Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 16/10/2013 @ 09:05:47, in Europa, visitato 1508 volte)
di Ettore Bianchi -
Italia Oggi
Niente soldi Ue per gli zingari
Nei quartieri rom prende piede l'islamismo radicale
Gli zingari bulgari non hanno peli sulla lingua e lanciano l'accusa: dei fondi
dell'Unione europea qui non arrivano che le briciole. A parlare è Orhan Tahir,
rom e presidente di un'organizzazione non governativa che li rappresenta. Gli
fanno eco i portavoce dei 60 mila zingari che vivono a Stolipinovo, quartiere
della città bulgara di Plovdiv che si trova a un centinaio di chilometri a
sudest della capitale Sofia: da anni veniamo attaccati per questa storia dei
fondi comunitari, ma non siamo noi a beneficiarne.
La spiegazione fornita da Anton Karaguiozov, responsabile dell'associazione
locale Roma, è che i soldi destinati ai rom sono trattenuti dai bulgari: essi
sono più smaliziati e preparati, sanno come muoversi nei meandri della
burocrazia e come redigere correttamente le complicate domande di sovvenzione.
Così gli zingari si prendono la colpa, gli altri i cospicui flussi di denaro.
Ma non è finita. Perché, secondo Karaguiozov, in quello che ormai è diventato un
ghetto si continua a essere scambiati per romeni: noi invece, dice il portavoce
degli zingari, non rubiamo e ci accontentiamo delle entrate provenienti dalle
nostre attività lavorative. Tradotto, significa vivere di aiuti sociali e di
espedienti: contrabbando di sigarette, recupero di rottame, vendita di vecchi
prodotti usati. Uno dei problemi principali è quello della formazione
scolastica: gli insegnanti, dice ancora Karaguiozov, prendono la loro
assegnazione a Stolipinovo come una punizione e si accontentano di fare il
minimo indispensabile. Così le famiglie non muoiono dalla voglia di mandare i
figli a lezione.
Intanto i servizi di sicurezza rilevano il forte rischio della penetrazione
dell'Islam radicale in questi gruppi sociali sempre più emarginati. Orhan Tahir
afferma che si tratta di bombe a orologeria. Il guaio è che lo stato bulgaro,
troppo debole e privo di una politica coerente sugli zingari, è praticamente
assente.
Quanto ai fondi distribuiti da Bruxelles, Tahir precisa che i rom sono inclusi
nel vasto gruppo delle persone vulnerabili, che comprende varie categorie
sociali che vanno dalle ragazze madri ai carcerati sulla via del reinserimento
sociale. Di fatto, sono i poteri locali a decidere sull'assegnazione e sulle
priorità. Rom e zingari si trovano in fondo alla lista. Tahir lancia quella che
a prima vista ha tutta l'aria di essere una provocazione, ma che non lo è
affatto secondo il diretto interessato: se domani l'Europa decidesse di
interrompere la distribuzione di questi soldi, vi assicuro che i rom neppure se
ne accorgerebbero. Inoltre, prosegue, quando sento Viviane Reding (la
commissaria Ue per la giustizia e i diritti) annunciare decine di miliardi di
euro previsti per i rom, mi metto le mani nei capelli e mi domando in che mondo
vivano questi politici e funzionari a Bruxelles.
Intanto, nei ghetti, la gente continua a vivere senza acqua corrente né servizi
essenziali. E perfino il ministro degli interni francese, Manuel Valls,
socialista, si è messo in concorrenza con la destra di Marine Le Pen affermando
che i rom devono andarsene dalla Francia. Non è soltanto una questione di soldi.
Di Fabrizio (del 17/10/2013 @ 09:01:59, in Europa, visitato 2018 volte)
Premessa: la notizia è già vecchia e digerita, l'informazione online ha
tempi spietati.
Parto allora da un mese fa, 18 settembre:
Grecia, vi ricordate? Nella foto c'è tutto e il suo contrario:
maniche corte estive, un trenino per turisti (o per bambini), passanti
indifferenti, una signora grassa, la fisarmonica e... la protagonista di cui non
sappiamo niente.
LA FOTO INDIGNA IL WEB era il commento riportato da tutti i media, che poi
sono gli stessi che quando si parla di cose mooooolto più serie, ripetono che
l'Italia rischia di fare la fine della Grecia. Già, ma forse intendono altro.
INDIGNARSI: so che è un sentimento comune (non azzardatevi a
chiamarci BUONISTI, siamo solo umani). A me successe al tempo della
vicenda di
Natalka: bruciata viva da una molotov a Kosice. Poi, la lunghissima degenza,
la solidarietà che sollevò il suo caso in uno dei paesi più razzisti d'Europa,
solidarietà che fu più forte dei commenti (postumi) sprezzanti e derisori dei
neonazisti, e dei perbenisti che accusarono i genitori di voler speculare su
quanto era successo. Ma quante volte una persona può indignarsi, per quanto
tempo? A ogni cronaca simile mi sento più povero e deprivato, nel senso di
impotente.
Neanche un mese dopo la Grecia,
indignazione, di nuovo. Siamo a Napoli, e suona nella mente un campanello
d'allarme: perché li vicino ci fu il pogrom di Ponticelli, a Torregaveta due ragazzine
rom annegarono nell'indifferenza generale, in città ci fu l'omicidio di
Petru Birladeanu.
Leggo l'articolo e il quadro è diverso dalle cronache passate: la gente del
quartiere ha preso le parti della romnì e del bambino, ha cercato come poteva di
aiutarla.
Lo stesso appare nell'altro video di
Leggo: gente normalissima, che non si pone il problema di essere giudicata
razzista o antirazzista. Poi, torna quel sottile veleno che i giornali sanno
distribuire così bene: "La donna, che probabilmente non è la madre, è
sparita dopo aver strappato di dosso gli abitini bruciati alla piccola."
Cosa si intende con probabilmente non è la madre? La donna è
sparita, come racconta Leggo, o ha ricevuto le prime cure dal benzinaio, come
scrive il Corriere del Mezzogiorno? E, ammesso che abbia importanza, quale paura
può avere una madre rom a Napoli?
Napoli, ma potrebbe essere Grecia, Milano, Parigi o Mosca... Anche con la
gente migliore del mondo, si vive sapendo che essere Rom comporta dei rischi,
magari da parte di qualcuno che non c'è con la testa, e che se ci si trova a
Ponticelli, a Opera, alle Vallette nel momento sbagliato, la pazzia può
diventare collettiva.
Con i bambini, visto che l'infanzia è sacra, che diventano il bersaglio per
misurare il disprezzo etnico. Non solo nei fatti, provatevi a leggere qualche
commento sui forum razzisti, per perdere ogni fiducia nel futuro di questa
umanità.
Oppure no, un po' di fiducia rimane. Qualche anno fa, passai per una
brutta depressione. Non mi guarirono gli psichiatri o altri specialisti. Fu un
campo rom, uno di quelli che sono il simbolo mediatico del degrado. Pieno di
amici che conoscevo da anni e della loro unica ricchezza: un esercito costante
di figli. Giocando con loro, iniziai a migliorare.
Di Fabrizio (del 20/10/2013 @ 09:02:58, in Europa, visitato 1676 volte)
18 Ottobre 2013, di Anna Calori - Verso cosa ritornano i
Rom rimpatriati in Kosovo?
