Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 22/06/2009 @ 09:28:46, in Europa, visitato 1345 volte)
Da Romanian_Roma
Divers.ro
15/06/2009 - Il rapporto annuale di Amnesty International mostra che la Romania continua ad avere problemi nel campo del rispetto dei diritti umani e del combattere la discriminazione contro le minoranze.
Le conclusioni del rapporto Amnesty International per l'anno 2008, pubblicate giovedì 28 maggio, sono che la Romania non ha chiarito a sufficienza il suo ruolo nelle controverse attività della CIA, le forze dell'ordine sono accusate di maltrattamenti ed uso eccessivo della forza, mentre persiste la discriminazione verso le minoranze - Rom ed omosessuali. Il rapporto si riferisce anche al rapporto di giustizia della Commissione Europea del luglio 2008, che richiedeva alle autorità rumene di migliorare il sistema della giustizia e [la situazione] della corruzione, specialmente a livello delle autorità locali.
Il rapporto di Amnesty International menziona che "la discriminazione contro i Rom continua ad essere estesa ed intensa," mentre continuano ad esistere lamentele riguardo il cattivo trattamento e l'uso eccessivo della forza da parte delle autorità. I Rom non beneficiano di pari accesso all'istruzione, casa, sanità e lavoro.
La discriminazione verso i Rom da parte dei funzionari pubblici, come pure della società nel suo insieme, rimane estesa e profondamente radicata. Le autorità rumene non hanno preso misure per combattere la discriminazione e porre fine alla violenza contro i Rom.
L'espressione "Zingari ripugnanti" usata dal presidente Traian Basescu per riferirsi ad un giornalista è considerata da Amnesty International come esempio che illustra la discriminazione rom in Romania. Il rapporto menziona che la Corte di Giustizia ha giudicato l'espressione "Zingari ripugnanti" come discriminatoria, ma non l'ha sanzionata, perché usata in una discussione privata.
Ci sono rapporti continui sul cattivo trattamento e sull'uso di forza eccessiva della polizia. E molte delle vittime sono Rom. Nonostante tutto questo il Governo rumeno non è riuscito a modificare la legislazione per quanto riguarda l'uso delle armi del fuoco secondo gli standard internazionali.
Di Fabrizio (del 22/06/2009 @ 09:26:32, in Europa, visitato 1514 volte)
Da
Roma_ex_Yugoslavia
Fonte: Agence France-Presse (AFP) 16 giugno 2009
BELGRADO: [...] Annunciando la Giornata Mondiale del Rifugiato per il 20
giugno, [martedì scorso l'OnG] Gruppo 484 ha detto che la Serbia sta attualmente
ospitando 97.000 rifugiati delle guerre in Bosnia Erzegovina e Croazia dei primi
anni '90.
Ci sono poi i 200.000 dispersi interni (IDPs) fuggiti dal distacco della
provincia serba del Kosovo, quando esplose il conflitto alla fine degli anni
'90, riporta l'agenzia Beta citando il gruppo. Tra loro la maggioranza sono
Serbi, ma sono anche inclusi Rom ed altre minoranze non-Albanesi dal Kosovo.
L'Alto Commissariato dell'ONU per i Rifugiati (UNHCR) stima che circa 280.000
di etnia serba fuggirono dalla Croazia durante la guerra per l'indipendenza del
1991-1995. Sinora circa 130.000 vi hanno fatto ritorno.
Risolvere il destino dei rifugiati è una delle condizioni chiave a cui la
Croazia dovrà adempiere, per sperare di diventare il 28° membro dell'Unione
Europea nel 2011.
D'altra parte, molti rifugiati dalla Bosnia e dalla Croazia si sono stabiliti
permanentemente in Serbia.
Quelli del Kosovo sono considerati dispersi dato che la Serbia e le Nazioni
Unite non riconoscono l'indipendenza del Kosovo, dichiarata dalla leadership
della sua etnia albanese nel febbraio 2008.
L'agenzia per i rifugiati ONU ha posto la Serbia nella lista dei cinque paesi
che si confrontano con ricorrenti crisi dei rifugiati, ha detto Danijela
Popovic-Roko dell'UNHCR a Belgrado.
Popovic-Roko ha descritto come "delicato" il destino dei circa 20.000,
prevalentemente Serbi, che sono rimasti in Kosovo ma sono stati espulsi dalle
loro case a seguito delle violenze interetniche nel marzo 2004.
Funzionari serbi hanno detto l'anno scorso che circa 6.000 persone rifugiate
e disperse vivono ancora nei cosiddetti centri collettivi, con praticamente
nessuna speranza di far ritorno alle proprie case.
Copyright (c) 2009 Agence France Presse
un racconto di Antun Blažević, in arte Tonizingaro
Camminava per le colline della sua infanzia ricordandosi che ancora
esistevano, aveva voglia di raccogliere tutti i fiori del giardino creato da
Dio, ma la mano vecchia e grinzosa, non aveva il coraggio di togliere la
bellezza al mondo, le cose del giardino di Dio non si possono toccare, solo
guardare e sentire.
Si mise seduto sulla terra cercando di rubare il profumo che lo circondava,
sapeva che questo era il suo ultimo giorno, sorrideva il suo vecchio viso pieno
di rughe, ricordandosi il tempo passato su queste colline. Avanti gli occhi gli
passavano le immagini delle corse con i cavalli, delle vecchie carovane, della
sua famiglia intorno al fuoco che li scaldava durante le notti fredde. Si
ricordava di tutto, era felice di sentire il profumo della terra ancora bagnata
sulla quale era sdraiato guardando il cielo, dove le nuvole facevano il solito
gioco che lo divertiva da quando era bambino: cercava di riconoscere qualche
faccia, poi la vide... Era bellissima, sorrideva, poi a un tratto cominciò a
piangere, le sue lacrime gli bagnavano il viso.
Non si muoveva, stava fermo cercando di capire perché lei piangeva, erano felici
da quando si erano conosciuti: avevano solo tredici anni quando i loro genitori
avevano deciso di sposarli, ancora gli veniva in mente il matrimonio, del quale
sì diceva che non si era mai visto nelle vicinanze niente di simile.
Dio mio
quanti ospiti.
Erano venuti da tutti gli accampamenti conosciuti e sconosciuti.
