Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 20/02/2013 @ 09:04:12, in Italia, visitato 1305 volte)
Corriere Immigrazione - di Sergio Bontempelli
Allarmi strategici, politiche securitarie ed esclusione dei migranti: una
ricerca sul caso di Pisa, ex città rossa molto tentata ormai dal rosa cipria.
Corriere Immigrazione si
è già occupato del "caso pisano". Piccola città
dell'Italia centrale, roccaforte dell'elettorato "rosso" e con una robusta
tradizione di sinistra, a suo tempo "patria" del Sessantotto e dei movimenti
studenteschi, negli ultimi anni Pisa è divenuta l'epicentro delle "politiche di
sicurezza": Marco Filippeschi, Sindaco Pd eletto nel 2008, ha dichiarato guerra
a rom e venditori ambulanti senegalesi, facendo delle "politiche securitarie" la
cifra del suo agire amministrativo.
In un bel libro uscito da pochi giorni (Xenofobia, sicurezza, resistenze.
L'ordine pubblico in una città "rossa", edizioni Mimesis), il giovane
ricercatore Tindaro Bellinvia ha fatto di Pisa un vero e proprio "case study":
ricostruendo non solo gli eventi - ordinanze, campagne di stampa, sgomberi e
"retate" di polizia - ma anche il loro significato più ampio.
La volpe e il porcospino: due modelli di città
"Ci sono società urbane più simili alla volpe e altre che assomigliano al
porcospino: le prime favoriscono la varietà, la coltivano e la incrementano; le
seconde investono in una sola direzione, verso cui orientano il loro sviluppo".
Così l'antropologo Ulf Hannerz, citando un verso dell'antico poeta greco
Archiloco, identifica due modelli possibili di governo del territorio.
Secondo Bellinvia, le politiche locali a Pisa hanno guardato al modello del
"porcospino": hanno costruito cioè "un'economia tutta incentrata
sull'accoglienza dei turisti e delle élite in cerca di luoghi raffinati e
rassicuranti". Dismessa ogni vocazione industriale (Pisa è stata per decenni una
"città operaia" sede di importanti fabbriche), le politiche urbane si sono
rivolte al turismo, e ai connessi investimenti immobiliari: alberghi, ville,
residenze di lusso, persino un porto per gli yacht sul litorale tirrenico...
Il "marchio" della città e la sicurezza-spettacolo
In questo modello di governo locale, diventa decisivo il "marchio" della città.
O, per usare le parole di Bellinvia, il suo "rating". Si deve cioè diffondere la
fama di una sede tranquilla, immune da conflitti: un luogo ideale dove
un'azienda possa effettuare un investimento, una famiglia benestante trasferire
la propria residenza. L'"immagine" della città diventa un tassello decisivo per
il suo sviluppo.
In una logica di "marketing", bisogna quindi promuovere il "decoro", la
"rispettabilità". Le classi pericolose - i poveri, i migranti, i "marginali"
-
devono essere nascoste, come si nasconde la polvere sotto il tappeto:
allontanate dal centro, ammassate nei piccoli comuni del circondario, a loro
volta trasformati in "luoghi dell'eccedente umano".
Soprattutto, si dovranno mettere al bando le attività che compromettono
l'"immagine pubblica" di Pisa: l'elemosina, la vendita ambulante, i senza fissa
dimora che dormono alla Stazione, i rom che si "accampano" in periferia, i
poveri che fanno la fila alle mense della Caritas. E si dovranno compiere gesta
spettacolari: esibite al mondo, come si esibisce il "marchio" di un prodotto da
vendere.
Di qui la logica delle "ordinanze", finalizzate non al governo di fenomeni
sociali ma, appunto, all'esibizione spettacolare. Le "gesta"
dell'amministrazione comunale hanno un carattere provocatorio, a tratti persino
ridicolo (perché anche il ridicolo serve a far parlare di sé...). Per
allontanare i venditori ambulanti si emette l'ordinanza "antiborsoni", con
severissime sanzioni per chi si aggiri nel centro storico munito di grosse borse
(!); per cacciare i senza dimora si multa la suora che porta da mangiare ai
poveri della Stazione; per sbarazzarsi dei rom si fanno sgomberi in stile
militare; e per le prostitute si punisce l'abbigliamento femminile che "offenda
la pubblica decenza e il decoro".
