Rom e Sinti da tutto il mondo

Ma che ci fa quell'orologio?
L'ora si puo' vedere dovunque, persino sul desktop.
Semplice: non lo faccio per essere alla moda!

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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 19/02/2010 @ 12:34:35, in Italia, visitato 2080 volte)


Campo Rom Tor Dè Cenci, Via Pontina 601, Roma - l'appuntamento su Facebook

Come molti di voi sanno, le famiglie del Campo di Tor De Cenci stanno rischiando di abbandonare, senza alcun motivo plausibile, il campo dove risiedono da almeno 15 anni, che fu voluto dall'Amministrazione Comunale romana (la quale assegnò i container alle famiglie) e che ora, per motivi sconosciuti ai più, dovrebbe essere trasferito a Castel Romano.

I Rom stanno lottando per conservare quello che è un loro diritto, il rimanere "a casa propria" (se di casa si può parlare nei campi rom... ma meglio che niente).

Ma non è facile, non è mai facile, e le famiglie hanno bisogno di noi ora.

Hanno bisogno del nostro apporto tutti i giorni, per stare loro vicino, parlare della situazione, fargli sentire che siamo sempre li con loro.

Hanno bisogno di noi, di noi che percorriamo il campo, di noi che giochiamo e studiamo con i loro figli, di noi che ci interessiamo di questa vicenda inammissibile.

Hanno bisogno anche solo di un saluto al giorno, di offrirci il caffè, di due chiacchiere.

Non lasciamoli soli: siamo tutti invitati, almeno fino a lunedì 22 febbraio (giorno in cui dovrebbero andare nuovamente a colloquio con assessorato e prefettura), a frequentare il campo, ad andarci a sedere a casa loro e chiacchierare, non importa che siano chiacchiere costruttive, in questo momento è importante stargli vicino.

Vi aspettiamo insieme alle famiglie Rom per un kafava o un sok: solidarietà e amicizia per i Rom!

Gaia Moretti
Paolo Perrini
Renato Patanè
Davide Zaccheo

 

RadioCittAperta.it 

Con un grave provvedimento di chiaro stampo xenofobo,da parte dell’assessore Franzinelli e della Digos è stata vietata la conferenza “A forza di essere vento” indetta e regolarmente autorizzata per venerdi 19 febbraio 2010 alle ore 20,30 presso la sala Albertina. > Porrajmos > La persecuzione e lo sterminio nazifascista dei Rom e dei Sinti presenta Paolo Finzi, redattore della rivista anarchica “A” e produttore del DVD a forza di essere vento lo sterminio nazista degli Zingari - Alla Barriera Albertina Novara

Quindi senza una causa e senza un atto motivato si vuole impedire un diritto di manifestare da parte di chi si oppone alla xenofobia e al razzismo delle forze politiche che occupano le poltrone di sindaco e di assessore alla sicurezza.

Ci ricordiamo quello che avvenne nel maggio 2008 quando le bande xenofobe e razziste sdoganate dal Governo e sentendosi protetti dall’Amministrazione Giordano hanno assaltato nella notte di sabato (durante la cosiddetta notte bianca) il campo Rom di via Fermi, che per un puro caso non ha provocato una strage.

Condanniamo fermamente queste azioni criminali che da un po’ di tempo si stanno verificando in diverse parti d’italia in nome di una strumentale “voglia di sicurezza” dove vengono aggrediti cittadini e persone considerate diverse, che diventano le prime vittime dell’intolleranza.

Gli Antifascisti Novaresi non lasceranno passare sotto silenzio simili gravi atti squadristi e chiamano tutti i democratici alla vigilanza e a promuovere iniziative di contrasto contro il dilagare dell’intolleranza e del razzismo comunque mascherato.

Per questo respingiamo questo divieto e ribadiamo la nostra presenza alla barriera Albertina per venerdì 19 febbraio 2010 alle ore 20,30 partecipate numerosi in difesa dei diritti di manifestare il proprio pensiero.

Antifascisti Novaresi

 
Di Fabrizio (del 23/02/2010 @ 09:47:16, in Italia, visitato 1856 volte)

BresciaOggi.it CRONACA IL CASO. La «ribellione silenziosa» dei nomadi di via Orzinuovi
Gordon Quirini: «Pochi mesi fa ho perso un figlio per colpa di un virus. Non voglio che accada ancora»
22/02/2010

I sinti ieri sera durante il trasloco in via Orzinuovi FOTOLIVE/Morgano

«Non possiamo andare avanti così. I nostri figli stanno male, è tutto inverno che li portiamo in ospedale, lo scorso anno mia moglie, incinta di sette mesi, perse un bambino perchè si ammalò: io non voglio che questa situazione si ripeta». Parole di Gordon Quirini, una delle centocinquanta persone che abitano il campo nomadi di via Orzinuovi 108 e che da tempo si trova a vivere in condizioni igieniche proibitive. Una realtà che cozza con quella delle «casette» fatte costruire con fondi regionali dalla giunta Corsini qualche anno fa: tredici abitazioni che possono ospitare altrettante famiglie. Strutture vuote che l'attuale amministrazione comunale ha provveduto a far chiudere tenendole sorvegliate per evitare qualsiasi tipo di inconveniente.