Portavano i doni ai nuovi sposi, sposati con il rito zingaro senza scrivere
niente sulla carta, bastava la parola data, perché per lui la parola è sempre
stata più importante di qualsiasi carta scritta.
Il matrimonio si festeggiava per sette giorni, gli stessi giorni che Devla ha
impiegato per fare il mondo, sette giorni e sette notti per onorare il sole, la
luna, le stelle, il fuoco, la pioggia, la neve, onorare tutti gli accompagnatori
della loro vita di nomadi.
La tradizione diceva che tutti sono benvenuti, invitati e non, tutti si
trattavano allo stesso modo, a parte gli anziani che avevano i posti
privilegiati, quelli più vicini al fuoco per scaldare le vecchie ossa.
Si facevano nuove conoscenze, baratti di ogni genere, c’era chi portava i
cavalli e li vendeva per l’oro, si scambiavano i coltelli e ognuno diceva e
giurava su Devla che il suo era stato fatto di un materiale speciale. Le donne
fumavano le pipe osservando li bambini che si mettevano sotto li tavoli dopo
aver rubato un pezzettino di dolce. Quando c’è un matrimonio tutti sono felici
perché è festa e quando è festa si sa che si comincia a creare un’altra
famiglia, quella che tramanderà le tradizioni e la vita.
Ancora gli sembrava di sentire i suoni dei violini che accompagnavano il canto
delle bellissime ragazze vestite con le gonne fiorite.
Con i ragazzi che guardavano come muovevano i loro corpi sottili e le
circondavano.
Ancora si ricorda il viso preoccupato di sua madre per la prima notte di amore,
poveraccia... Tutta la notte stava davanti la porta del carro per poter la
mattina tirare fuori il lenzuolo bianco con una macchiolina di sangue per
cominciare a urlare con voce forte e orgogliosa: era vergine e onesta, girando
la testa verso l’alto ringraziando Devla.
E lei, lei era bellissima con i capelli neri come il carbone e due occhi di
smeraldo, ancora sentiva il profumo della sua pelle che profumava dell’acqua
dove tutta la notte erano stati affogati i petali delle rose selvagge, che lei e
le sue sorelline andavano a raccogliere nei vicini boschi, solo Devla sapeva
quanto gli mancava in questo momento.
Ha smesso di piangere, meno male perché lui non ha mai potuto sopportare che lei
piangesse, non poteva sopportare la vista delle lacrime sul suo viso, infatti ha
pianto solo due volte, quando era morto il loro primo figlio e la seconda volta
quando si sposava il secondo: ne hanno concepito ben dieci di figli, ne sono
rimasti vivi nove, ma lei è sempre rimasta con la stessa bellezza e il sottile
corpo da ragazzina. Con mano tremante il vecchio si asciugò le lacrime dal viso,
aveva chiuso gli occhi stanchi dalla vista di tutta questa bellezza che lo
circondava, aprendoli vide davanti a sé un bellissimo cavallo bianco che lo
spingeva con la testa come per dire: dai, alzati, facciamo una delle nostre
solite corse.
Lo aveva riconosciuto, era lo stesso cavallo che gli avevano donato i familiari
della sposa. Il cuore gli diceva di alzarsi, ma le vecchia ossa non erano in
grado di obbedire. Il cavallo aveva capito la sua difficoltà: abbassando la
testa gli avvicinò le briglie, con la vecchia mano tremante e con enorme sforzo
le prese e, alzandosi con grande fatica, salì sulla groppa del suo amico che con
passi sempre più veloci si allontanò verso un posto lontano, dove regna la pace
e dove c’è il tempo per un eterno riposo.
Cronaca dei giornali;
«Ieri è stato trovato dentro il più grande campo nomadi d’Europa, in condizioni
disumane, il corpo di uno dei suoi abitanti, un vecchio zingaro che è scivolato
sotto la pioggia ed è affogato in una pozzanghera d’acqua».
Antun Blažević, in arte Tonizingaro, è nato nel 1961 a Sremska
Mitrovica nella ex-Jugoslavia. Vive in Italia dal 1981, dove lavora, come
mediatore culturale Rom, nelle scuole della capitale e presso l’Associazione
Arci Solidarietà. Appassionato di teatro e di musica, cerca di svegliare le
anime perdute, parlando, nei suoi spettacoli, dei diritti e dei doveri del
popolo Rom. È protagonista, oltre che coautore dei testi, dello spettacolo
teatrale realizzato da Moni Ovadia "Ieri e oggi, storie di ebrei e di zingari".
I suoi racconti e le sue poesie si alternano con vivace ritmicità e sono lì a
testimoniare la quotidianità della sua gente, i Rom, che può insegnare ciò che
nel nostro mondo si è dimenticato: la verità semplice di chi non ha niente, la
cui unica ricchezza sono le proprie tradizioni e la propria cultura. Tristezza
ironica, gioia di vivere, speranza: sono i fili conduttori che accompagneranno
il lettore. A maggio 2009 è stato presentato il suo libro "Speranza", una
raccolta di racconti e poesie scritte nel corso degli ultimi anni.
Di Fabrizio (del 21/06/2009 @ 09:39:54, in casa, visitato 1387 volte)
Da
Roma_Francais
LaGazette.fr Assetto del territorio - 11/06/2009 par Ulivo
Berthelin
La Commissione nazionale consultiva della gens du voyage, dopo un decreto
del 6 giugno scorso, è passata sotto il taglio del ministero degli affari
sociali.
"Continueremo a lavorare perché la gens du voyage possa disporre degli
stessi diritti degli altri cittadini, in particolare per quanto riguarda il
diritto di voto e le assicurazioni" dichiara il senatore Pierre Hérisson,
ricondotto dal Primo Ministro alla testa di questa commissione i cui membri
saranno nominati nel corso dell'estate.
"Dobbiamo tenere conto delle evoluzioni della società e tenderci sulla
questione dei terreni familiari di proprietà di viaggianti che corrispondono ad
una vera necessità di sedentarizzazione o di semi sedentarizzazione",
precisa ricordando che la legge su alloggio permette d'ora in poi di
sviluppare i lotti attigui ai banchi comunali.