"Volpi" pisane: c'è chi dice no
In questo modo Pisa - ma lo stesso fenomeno ha riguardato molte altre città - ha
perso una caratteristica fondamentale dell'"Italia di mezzo", cioè dei territori
"rossi" della Toscana e dell'Emilia: quella di "di far convivere diverse
tipologie di attività economiche e culturali". Per usare le parole di Hannerz,
Pisa diventa "porcospino" e dismette la sua storica identità di "volpe".
Ma le "volpi" continuano a esistere. Le politiche del Sindaco Filippeschi,
infatti, sono state fortemente contestate da un ventaglio molto ampio di
"cittadini attivi": studenti, professionisti ed esperti di urbanistica, docenti
universitari e intellettuali, organizzazioni di volontariato e comunità
migranti.
Il vero e proprio cuore pulsante di questa "resistenza" è stato, secondo
l'autore del volume, il Progetto Rebeldia: un network di trenta associazioni,
che fino al 2010 ha avuto sede nel quartiere della Stazione (molto frequentato
dai migranti e per questo "epicentro" degli interventi repressivi del Comune).
Le associazioni di Rebeldia hanno organizzato non solo un'opposizione radicale
alle politiche securitarie - avviando tra l'altro azioni legali contro le
ordinanze di Filippeschi - ma anche forme di socialità e di cultura alternative:
nel quartiere della Stazione, Rebeldia ha rappresentato un luogo di incontro tra
migranti e "nativi", concretizzatosi in momenti conviviali, feste, cene popolari
e competizioni sportive.
Una "guerra di simboli"
Rebeldia ha dunque mantenuto in vita l'idea di una città "volpe". Ma ha
soprattutto avviato quella che Anna Maria Rivera chiamerebbe una "guerra dei
simboli": ed è qui che l'analisi di Bellinvia si rivela particolarmente
originale e feconda. Per l'autore del volume, la "sicurezza" è un insieme di
discorsi e di significati socialmente costruiti. Solo per fare un esempio, non è
affatto naturale che un senza fissa dimora sia percepito come un problema di
"sicurezza", come una minaccia all'incolumità dei "cittadini": perché questo
avvenga, occorre che si diffonda un senso comune che associa la povertà alla
pericolosità. E proprio associazioni mentali di questo genere sono diffuse da
giornali e televisioni, così come da Sindaci e politici.
In altre parole, la "sicurezza" è un "codice simbolico": non un dato di fatto ma
una percezione, alimentata dalla comunicazione pubblica e dai mass-media. Per
contrastarla, dice Bellinvia, occorre "dotarsi di un codice simbolico
alternativo". E proprio questo hanno fatto le "volpi" che si sono opposte alle
politiche del Sindaco.
Per il momento, la guerra è stata vinta dai "porcospini", cioè
dall'amministrazione comunale. Ma Bellinvia dubita che si tratti di una vittoria
definitiva: "non crediamo", scrive, che "perseguitare sbandati e persone
sospette diminuirà l'insicurezza. Pensiamo piuttosto che questa ossessione per
il controllo porterà nuove paure e nuovi timori". La volpe, qui, sembra
destinata ad essere come la talpa di cui parlava Marx: avanza silenziosamente,
sembra sparita... e poi salta fuori quando meno te l'aspetti!
Di Fabrizio (del 20/02/2013 @ 09:08:18, in Regole, visitato 2058 volte)
Stranieriinitalia.it - Avv. Mascia Salvatore
Non è un opinione, è un crimine punito dalla legge. Ecco come riconoscerlo e
combatterlo
11 febbraio 2013 - Il convincimento che la razza, il colore, la discendenza, la
religione, l'origine nazionale o etnica siano fattori determinanti per nutrire
avversione nei confronti di individui o gruppi, è un pregiudizio, una forma
irrazionale di intolleranza, ma è anche e soprattutto un crimine punito dalla
legge italiana.