MA DA IERI SERA, con il calare della luce, nell'area davanti a quelle abitazioni (civico 100 di via Orzinuovi) hanno iniziato a fare capolino alcuni sinti in fase di trasloco dal campo nomadi situato a una ventina di metri. «Non possiamo occupare le abitazioni perchè sarebbe un reato e non è giusto - assicura Gordon Quirini - : però vogliamo far sentire la nostra voce a chi amministra Brescia, siamo dei residenti che vorremmo poter usare quelle case che, in fondo, sono state fatte anche per noi. Siamo pronti a usarle, le nostre famiglie ormai vivono in condizioni sanitarie impossibili. Basti pensare che non siamo nemmeno in possesso delle fognature, è chiaro che in una stagione del genere non possiamo andare avanti. Non abbiamo nessuna intenzione violenta, vorremmo solo trovare una soluzione che sia ideale per entrambe le parti».

Stamattina, quando l'occupazione dell'area antistante le «casette» sarà completate ci sarà l'inevitabile presa di posizione dell'amministrazione comunale: la zona è videosorvegliata, è improbabile che l'operazione dei sinti sia passata sottotraccia. Probabilmente ci saranno dei colloqui, degli scambi di vedute e chissà che, quelle casette costruite dalla giunta Corsini non possano essere date in uso ai sinti. A giovarne sarebbe soprattutto la salute dei quaranta bambini che abiterebbero nel campo di via Orzinuovi.

Daniele Bonetti

 
Di Fabrizio (del 23/02/2010 @ 15:15:25, in Italia, visitato 1738 volte)

17 febbraio 2010 - Segnalazione (file .doc) di Agostino Rota Martir

Che vergogna essere livornesi stamani, che vergogna essere o quantomeno dirsi cristiani di fronte alla distruzione di un campo rom.

Stamani ero in via del Levante dove dei poveretti si erano costruiti delle baracchine dove dormire, per ripararsi dal freddo, visto che non hanno soldi per pagarsi un qualsiasi alloggio nella nostra città. Sono gli stessi che troviamo ai semafori o fuori dai supermercati o fuori dalle nostre chiese, con la mano tesa a elemosinare qualche spicciolo per mangiare o da portare a casa, in Romania, dove, spesso, hanno lasciato i loro bambini con qualche parente più anziano.

Vorrei riportare in queste poche righe il loro dolore, la rabbia, l'impotenza insieme alla mia indignazione per un azione come quella dello sgombero che, se non è seguita da un'alternativa abitativa per queste persone, è soltanto un intervento non solo profondamente inutile (in fin dei conti si sposteranno da un'altra parte) ma fondamentalmente dannoso e sicuramente distante anni luce - come ama dire il nostro Sindaco della sua politica rispetto a quella del sindaco di Roma - distante anni luce, dicevo, da quella politica di accoglienza necessaria ed urgente per la nostra città.

Eccole le domande dei rom: "Ma perché il Comune non ci aiuta?" "Perché ci mandano via anche dai semafori? Lavoro non lo troviamo, ai semafori non possiamo stare? Dobbiamo rubare?" "Vedete? Noi non rubiamo... non prendiamo i vostri bambini... già è difficile mantenere i nostri... Perché dovremmo prendere i vostri?!", ride la ragazza rom mentre lo afferma. Il ragionamento non fa una piega, purtroppo spesso i pregiudizi ci sono proprio perché non ragioniamo. "Perché stamani non è venuto nessuno del Comune? Per parlare con noi, per dirci dove possiamo andare?" "Noi siamo gente come voi... Anche dalle Chiese ci mandano via... Dove andiamo a dormire stanotte? "Domande rimaste senza una risposta. E' l'ora che la nostra amministrazione, la diocesi livornese e chiunque abbia a cuore la costruzione di una società migliore si adoperino per trovare, insieme, delle soluzioni.

Isabella Bianchi - Livorno

 
Di Fabrizio (del 24/02/2010 @ 09:02:30, in Italia, visitato 1555 volte)

BresciaOggi.it CRONACA 23/02/2010 IL CASO. I nomadi hanno occupato l'area «attrezzata» di via Orzinuovi, il vicesindaco ribatte: «Pronti a intervenire, ma non accettiamo minacce»

E' un tiro alla fune che non lascia margine al compromesso quello che contrappone i sinti che vivono nel campo di via Orzinuovi e Palazzo Loggia. I primi chiedono condizioni di vita accettabili, il Comune respinge quelle che giudica e definisce provocazioni. Perchè da un paio di giorni i nomadi hanno «occupato» il terreno situato tra il campo in cui sono stanziati e le 13 casette che la Giunta Corsini aveva messo a loro disposizione, oggi vuote per il cambio di destinazione stabilito dalla nuova Giunta (un appezzamento di 5 mila metri quadrati riservato al campo rom chiuso due anni fa).