"I sindaci non possono rifiutare né l'elettricità quando contratti sono
passati con gli operatori, né l'acqua ed il risanamento quando le reti passano
vicino al lotto. Occorre per quanto possibile trattare da un lato questi terreni
familiari e le superfici d'accoglienza permanenti per le famiglie che circolano
sole, come nel quadro dell'alloggio e d'altra parte il grande passaggio che
costituisce un fenomeno a parte legato a manifestazioni economiche culturali e
religiose" insiste il senatore, molto sensibile a queste questioni d'urbanesimo
poiché incaricato di questo dossier nell'ambito dell'Associazione dei sindaci
della Francia (AMF).
Due terreni per dipartimento
Preconizza la realizzazione di due terreni di grande passaggio per
dipartimento e d'altra parte la prosecuzione degli sforzi che riguardano le aree
d'accoglienza permanenti. "La metà delle posizioni sono in cantiere. I comuni
devono realizzare i 20.000 posti che ancora mancano, con l'aiuto dello Stato per
quelle che sono stati ritardati contro la volontà degli eletti, col denaro
proprio per quelli che non hanno alcuna scusa" martella, ricordando la legge
prevede che soltanto il prefetto possa sostituirsi al sindaco e realizzare la
superficie d'accoglienza a spese dei municipi refrattari.
Di Fabrizio (del 21/06/2009 @ 09:17:31, in Europa, visitato 1408 volte)
Da
Roma_Francais
publié le 10 juin 2009 - Nicolas
Gourdy / Welcomeurope
Il Consiglio dell'Unione Europea di lunedì 8 giugno si è lungamente dedicato
alla questione dell'integrazione dei Rom. Secondo le sue conclusioni, gli Stati
membri devono concepire ed attuare le loro iniziative in materia di integrazione
dei Rom in stretta concertazione con le collettività regionali e locali, che
devono giocare un ruolo centrale nell'applicazione concreta di queste politiche.
Questa riunione si iscrive nel più ampio dibattito europeo sulla situazione
sociale delle minoranze rom in Europa. In particolare fa seguito alla prima
riunione della "piattaforma integrata europea per l'integrazione dei Rom" che si
è tenuta a Praga nell'aprile 2009, sotto l'egida della presidenza ceca della UE.
Le conclusioni del Consiglio della UE tengono conto di una situazione
socioeconomica dei Rom che tende a non evolversi, bensì a deteriorarsi in questi
ultimi anni in un certo numero di Stati membri. Secondo Magda Kósáné Kovács,
autrice di una relazione sulla questione consegnata al Parlamento Europeo a
gennaio, la situazione dei Rom sul mercato del lavoro rassomiglia ad un circolo
vizioso. La disoccupazione colpisce più di qualsiasi altra minoranza e "non
possono avere accesso alle sovvenzioni europee sulla ristrutturazione
professionale a causa della loro mancanza di qualificazioni di base". La
situazione varia tuttavia molto paese ad un altro. Il Consiglio fa parte della
necessità di mettere in atto politiche più dinamiche ed efficaci riguardo a
queste popolazioni, ma senza precisarne veramente i contorni. Perché secondo il
Consiglio, questo ruolo spetta primariamente agli Stati membri, alle regioni ed
ai comuni. Il testo ricorda l'importanza per gli Stati membri e le loro
collettività di mettere in comune le proprie esperienze riguardo le iniziative a
favore dell'integrazione dei Rom per ottenerne le pratiche migliori. Ugualmente
incoraggia la creazione e lo sviluppo di reti transfrontaliere che permettano lo
scambio delle buone pratiche. Questo tipo di rete esiste già, ad esempio EURoma
(rete europea sull'inclusione sociale dei Rom nel quadro dei fondi strutturali).
Altro punto importante, gli Stati membri e le collettività sono invitati a
sfruttare pienamente gli strumenti finanziari comunitari (FSE, Feder, Feader)
nella messa in opera di progetti rivolti all'integrazione di queste popolazioni.
Dall'entrata nell'Unione Europea di Romania e Bulgaria nel 2007, i Rom sono
diventati la più importante "minoranza etnica" della UE. E' difficile stabilire
il loro numero preciso, che si stima tra i 10 e i 12 milioni di persone. In
Francia, il caso di quanti si chiamano comunemente la "Gens du voyage" è in
particolare disciplinata dalla legge Besson II che stipula che tutti i comuni
con più di 5.000 abitanti debbano avere un terreno d'accoglienza. La nuova onda
d'immigrazione di Rom provenienti dalla Slovacchia, dall'Ungheria, dalla
Bulgaria e dalla Romania ha cambiato la distribuzione e porta a chiedersi
numerose precisazioni quanto alle politiche da realizzare per integrare queste
popolazioni. Per il momento, quelli in provenienza dalla Bulgaria e da Romania,
benché cittadini dell'UE, sono sottoposti ad una misura transitoria che accorda
loro lo stesso status degli stranieri di un paese terzo, con l'obbligo eventuale
di lasciare il territorio francese. Questa misura dovrebbe tuttavia finire nel
2012, data nella quale tutti i cittadini bulgari e rumeni usufruiranno della
cittadinanza europea piena ed intera.
Di Fabrizio (del 21/06/2009 @ 09:09:44, in Italia, visitato 1566 volte)
A Milano, sotto il cavalcavia di
Bacula c'è un nuovo insediamento di Rom cacciati da altri rifugi, nonostante
le parole del vicesindaco De Corato che assicurasse come l'area fosse stata
chiusa e "messa in sicurezza". Continua la politica di giocare a guardie e
ladri.
CITYROM è tornato lì sotto, quella che segue è la sua inchiesta.
Giugno 20, 2009: Quando sono arrivato al cavalcavia Bacula, tra piazza
Stuparich e piazzale Lugano, pochi giorni dopo lo sgombero, c’erano ancora
persone sotto le arcate. Mi hanno raccontato che fino ad allora avevano dormito
all’aperto, accanto all’insediamento distrutto, e che stavano per partire per la
Romania come anche tanti altri stavano facendo. Molti invece avevano deciso di
restare a Milano e si erano sistemati in zona Lambrate e in un edificio
abbandonato a pochi passi dal cavalcavia in piazzale Lugano. Ci sono stato, al
secondo piano alcune famiglie avevano organizzato una "casa" con dei materassi,
un tavolo recuperato e tre tende da campeggio.
Per anni quest’area, alla periferia nord di Milano, ha ospitato diversi
insediamenti abusivi di rumeni di etnia rom, più volte sgombrati e più volte
risorti.