La costituzione italiana condanna ogni forma di razzismo, e all'articolo 3
recita: "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla
legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di
opinioni politiche, di condizioni personali e sociali". E per cittadini si
intendono anche quelli stranieri che si trovano nel nostro Paese.
Infatti, in base all'art. 2 del T.U. n. 286 del 1998, ai cittadini extraue
"comunque presenti sul territorio", lo Stato deve garantire il rispetto dei
diritti inviolabili dell'uomo, che rientrano nella categoria dei diritti civili.
L'uguaglianza tra le persone è alla base di ogni società democratica la quale
deve, quindi, provvedere attraverso le proprie istituzioni a prevenire e
tutelare l'intera collettività da atti o comportamenti discriminatori.
Espressione di questa esigenza sono le innumerevoli leggi a livello nazionale,
comunitario e internazionale, che nel corso degli anni hanno gettato le basi per
contrastare sempre più il razzismo (L. 654/1975; D. Lgs. 215/2003 e D. Lgs.
216/2003 attuativi di direttive comunitarie; D. Lgs. 198/2006).
Considerata la gravità di tale fenomeno, sono previste delle pene molto dure per
i colpevoli.
Secondo la legge n.654 del 1975 chi diffonde in qualsiasi modo idee fondate
sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o
commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o
religiosi, è punito con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa
fino a 6.000 euro.Mentre chiunque commette o istiga a commettere atti di
violenza o di provocazione alla violenza per gli stessi motivi, è punito con la
reclusione da sei mesi a quattro anni.
Riconoscere le discriminazioni
Ogni comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione,
esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore,
l'ascendenza, l'origine o la convinzione religiosa è considerato dalla legge
italiana discriminatorio (art.43 del d.lgs. 286/98).
Possono essere considerati fattori di discriminazione anche i motivi linguistici
o di provenienza geografica.
Si tratta di un comportamento illegittimo anche se non è intenzionale, perché
comunque distrugge o compromette il riconoscimento, il godimento o l'esercizio
dei diritti umani e delle libertà fondamentali.
Spesso è difficile valutare ciò che è considerata discriminazione e quindi
razzismo. Per questa ragione la legge si è preoccupata di definire meglio questo
concetto oltre che di fornire una tutela specifica per quelle discriminazioni
che si verificano nei luoghi di lavoro e nei rapporti con le pubbliche
amministrazioni o con esercenti commerciali.
Compie un atto di discriminazione:
1) il pubblico ufficiale che nell'esercizio delle sue funzioni compia o ometta
atti nei riguardi di un cittadino straniero che, soltanto a causa della sua
condizione di straniero o di appartenente ad un determinata razza, religione,
etnia o nazionalità, lo discriminino ingiustamente;
2) chiunque imponga condizioni più svantaggiose o si rifiuti di fornire beni o
servizi offerti al pubblico ad uno straniero soltanto a causa della sua
condizione di straniero o di appartenenza ad un determinata razza, religione,
etnia o nazionalità (prezzi differenziati al bar);
3) chiunque illegittimamente imponga condizioni più svantaggiose o si rifiuti di
fornire l'accesso al lavoro, all'abitazione, all'istruzione, alla formazione e
ai servizi sociali e socio assistenziali allo straniero regolarmente
soggiornante in Italia , soltanto in ragione della sua condizione di straniero o
di appartenente ad un determinata razza, religione, etnia o nazionalità
(locazione di immobili);
4) il datore di lavoro o i suoi preposti i quali compiano qualsiasi atto o
comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando, anche
indirettamente, i lavoratori in ragione della loro appartenenza ad una razza, ad
un gruppo etnico o linguistico, ad una confessione religiosa, ad una
cittadinanza.
Cosa fare quando si subisce una discriminazione
Azione Civile
Chi è stato vittima di un atto discriminatorio da parte di un privato o di un
ufficio pubblico può ricorrere all'autorità giudiziaria ordinaria per domandare
la cessazione del comportamento pregiudizievole e la rimozione degli effetti
della discriminazione.