Risale a ieri la notizia di una protesta studentesca che vede coinvolti numerosi
studenti parigini nell'occupazione di
più di trenta licei della capitale francese. Migliaia di essi hanno
partecipato a un corteo di protesta verso il ministero dell'Interno.
Causa scatenante l'espulsione di Leonarda, giovane Rom Kosovara, prelevata a
forza dalla polizia davanti ai propri compagni di classe durante una gita, per
poi essere immediatamente rimpatriata in Kosovo insieme ai genitori e ad altri
cinque fratelli.
Il ministro dell'Interno Manuel Valls ha commentato l'accaduto difendendo il
proprio operato, e argomentando in favore delle leggi vigenti in Francia in
materia di immigrazione.
Di primo acchito, questa notizia suggerisce un imbarazzante parallelismo con
quanto accaduto, e ancora accade, sulle coste di Lampedusa e con la reazione che
tali avvenimenti hanno suscitato nella coscienza pubblica italiana.
Se l'indignazione e la vergogna - sentimenti ormai auto-assolutori, specie in
politica - sono reazioni comuni e condivise nei confronti di procedure a dir
poco draconiane, l'Italia non ha purtroppo visto una mobilitazione tanto
repentina da parte di quella società civile (gli studenti, in questo caso).
Si potrebbe cinicamente suggerire che la mobilitazione della società civile
italiana su questi temi - caratterizzata da rivendicazioni assai deboli e povera
di proposte che guardino oltre l'abolizione (sacrosanta) del reato
d'immigrazione clandestina - sia lo specchio di una comunità in frantumi.
Eppure, anche un governo "socialista" di una repubblica "illuminata" ha commesso
in questo caso lo stesso errore: un pressappochismo politico e culturale,
purtroppo comune alle democrazie europee che si vedono impegnate in quella
mission impossible che è il controllo dei flussi migratori.
Il ministro Valls si è più volte mostrato preoccupato dalla questione Rom,
arrivando a sostenere che i circa ventimila presenti sul suolo francese
andrebbero espulsi poiché particolarmente
restii a qualsiasi tipo di integrazione.
Sembra inoltre che il motivo di questa recente espulsione sia in parte legato al
carattere violento del capofamiglia,
già segnalato alle autorità francesi dalla famiglia stessa di Leonarda.
Trovo necessaria, a partire da quest'ultimo elemento un'ulteriore riflessione
sulle conseguenze sociali e politiche di tali misure.
Il Kosovo è impegnato da qualche anno in una difficile e ben poco efficace lotta
nei confronti della violenza domestica. Da un punto di vista sia culturale che
legislativo, la violenza domestica stenta ancora a venire considerata reato, e
il numero di denunce (circa un migliaio all'anno) è ben poco rappresentativo
dell'effettiva
entità del problema.
Nelle zone rurali, e nelle sacche di marginalità alle quali specialmente le
famiglie Rom sono costrette, tali episodi vengono raramente segnalati alle
autorità, e difficilmente ricevono una risposta efficace sul lungo periodo.
I centri di assistenza per donne vittime di abuso sono soltanto sette, con
un'operatività purtroppo limitata. Non riescono ad avere una copertura capillare
sul territorio, e spesso faticano a raggiungere le componenti più emarginate
della popolazione - per lo più famiglie Rom e di altre minoranze etniche rurali
e suburbane.
Quand'anche le vittime riuscissero ad avere accesso alla protezione e assistenza
offerte da questi centri, il rischio del loro ritorno all'ambiente violento dal
quale sono fuggite rimane altissimo. Non esiste infatti un serio programma di
inserimento nel mondo del lavoro - in un paese in cui
la disoccupazione
femminile risulta al 40%, e quella giovanile supera il 55% - e la mancanza
di indipendenza economica riporta inevitabilmente le vittime al contesto sociale
dal quale hanno cercato di distanziarsi.
Come osserva uno studio dell'UNICEF (Verena Knaus 'No place to call Home -
Repatriation from Germany to Kosovo as seen and experienced by Roma, Ashkali and
Egyptian children'August 2011, p.25), dei bambini di etnia Rom e Ashkali
rimpatriati in Kosovo nel 2010, solo uno su quattro frequentava la scuola
dell'obbligo. Numerosi procedimenti legali sono stati avviati nei confronti del
Ministero dell'Educazione, in seguito alla discriminazione ed esclusione di
bambini e studenti Rom dalla scuola primaria e secondaria.
Infine, non esistono in Kosovo strutture o programmi volti a offrire un supporto
sociale e psicologico nei confronti dei rifugiati rimpatriati in Kosovo. In
particolare, si riscontrano numerosi episodi di disturbo fisico e mentale tra
quei bambini che si ritrovano a un tratto rispediti nella propria terra
d'origine, con la quale tuttavia non hanno avuto, fino a quel momento, alcun
contatto ('SILENT HARM- A report assessing the situation of repatriated
children's psycho-social health', March 2012, UNICEF Kosovo in cooperation with
Kosovo Health Foundation).
Tenendo presente quanto riportato, l'espulsione di Leonarda lascia quindi spazio
a una duplice considerazione.
Se confidiamo nella sostanziale buona fede del ministro Valls, che sta "solo
applicando la legge vigente" (a questo punto, chiunque avesse letto Hannah
Arendt verrebbe scosso da un brivido lungo la schiena), possiamo immaginare che
il ministro, semplicemente, non sia a conoscenza della situazione dei Rom in
territorio kosovaro.
Questo, allora, mostra la feroce efficacia della linea Frontex nel rendere
l'Europa politicamente e culturalmente impermeabile a ciò che avviene negli
stati immediatamente al di là di un muro istituzionale e burocratico.
Un'Europa claustrofobica e sorda, eppure strenuamente impegnata nella
standardizzazione democratica dei paesi limitrofi, primariamente di area
balcanica.
É nostra responsabilità fronteggiare e reagire alle problematiche che emergono
soltanto al di qua di un immaginario, arbitrario e mobile confine.
Se così fosse, allora il processo di espansione dell'Unione verso Est - già
avviato con l'ingresso della Croazia - può considerarsi fallito in partenza.
Se invece ci atteniamo alle precedenti dichiarazioni del ministro Valls - da
tempo promotore dello sgombero forzato dei campi e dell'espulsione dei Rom
francesi
"oltre
i confini" poiché "non esiste altra soluzione" - si può allora considerare
il rischio di una mentalità politica che ancora fa riferimento al concetto di
Stato-Nazione.
I Rom vanno rispediti verso il loro territorio di provenienza (lo Stato) e
di conseguenza verso una società e una cultura (la Nazione) che
necessariamente li rappresentano, poiché inestricabilmente legate al territorio
da cui sono scaturite. L'appartenenza alla comunità civile, e l'appartenenza
allo stato istituzionale devono, necessariamente, coincidere. E questa
impalcatura, questo costrutto sociale va imposto e rispettato da chiunque voglia
muoversi all'interno di esso.
É forse un caso che siano proprio i Rom, una comunità le cui radici scardinano
questa identità tra Stato e Nazione, ad essere le principali vittime di tale
ossessione?
Gli stati europei sono ancora alla ricerca di una chimera, l'omogeneità tra il
cittadino e il membro della comunità nazionale.
Finché gli esponenti politici europei saranno impegnati in questa lotta contro i
mulini a vento, i diritti civili dell'individuo verranno, inesorabilmente,
confinati a spazi sempre più ristretti.