Quell’area l’abbiamo sgomberata quattro volte, mi avevano raccontato a dicembre
i responsabili del Nucleo problemi del territorio della Polizia locale di
Milano. Abbiamo detto in modo chiaro all’Amministrazione che per mettere in
sicurezza il cavalcavia Bacula bisognava costruire un muro di cemento armato.
Dopo lo sgombero dell’anno scorso, sotto il ponte il Comune ha messo dei
dissuasori "New Jersey" di due metri in modo che l’area non venisse occupata di
nuovo. In realtà hanno usato i dissuasori come letti… Hanno sfondato il muro che
divide il cavalcavia Bacula dal C.A.M. (Centro Aggregazione Multifunzionale) del
Comune di Milano, che ospita anche una scuola materna. Vanno nel giardino della
scuola e si lavano alla fontanella, defecano, stendono i vestiti e fanno il
barbecue.
Il 31 marzo 2009, dopo una campagna mediatica durata più di un mese che dava
voce agli esposti degli abitanti del quartiere e denunciava l’emergenza
igienico-sanitaria del campo, l’illegalità che vi proliferava e i conseguenti
problemi di sicurezza, il Comune di Milano ha per l’ennesima volta sgombrato
l’insediamento. Questa volta, però, seguendo le indicazioni della Polizia
locale, dopo lo sgombero, l’area è stata "messa in sicurezza". L’accesso
all’area sotto una parte del cavalcavia è stato chiuso con una recinzione in
ferro alta tre metri; il terrapieno in pendenza da cui si scendeva dal
cavalcavia nell’insediamento è stato sbancato e ora è una sorta di muro di terra
alto qualche metro; l’arcata del ponte sotto cui sorgeva l’insediamento più
piccolo è stata chiusa utilizzando la terra ricavata dallo sbancamento.
Prima dello sgombero il Comune aveva offerto dei posti letto nei dormitori
pubblici per le donne e i bambini, come era avvenuto già in passato. Ma la
proposta prevedeva che le famiglie si sarebbero dovute dividere, così tutti
hanno rifiutato. Le associazioni che avevano lottato perché si trovasse una
soluzione abitativa per gli abitanti, sono riuscite a sistemare 25 persone – le
famiglie con figli che vanno a scuola – alla Casa della Carità, e una famiglia
con una figlia disabile nel campo comunale di via Triboniano. Per tutti gli
altri, almeno duecento persone, non ci sono state iniziative.
Dopo che i giornali hanno dato la notizia dell’imminente sgombero, sono
ritornato più di una volta a visitare la baraccopoli per documentare cosa stava
succedendo e capire quali erano i motivi che rendevano urgente l’intervento
delle forze dell’ordine. Ho così raccolto diverse testimonianze.
Sunita abitava in una piccola baracca, fatta di materiali di scarto e rivestita
di stoffa. La prima volta che l’ho incontrata erano le tre del pomeriggio e si
trovava insieme alla famiglia all’interno della baracchina. Aveva in braccio il
figlio di tre anni, la suocera era sdraiata sul letto insieme alla figlia e al
suocero che dormiva.
Mio marito, mi ha raccontato Sunita, è scappato con un’altra donna e io sono
rimasta qui con mia suocera. Se vuole tornare io l’aspetto.
La loro baracca era isolata rispetto alle altre e si trovava nel campo
antistante il cavalcavia, addossata al muro che separa questo spazio dai binari
delle ferrovie Nord. Era costituita da tre moduli di due metri per tre: in uno
c’era la cucina e negli altri due i letti.
Se ci sgombrano porteremo con noi solo le coperte e i vestiti, il resto lo
lasceremo qui, non abbiamo la macchina.
Quel giorno sono rimasto a parlare con loro per un po’. Mi hanno raccontato che
la casa che avevano in Romania l’avevano venduta dopo la morte del figlio
maggiore per pagare il funerale e che l’anno scorso era morta la figlia di
Sunita, dopo solo quarantatre giorni di vita. Abbiamo fatto il funerale al campo
di via Triboniano, dietro il cimitero maggiore. Vivevano facendo l’elemosina.
Mentre Student, il capo famiglia, non lavorava e si occupava di accompagnare i
figli di otto, dieci e tredici anni a scuola. Oggi ho guadagnato solo cinque
euro. Mia suocera non ha raccolto nulla perché la polizia l’ha cacciata via.
Esco tutte le mattine alle sei per arrivare solo alle 8.30, non ho soldi per
pagare il biglietto e i controllori mi fanno scendere continuamente. Vado a
Bollate, Varese, Cittiglio, Gavirate. A Milano no, perché non ho un posto dove
stare. Mi fermo davanti a un supermercato, una chiesa o un cimitero. Il massimo
che ho raccolto in una giornata sono stati 25 euro. Oggi tutti mi dicono che
sono in crisi.
Vasil un uomo silenzioso con l’aria seria, parlava un buon italiano. Mi ha
raccontato che è arrivato in Italia nel 2002. Perché hai scelto l’Italia?, gli
ho chiesto. Per la lingua. Sapevi che saresti andato a vivere in una
baraccopoli? No, prima di venire in Italia sono stato sei mesi in Spagna e ho
abitato in un appartamento in affitto. E in Italia? I primi mesi ho abitato a Triboniano (una grande baraccopoli abusiva alle spalle del Cimitero Maggiore),
appena ho trovato un lavoro
sono andato via dai campi e ho preso un appartamento in affitto e finché ho
avuto un lavoro sono stato in appartamento. Poi, per forza di cose, non avendo
più soldi, ho lasciato l’appartamento e sono ritornato a vivere in un campo.
Vasil mi ha raccontato che l’appartamento si trovava a Sesto San Giovanni, era
composto da due stanze da letto, un soggiorno, una cucina e un bagno e che
pagava 650 euro di affitto. Abitava insieme alla moglie e ai quattro figli che
l’avevano raggiunto in Italia appena lui si era sistemato. E che poi era rimasto
solo con la moglie. I figli dopo aver lasciato la casa erano ritornati in
Romania. Ho una figlia di 27 anni sposata con due figli, una figlia di 23 anni e
uno di 22 che vanno all’università e un’altro di 13 anni che va anche lui a
scuola. In Romania ora vivono in una casa in muratura con un giardino piccolo
che ho comprato nel 1989. Vasil ne parlava con orgoglio.
