti e dalle umiliazioni del mondo esterno. Dice Um-Suhair,
sarta: "Qui c'è un'infinità di donne che sanno cucire e tessere benissimo, e
sono pronte a lavorare in qualsiasi professione decente, per guadagnarsi da
vivere e aiutare le loro famiglie. Soffriamo la percezione della comunità, in
quanto siamo considerate estranee al quadro dello stato e dell'umanità, inoltre
non siamo Iracheni. Il mio lavoro sono il cucito e la maglieria, ma gli affari
non sono più quelli di una volta. L'immigrazione, la povertà e l'indigenza
prevalente nel paese, trasformano ogni attività artigianale in fallimentare e
non redditizia."
La sofferenza si estende alle strade che portano al villaggio, dice, e degli
attacchi da parte delle tribù che lo circondano, che rendano pericoloso entrare
ed uscire dal villaggio. Molte donne sono state violentate o uccise.
Gli zingari iracheni, conosciuti anche localmente come Kaulia, hanno radici
che affondano in India e Spagna. Secondo il ministero iracheno dei diritti
umani, questi zingari formano una minoranza etnica tra le 50.000 e le 200.000
persone. Sono insediati in villaggi e insediamenti, di solito isolati ai margini
delle città e paesi, sono presenti nelle provincie di Baghdad e AlBasra,
Ninawa e Diyala, inoltre in alcuni villaggi delle pianure del sud, come
Al-Muthanna and Diywaniyah.
Erano tribù nomadi sino agli anni '70, l'Irak riconobbe loro la cittadinanza nei
primi anni '80. Erano parte della comunità irachena, in quanto si occupavano
dell'intrattenimento. Le piccole comunità hanno tradizioni e costumi molto
differenti dal resto del paese.
Ma, nonostante il loro rifiuto da parte della società, l'arte zingara ha
catturato l'interesse degli iracheni e trovato una strada attraverso la TV e le
stazioni radio, queste ultime popolari soprattutto nell'Irak rurale. Prima che
arrivassero alle trasmissioni TV, gli Iracheni avevano l'abitudine di chiedere
agli zingari l'intrattenimento per le feste di matrimonio e le celebrazioni
all'aperto, dove le donne zingare ballavano e cantavano dietro compenso. Le
femmine zingare diventarono delle star nella scena artistica irachena. Le
canzoni zingare sono parte fondamentale di quelle irachene, e i cantanti zingari
sono sinonimo di cantanti folk. Raramente c'è una festa senza che venga
suonata una melodia gitana.
Dice Laith Abdul Latif, ricercatore ed esperto di genealogia: "Il termine Al-Kaulia
si applica alle tribù indiane le cui donne guadagnavano di vivere con
l'adulterio, la danza nr il clero durante i servizi religiosi, altre cercando
piacere. Altre provenivano dal tempio indiano di re Kaul, da cui il nome. Le
origini degli zingari Kauli vengono dall'India."
Nonostante il fatto che parlino arabo e che siano musulmani, come loro stessi
dichiarano, continua Laith Abdul Latif, la carnagione scura e i tratti affilati
li distinguono dal resto della popolazione. Gli zingari si lamentano della
discriminazione riguardo a terminologia, le loro caratteristiche di spicco
indiane, e le loro pratiche della danza, prostituzione, intrattenimento e di
affittare le donne. Dice Widad Hatem, presidente della commissione sui diritti
umani della provincia di Diwaniyah: "Dalle ricognizioni che effettuiamo attorno
al villaggio degli zingari, abbiamo scoperto diversi problemi che sono gli
stessi degli altri residenti nella regione: assenza di elettricità e acqua
potabile, disoccupazione dovuta a discriminazione etnica e disprezzo sociale. In
quanto funzionari, assieme alla commissione sui diritti umani, dobbiamo fornire
soccorso alla regione, assieme ai servizi necessari, quali energia elettrica,
acqua potabile e presidi medici."
Aggiunge che, la chiave è spostare l'interesse dalle autorità preposta e
dalla presidenza del consiglio, verso la direzione del prendersi cura e
interesse di questo gruppo sociale, che ha sofferto sia il disprezzo comunitario
che le difficoltà di vita.