«Non vogliamo andare contro il Comune, ma la Loggia ci deve aiutare, perchè non possiamo continuare a vivere con le fognature a cielo aperto e i cavi elettrici a portata di bambino - denuncia Gordon Quirini, uno dei 150 sinti del campo -. I nostri figli si ammalano in continuazione per le precarie condizioni igeniche». Da qui, il trasloco: i sinti hanno spostato transenne e muretti di cemento e trasferito una decina di roulotte nel prato a fianco del campo nomadi: «Qui almeno c'è la rete fognaria: se fossse pulita e ci potessimo agganciare sarebbe un grande passo avanti - dice Renato Henich, presidente dell'Associazione italiana sinti di Brescia -. Perchè l'Asl non viene a vedere come viviamo? Da parte nostra non c'è alcun ricorso o incitamento alla violenza: la nostra dimostrazione è pacifica, non forzeremmo mai i cancelli per entrare nelle casette, perchè sarebbe un reato. Siamo gente tranquilla, la maggior parte di noi è nata qui: chiediamo solo che i nostri bambini non giochino in mezzo ai vermi».

GLI AGENTI della Municipale e della Digos tengono la situazione sotto controllo, in attesa di un segno dalla Loggia. «Ma c'è poco di cui parlare: questa è occupazione abusiva di suolo pubblico e i sinti ne dovranno rispondere - tuona il vicesindaco Fabio Rolfi -. Il tavolo di confronto in Prefettura continua per individuare le microaree in cui trasferire le famiglie sinti che vivono in via Orzinuovi, ma non siamo disposti ad alcun accordo che parta da provocazioni, minacce e azioni strumentali come questa. Il terreno in questione è stato sgomberato, come prevede il nostro programma elettorale: la linea non cambia. Detto questo, siamo disposti a dare una mano per sistemare gli impianti o gli scarichi, che prima funzionavano perfettamente, ma i sinti devono rientrare nell'area a loro destinata».

La dislocazione frammentata delle famiglie sinti è un altro problema per la Loggia, anche per il complicarsi della vicenda dell'area di Guidizzolo acquistata dai privati e poi rivenduta da Brixia Sviluppo per 150 mila euro a tre famiglie sinti di via Orzinuovi. Il no della giunta locale al trasloco rimette tutto in discussione. «A Guidizzolo vogliono al massimo 7 persone, niente roulotte o case mobili, solo strutture in muratura: ma noi siamo in 13 e siamo nomadi. Come potremmo trasferirci con queste premesse? Personalmente ho già mandato la disdetta», rivela Gordon Quirini, che a Guidizzolo avrebbe dovuto insediarsi con i due fratelli e le famiglie, dopo aver pagato un acconto di 2.300 euro al momento del rogito. Ma se il trasloco non ci sarà più, che se ne farà Brixia Sviluppo del terreno acquistato a Guidizzolo?

Mara Rodella

 
Di Fabrizio (del 27/02/2010 @ 09:50:56, in Italia, visitato 2356 volte)

Come sapranno i lettori più vecchi, in Mahalla ci piacciono le favole, Eccovi una bella segnalazione di Alberto Maria Melis

Corriere del Veneto La storia . Ha comprato la roulotte e paga le bollette: «Visto che posso, faccio qualcosa»
Tonin, 100 dipendenti, da 1o anni ospita quattro famiglie nomadi affianco al suo capannone: vivevo in una baracca

Il mobiliere Gianni Tonin, imprenditore di San Giorgio in Bosco (Padova), con una delle quattro famiglie rom che ha ospitato all’interno del recinto della sua fabbrica (Gobbi)

SAN GIORGIO IN BOSCO (Padova) - L'imprenditore «zingaro». E cacciatore di storie. Da dieci anni ospita quattro famiglie di rom all'esterno del suo capannone: ha comprato le roulotte e ha dato loro la residenza, così i bambini possono andare a scuola. Ma c'è molto di più da raccontare. E' una storia che comincia nel Veneto contadino, quando al posto dei capannoni c'era solo terra. E di un camion in cui si cucinavano gli spaghetti in corsa pur di arrivare in tempo all'apertura dei mercati. Oltre il muro di Berlino, a Est. Nel palazzo-capannone, sede dell'azienda con le pareti vetrate, si apre un porta nel corridoio e senza filtri si entra nel laboratorio delle decorazioni. C'è un mobile bianco in legno massiccio, placcato con fogli dorati: «Questo va in Russia».

La roulotte comprata da Tonin accanto al capannone (Gobbi)

Incontriamo Gianni Tonin nel cuore del suo impero a San Giorgio in Bosco dove il mobilificio sforna mobili di design da quando ha inventato il marchio di famiglia. Un suo tavolo, per dire, è finito in una delle edizioni del Grande fratello. Lui, nell'impeccabile gessato, entra in fabbrica e prende un caffè con gli operai dalla macchinetta. Intasca un numero di telefono ricevuto da una decoratrice romena, che gli chiede: «Gianni chiami tu?». All'esterno, oltre i capannoni hi-tech ultimati quattro anni fa, lasciati i suv aziendali nel piazzale, c'è un altro capannone dove risiedono - regolarmente iscritte all'anagrafe - quattro famiglie rom. Sono originari della Romania e sono diventati negli anni italiani a tutti gli effetti. Vivono in un camper e altre roulotte: ci sono dei servizi igienici, la corrente e l'antenna Tv. Hanno scelto di restare erranti per tutta la vita. Il riscaldamento lo forniscono le bombole del gas e il conto lo salda «Toni ».