A Milano la sua baracchina si trovava insieme ad altre otto sotto uno delle
campate del Cavalcavia Bacula. Era grande due metri per tre, al suo interno
c’era spazio solo per il letto. Anche la sua era fatta con assi di legno e
interamente rivestita di stoffa. Aveva una piccola finestra per fare entrare un
po’ di luce naturale.
Vasil chiudeva con un piccolo lucchetto la sua baracchina. Anche se il campo era
abitato da persone del suo stesso villaggio probabilmente non si fidava di loro.
Si sentiva diverso e fuori luogo, non amava vivere in quelle condizioni.
Mi capitava spesso di incontrarlo insieme alla moglie seduto su un telo nel
grande spazio all’aperto su cui si affacciavano i due insediamenti abusivi.
Questo luogo che tutto l’inverno era stato utilizzato come passaggio e come
deposito per la spazzatura era diventato con le prime giornate di sole anche un
luogo di ritrovo dove si riunivano in piccoli gruppi alla luce del sole. Dopo un
inverno passato sotto i ponti, nascosti e protetti, gli abitanti di questa
baraccopoli erano tornati alla luce, visibili e di nuovo ingombranti.
Marco abitava poco distante da Vasil. La sua baracchina era appena fuori
dall’arcata del ponte in un punto in cui le case di legno formavano un piccolo
slargo sempre affollato di gente, seduta davanti alle proprie baracche, che
passava la giornata chiacchierando, bevendo una birra o mangiando carne o ciorba,
una zuppa che le donne cucinavano sulle braci.
Quando ho conosciuto Marco era il compleanno di suo figlio piccolo e l’ho
accompagnato a comperare una torta per festeggiare l’evento. Mi ha raccontato
che il giorno dopo il figlio e la moglie sarebbero partiti per la Romania
perché, in vista dello sgombero, era diventato troppo pericoloso restare lì.
Lo incontravo spesso seduto con altri in quella piazza informale ed era tra
quelli che parlavano di meno. Quando gli ho chiesto di raccontarmi la sua
storia, lui che non voleva farla sentire agli altri, si è alzato, ha afferrato
un tavolo e mi ha chiesto di seguirlo. Dieci metri più in la ci siamo messi
attorno al tavolo, in piedi, e ha iniziato a raccontare. Sono arrivato in Italia
quattro anni fa. Prima ero da solo poi è venuta mia moglie e mio figlio. Ho
cinque figli, uno di 22 anni, sposato. Abitano in Romania in una roulotte che ho
comprato qualche anno fa. Prima abitavo nella casa di mio padre. Quando è morto,
la casa è andata al più piccolo dei miei sei fratelli. Lavoro solo due ore alla
settimana in una trattoria.
Il suo racconto però è stato interrotto quasi subito da due ragazzi che si sono
avvicinati e hanno iniziato a parlare con me. Uno di loro voleva chiamare il suo
datore di lavoro, l’altro invece voleva farmi vedere un documento. Marco era
infastidito ma non è riuscito a respingerli. Non ci siamo più visti.
Flora abitava nell’insediamento più popoloso sorto sotto la grande piastra di
cemento del cavalcavia. Era tra le poche persone che erano tornate subito dopo
lo sgombero del 4 luglio a riabitare il ponte. Dormiva con i figli su dei
materassi sistemati tra i dissuasori.
Poco prima dello sgombero le baracchine sotto il ponte erano decine. Così
piccole da contenere appena un letto e una stufa. Siamo in tanti e c’è tanta
sporcizia, raccontava Flora. Il vostro paese, la vostra terra ci hanno trattato
tanto male. L’altra sera c’era tanta gente che urlavano e gridavano. Mio Marito
la notte non dorme più perché ha paura che bruciano qualcosa.
La Lega Nord aveva organizzato un corteo di circa cinquanta persone contro
l’insediamento abusivo.
Dopo il primo periodo in cui dormiva sui materassi Flora aveva costruito anche
lei la sua baracchina, all’esterno della quale c’erano tante cose raccattate in
giro: un frigobar, un frigorifero, una cucina a gas, una pila di batterie, sedie
e divani. L’ultima volta che l’ho incontrata, Flora si trovava ancora nello
stesso punto dell’insediamento, dove il ponte confina con il parco del Centro di
Aggregazione Multifunzionale (C.A.M.) di via della Pecetta. La parrocchia di
Santa Elena ci ha aiutato molto, mi ha raccontato. Nessuno conosce meglio di me
Don Matteo. Faccio l’elemosina davanti la sua chiesa. Al centro di ascolto
prendo da mangiare una o due volte al mese. Mi caricano la bombola.
A Bacula ero stato la prima volta il 4 luglio 2008, dopo uno dei tanti sgomberi
che questa comunità, proveniente dalla città romena di Draganesti-Olt, ha
subito. Anche allora l’insediamento era stato completamente distrutto e l’area
era stata bonificata dal Comune di Milano. E anche allora, pochi giorni dopo,
qualcuno era ritornato in Romania e qualcun altro era già ritornato ad abitare
l’area.
Da quando il Comune ha inaugurato la "politica della sicurezza" il copione è
sempre lo stesso. Il nucleo problemi del territorio della Polizia locale di
Milano monitora il territorio, scheda le occupazioni abusive sparse per la
città, e valuta quando è urgente predisporre lo sgombero. L’amministrazione
comunale, ora in accordo con il prefetto-commissario all’emergenza rom, avvia
una campagna mediatica che ha due obiettivi: dimostrare l’azione del governo e
comunicare agli abitanti che dovranno andare via, da soli o con la forza. A quel
punto, naturalmente, le associazioni che operano all’interno del campo lanciano
il loro appello, e denunciano le condizioni di degrado e inumanità in cui sono
costretti a vivere i rom a Milano.