A tal fine la vittima della discriminazione può presentare, personalmente o
avvalendosi di un Avvocato o di un associazione, un ricorso presso la
cancelleria del Tribunale Civile della città in cui dimora A supporto delle
prove fondamento del ricorso possono essere forniti anche elementi desunti da
dati di carattere statistico, dai quali si può presumere l'esistenza di atti,
patti o comportamenti discriminatori (es. assunzioni, regimi contributivi,
assegnazione delle mansioni e qualifiche, trasferimenti, licenziamenti, ecc.
dell'azienda interessata).Spetta poi al convenuto (colui che ha commesso l'atto
discriminatorio) provare l'insussistenza della discriminazione. Il giudice, una
volta accertato che c'è stato un atto discriminatorio, accoglie il ricorso
ordinando che si ponga fine al comportamento discriminatorio e che ne vengano
rimossi gli effetti. Potrà inoltre condannare il colpevole a risarcire i danni
eventualmente subiti, anche non patrimoniali Il giudice può, inoltre, ordinare
la pubblicazione del provvedimento, per una sola volta e a spese del convenuto,
su un quotidiano di tiratura nazionale. In caso di condanne a carico di datori
di lavoro che abbiano avuto dei benefici monetari sia statali che regionali, o
che abbiano contratti di appalto per l'esecuzione di opere pubbliche, servizi o
forniture, il giudice comunica i provvedimenti alle amministrazioni che hanno
disposto la concessione del beneficio o l'appalto. Il beneficio può, quindi,
essere revocato e, nei casi più gravi di discriminazione, può essere disposta
l'esclusione del responsabile per due anni da qualsiasi ulteriore concessione di
agevolazioni (finanziarie o creditizie) o da qualsiasi appalto.
Se l'ordinanza del giudice non viene appellata entro 30 giorni, diviene
definitiva a tutti gli effetti.
Azione Penale
Insieme al diritto di chiedere la cessazione del comportamento, è prevista la
possibilità di presentare una denuncia/querela al Tribunale Penale del luogo in
cui si è verificato l'evento oggetto del reato con cui chiedere l'arresto di chi
commette una discriminazione.
Anche in questo caso il giudice, dopo aver accertato la responsabilità di chi ha
commesso il reato, può disporre il risarcimento dei danni materiali e morali a
favore della vittima del reato che si sia costituito parte civile nel processo.
Inoltre il giudice può disporre, ulteriormente alla pena, sanzioni accessorie
che prevedono obblighi particolari per il colpevole.
Questi potrà essere obbligato a prestare attività non retribuita a favore della
collettività per finalità di pubblica utilità; potrà prevedersi la sospensione
della patente di guida, del passaporto e di documenti validi per l'espatrio per
un periodo non superiore ad un anno; potrà disporsi il divieto di partecipare ad
attività di propaganda elettorale per le elezioni politiche o amministrative.
Con questa traduzione, anche Barbara Breyhan inizia la
collaborazione con Mahalla. Benvenuta!
DORTMUND - Lavoratori ridotti in miseria - di Sibylle Fuchs, 5 febbraio 2013
Due settimane fa il programma televisivo ARD_Monitor ha trasmesso un
servizio sconvolgente,
che ha mostrato con quale freddezza sociale e con quale disprezzo la città di
Dortmund e le istituzioni ecclesiastiche in questa città, rispondano
all'indigenza dei lavoratori emarginati dell'Europa sudorientale.
L'estrema povertà dei paesi, da cui questi lavoratori cercano di
fuggire, è stata consapevolmente provocata dall'Unione Europea. La povertà serve
da leva affinché anche in paesi ancora benestanti, come Germania o Francia, il
tenore di vita della classe operaia si abbassi in maniera significativa.
I reporter Isabel Schayani ed Esat Mogul sono stati per una giornata insieme ad
Ercan, un Rom della città bulgara di Plovdiv, che ha inutilmente tentato di
trovare un lavoro malpagato tra quelli che vengono offerti nel cosiddetto "Arbeiterstrich"
nella Mallincksrodttrasse della città di Dortmund
("Arbeiterstrich" viene chiamato in tedesco un incrocio stradale nel quale
braccianti dell'Europa sudorientale ciondolano durante la giornata, aspettando
che qualcuno passi e offra loro un lavoro, quasi sempre sottopagato, ndr).