E' il soprannome dell'imprenditore diventato re degli zingari in casa propria. Ed è lì nell'accampamento con il falò ai piedi dei capannoni, che c'è il cuore del suo regno. Si siede nel camper a bere un caffè e ad ascoltare le storie accendendosi l'ennesima sigaretta. Accade in un Veneto dove in quasi tutti i comuni vige il divieto di stazionamento e ci sono sbarre nei parcheggi. Con un ghigno, Gianni Tonin ricorda quando ha pagato tutte le multe e ospitato nel piazzale le quattro famiglie: «Così imparano a mandarli via». «Ogni giorno c'era un polverone di denunce e io sono un maestro dei "disastri" - racconta con ironica schiettezza -Ho fatto prendere a tutti e sei la residenza, così ho risolto il problema e i bambini possono andare a scuola: ogni settimana ciascuno riceve ottanta euro, hanno la corrente il bagno esterno e il riscaldamento». E perché lo fa? «Se lo domandano in molti: io voglio sentire le storie del mondo. E visto che posso, faccio qualcosa». Dà un'altra possibilità. E' nella carovana, oltre la soglia del suo ufficio, che ricorda come è nato tutto. Risale a quando c'erano solo i campi dove adesso sorge la zona industriale. Tonin all'epoca, non era «nemmeno un contadino». «Con i miei genitori vivevamo in una baracca "abusiva", perché chiamarla casa… Era in mezzo alle terre dei contadini, rubavo le uova e le galline per mangiare. L'acqua la bollivamo per berla, la prendevamoa valle dopo che era passata dai maiali: perché non ci volevano dare niente nelle fattorie».

Il re del mobile si stiracchia sulla poltrona di design, distende le gambe e si scioglie un poco a ritrovarsi bambino. «Io e i miei ridevamo e cantavamo sempre, avevamo la fede: poveri i ricchi!». Racconta e arriva fino all'incidente che lo ha fatto diventare imprenditore quando, a vent'anni, faceva il camionista. In un viaggio gli capitò di restare intrappolato sotto la motrice del camion mentre si scapicollava per le strade della Polonia, Cecoslovacchia (allora) e Romania. Ai tempi del muro di Berlino. «Ero specializzato nel cucinare gli spaghetti in camion mentre correvamo: il ritardo al mercato ci sarebbe costato una penale - dice sorridendo - Passavamo le frontiere dell'Urss in silenzio tra carri armati e mitra, i militari guardavano sotto il camion con gli specchi: avevamo sempre un po' di burro di contrabbando». E via con le discese in folle per lanciare il camion oltre i cento all'ora. Una di quelle volte, il suo amico si scontrò vicino a un ponte. Lui dormiva in cuccetta: «Mi sono ritrovato con il letto incastrato sotto la motrice che sprofondava nel fango, l'olio del motore mi bruciava il petto e il peso mi stritolava: mi hanno salvato dei camionisti di passaggio che erano di Tombolo (Padova)».

Dopo essere tornato dalla Romania in treno con sette vertebre fuori posto, ha iniziato a vendere scarpiere a domicilio. Da qui nasce l'impero Tonin. Prima ne ha assunto uno, poi due fino ad oggi con oltre cento di dipendenti: italiani, turchi, romeni, brasiliani. Il capomastro è il primo romeno che Tonin ha aiutato e ce ne sono stati molti altri. Ancora, perché? «Mi ricordo la fame dei popoli che ho incontrato nei miei viaggi - racconta - Una ventina di anni fa sono tornato in Romania e in un bar di notte - va a nozze con le periferie - a Baia Mare ho conosciuto Beni, uno di lì, che parla italiano e con lui ho ricostruito un villaggio di zingari». É fatto così. Un giorno poco prima di Natale gli hanno raccontato di romeni che vivevano in un bosco, fuori San Giorgio, nel suo paese. Non poteva lasciarsi sfuggire quel mistero. «Sono arrivato in Bmw con cappello e cappotto nero: pensavano fossi un poliziotto invece li ho invitati tutti a casa per il pranzo di Natale - ride senza prendere fiato - E’ stato il più bel pranzo di Natale che ricordi ». Gianni Tonin ha molte altre storie da raccontare. Storie. Dell'imprenditore che sogna di tornare zingaro almeno per una volta, ancora a bordo della sua carovana.