L’opinione pubblica si convince che il problema si sta risolvendo ma in realtà i
rom continuano ad andare e venire dalla Romania e a vivere illegalmente in
città.
sp
Di Fabrizio (del 20/06/2009 @ 09:48:24, in Europa, visitato 1289 volte)
Corriere del Ticino
MENDRISIO - «Il Consiglio di Stato ha preso atto della libera e legittima
scelta del Municipio di Mendrisio di sospendere per ora il permesso di
stazionamento sul territorio comunale. A questo proposito, ora che l'Esecutivo
della "nuova" Mendrisio è entrato formalmente in funzione da qualche settimana,
non si mancherà di prendere contatto con l'Esecutivo locale per chiarire quanto
è successo e per studiare assieme le possibili soluzioni. Pur comprendendo
le ragioni che hanno indotto il Municipio di Mendrisio a sospendere la messa a
disposizione dell'area, il Consiglio di Stato intende chiedere un ripensamento
della decisione e più in generale auspicare dai Municipi una maggiore
collaborazione per risolvere l'annoso problema della disponibilità di aree per
nomadi». È questo il passaggio più significativo della risposta data il 10
giugno dal Governo cantonale all’interrogazione del 9 marzo del deputato
leghista Lorenzo Quadri, che chiedeva tra l’altro lumi sugli spari esplosi pochi
giorni prima contro veicoli degli zingari accampati ai posteggi della piscina
comunale di Mendrisio (vedi
QUI ndr).
p.c.
Di Fabrizio (del 20/06/2009 @ 09:20:13, in Europa, visitato 1768 volte)
Da
British_Roma
GetHampshire.co.uk Nei piani dei Viaggianti, eventi per cambiare gli
atteggiamenti 12 giugno 2009
Nel 1954 l'Enciclopedia Britannica riguardo a "Zingaro" dichiarava: "L'età
mentale dell'adulto medio zingaro è ritenuta essere circa quella di un bambino
di 10 anni".
Diceva anche che non avevano "mai compiuto qualcosa di grande importanza
nella scrittura, pittura, composizione musicale, scienza od organizzazione
sociale" e che erano "litigiosi, rapidi nella rabbia o nelle risa… irragionevoli
ma non deliberatamente crudeli".
Ora, 55 anni dopo, l'Enciclopedia Britannica ha cambiato il suo punto di
vista ma la comunità viaggiante, molti dei quali vivono ad Ash, hanno
preoccupazioni che altri non hanno.
Gli organizzatori del Mese di Storia di Zingari, Rom e Viaggianti - una serie
di eventi in GB allo scopo di educare la gente sulla cultura nomade - dicono che
ce n'è bisogno perché 300.000 Britannici "continuano a soffrire di livelli
estremi di pregiudizio e discriminazione".
Abusi
Nove bambini e giovani su 10 di origine zingara hanno sofferto, secondo
indagini, di abusi razzisti.
Sono anche la minoranza etnica con le peggiori prestazioni scolastiche in
Bretagna.
Durante il mese della consapevolezza avranno luogo due attività nell'area
News & Mail.
Ci sarà una gara di disegno di poster ad Ash e l'evento Travellers' Got
Talent ad Hartley Wintney, dove viaggianti del Surrey e dell'Hampshire
gareggieranno con musiche e danze tradizionali romanì.
Il Surrey ha la quarta più vasta comunità viaggiante in GB, circa 10.000
persone.
Armonia
Le autorità locali in Bretagna contano il numero di carovane viaggianti nelle
loro aree, ma non il numero dei viaggianti.
Ann Wilson è l'organizzatrice del programma nazionale del sud est degli
eventi e dirigente dello sviluppo delle comunità viaggianti per il gruppo
volontario, Azione Comunitaria del Surrey.
Ha spiegato che l'impeto per l'evento è stata la decisione presa l'anno
scorso di includere i viaggianti romanì come etnia nel censimento nazionale
2011.
Il primo mese annuale di storia si è tenuto l'anno scorso.
Ha detto Wilson: "Alla fine, ci hanno riconosciuto. Siamo stati in
Inghilterra solo 500 anni."
Spera che il mese di storia possa cambiare l'atteggiamento verso i
viaggianti, che non pensa sia cambiato molto.
Ha detto: "Quando andavo a scuola, ho subito diversi abusi verbali. Ci
chiamavano pikeys. Non sapevo, e non so tuttora, cosa significasse e cosa avesse
a che fare con noi."
I suoi genitori vivevano un'esistenza nomade con le loro famiglie e suo padre
nacque nel fondo di un carro.
Stanziati
Nessuno era andato molto lontano a scuola e sua madre imparò da sola a
leggere e scrivere ma suo padre non acquisì padronanza di queste abilità.
Quando nacque Ann, che oggi ha 49 anni, i suoi genitori si costruirono una
casa a Effingham.
Rispetto ai suoi genitori, lei visse una vita relativamente stanziale e, a
differenza di loro, andò alla scuola secondaria - cosa che dice che fosse rara a
quel tempo per i Romanì.
Più tardi si trasferì a Salvation Place, una comunità viaggiante a
Leatherhead, che ha una delle sole tre chiese viaggianti nel Sud Est.
Il fatto che avesse studiato significava che spesso era chiamata ad aiutare
amici che avevano difficoltà con lettere e dichiarazioni dei redditi.
Anche i suoi figli sono andati a scuola ma, come lei, hanno trovato di avere
problemi nell'essere accettati.
Wilson dice che sua figlia, che ora ha 26 anni, ha lottato nella scuola
secondaria e che la direttrice diceva che era perché era "una ragazza zingara di
poca intelligenza".
La signora Wilson ritirò sua figlia e, con l'aiuto dell'appena fondato Forum
Viaggianti del Surrey, trovò per lei una scuola per chi aveva esigenze speciali.
Suo figlio di 14 anni, acuto entusiasta del jazz zingaro, sta pensando di
partecipare al concorso Travellers' Got Talent e spera di poter suonare
anche al festival di jazz zingaro in Francia alla fine di questo mese.
Ha detto Wilson: "Col concorso, ci sono i viaggianti dell'Hampshire contro
quelli del Surrey. Chi vuole esibirsi, può fare qualsiasi cosa, ma ci aspettiamo
che ci siano molta danza e musica zingara."
Le audizioni per Travellers' Got Talent avranno luogo venerdì 19
giugno, tra le 16.00 e le 20.00 alla Victoria Hall in West Green Road, Hartley
Wintney.
Altri eventi nel Mese di Storia di Zingari, Rom e Viaggianti includono un
giorno di storia, esposizione di carri, cavalli, musica e dipinti, che si
terranno alla Bourne Hall, Ewell, sabato 20 giugno.