Di Fabrizio (del 22/10/2013 @ 09:06:33, in Europa, visitato 2459 volte)
Foto: EPA
18.10.2013, 19:15
La voce della Russia - Jean-Pierre
Liégeois, il membro del Consiglio scientifico della Rete Europea degli studi
universitari degli zingari ed autore di diversi libri sulle comunità di zingari
nell'intervista a "La Voce della Russia" rompe gli stereotipi che ha il pubblico
europeo sui nomadi.
- Secondo le valutazioni dei mass media francesi, circa 20 mila rom sono giunti
in Francia dai Paesi dell'Europa Orientale. Siete d'accordo con questa cifra?
- Se credere alle organizzazioni che lavoravo con gli zingari, per esempio
"Medici del mondo", sono 15 mila. Dal punto di visto della statistica è un
quantità di poca importanza. Il numero dei rom, arrivati in Francia prima, per
esempio negli anni 60' o 70' dalle repubbliche dell'ex Jugoslavia, è molto più
alto.
- Quanti migranti della "nuova onda" si trovano in Francia legalmente? Quanti
sono illegali?
- La Francia non esegue statistiche su base etnica. Se gli zingari sono arrivati
in Francia dalla Romania, sono rumeni, se sono giunti dal Belgio, sono belgi. Se
sono cittadini dell'Unione Europea, il loro soggiorno è legale per tre mesi in
tutti i Paesi dell'UE. Se il periodo di soggiorno è oltre tre mesi, sono
obbligati a dimostrare redditi regolari.
In Francia sono state introdotte limitazioni nel settore lavorativo in cui
possono lavorare i cittadini di Romania e Bulgaria. Dopo il 31 dicembre 2013 le
limitazioni saranno annullate. Al momento queste norme rendono difficili il
collocamento al lavoro dei cittadini provenienti da questi Paesi, perché, per
assumerli, i datori di lavoro devono avviare formalità complicate e costose.
Tutto sommato queste misure rallentano anche il collocamento al lavoro degli
zingari, trasformandoli in migranti illegali dopo tre mesi di soggiorno.
- Cosa si può dire sul livello della criminalità tra la comunità degli zingari
in Francia?
- Le paure di molti anni nei confronti degli zingari hanno diffuso tra la gente
il mito "della criminalità etnica". C'è la tendenza ad esagerare la loro
presenza in Francia. Spesso vengono definiti zingari anche coloro che non lo
sono. Gli puntano il dito e dicono che sono zingari, ma a questo punto lo stesso
trattamento, per esempio, degli ebrei o degli armeni è considerato come
inammissibile. Il livello della criminalità tra gli zingari non supera il
livello della criminalità tra cittadini di qualsiasi altro Stato. La polizia e
gli organi giudiziari parlano di "piccola criminalità", di furti. Per quanto
riguarda la criminalità organizzata, occorre lottare contro di essa come
dappertutto. E gli stessi zingari ne rendono conto.
- Di che cosa vivono i rom in Francia, come guadagnano?
- I cittadini di Romania e Bulgaria hanno problemi con la collocazione al
lavoro, anche se hanno la qualificazione necessaria, tuttavia gli zingari dai
Paesi dell'ex Jugoslavia che da molto tempo abitano in Francia sono quasi
"invisibili": lavorano nel settore edile, fanno imbiancatura, intonaco.
Tradizionalmente molti zingari si occupano di lavori artigianali, lavorano con
il ferro, suonano la musica, si occupano di arte, allevano cavalli, fanno
commercio al mercato. Molti sono occupati nel settore agricolo, raccolgono
frutta e verdura. Il problema è che di norma sono poco istruiti perché da
piccoli non hanno avuto la possibilità di frequentare la scuola. Per questo la
maggior parte di loro si occupa di lavori manuali.
- Se la Romania e la Bulgaria aderiscono alla zona Shenghen nel 2014, si prevede
l'afflusso di zingari nei Paesi dell'Europa occidentale?
- Questo non cambierà nulla, perché rumeni e bulgari hanno già la possibilità di
spostarsi liberamente dentro l'UE. Gli europei hanno idee errate sulla mobilità
delle comunità di zingari. Tra 12 milioni di zingari in Europa solo una piccola
parte è mobile.
- Quali misure bisogna prendere per integrare gli zingari dell'Europa orientale
in Francia?
- In 100 anni di vagabondaggio nel mondo, gli zingari si sono stabiliti in
Australia, in Canada e in Sud America. Ogni volta sono stati costretti ad
adattarsi alle norme di vita dei diversi Paesi, sopravvivendo di esili,
deportazioni, schiavitù. Nel 21° secolo la via dell'integrazione passa
attraverso il rispetto della cultura degli altri popoli. Ruolo importante ha
l'istruzione che permette alla generazione dei giovani di integrarsi nella
struttura sociale, ottenere professionalità e la possibilità di essere collocati
al lavoro.
Di Fabrizio (del 24/10/2013 @ 09:04:30, in Europa, visitato 1714 volte)
La foto, che ogni tanto appare in home page, la scattai a Parigi nel settembre
2010. Allora manifestarono in 50.000 (forse 80.000: la guerra delle
cifre vale anche da quelle parti) contro le politiche anti-immigrati e
anti-rom della Francia di Sarkozy.
Inizialmente doveva essere una manifestazione
europea, poi l'attivarsi delle diverse comunità promosse manifestazioni più
piccole in una cinquantina di città grandi e piccole nel continente.
A Parigi i socialisti francesi distribuivano in manifestazione questo istruttivo
libretto:
(clicca sull'immagine per leggere la recensione)
che ovviamente lessi avidamente. Il senso è racchiuso in questo capitolo in
quarta di copertina (vado di traduzione):
[...] Per soddisfare le aspettative dei cittadini, la sinistra dev'essere
in grado di proporre un progetto di società alternativa, ambizioso e credibile.
Ma deve anche essere in grado di denunciare i danni della destra al potere, di
opporsi alle violazioni delle libertà civili e difendere le fondamenta del
nostro patto repubblicano. [...]
Nelle 166 pagine, viene passata ai raggi X, con una specie di vocabolario, la
politica securitaria che aveva caratterizzato la presidenza Sarkozy. La tesi è
che la gestione autoritaria si dipanava su alcune costanti: limitazione dei
diritti, interventi sui media (anche con concentrazioni di cartelli
giornalistici), privatizzazione del sistema securitario, informatizzazione degli
archivi. Il tutto faceva parte di un vero e proprio sistema globale, che
ricordava incubi orwelliani.
Spero di non annoiare nessuno, riportando questo capitolo, da
confrontarsi con quanto sta succedendo da circa un anno:
CACCIA AI SANS-PAPIER
"Quando qualcuno è per strada, in stato di emergenza o disagio, di sicuro non gli si chiederanno
i documenti!" [Nicolas Sarkozy, discorso al
Consiglio Economico e Sociale, 17 ottobre 2007]
"Il responsabile della comunità Punto Rosso ha dovuto rispondere ad
una serie di domande sul nostro movimento. In seguito a ciò, la
polizia l'ha accompagnato in comunità per censire la presenza di
compagni senza documenti."