Martino Galliolo - 25 febbraio 2010

 
Di Fabrizio (del 27/02/2010 @ 23:03:52, in Italia, visitato 2253 volte)

Ricevo da Marco Brazzoduro

MARTEDI' 2 MARZO ORE 14.30 - 16.30
Aula Magna del Liceo Sc. M., Malpighi
Via Silvestri 301, Roma

Culture Rom Sinti
tra storia e contemporaneità


Interventi di :

Luca Bravi, storico, Università di Firenze
“L'internamento in Italia e il Porrajmos”

con presentazione di interviste e materiali video

Graziano Halilovic, Federazione Romanì, Associazione di Promozione Sociale Roma' Onlus
“Situazione attuale e nuove strategie verso la rappresentatività”

 
Di Fabrizio (del 28/02/2010 @ 08:09:34, in Italia, visitato 2047 volte)

Internazionale Mihai Mircea Butcovan è uno scrittore romeno. Vive in Italia dal 1991.

Questa storia comincia così, con due euro. Ma sono più di due le ragioni per cui i nomi dei protagonisti è meglio tenerli nascosti. È la storia di un uomo e una donna. Lui era rimasto archiviato nella mia memoria come l’Olandese volante.

Lo incontravo a Milano alle presentazioni di libri, alle letture di poesie e ai dibattiti sull’immigrazione. Arrivava, zaino in spalla, da turni di lavori saltuari e precari come la sua condizione. Alzava la mano, si scusava per il ritardo e interveniva nel dibattito con domande pertinenti e stimolanti. Quasi sempre doveva scappare prima di mezzanotte, in tempo per l’ultima corsa dei mezzi pubblici. Poi è scomparso.

L’ho incontrato di recente in metropolitana. Negli ultimi mesi all’Olandese volante sono capitate molte cose, tra cui una donna. Allora mi ha invitato a casa sua per prendere un caffè e per farmela conoscere.

Lungo i navigli
Ora sono qui, con una fetta di torta e una tazza di caffè, davanti a due persone che mi raccontano la loro storia. A cominciare dai due euro. Alcuni mesi fa lui passeggiava in bicicletta lungo uno dei navigli di Milano. Andava a studiare, all’ombra degli alberi, per il corso di operatore sociosanitario. Passava davanti a un campo rom quando lei lo ha fermato chiedendogli due euro.

“Dammi un po’ di fortuna in cambio”, ha detto lui. Ma qualcosa era già successo in quell’incontro di sguardi e di storie. Lui, curioso e avido di sapere, si è fermato altre volte a fare domande: su di lei, sulla sua vita nel campo, sulla sua storia, raccontandole nel frattempo la propria. È nata così la storia d’amore tra un Olandese volante meneghino e una rom albanese.

Lui ha vissuto per un paio di mesi nel campo rom, ma le abitudini e le condizioni di vita del posto erano insostenibili. Le leggi non scritte che regolano la vita nel campo non facevano per lui, e nemmeno più per lei. La famiglia d’adozione della ragazza era impegnata in attività che sconfinavano nell’illegalità, lei era stata minacciata ed era diventata oggetto di tentativi di compravendita.

Per andare a vivere insieme ed emanciparsi da quella situazione, hanno chiesto aiuto ai loro conoscenti. Così si è attivata una piccola rete di solidarietà che ha permesso alla nuova coppia di prendere in affitto un appartamentino. Secondo lui ci sono ancora alcuni lavori da fare. Lei sogna una cucina nuova. Ma le torte che prepara in quella vecchia sono comunque squisite.

Una storia europea
Lui parla cinque lingue: neerlandese, tedesco, francese, italiano e inglese. Vorrebbe imparare anche il romanès. Ha una laurea in sociologia e un dottorato in lettere, ottenuto nei Paesi Bassi. Lei non sa né leggere né scrivere. Ma parla il romanès, il greco, l’albanese e l’italiano. È nata in Albania e ha vissuto tra la Grecia e il Kosovo.

Lui ha scritto un libro, pubblicato nei Paesi Bassi, sui partiti e i movimenti politici italiani dal 1970 al 1990. Quando gli chiedo di parlarmene, lo fa quasi con imbarazzo. “Il mio studio”, dice, “giunge alla conclusione che negli ultimi decenni i partiti politici italiani hanno cancellato ogni capacità di rinnovarsi e di rinnovare il sistema della democrazia parlamentare”.

Gli chiedo perché non cerca un editore italiano. “Il libro tratta della storia italiana recente che è, per forza, anche una storia europea”, dice lui, evitando di rispondermi.
“Come la nostra storia”, interviene lei.
“Oggi la nostra priorità è sistemare casa e trovare un po’ di serenità economica. Ci siamo accorti di poterci ancora innamorare, nonostante esperienze di vita non esattamente stimolanti”, aggiunge lui, al momento dei saluti.

Buona fortuna, Olandese volante. Mihai Mircea Butcovan

 
Di Fabrizio (del 01/03/2010 @ 09:42:23, in Italia, visitato 2526 volte)

Segnalazione di Agostino Rota Martir

PisaNotizie Sarebbe stato un corto circuito elettrico a generare le fiamme che hanno distrutto le abitazioni dove vivono 16 persone di cui 10 minori. Fortunatamente non vi è stato alcun ferito. “Abbiamo perso tutto: vestiti, libri di scuola, documenti, i nostri risparmi, mentre le case che sono state costruite rimangono ancora chiuse”. Domattina un incontro presso la Società della Salute tra le famiglie e l'assessore alle politiche sociali Ciccone, per affrontare l'emergenza. [...]