Ci sarà pure una gara di disegno di manifesti sulla cultura nomade, che avrà
luogo a Primrose Hall, in Ash Hill Road, Ash, domenica 21 giugno.
Di Fabrizio (del 20/06/2009 @ 09:03:23, in Europa, visitato 1851 volte)
Da
Roma_Benelux
NewEurope.eu 14 giugno 2009
Per anni i Rom si sono lamentati di essere i paria d'Europa, disprezzati dai
locali che li chiamano stranieri o ladri, e rifiutano di permettere loro di
vivere nelle vicinanze. Anche peggio, dicono, sono discriminati, i loro bambini
non ricevono la stessa educazione degli altri cittadini europei, e tutti
affrontano pregiudizi. Per scoprire come loro percepiscono questo, New Europe è
andato nella città belga di Namur, per incontrare una famiglia rom nel Centro di
Mediazione per Viaggianti in Vallonia (CMGVW). Lo scopo principale
dell'organizzazione, fondata nel 2003, è il supporto sociale e lavorale ai
Viaggianti ed ai Rom provenienti dell'Europa Centrale ed Orientale.
Nell'organizzazione ci sono mediatori per integrarli nella società fornire loro
informazioni accurate.
Tana Tsiora di New Europe, Magdalena Zackova e Alia Papageorgiou hanno
condotto le interviste e le ricerche in cooperazione con l'European Roma
Information Office (ERIO). E' iniziata in maniera diretta, col mediatore,
Islamovski Nebija, che fungeva da intermediario. Ma, verso la fine, la famiglia
ha iniziato a parlare tra di loro nella loro lingua ed il discorso ha preso un
tono più gridato mentre tentavano di descrivere le loro vite come inizialmente
idilliache, in disaccordo con quanto avevano detto prima. La famiglia Jovanovic
è composta di sei persone, che vivono nel Centro di Ricevimento, la Croce Rossa
del Belgio - madre, padre ed i loro quattro figli: un ragazzo pre-adolescente e
tre teenager, due ragazze ed un ragazzo - ha parlato della loro vita, di quando
sono partiti dalla Serbia per l'Italia e della loro esistenza nomade prima di
stabilirsi in Belgio, dove avevano dei parenti che li avevano preceduti. Il
padre, Jusuf, la madre, Slobodanka, ed una delle figlie, Debora, ci hanno
raccontato la loro storia.
Jusuf: Siamo stati in Italia per nove anni e mezzo. Poi siamo arrivati
a Bruxelles, dove siamo stati otto anni e mezzo. Ed è un anno che siamo qui a
Namur.
Avete fate richiesto d'asilo anche in altri paesi? O soltanto in Belgio?
Jusuf: No, era la prima volta. Sì, perché puoi chiedere asilo in un
solo paese. Quando arrivammo qui, dovemmo trovare un appartamento e la scuola
per i nostri bambini. All'inizio, lavoravo per un sussidio perché eravamo in sei
persone. Dovevamo pagare tutto per l'appartamento e anche per le medicine. Prima
tutte le medicine che compravamo, non erano rimborsabili. Ora, è ok, lo sono.
Abbiamo uno status di asilanti e stiamo aspettando la risposta finale. Stiamo
aspettando i documenti per diventare residenti in Belgio. La situazione ora sta
migliorando.
E' migliorata solo negli ultimi anni?
Jusuf: No, solo nell'ultimo anno che siamo qui. Prima, per pochi mesi
abbiamo vissuto fuori. Nessuno ci ha aiutato. Ma qui, anche i nostri bambini
sono stati registrati a scuola dal primo giorno che siamo arrivati.
Slobodanka: Ma per i nostri bambini, è stata davvero dura, quando sono
andati a scuola. Erano davvero depressi quando tornavano da scuola, per
l'atteggiamento degli altri bambini.
Avete trovato altre famiglie rom quando siete arrivati qui?
Jusuf: No, all'inizio non conoscevamo nessuno. Solo la sorella di mia
moglie. Per questo siamo venuti in Belgio.
Slobodanka: Mia sorella mi aveva detto che dovevamo fare parecchi
sforzi per ottenere l'asilo in Belgio, ma che potevamo fare richiesta di asilo,
come avevano fatto loro.
Debora: Sì, mio padre stava richiedendo un sussidio, perché non
dovevamo pagare solo l'affitto e le medicine, ma anche la nostra iscrizione a
scuola. Solo l'appartamento erano 800 Euro.
Com'è stata la vostra esperienza in Italia, perché abbiamo sentito di
molte discriminazioni per i Rom in Italia?
Debora: Siamo nati in Italia e siamo restate lì sino a nove anni e
mezzo d'età. Sì, abbiamo iniziato la scuola in Italia.
Jusuf: Ma in Belgio ci hanno aiutato di più. In Italia non abbiamo
avuto niente. Nessun Centro Pubblico di Azione Sociale (CPAS). Però, abbiamo un
buon ricordo dell'Italia, perché...
Debora: Perché qui la gente è più razzista che in Italia. Riguardo,
specialmente, l'atteggiamento della gente della nostra età.
Jusuf: La principale differenza tra qui e l'Italia, è che in Italia
era più difficile economicamente. Ma, parlando della gente italiana, erano
gradevoli. Inoltre, ci hanno aiutato a trovare un lavoro.
Quante altre famiglie rom vivono nel Centro?
Jusuf: Cinque, sei famiglie. In totale, ci sono 5.000 persone. Ci sono
diverse nazionalità. Ogni nazionalità ha la sua cultura, modi differenti di
vivere. Nell'edificio dove viviamo, ci sono Rom del Kosovo e della Serbia. Ma
raramente parliamo con loro. Ognuno per sé.
Un giorno vorreste tornare in Serbia?
Jusuf: No... con la mia famiglia vediamo molto razzismo. Prima, quando
governava Tito, non era così. Ma, dopo che la Jugoslavia si è separata e sono
iniziate le guerre... no.... non eravamo felici. Non voglio tornare. Ma i miei
genitori sono ancora lì. Così, tornerei in Serbia, ma solo per visitare i
genitori. Per me la Serbia non esiste.
Slobodanka: Là ci sono un sacco di razzisti.