[Il direttore della Fondazione Abbé Pierre Marseille, 18
febbraio 2009]
Il 16 febbraio 2009, un sans-papier accolto nella comunità
Emmaus Punto Rosso di Marsiglia, viene ivi interrogato.
L'indomani, gli stessi locali sono perquisiti dalla polizia.
Vengono compilati dossier, nella ricerca di cognomi dal suono
straniero tra i componenti dell'associazione. Il responsabile
del centro è convocato dalla polizia e messo in cella, prima di
essere rimesso in libertà. Un'operazione simile era stata
condotta nella comunità Emmaus di Foulain (Costa d'Oro), il 29
agosto 2007, conclusasi con l'arresto di quattro persone.
Diversi casi di arresto di genitori e bambini, in prossimità o
persino all'interno delle scuole, hanno parimenti sollevato
l'indignazione di numerose associazioni. Così, per esempio,
il 24 novembre 2008, la polizia ha preso due genitori kosovari, cercando i loro
figli a scuola, riconducendoli poi alla frontiera.
Nel suo rapporto
del 20 novembre 2008, Thomas Hammarberg, commissario ai diritti umani del
Consiglio d'Europa, condanna il continuare di questi arresti nelle scuole, che
contraddicono gli impegni assunti da Brice Hortefeux per mettere fine a queste
pratiche: "Sono stati riportati diversi casi recenti, di cui uno verificato dal
Difensore dell'Infanzia, in cui poliziotti hanno compiuto arresti di bambini
all'interno stesso di scuole primarie. Tale pratica è intollerabile per quanto è
traumatizzante per i bambini. Le scuole devono rimanere luoghi d'insegnamento e
di educazione, e non zone dove si svolgono arresti. Il Commissario richiama le
autorità francesi a garantire che non avvengano in alcun modo arresto di bambini
o di genitori, nelle scuole o nelle vicinanze.
Questo riguarda anche gli arresti che avvengono in vicinanza delle prefetture,
dei centri di ricovero, delle associazioni o ancora presso i fondi assicurazioni
malattie, come quello avvenuto su denuncia il 18 febbraio 2009 a Auxerre:
rivelano una reale strategia di caccia a chi è senza documenti, spingendoli a
rifugiarsi in una clandestinità sempre più profonda.
Quanto sta accadendo in questi giorni, non mi sembra così lontano dalle
pratiche descritte con tanto sdegno in quel libretto pre-elettorale. Abituati alle piroette italiane, non dobbiamo stupirci del voltafaccia dei
socialisti francesi. Calcolerei alcune variabili:
- Il presidente Hollande è da tempo in caduta libera nei
consensi, e il PSF non è mai stato un partito "facile",
diciamo piuttosto un covo di vipere come se fosse gestito da
Richelieu. Manuel Valls, è non solo ministro degli interni e autore della svolta
autoritaria del governo socialista, ma è anche uno dei più
accreditati rivali di Hollande.
- Valls appartiene a quel tipo di politici per cui i sondaggi
sono quelli che dettano la linea politica. I sondaggi francesi
sono chiari: Hollande in calo di popolarità e popolazione
favorevole al rimpatrio di rom e immigrati irregolari. Le
posizioni del ministro sono conseguenti.
- Anche ai tempi di Sarkozy, i sondaggi davano la maggior
parte dei francesi favorevoli alla linea dura contro i Rom. Ciò
non toglie che proprio la manifestazione del settembre 2009 ebbe
una vasta eco interna, mostrando che la "Francia dei diritti" era
ancora in grado di mobilitarsi in massa. La situazione sembra
ripetersi ora con le tante manifestazioni a favore di Leonarda,
e col loro clamore mediatico. L'opinione pubblica appare incerta
e divisa, ora come allora. Sondaggi a parte, che tradirono
Sarkozy contro Hollande, varrebbe la pena di capire se le
disgrazie presidenziali vadano fatte risalire alla faccia feroce
contro gli immigrati, o all'incapacità dimostrata contro la
crisi economica.
- Se dal punto di vista dialettico le molte anime del PSF
cercheranno di spiegare che loro sono comunque qualcosa di differente
dalla destra, è indubbio che "tecnicamente" il caso Leonarda
è stato gestito con le "politiche orwelliane" di Sarkozy, principalmente riguardo l'uso dei media e la
centralizzazione dei sistemi di identificazione e controllo.
Come sarebbe stato possibile altrimenti rintracciare e
ricostruire la storia di quella famiglia, o rintracciarla in
gita scolastica? E giustificare tutta l'operazione come
"perfettamente regolare"?
- Ne consegue che i socialisti francesi (a parte le scuse e i
discorsi politichesi di circostanza) hanno di fronte l'unica
strada di riuscire a dimostrare di essere più forcaioli di chi
li ha preceduti (anche al costo di sacrificare l'attuale
presidente). Altrimenti per il popolo votante varrà sempre la
regola (in Francia come in Italia) che tra l'originale e la
copia, a parità di prezzo si sceglie sempre l'originale.
Da vedere, basta cliccare sull'immagine. La dedica finale è per
Fiorella, lei sa perché
Di Fabrizio (del 27/10/2013 @ 09:03:05, in Europa, visitato 2907 volte)
di Alessio Postiglione. Pubblicato: 23/10/2013 09:08
Ci risiamo. Con le elezioni del Parlamento europeo che si avvicinano, e i
partiti di estrema destra, xenofobi e neofascisti, che affilano le proprie armi,
giunge l'ora della paura: il diverso, l'immigrato, il clandestino.
Nella panoplia di pericoli che assediano il rassicurante tepore del focolare
domestico italiano piccolo borghese, un posto privilegiato spetta a romanì e
sinti: o, meglio, come disse lo "sceriffo" Gentilini: "i zingari".
Ecco che gli sciacalli subito si buttano sulla
storia della bionda e glaucopide
piccola Maria, cinta fra le braccia sgraziate e piagate dalla povertà - nere,
brutte e cattive - di una coppia rom greca accusata di averla rubata: per
l'accattonaggio o, peggio, per indurla alla prostituzione.
Chi tocca i bambini è immondo, non è una novità, ed ecco che l'odio monta verso
i corpi lombrosiani degli orchi, le cui fattezze anticipano la malvagità del
loro animo. Nella pubblicistica antisemita o antizigana, il capro espiatorio è
sempre mostruoso e col naso adunco; perché nella nostra società, modellata sul
principio del bello è buono - kalòs kagathòs -, il malvagio deve essere deforme.
Si tratta di un meccanismo psicologico ben noto agli scienziati sociali, per il
quale, per rendere accettabile la persecuzione, l'oggetto della discriminazione
deve suscitare in noi una ripulsa assoluta e convinta. È l'assolutizzazione del
nemico, propria del nazismo o anche della filosofia politica conservatrice che
si ispira a Carl Schimtt, per la quale tu sei mio nemico non per quello che fai,
ma per quello che sei: nero, zingaro o clandestino. Nemico irriducibile, per
questo assoluto. E contro il quale utilizzare o il genocidio o gli strumenti
securitari del contenimento del pericolo: Cie, ghetti, quarantene.
Siamo noi, dunque, che deumanizziamo l'altro per perseguitarlo: attraverso
povertà, privazioni e costringendo i nostri rom, al 95% sedentari, a vivere in
roulotte, per poi stigmatizzarli per "il loro vivere incivile".