Nella notte tra venerdì e sabato intorno alle 3 della mattina è divampato un terribile incendio in una delle "baracche" del Campo di Coltano e da qui rapidamente si è propagato distruggendone altre due che si trovavano accanto. Le fiamme sono state innescate da un corto circuito elettrico e poi velocemente hanno avvolto le abitazioni.

Per fortuna uno degli abitanti ha sentito un rumore, all'inizio scambiandolo per la pioggia, poi subito dopo l'odore di bruciato. L'uomo si è alzato dal letto dove dormiva con la famiglia e ha visto una delle stanze completamente a fuoco. L'allarme è stato immediato, i genitori e i ragazzi più grandi hanno portato subito i bambini più piccoli fuori dalle baracche. Uno dei capi famiglia, ha avuto la prontezza di chiudere le bombole del gas attaccate alla cucina che non sono esplose.

"E' stata una questione di pochi minuti - ci raccontano ancora sotto schock le famiglie - non siamo riusciti a prendere niente, solo a portare via i bambini".

"Abbiamo perso tutto - racconta una delle bambine - tutti i nostri vestiti, i libri e quaderni di scuola sono andati bruciati. E ora che cosa facciamo? E' stata veramente tanta la paura".

Si tratta complessivamente di 16 persone di cui 10 minori che ora non hanno un tetto: "Anche i nostri risparmi che tenevamo nella baracca sono andati bruciati. Non abbiamo avuto la possibilità neanche di prendere i nostri documenti di identità, i nostri passaporti, che per noi sono un bene preziosissimo".

"Io è dodici anni - ci spiega uno dei signori che vive in una delle baracche bruciate - che vivo qui. Questa notte potevamo morire, e un simile incidente si può anche ripetere, e non è una cosa giusta".

Ancora nella tarda mattinata dalle macerie esce il fumo, e l'odore delle plastiche e degli altri materiali bruciati dal fuoco ti entra nella gola provocando un notevole fastidio. I vigili del fuoco sono intervenuti sul posto per spegnere le fiamme, ora la zona è da bonificare e c'è da trovare una soluzione di emergenza per queste famiglie che non hanno un tetto.

"Stiamo cercando una ditta - spiega uno dei tecnici della Società della Salute che abbiamo trovato sul posto - che invii nella giornata di oggi una ruspa per rimuovere le macerie, e attendiamo risposte dalla Croce Rossa per avere delle strutture mobili dove poter alloggiare queste famiglie. E domattina presso la Società della Salute l'assessore Ciccone comunque incontrerà queste persone per affrontare l'emergenza".

Domenica 28 febbraio le famiglie si recheranno, quindi, in via Saragat alla sede della Società della Salute e avanzeranno le loro richieste: " Chiediamo un container, una roulotte dove poter far stare le nostre famiglie. Ma qui il problema è più grosso: cosa aspettano a darci le case che sono pronte? Manca solo la luce elettrica. Aspettano che muoia qualcuno qui prima di farci entrare dentro quelle case?"

Le case di Coltano potranno ospitare 17 famiglie, ma i nuclei familiari presenti nel campo sono 23 e le abitazioni sono fatte di due o tre vani mentre nella maggior parte dei casi siamo di fronte a nuclei familiari molto numerosi. Negli scorsi mesi è stata attivata dalla Società della Salute una commissione che sta valutando le posizioni di ogni singola famiglia e i requisiti per accedere o meno a queste abitazioni. "Entro la primavera dovremmo essere in grado di assegnare le case - spiegano dalla Società della Salute - visto che ancora occorre ultimare alcuni passaggi. La prossima settimana dovrebbe essere fatto l'atto di cessione dell'area dall'Università al Comune e poi l'Enel potrà iniziare i lavori per portare la corrente elettrica. Nel frattempo la Commissione completerà il suo lavoro".

La rabbia di queste famiglie però è grande: questa notte hanno perso tutto in un incendio, e il loro futuro è incerto, mentre accanto a loro continuano a vedere delle case che rimangono chiuse.

 
Di Fabrizio (del 02/03/2010 @ 09:46:19, in Italia, visitato 2927 volte)

Segnalazione di Eugenio Viceconte (che consiglia di leggere anche i molti commenti - quelli non li traduco)

Gypsies at the peak
Posted by Ugo Bardi on February 25, 2010 - 10:20am in The Oil Drum: Europe

I Rom (o Rrom) d'Italia sono probabilmente la più povera frazione dei residenti nel paese. Normalmente vivono in campi segregati, in roulotte o in ripari autocostruiti. Soltanto la metà dei 150.000 Rom in Italia sono cittadini italiani; nella maggior parte dei casi, non hanno un lavoro stabile e vivono un'esistenza molto precaria, obiettivi di aperto razzismo. L'immagine di sopra, da Excite Magazine, mostra il campo rom nella periferia di Napoli, a Ponticelli, com'era prima di essere bruciato al suolo da una folla inferocita nel 2008.