Jusuf: Dopo le sette di sera, in Serbia non puoi uscire. E' vero,
abbiamo visto un sacco di razzismo in Serbia, che nemmeno qui o in Italia
abbiamo visto.
Qual è l'atteggiamento della gente della vostra età, delle vostre compagne
di classe? Avete dei benefici sociali per l'iscrizione scolastica?
Debora: Prima di tutto, siamo arrivati qui l'anno scorso, ad aprile.
Questo non ci ha permesso di iniziare la scuola, solo alla fine dell'anno
scorso. Così, abbiamo perso un anno, perché per alcuni mesi, giravamo in cerca
di dove vivere. La maggior parte delle volte, la scuola era davvero lontana da
dove dormivamo. Quando arrivammo qui alla fine di aprile, ci registrarono e
venne aperto il nostro documento ed iniziammo alla fine di maggio. In più,
quest'anno, a settembre 2008 ho perso un mese e mezzo di scuola. Perché, al
compimento dei 18 anni, dobbiamo pagare 1.000 Euro per la nostra registrazione a
scuola. Visto che non avevamo uno status legale, dovevamo pagare per la scuola.
Così, si può avere una dichiarazione di mancanza di reddito dal CPAS (Centro
Pubblico di Azione Sociale), se non hai un reddito. La scuola a Namur non mi è
piaciuta. Penso che i bambini siano davvero razzisti. Ti criticano molto. Non
era come a Bruxelles. Ok, c'erano tanti stranieri; avevamo fatto l'abitudine a
quegli insegnanti. Speravamo che qui a Namur fosse lo stesso. Qui ci sono più
belgi e dicono che i Rom devono tornare nel loro paese. Li ho sentiti dire:
"Cosa fate qui nel nostro paese, cosa cercate? State cercando amici?"
Dite che non era così a Bruxelles. Qual è la differenza?
Jusuf: Sono più abituati agli stranieri, è vero ma...
Debora: No, non è solo questo. Dicono che dobbiamo comportarci come i
Belgi. A Bruxelles, non ci hanno mai giudicati. Ma, qua ci criticano tanto:
"Guarda come sono vestiti i Rom," "perché siete venuti in Belgio?" E,
soprattutto, non è facile dire qualcosa di simile ai giovani. Nel mio paese, non
potrei dirlo agli altri.
Quante lingue parlate?
Debora: Francese, italiano e la nostra lingua, il serbo. Il francese
molto bene. E' normale. Siamo stati qui per gli ultimi nove anni e mezzo. E non
siamo andati alla scuola pastorale. Perché, quando arrivi in Belgio, ti mettono
in una scuola pastorale. Ma per noi non è stato così. Ci hanno mandato
direttamente a scuola. E' così che abbiamo imparato il francese.
E la vostra cultura, le vostre tradizioni, la vostra musica? Cercate di
mantenerle? Perché, è da tanti anni che avete lasciato la Serbia.
Debora: Certo che manteniamo vive le nostre tradizioni. Non le
dimentichiamo, dato che siamo in Europa. C'è chi ha dimenticato le proprie
tradizioni, ma noi vogliamo mantenerle.
E della gente qui?
Jusuf: Sinora non ne ho parlato. Sono gentili. Se tu lo sei, lo
saranno anche loro.
Come vi sentite da persone libere a persone in cerca d'asilo? Sono due
cose completamente differenti per voi? Questa differenza ha cambiato molto la
vostra vita?
Slobodanka: Sì, è davvero differente.
Jusuf: Finalmente, abbiamo una vita normale. Dopo otto anni, riusciamo
a vivere nel Centro.
Di Fabrizio (del 19/06/2009 @ 09:18:02, in casa, visitato 2411 volte)
L'espresso LOCAL di Luca Rojch
Ultimi ritocchi per il villaggio di 18 appartamenti con vista sul
depuratore
OLBIA. Nomadi stanziali, sulla carta un ossimoro, un alchimia impossibile, un
concetto non mescolabile. Ma la realtà è più forte della logica, così il Comune
ha quasi completato il nuovo villaggio per chi ha scelto una vita on the road.
Più o meno. Il luogo sulla carta non è dei più affascinanti. A Sa Corroncedda,
accanto al depuratore. Viene difficile chiamarle villette, ma hanno tutti i
comfort. Acqua potabile, luce, pavimenti, rete delle acque nere. Sono 18 mini
padiglioni quasi completati in queste settimane.
Anche questa opera è figlia del quasi G8 della Maddalena, verrà completata,
anche se con qualche ritardo, tra qualche settimana. Gli oltre 200 rom ora
vivono accanto al canile, in una strana commistione, nella zona di Colcò. Sul
loro accampamento deve passare la nuova strada che porterà all'aeroporto. Per
questo nel pacchetto dei lavori dell'aeroporto c'è finito il campo dei nomadi.
Il nuovo campo a Sa Corroncedda è costato oltre un milione e mezzo di euro.
«Soldi che arrivano dai finanziamenti legati all'aeroporto - spiega l'assessore
alle Politiche sociali, Tiziano Pinna -.
Abbiamo lavorato per sollevare di due metri il piazzale e costruire il campo. Le
casette sono dotate di tutti i comfort. Non è stato semplice mettere d'accordo
tutti. Spero di esserci riuscito. Per ora abbiamo pensato ai 200 nomadi che sono
residenti a Olbia. L'integrazione, anche se con qualche difficoltà, la portiamo
avanti. Cerchiamo altri fondi per riuscire a far arrivare tutti nel nuovo campo.
Molti di loro sono cittadini di Olbia, piaccia o no. Sono residenti. In futuro
cercheremo di spostare anche il canile là vicino. In questo caso abbiamo
maggiori difficoltà. Dobbiamo ancora trovare i fondi, anche se confidiamo in un
aiuto della Regione». Un altra difficoltà è legata alla bonifica dell'attuale
campo nomadi, a Colcò. «Il compito è stato affidato a un'impresa che ha già
cominciato a smaltire una parte dei detriti - continua Pinna -. Continuiamo a
cercare di favorire l'integrazione almeno dei più giovani». Il sindaco Gianni
Giovannelli sembra ottimista. «Lavoriamo per portare a termine in tempi rapidi
un'opera importante - spiega -. A parte l'opportunità data da questi lavori,
credo non si potesse più vedere un'area tanto degradata come quella che ospitava
il campo nomadi in città».
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