Avremmo bisogno di chi ci racconta la loro cultura: non aliena e ostile alla
nostra. Ma, quando scatta l'allarme sociale, non sono gli antropologi o gli
psicologi ad essere chiamati nei salotti Tv, ma i professionisti della
sicurezza: prefetti, poliziotti, esperti della sorveglianza come Frontex, droni
e sentinelle; è la logica della riduzione dei problemi sociali a problemi di
ordine pubblico.
La storia di Maria, dunque, è perfetta. Si tratta di un'accusa che mobilita le
nostre coscienze, blandisce le nostre paure. Un'accusa atavica, che affonda le
radici nel Medioevo. Quando si riteneva che gli zigani rapissero i bambini e gli
ebrei ne utilizzassero il sangue a scopo rituale.
Solo nel 1965, la Chiesa ha depennato dall'elenco dei beati San Simonino di
Trento, vero e proprio falso storico costruito all'epoca della Controriforma,
per compattare i cattolici contro ebrei, protestanti e altre minoranze.
Nonostante studi e ricerche abbiano abbondantemente dimostrato l'inesistenza del
fenomeno del rapimento dei bambini da parte dei rom, l'industria della paura,
per funzionare, ha bisogno della delazione.
Troppo facile constatare come in Grecia, con Alba Dorata che impazza, sia
allettante per un governo moderato proporsi come tutore dell'ordine. Tentazione
nella quale è caduto Hollande, con il caso della piccola Leonarda espulsa dal
Paese. Errore nel quale inciampò anche il nostro centro-sinistra, all'epoca del
muro di via Anelli.
Vi ricordate la campagna elettorale di Berlusconi del 2008? Emergenza stupri,
caccia allo straniero, ronde, polizia di quartiere. Il paese era scosso dalla
violenza e uccisione della povera Giovanna Reggiani, a Tor di Quinto, Roma. Dopo
l'emergenza stupri, l'emergenza rapimenti è altrettanto seducente: donne e
bambini attivano primordiali meccanismi di difesa.
Sappiamo com'è andata a finire. Mentre qualche sceriffo di centro-sinistra
scimmiottava quel linguaggio, incapace di costruire un paradigma
dell'accoglienza alternativo al Forza-leghismo, si favorì una vittoria del
Cavaliere di proporzioni straordinarie.
Ora, bisognerebbe iniziare a costruire un discorso pubblico diverso. Saremo
all'altezza della sfida o ci faremo travolgere ancora dalla paura?
Di Fabrizio (del 29/10/2013 @ 09:04:11, in Europa, visitato 1827 volte)
Mrs Jones, mamma di tutti i bimbi zingari, by SIMONETTA AGNELLO HORNBY
"Mrs Doris Jones" annunciò la segretaria, "un nuovo cliente..." e si interruppe,
poi aggiunse, "Traveller, immagino" . Mi stizzii: Jones era un cognome
prettamente britannico e i clienti venivano letteralmente dal marciapiede nel
nostro studio, che occupava i locali di un ex negozio di mobili, al centro di
Brixton.
Tutti sconosciuti: gli appuntamenti erano dati in ordine di richiesta, come alla
fila dei taxi, e mai avevo ricevuto un commento sul nuovo cliente. Traveller,
poi che significava? Una viaggiatrice? E come se n'e era accorta, la mia
segretaria?
Ripenso a Mrs Jones leggendo ora di questi due casi di bambine, una in Grecia e
l'altra in Irlanda, così poco somiglianti ai "genitori" – bionde e occhi azzurri
- da suscitare il sospetto di essere state rapite. In un caso la vera mamma ha
dichiarato di aver "regalato" la bambina a un'altra coppia; nell'altro caso il
test del Dna ha dato ragione all'uomo e alla donna che si protestavano genitori.
Traveller, era l'ultimo nome affibbiato agli zingari. Ora in Inghilterra si
preferisce chiamarli "Roma". Qualunque sia, l'appellativo, è sempre un
eufemismo: la discriminazione e il sospetto reciproco continuano: gli zingari
non piacciono. La gente desidera che se ne vadano: dove, non importa. Hitler,
aveva le idee chiare su dove: li mandò a morire assieme agli ebrei e agli
omosessuali. Noi che siamo buoni, rispettiamo la loro cultura e il loro modo di
vivere, vogliamo aiutarli ad adattarsi al ventunesimo secolo, è tutto lì. Così
credevo.
Mrs Jones mi ha aperto gli occhi. La matriarca del clan degli zingari del
Sud-Est di Londra, tutti chiamati Jones e imparentati, era la scrivana e la
portavoce della sua gente. Lei era andata a scuola da bambina perché durante la
guerra era stata evacuata presso una famiglia inglese. Scriveva, compilava e
ahimè firmava documenti, moduli e lettere alle autorità, dei membri del suo
clan, tutti meno istruiti di lei se non analfabeti. Accompagnava la sua gente
dall'avvocato e al tribunale: piccoli reati, furti, la lite andata oltre lo
scazzottamento. E da quando la legge inglese ha riconosciuto i diritti dei
minori e li ha protetti attraverso il sistema legale, casi di bambini. "Noi li
amiamo i nostri figli, li alleviamo in modo diverso. Ce li portiamo dietro
quando lavoriamo, e li affidiamo a parenti e amici se dobbiamo allontanarci per
lavoro". Era fiera di essere una traveller, anche se lei in particolare,
rimaneva a Londra per aiutare la sua gente. "Non stiamo bene in un posto solo,
abbiamo parenti dappertutto. Ci visitiamo, molto del nostro lavoro è
occasionale. Veniamo chiamati nelle fattorie, facciamo i lavori duri, trasporti,
costruzione, nelle campagne. Senza costare allo Stato. Usufruiamo poco del
Welfare".
I figli degli zingari appartengono alla famiglia allargate, come era in Sicilia.
I minori stavano dai nonni, e venivamo mandati a vivere presso gli zii che non
avevano avuto figli. A volte erano casi di vera adozione informale. In genere,
erano periodi che duravano anni, ma non definitivi.
Per anni rappresentai genitori o bambini zingari introdotti da Mrs Jones in casi
che andavano dai problemi scolastici - assenze ingiustificate e prolungate, i
bambini non facevano i compiti, non partecipavano alle gite, sembravano
emaciati, erano malvestiti - a problemi della povertà e dell'ignoranza.
Riuscivamo, Mrs Jones ed io, a presentare la realtà: genitori inadeguati ma
capaci di migliorare e collaborare con le autorità e a evitare l'allontanamento
dalla famiglia. In altri casi, era una lotta per l'affidamento dei figli. Anche
in quelle situazioni, Mrs Jones assieme agli assistenti sociali, riusciva a
trovare un compromesso per il bene dei bambini. Gli adulti del clan obbedivano a
Mrs Jones.
Ebbi una causa di abuso sessuale tra i travellers. Tragico, come tutti, ma
isolato, tra le centinaia di cause del mio studio.
Lo Stato ha il dovere di proteggere i minori, qualunque sia la cultura a cui
appartengono. Giustamente. Ma i pregiudizi permangono. Gli zingari - gli ultimi
degli abitanti dell'Europa rimasti migranti, sono fortemente leali alla propria
cultura e restii a mettere radici in un posto e legarsi ad uno Stato: loro sono
una nazione, hanno una potentissima identità. Nel mondo di oggi non c'è la
volontà di fare posto per gli zingari. Loro lo sentono e si chiudono nel proprio
riccio.