Eccomi qui, di fronte all'intera classe. Donne e uomini rom, circa 20 persone; tutti arrivano dal medesimo campo, qui vicino. Sono tra la fine dei 20 e l'inizio dei 30 anni, e sono vestiti per l'occasione. Non che possano permettersi vestiti costosi, naturalmente, ma gli uomini spiccano nel loro abbigliamento informale. Alle donne piace vestire in colori brillanti. Indossano la quasi obbligatoria gonna lunga, così come gli orecchini e le collane. Sembrano molto contente di aver trovato un modo per evadere dalla routine del campo, dove passano il tempo cucinando e badando ai bambini piccoli.

Nei mesi scorsi, un gruppo di insegnanti ha tenuto alcune audizioni a questo gruppo, come parte di un'iniziativa del governo della regione. L'idea era di aiutarli ad ottenere abilità che potessero essere loro utili per trovare un lavoro ed integrarsi meglio nella società. Così, gli abbiamo detto come adoperare una cooperativa, o le finanze personali, della sicurezza sul posto di lavoro, della raccolta e del riciclo dei rifiuti, di agricoltura integrata, come navigare nel web e molto altro. Hanno assorbito con facilità molto di quanto gli abbiamo detto. Dopo averli visti ascoltare attentamente due ore di lezione sul ciclo del carbone biologico e porre in seguito domande intelligenti, ero rimasto impressionato. Così, mi sono detto, perché non il picco del petrolio? Ed eccomi qui.

Raccontare alla gente del picco del petrolio sottintende approcci differenti a seconda dell'interlocutore. Capii molto tempo fa che la maggior parte delle persone non sa leggere nemmeno un semplice grafico cartesiano. I grafici sono un linguaggio e non  l'hanno mai imparato. Se mostrassi loro una curva a campana, vedrebbero una collina o qualche tipo di montagna. Capiranno che è difficile da scalare e facile da discendere. Non è il modo in cui il picco del petrolio dev'essere inteso.

I Rom a cui avrei dovuto parlare erano al punto estremo dello spettro nei termini di cultura. Nessuno degli uomini era andato oltre la terza o la quarta elementare; la maggior parte delle donne non era mai andata a scuola. Gli uomini in qualche maniera sapevano leggere, ma raramente sapevano scrivere, le donne non sapevano né leggere né scrivere. Non leggono giornali o non guardano le notizie alla TV. Amano i film e passano molto del tempo a chiacchierare. E' da queste fonti che attingono la maggior parte di quanto sanno. Sarebbe stata una buona idea spiegargli il picco del petrolio?

La comunicazione non è mai a senso unico. Se voglio che mi capiscano, devo a mia volta capirli. Così, per questa chiacchierata, ho sviluppato una versione estrema della presentazione che darò, sapendo che le persone che mi ascolteranno non sono ai livelli più alti in termine di letteratura scientifica. E' tutta basata su vivide immagini mostrate sullo schermo, fotografie di pozzi di petrolio, ad esempio. Nessun grafico, nessun testo e nessuna cifra. Devo contare sulla mia voce, sulla mia abilità di catturare la loro attenzione.

Così, dico loro del picco del petrolio basato sull'esempio di una persona. Quando nascemmo, dico, eravamo molto piccoli, ma col tempo siamo cresciuti e possiamo fare più cose. Ma tra l'altro invecchiamo. Col tempo, possiamo fare sempre di meno ed, infine, dobbiamo morire. In un certo senso, continuo, col petrolio è la stessa cosa. Quando il petrolio è giovane, ce n'è tanto. Invecchiando, lo usiamo e ce n'è sempre meno. Dobbiamo lavorare di più per poterlo adoperare. E' lo stesso per molte cose che fate - non vi siete accorti che dovete fare più fatica? Mi guardano e annuiscono. Hanno capito il concetto.

 Da qui in avanti, mostro fotografie di campi di petrolio, di raffinerie, di silos e tutto quanto relativo al petrolio. Spiego che la benzina per le loro macchine viene dal greggio (lo sapevano, ma vagamente). Dico che le gomme delle loro macchine pure sono fatte dal greggio (non lo sapevano, e ciò li impressiona). Ho detto loro che occorre il petrolio per alimentare i camion che portano il cibo ai supermarket. Questo ha impressionato le donne; sono loro che si incaricano di preparare il cibo per la famiglia.

Quando parlo ai gadje (i non-Rom) c'è sempre almeno uno del pubblico che si addormenta durante la spiegazione o che chiaramente non ascolta. Ma i Rom sono tutti svegli ed ascoltano. Il messaggio sta passando, posso accorgermene. Gli parlo del futuro, di cosa ci aspetta quando ci sarà meno petrolio disponibile. Ci saranno meno lavoro, meno opportunità, meno denaro e meno cibo. Anche l'assistenza sociale, su cui molti di loro contano per la sopravvivenza, potrà sparire. Saranno tempi duri per tutti. Capiscono perfettamente il problema. Ricordano da dove provengono - l'ex Jugoslavia. Sono abituati ai tempi duri.