Da quando Ercan è arrivato, una settimana fa, è riuscito a trovare lavoro
soltanto un'unica volta. Con i soldi che ha guadagnato per un trasloco è
riuscito appena a ripagare i debiti contratti per il viaggio in autobus dalla
sua città d'origine fino in Germania.
Da quando i loro paesi di provenienza sono paesi membri dell'UE, i lavoratori
bulgari e rumeni che aspettano un lavoro sull'Arbeiterstrich soggiornano in
maniera regolare in Germania, ma finora è loro impedito un altrettanto regolare
lavoro. Nonostante ciò, soltanto nel 2011 sono arrivati in Germania 200.000 tra
bulgari e rumeni per prestare servizio come lavoratori a giornata.
Dall'entrata di bulgari e rumeni nell'UE nel 2007, anche a Dortmund ne sono
arrivati a migliaia. Giorno dopo giorno si mettono per strada e sperano che un
automobilista si fermi e li prenda con sé. Nei loro paesi di origine hanno perso
il lavoro con la liquidazione delle imprese statali ed hanno perso qualsiasi
speranza di lavoro. Se sono fortunati, sull'Arbeiterstrich viene offerto loro un
lavoro pesante per una paga misera. Questo estremo sfruttamento dei lavoratori
rom fa parte dell'intensificazione sistematica dello sfruttamento della classe
operaia in tutta l'Unione Europea.
Molti rom o non hanno un alloggio o sono costretti a vegetare in alloggi indegni
in abitazioni malandate, note a Dortmund come "Ekelhäuser" (case che fanno
ribrezzo, ndr.). O si tratta di abitazioni occupate, dalle quali possono essere
cacciati in qualsiasi momento, oppure sono costretti a pagare 30 euro a notte ai
proprietari di casa per un posto-letto, spesso solo dei lager con dei materassi
in appartamenti sovraffollati. Gli impianti sanitari e le cucine o sono guasti o
del tutto insufficienti per la moltitudine di persone stipate nelle case.
Il sovraffollamento delle abitazioni porta in breve tempo a sporcizia e
condizioni igieniche insostenibili. Di regola i proprietari di casa ordinano dei
contenitori per rifiuti troppo piccoli per l'immondizia creata dal gran numero
di inquilini. Si dice che in una casa fosse presente soltanto un servizio
igienico per 19 appartamenti e che fosse privo di acqua corrente.
Ercan ha lavorato per 22 anni come scaricatore in un'azienda, ma poi, come accade
per la maggior parte dei rom, è stato licenziato.
Ercan è a Dortmund da una settimana. Non ha nemmeno i soldi per telefonare a sua
moglie. Quando è arrivato qua, ha trovato un posto letto in una casa. Un rumeno
gli disse di essere il portiere e che avrebbe potuto pernottare nella casa per
quattro o cinque giorni. Ma quando la sera è rientrato per pernottare, ha
trovato porta e finestre sbarrate. Le sue cose sono rimaste dentro. Adesso gli
sono rimasti soltanto gli abiti che porta addosso.
Per via delle temperature sottozero ha bisogno di un posto dove farsi la doccia
e dove stare al caldo. La troupe televisiva lo accompagna, con telecamera
nascosta, alla Diaconia, l'ente assistenziale della chiesa evangelica. Viene
respinto. Un uomo gli mostra un foglio con scritto: "I bulgari qui non possono
farsi la doccia".
"Ma loro lo sanno benissimo", dice l'uomo, "ma ritornano sempre! E a me tocca
sempre mostrare di nuovo questo foglio! Sanno leggere? E' la loro lingua! Niente
doccia!".
Reporter: "Niente doccia. Allora, qui bulgari e rumeni non possono farsi la
doccia. Tutti gli altri sì?". Uomo: "Sì".