Quando, come la famiglia di Mrs Jones, si fermano in un posto per l'istruzione
dei figli, si sentono attaccati dalla comunità. Un volta ebbi un caso simile a
quello irlandese - una bimba diversa dagli altri e, secondo la scuola,
maltrattata. I servizi sociali volevano toglierla dalla famiglia. Mrs Jones
spiegò che i genitori erano andati nel Galles per un periodo e l'avevano
affidata agli zii, che stavano per separarsi: la bambina ne aveva risentito più
dei cugini.
Non è vero che i bambini zingari sono maltrattati più degli altri bambini
inglesi. E vero che hanno una educazione diversa, meno tecnologica, più
domestica, e che lavorano sin da piccoli, accanto a genitori e parenti - la loro
e una società chiusa e di clan. Amano i figli quanto li amiamo noi. E li
proteggono, a modo loro. Noi sospettiamo di loro e viceversa. Mentono per paura
di essere fraintesi. Mrs Jones firmava documenti per tutti, che era un reato.
Glielo dissi. Mi rispose: "E lei che farebbe al mio posto, se non sanno
scrivere?".
Col passare degli anni i clienti di nome Jones si ridussero e lei scomparve. Mi
chiesi se fosse stato merito di Mrs Jones o, come temo, i Jones siano stati
costretti ad andare altrove. Per me è stato un privilegio lavorare per gli
zingari.
Di Fabrizio (del 01/11/2013 @ 09:06:15, in Europa, visitato 1430 volte)
by John Feffer
Spesso è stato fatto il paragone tra i Rom dell'Europa centro-orientale e gli
Afro Americani negli Stati Uniti. Allo stesso modo i Rom hanno patito la
schiavitù, la segregazione, una discriminazione rampante, assimilazione forzata.
Hanno anche svolto campagne per i diritti civili in quasi tutti i paesi dove
vivono. Tuttavia, sinora sono state campagne dall'effetto limitato. Anche se
alcuni Rom hanno raggiunto successo sociale, economico o politico, la comunità
nel suo complesso resta ai margini.
Nel 1995, partecipai ad uno scambio tra attivisti romanì e veterani afro
americani del movimento civile, a Szentendre vicino a Budapest. I due gruppi
condivisero molte storie sulle rispettive storie ed esperienze. Erano storie che
si muovevano spesso in un pensiero parallelo a distanza di anni. Un partecipante
afro americano, ad esempio, descriveva il sit in di Greensboro del 1960, a
Woolworth in Carolina del Nord. Un partecipante rom dalla Repubblica Ceca ha
raccontato una storia suoi suoi recenti sforzi per organizzare dei sit-in nella
sua città natale, dove diversi ristoranti hanno posto agli ingressi dei cartelli
che vietano l'ingresso ai Rom.
Ricorda: "Quando proposi questo sit-in la prima volta, molti amici mi dissero
che non c'era ragione per farlo." Infatti, la prima protesta si presentarono
solo in dieci ai tavoli chiedendo di essere serviti. La voce si sparse in
fretta. La seconda protesta le persone erano di più. "Alla terza protesta, si
mostrò anche mio padre," continua l'attivista. "E vennero anche persone bianche
in solidarietà."
L'organizzatore dello scambio di Szentendre era Michael Simmons, che aveva
condotto il programma Est-Ovets dell'American Friends Service Committee (AFSC).
Veterano dei movimenti dei diritti civili USA, Simmons andò anche in prigione
per le sue prese di posizione. Lì, entro in contatto con i quaccheri e poi
iniziò a lavorare per AFSC sulla relazioni USA-URSS. Gradualmente, il programma
si allargò all'Europa Centro-Orientale.
Fu anche il primo che mi assunse una volta che uscii dal college, come
assistente amministrativo nel 1987. Più tardi, nel 1990, viaggiai attraverso
l'Europa Centro-Orientale, proprio per intervistare le persone su cosa doveva
essere fatto nella regione dal programma Est-Ovest. In cima alla lista dei miei
compiti era il lavoro sulle tematiche rom. Il programma di scambio a Szentendre
nel 1995 fu soltanto una della serie di iniziative di AFSC per favorire un
approccio da diritti civili nelle comunità rom.
Dopo aver lasciato AFSC, Michael Simmons decise di rimanere a Budapest e
continuare nel suo lavoro sui diritti umani. Lo ricontattai a Filadelfia, dove
aveva fatto ritorno per prendersi cura di alcune questioni personali. Parlammo
di parecchie cose, ma fui particolarmente interessato al suo punto di vista sul
lavoro coi Rom 20 anni dopo. Nel corso degli anni era diventato piuttosto
pessimista.
Da un lato, la situazione dei Rom non era migliorata significativamente. "La
situazione dei Rom è peggio di quella degli Afro Americani - non in termini di
schiavitù o di mezzadria, ma in termini di realtà attuale." sottolineava. "Ci
sono un paio di ragioni. Una è che in questo paese, gli Afro Americani furono
capaci di costruire una società alternativa. Nella comunità Afro Americana era
possibile studiare dalle elementari al dottorato, senza avere troppi contatti
con i bianchi. Incontravi tutte le tue necessità all''interno della comunità, i
Rom non hanno niente del genere."
Dall'altro, l'organizzazione politica non è realmente penetrata nella società
rom. "Ci sono formazione, conferenze e seminari rom, come avevo fatto altre
volte, non sapendo fare di meglio. Ma non significano niente," dice. "E così i
Rom - non voglio dire che siano opportunisti, perché non hanno nessuna
possibilità di lavoro - aspirano ad arrivare in una OnG a Budapest, Bruxelles,
ora anche in Polonia, all'OCSE, Ginevra, New York, o una borsa di studia a
Cambridge o da qualche altra parte. Ma non esiste una sforzo organizzativo sul
locale. Non c'è un senso di un'organizzazione democratica comunitaria. A livello
base non c'è nessun cambiamento. La condizione odierna dei Rom è la stessa del
1989, al di là delle cifre che sono state spese."
Abbiamo parlato della prima visita in Unione Sovietica, della crescita
dell'estremismo di destra, e del perché si fosse trasferito a Budapest, dopo
avermi detto tempo fa che non avrebbe mai potuto vivere se non a Filadelfia.
[...]
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Di Fabrizio (del 06/11/2013 @ 09:05:07, in Europa, visitato 1645 volte)
In effetti, sulla piccola Maria, greca o bulgara che sia (apposta, non ho
usato rom), ne hanno scritto tutti, da tutti i punti di vista. Razzisti,
buonisti, populisti, legalitari, opinionisti... (ho dimenticato qualcuno?) hanno
esposto la loro commozione PER LA RICADUTA MEDIATICA di questo caso, creando un
coro di voci diversissime tra loro.
Sia detto, se si parla di opinioni, ognuno ha diritto a dire e a difendere la
propria. Anche con veemenza, ci mancherebbe. Anche usando SOLITI e RITRITI
strumenti retorici. Quindi: accalorandosi. TUTTO GIUSTO.
Ma poi, e questa è la retorica di chi ha assistito a molte storie simili,
cala il sipario. Il pubblico torna a casa e pulisco la platea. C'è un tipo,
seduto in sala regia, che si sta chiedendo cosa sia rimasto nella testa della
gente di questo "spettacolo".