"L'area è stata rifornita di tre serbatoi di acqua potabile, installati in
diverse posizioni del villaggio. Inoltre, la direzione municipale sta
progettando di rimuovere i detriti ed eseguire la manutenzione stradale. I
nostri sforzi congiunti, combinati con quelli delle organizzazioni della società
civile, cercano di introdurre agevolazioni per cucito e tessitura, laboratori,
un progetto di riciclaggio dei rifiuti o qualsiasi altro schema nell'area,
perché la loro interazione con la società esterna non passi attraverso
sofferenze o molestie, dovendo mendicare - una pratica che blocca qualsiasi
strada.
Ma dice che il lavoro nel cercare di migliorare le loro condizioni è reso più
difficile a causa dello stigma sociale. Vede barriere, non solo politiche, ma
anche con i leader civili e politci. E' dice che tutto è diventato più
impegnativo dopo la partenza delle organizzazioni USA che avevano contribuito
sinora. Ora si sta affrontando una battaglia in salita nell'aiutare un gruppo
così marginalizzato, in un paese dalle poche risorse.
"Ciò che mi rattrista," dice, "è quando si parla degli zingari, si parla di
loro come qualcosa di sporco e ripugnante. Siamo tutti esseri umani e dovremmo
essere trattati ugualmente. Questo dice l'Islam."
"Abbiamo deciso di donare gli organi, così la nostra Natalia rivivrà in altri
bambini". Questa la decisione dei genitori della piccola Natalia, la bimba rom
di 14 mesi caduta nel Tevere giovedì 21 febbraio e morta al Policlinico Gemelli
di Roma sabato 23 febbraio. La piccola stava giocando sulla sponda del Tevere
sotto Ponte Testaccio, dove viveva con i genitori in una baracca di fortuna. É
scivolata nel fiume, il padre l'aveva subito salvata e portata in ospedale, ma
le sue condizioni erano apparse da subito gravissime per problemi cardiaci
legati all'ipotermia. I giovani genitori hanno deciso di donare gli organi. Ora
però non hanno i soldi per il funerale e per riportare il corpo in Romania.
Nessun sostegno dal Comune. L'Associazione 21 Luglio ha lanciato una raccolta
fondi per aiutarli.
Questo l'appello dell'Associazione 21 luglio:
Sabato 23 febbraio è morta presso il Policlinico Gemelli di Roma, Natalia, la
bimba rom di 14 mesi caduta giovedì 21 febbraio nel Tevere, mentre giocava sulle
sponde dove la sua famiglia vive in una baracca di fortuna sotto Ponte
Testaccio. I giovani genitori rom rumeni, colpiti da questa tragedia, hanno
espresso il desiderio che il sacrificio della loro bimba servisse a salvare
altre piccole vite, dando il consenso alla donazione degli organi della figlia.
A distanza di giorni la famiglia, che ancora vive nella baracca lungo il fiume,
non ha ricevuto alcuna assistenza dal Comune di Roma ed è in attesa di espletare
le pratiche per il funerale di Natalia che verrà celebrato in Romania. Il giorno
dopo la morte di Natalia le forze dell'ordine hanno preavvisato la coppia
dell'imminente sgombero dell'area. La loro povera baracca verrà distrutta.
L'Associazione 21 luglio ha deciso di offrire al nucleo assistenza legale. Per
sostenere i giovani genitori nelle spese per il funerale e per il rimpatrio
della figlia l'Associazione 21 Luglio ha lanciato una sottoscrizione. É
possibile aderire alla sottoscrizione tramite Bonifico bancario presso
Bancoposta Codice IBAN: IT48 J076 0103 2000 0000 3589 968 o attraverso il
Bollettino postale al conto n. 3589968 intestato ad Associazione 21 luglio. Sul
sito dell'Associazione
21 luglio è possibile fare un versamento attraverso la carta di credito.
Ogni versamento dovrà avere come causale: Per Natalia.
A Roma il tasso di mortalità infantile dei bambini rom è del 24 per mille contro
il 9 per mille dei minori non rom, come evidenziato nel libro "Roma
Underground. Libro bianco sulla condizione dell'infanzia rom a Roma",
presentato proprio il 19 febbraio scorso a Roma dall'Associazione 21 Luglio. La
ricerca ha analizzato le conseguenze delle politiche capitoline degli ultimi tre
anni, ovvero quelle realizzate in seno al Piano Nomadi, sull'esistenza dei
minori che vivono a Roma in emergenza abitativa.
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