A fine chiacchierata, mi fanno delle domande. Quanto costerà la benzina? Dico loro che sicuramente sarà più cara, ma forse che non è quello il problema. Il vero problema sarà trovarla. Lunghe file ai benzinai, molto probabilmente.  Capiscono la questione: apparentemente le cose erano simili nell'ex Jugoslavia. Mi chiedono qual è il tipo migliore di macchina da comperare ed usare. So che non esiste una Mercedes che un Rom non vorrebbe, e quando gli rispondo che dovrebbero comperare una macchina economica che consuma poco, non sono contenti. Mi chiedono cosa dovrebbero fare. Dico che dovrebbero provare ad adattarsi ed essere flessibili. Annuiscono; è una strategia che conoscono molto bene. Alla fine, mi chiedono se nel 2012 ci sarà la fine del mondo. Rido, ridono anche loro. Ma sembrano sollevati: erano un po' preoccupati.

Nei giorni che seguirono, indagai con i lavoratori sociali e con i Rom stessi. Qual era stato l'impatto della mia chiacchierata? Tutti mi dissero che se ne era discusso; che erano rimasti impressionati. Ma non mi aspettavo che succedesse niente ed, infatti, quello fu il risultato. Non è cambiato niente nella vita del campo.

Quando si presente il picco del petrolio a qualcuno della classe media, la reazione può essere di diniego o mobilitazione. Ma raramente si vede gente che lo ha capito e rimane indifferente. Ci sono delle buone ragioni. Se sei della classe media, intravedi chiaramente come il picco del petrolio possa riguardarti. Dipendi da un salario e, se il tuo lavoro svanisce a causa del picco del petrolio, sarai in grave difficoltà. Devi pagare l'ipoteca, il piano di assicurazione sanitaria, l'istruzione per i bambini, e tutto il resto. Il picco del petrolio può distruggerti. Ma, come persona di classe media, puoi pensare a prepararti, che hai risorse di riserva per fare qualcosa. Probabilmente è una cattiva percezione ma può portarti a fare cose come installare pannelli solari, isolare la tua casa, comprare una macchina più piccola, questo tipo di cose. Se, invece, pensi di non avere queste risorse, o non vuoi adoperarle, la tua reazione probabilmente sarà di allontanare il prima possibile questo concetto dalla tua coscienza.

Ma pensate alla vostra situazione se voi foste Rom. Non avete un lavoro stabile; così non potete perderlo. Non possedete una casa, così non potete essere sfrattati. Nessuno vi darà credito, così non sarete mai in debito. Non avete un piano di pensionamento, così contate sui vostri figli per quando sarete vecchi. Dipendete dal welfare, sicuro, ma sapete anche vivere con poco. Infine, vivete in una comunità chiusa, formata da clan familiari. Litigate con vicini e parenti per tutto il tempo ma sapete che in una situazione difficile, se possono vi aiuteranno.

Il picco del petrolio colpirà i Rom, proprio come noi, ma loro hanno l'opportunità di essere abituati a combattere per sopravvivere. In una certa maniera, sono già oltre il picco.

Qualche giorno dopo il mio discorso sul picco del petrolio, un Rom del campo, uno degli uomini sposati, mi ha detto così:

Vede, professore, penso che lei avesse ragione con quella lezione. Sì, ci ha detto che le cose non andranno così bene come prima. Giusto, anche noi l'abbiamo visto. E' quel che sta succedendo. Sa, mi ricordo quando arrivammo qui dalla Jugoslavia. Ero un bambino,; avevo 10 anni ma me lo ricordo bene. Qui allora era differente. Vedevamo molto benessere luci e macchine e case e roba nei supermercati. Proprio così, non avevamo mai visto nulla di simile. In Jugoslavia c'era niente. E così, eravamo molto felici, ma penso che facemmo un grosso errore. Sa, mi ricordo mio nonno. Era un uomo buono, lavorava il metallo, riparava pentole e bacinelle e affilava i coltelli. Così mi disse che dovevo imparare il suo lavoro; ma io non volevo. Ero molto giovane, forse non ero raffinato ma, vede, professore, penso che tutti facemmo lo stesso errore. Molti degli anziani sapevano fare cose, come cantare o suonare, comprare e vendere cavalli. Ma noi ora non lo sappiamo più. Vedemmo qui tutto questo benessere, e pensammo che non c'era più bisogno di lavorare duro. Se c'era tutto quel ben di dio; perché non potevamo averne un po' anche noi? Non volevamo essere ricchi, ne volevamo solo un po' - abbastanza da vivere in pace. E pensammo che sarebbe durato per sempre. Ma, lei ha ragione professore, non durerà per sempre. E ora siamo nei guai.

Lo trovo impeccabile. Non è lo stesso errore che noi facciamo col greggio?

 

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