Avevo segnalato all'amico Giancarlo Ranaldi un link in inglese:
Bulgaria insisting Romani girl be returned from Greece E lui, che magari
sarà pieno di difetti ma è comunque persona sensibile e attenta, mi ha girato
un commento, che vale la pena leggere:
Quindi... le autorità Bulgare insistono per il ritorno di Maria. La Grecia
non sa bene cosa fare e, per il momento, si è limitata ad arrestare gli
"affidatari". Ma, allo stesso tempo, in Bulgaria hanno arrestato i "genitori
biologici", che rischiano sei anni di carcere. Degli altri bambini, fratelli e
sorelle di Maria, non è dato sapere e, forse, è pure meglio. I "media" Bulgari,
infatti, sconvolti dalla povertà, chiedono al Governo d'intervenire, ma sarà
molto difficile che Maria possa essere riaffidata ai suoi genitori e potrebbe
finire in orfanatrofio (per la rieducazione?) fino al compimento del 18o anno di
età. Ma povera figlia...
Intendiamoci (è sempre il testimone di storie passate a dirlo): lo scorso
mese è successo qualcosa di insolito e di positivo, a
Napoli, a
Parigi, sulla psicosi greca (e quella irlandese), ci sono state tante
persone, persone comuni intendo, che hanno espresso solidarietà e sentimenti
umani verso i Rom. Niente che non faremmo per un nostro vicino, amico, per una
bestia domestica, ma questa volta erano Rom. E quattro casi distinti. E' IMPORTANTE.
Ma se rileggo le riflessioni di Giancarlo, penso che poi la vita continua,
anche per i Rom, quando si spengono i riflettori dell'attenzione pubblica. Se le
previsioni greche possono apparire impietose, non è che negli altri ultimi casi
siano migliori. Difficile, anche su queste pagine, dare conto delle evoluzioni,
di tutto ciò che succede o succederà: tenetemi informato, se ce la fate, o
tenetevi informati su
MAHALLA INTERNATIONAL o sul suo corrispondente su
Facebook.
Di Fabrizio (del 19/11/2013 @ 09:01:02, in Europa, visitato 1310 volte)
Romeo Franz: L'Europa dev'essere libera da discriminazione e razzismo
Berlin, 11.11.2013 23:47, (ROMEA) Veronika Patochkovà, translated by Gwendolyn
Albert
Quanto segue è un'intervista a Romeo Franz, 46 anni - compositore, pianista e
violinista. Fondò il suo primo gruppo, Romeo Franz Ensemble, nel 1991 e
nel 2012 compose il pezzo "Mare Manuschenge", in commemorazione delle
vittime romanì del nazismo.
Nel 2011 Franz si è iscritto al partito dei Verdi ed è diventato attivista
politico. Prima era stato presidente dell'Unione dei Sinti Tedeschi della Renania-Palatinato
e membro del consiglio di amministrazione del Consiglio Centrale dei Sinti e Rom
Tedeschi.
Franz è risultato sesto tra i candidati dei Verdi alle elezioni parlamentari
del 22 settembre 2013. Purtroppo non ha ottenuto un seggio all'Assemblea
Federale.
Qual è stato il momento o l'evento che ti hanno spinto a diventare un
attivista politico, cioè, a varcare la linea di impegno in quanto comune
cittadino a confronto delle opzioni offerte dalla società civile?
Da tempo ero attivo come difensore dei diritti civili e come vice-presidente
dell'Unione dei Sinti Tedeschi della Renania-Palatinato. Grazie a questa
attività ho accumulato una grande esperienza e ho lavorato con persone che si
trovano in situazioni difficili, che avevano bisogno d'aiuto, ecc. Ho imparato
molto in quel periodo. Decisi di iscrivermi ad un partito quando osservai che
come membro dell'Unione potevo raggiungere solo cambiamenti limitati - non si
riusciva ad andare oltre. Si è sempre nella posizione di supplicare, non si può
decidere nulla da se stessi. Col tempo ho deciso che così non si poteva
continuare, che così non si andava da nessuna parte. Decisi di entrare in
politica. Grazie al mio lavoro nell'Unione ho avuto esperienze con molti partiti
e mi sono fatta un'immagine precisa di ognuno di loro. Il partito dei Verdi era
quello on cui avevo più cose in comune.
Quindi, non c'è stato un preciso momento in cui hai deciso di darti
alla politica?
E' stata una decisione per gradi. Ho sempre intuito che fosse una
possibilità, ad esempio quando ricercavo appoggio nei vari progetti nell'area
dell'istruzione, sia per gruppi specifici che nel campo generale dell'istruzione
interculturale. Per anni ho lavorato di volta in volta sulle opportunità, senza
che nessuno dei miei progetti fosse approvato. A causa di ciò non sono stato in
grado di realizzarli o di lavorare con le persone, con i giovani... mi era
chiaro che andavo a sbattere contro un determinato muro.
Perché hai scelto i Verdi, in particolare? In Repubblica Ceca,
l'ultima volta non sono riusciti ad entrare nella Camera Bassa. Potresti
spiegare la tua decisione ai lettori cechi da un punto di vista tedesco?
In Germania i Verdi sono in Parlamento. Sono un partito che esiste da oltre
30 anni. In Germania hanno costruito una buona relazione con i loro votanti.
Come dicevo, grazie al mio lavoro precedente ho accumulato molte esperienze, ed
i Verdi fondamentalmente incontrano le mie esigenze meglio degli altri partiti,
riguardo all'ambiente, ai diritti umani e delle minoranze. E' per questo che la
mia decisione di unirmi a loro è stata abbastanza rapida.
Anche in Repubblica Ceca ci sono stati nove uomini e donne romanì
candidati nelle liste dei Verdi.
E' la testimonianza del fatto che i Verdi sono un partito molto importante
per questa minoranza, uno che apertamente e sinceramente rappresenta i loro
interessi. La decisione di quei candidati ne è una prova lampante.
Prima delle elezioni, chiunque andasse sul sito dei Verdi nel tuo
distretto elettorale di Ludwigshafen avrebbe visto immediatamente la tua
fotografia. Eri in un buona posizione nella lista dei candidati, al sesto posto,
anche se eri iscritto al partito da soli tre anni. Perché?
Può dipendere dal fatto che sono abbastanza conosciuto come musicista, e per
la mia attività politica tanto in Germania che nella mia regione. Grazie al mio
attivismo, ho una discreta esperienza. Penso che sia anche per questo. Un'altra
cosa, di cui sono assolutamente sicuro, è che alle elezioni nel mio collegio
elettorale hanno votato compattamente. Significa che nel nostro partito c'è
stata una enorme accettazione e grande volontà politica di nominare un
rappresentante dei Sinti come candidato al Parlamento. Due settimane dopo,
quando durante la conferenza regionale ho chiesto un posto specifico nella lista
dei candidati, ho ottenuto il terzo posto tra gli uomini. Significa che i Verdi
hanno una grande comprensione per la minoranza sinti. La esprimono non
vergognandosi di sostenere i diritti delle minoranze, mettendo rappresentanti
sinti nelle loro fila, e con una grande apertura. Credo che sia un messaggio
favoloso per la società.
Non pensi che i Verdi in Germania dovrebbero essere preoccupati di
perdere voti, quando scelgono come candidato un Rom o un Sinto?
In Germania il partito dei Verdi non deve preoccuparsene. Il partito è
conosciuto per il suo impegno nel proteggere l'ambiente e per la difesa dei
diritti delle minoranze. Ogni elettore dei Verdi lo sa.
Questo si collega alla mia prossima domanda, cioè è visibile che i
Verdi in Germania hanno anche altri rappresentanti di minoranza - l'esempio
migliore è che uno dei co-presidenti, Cem Oezdemir, ha origini turche. Tuttavia,
ci sono anche rappresentanti di minoranze che non hanno vissuto in Germania per
tutto il tempo dei Sinti. Perché i Sinti sono così sottorappresentati in
politica?
Questo è il punto: noi Sinti abbiamo vissuto in Germania per oltre 600 anni.
Le nostre vite sono state profondamente toccate dall'Olocausto. Tuttavia, anche
dopo la II guerra mondiale, non abbiamo mai ricevuto molti riconoscimenti. I Rom
e Sinti tedeschi che fecero ritorno in Germania dopo la guerra, non vennero
accolti a braccia aperte, al contrario, continuarono ad essere discriminati. In
Germania Occidentale, i responsabili che dovevano prendersi cura dei
sopravvissuti all'Olocausto erano spesso le stesse persone che in passato
avevano organizzato i trasporti [verso i campi di concentramento]. Il genocidio
dei Sinti venne riconosciuto solo nel 1981 dal cancelliere Helmut Schmidt, e lo
fece perché Romani Rose ed altri sopravvissuti entrarono in sciopero della fame
a Dachau. In quanto minoranza, abbiamo perso molto tempo perché per lungo tempo
non abbiamo preso parte alla vita della società. Per prima cosa abbiamo
costruito una base civile attiva. Il Consiglio Centrale dei Sinti e Rom
Tedeschi, come le singole unioni statali, hanno fatto in modo che quanti fossero
stati coinvolti nell'Olocausto ricevessero un indennizzo, anche se qualcuno lo
sta ancora aspettando. Adesso i Sinti e i Rom tedeschi stanno lentamente
acquisendo abbastanza fiducia in se stessi e la volontà di impegnarsi in
politica. Ecco il bello della mia candidatura - grazie a ciò sono riuscito a
convincere molti Sinti ad unirsi a partiti democratici ed essere attivi in
politica.
Quanti Romanì e Sinti tedeschi conosci che abbiano preso esempio da
te? Per loro sei un modello?
So di quattro Sinti e di un Rom che fanno parte di partiti tedeschi. Uno è
nell'Unione Cristiano Democratica, uno con i Socialdemocratici, uno con Die
Linke e due nei Verdi. Penso che sia un'ottima cosa. Ho anche una controparte in
Bulgaria, che si chiama Orhan Tahir, è avvocato e membro dei Verdi. Anche lui è
stato in corsa per il parlamento, dopo che sono andato a trovarlo in Bulgaria
l'aprile scorso. Il segno che è giusto impegnarsi in politica è ottenere una
buona risposta dalla nostra comunità. Altri che vorrebbero ottenere qualcosa si
stanno unendo a noi. Ricevo email e segnalazioni su Facebook in cui la gente si
congratula con me e che stanno per mettersi all'opera anche loro. Considero
degna questa attenzione e credo che la mia candidatura sia stata di successo
solo per questo, indipendentemente dai risultati.
Come si pongono i Romanì non-tedeschi in Germania, ad esempio, quanti
vi sono immigrati dall'Europa orientale o meridionale? Ho letto da qualche parte
che vuoi rappresentarli anche in politica, ma che vuoi che sia chiaro che i
Romanì non-tedeschi hanno destini differenti e bisogni differenti dai Sinti e
Rom tedeschi. Se tu, Sinto tedesco, parli per i Rom immigrati, non c'è il
rischio di un'ulteriore omogeneizzazione?
La vedo in maniera un po' differente. Il concetto di Sinti-e-Rom esiste solo
in Germania. A causa di questa doppia etichetta, si genera la sensazione che non
ci siano differenze tra Romanì e Sinti, che siamo un gruppo omogeneo, ma in
realtà questo è un errore. Per esempio. i Sinti tedeschi vivono in Germania da
oltre 600 anni, ma i Rom tedeschi sono qui da 200 anni. Ci sono anche Romanì
arrivati qui dopo la II guerra mondiale, o dopo la caduta del Muro di Berlino
nel 1989-1990. Non sono parte dei Rom e Sinti tedeschi, ci sono molti gruppi
nazionalmente differenti ed eterogenei. Ognuno di questi è una minoranza
nazionale che ha vissuto in altri paesi per 800 anni - in Serbia, ad esempio. In
quei paesi avevano la loro cultura romanì, proprio come in Germania abbiamo la
cultura sinti. Anche la lingua è differente. La società maggioritaria deve
tenere conto di queste differenze. Non è possibile equiparare automaticamente,
immediatamente, le tematiche dei Rom immigrati con quelle dei Sinti tedeschi.
Penso che succeda spesso e che produca ulteriore stigmatizzazione per tutti. Per
questo credo sia un mio compito spiegare alla gente che ci sono differenze tra i
gruppi.
Integrazione e politiche migratorie sono le tue aree, ma ciò non à
immediatamente auto-esplicativo, né tu né la tua famiglia siete immigrati, sotto
questo punto di vista. Non è una tua esperienza personale diretta.
Vedo il mio compito come quello di aiutare la gente, e non perché siano
Tedeschi, o Romanì, o Sinti. Intendo appoggiare gli immigrati e i nuovi arrivati
in Germania. Ho questo bisogno perché, grazie alla mia storia ed esperienza, ho
appreso quanto sia orribile è subire il razzismo e l'esclusione dalla società.
E' per questo che mi son dato l'obiettivo di lottare per tutte le minoranze che
sono discriminate o spinte lontano dalla società, senza l'opportunità di
parteciparvi. Personalmente non amo il termine "integrazione". Preferisco
parlare di inclusione, perché questa comprende meglio quanto le minoranze o i
socialmente esclusi fondamentalmente intendono raggiungere. Vogliono essere
parte della società, suoi membri di diritto.
La tua famiglia e i tuoi genitori cosa dicono della tua candidatura?
La mia famiglia ama davvero cosa faccio. Sono uno dei fattori grazie a cui ho
coltivato un interesse nella politica. Fondamentalmente i componenti della mia
famiglia mi hanno portato a tutto ciò attraverso il loro modo di vivere - sono
stati il mio modello. Il nazismo è un argomento ricorrente in casa nostra. La
mia famiglia ha perso sei parenti durante l'Olocausto e - come spiegarlo? In
qualche maniera siamo in obbligo verso quelle persone. Sulla base di quegli
eventi ed esperienze, mi sono interessato alla politica. Per questo la mia
famiglia mi appoggia in così pienamente, approva quanto faccio, e mi da forza -
e questo è molto importante.
Come dicevo, anche in Repubblica Ceca ci sono stati uomini e donne in
corsa per il parlamento. In conclusione, vorrei chiederti se vorresti mandare
loro un messaggio.
Con molto piacere! Vorrei dire loro che considero magnifico che siano
politicamente attivi. Spero che stiano assieme così da potere comunemente
contribuire allo sviluppo della società europea. L'Europa dev'essere una terra
per tutti e dev'essere libera da discriminazione e razzismo.
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