Da una responsabile dell'Diakonischen Werks Dortmund und Lünen i reporter hanno
ricevuto la spiegazione che, in effetti, esisterebbe presso il pronto soccorso
un servizio apposito per le emergenze per chi ha bisogno di farsi la doccia, ma
che al momento la Diaconia sarebbe equipaggiata in maniera molto ristretta per
quanto riguarda la disponibilità delle docce.
La troupe televisiva ed Ercan vengono quindi semplicemente rimandati all'ufficio
Consulenza Migrazione, aperto al pubblico alle ore 13:00 per un'ora. Alla
domanda della reporter sul perché Ercan non possa farsi la doccia si ha il
seguente dialogo.
Uomo: "Infatti, farsi la doccia assolutamente no". Reporter: "Perché no? Allora
chi può farsi la doccia?". Uomo: "Soltanto tedeschi, gli immigrati no".
Ci sarebbe un posto in cui anche agli immigrati è permesso farsi la doccia, ma
soltanto tre volte la settimana.
Mentre fuori ci sono temperature gelide, Ercan incontra gli stessi problemi per
il pernottamento. Accompagnato dai reporter, tenta di chiedere la possibilità di
pernottamento presso gli alloggi di fortuna dell'ufficio dell'assistenza sociale
per uomini. Anche qui è ospite indesiderato.
Uomo: "Bulgaro? Rumeno?". Ercan: "Bulgaro". Uomo: "Oh! No sleep here! Solo
Dortmund, only Germany". Reporter: "Perché?". Uomo: "E' solo per tedeschi, solo
per abitanti di Dortmund. Non per bulgari o rumeni. Purtroppo è così: non
possiamo permetterlo". Reporter: "Per questo esiste una spiegazione?". Uomo: "E'
così purtroppo. Queste sono le regole che ci arrivano dall'ufficio
dell'assistenza sociale della città di Dortmund".
L'unica cosa che l'uomo propone ad Ercan è di tornare alle ore 23:30: "A
quell'ora il collegio ed io decideremo se potremo lasciarlo dormire qui. A quel
punto, però, rappresenterebbe un'eccezione per questo singolo caso, se proprio
fuori dovesse fare troppo freddo. Okay? Di più non posso fare".
Ercan passa la notte in un internet café. La mattina seguente decide di
ritornare nel suo paese di origine. I reporter gli hanno dato il denaro
sufficiente.
Questo non è stato il primo servizio televisivo sulla condizione dei rom a
Dortmund. Due anni fa un altro caso ricevette l'attenzione della stampa. Una
giovane rom, che voleva provvedere al mantenimento della sua famiglia con il suo
lavoro di prostituta,venne lanciata fuori falla finestra da un suo brutale
cliente. Sopravvisse, ma restò invalida. Il corrispondente televisivo prese il
suo caso come occasione per richiamare l'attenzione sulle orribili condizioni di
vita dei rom. Mostrò anche la loro disperata situazione nei paesi di origine.
Molti dei rom arrivati a Dortmund con gli autobus provengono dal quartiere
Stolipinovo di Plovdiv. E' uno dei più grandi ghetti rom dei Balcani. Vi abitano
45.000 rom - che parlano soprattutto turco - in edifici prefabbricati senza
corrente elettrica né acqua.
Le loro condizioni di vita sono notevolmente peggiorate dal crollo dei regimi
stalinisti nell'Europa dell'Est, perché essi, per prima cosa, hanno perso il
lavoro.
Per poter restare in Germania per più di tre mesi, un bulgaro o un rumeno deve
poter presentare un contratto d'affitto, il permesso di soggiorno per cittadini
comunitari e un'assicurazione sanitaria. La maggior parte di coloro che arrivano
qua non hanno la più pallida idea di come ottenerli. Per i cittadini di questi
paesi, la totale libertà di circolazione e la garanzia legale di poter trovare
un lavoro varranno soltanto a partire dal 2014. Per ora possono trovare lavoro
soltanto in proprio. Alcuni tentano di lavorare come commercianti di rottami
metallici, ricavati da autovetture o vecchie pattumiere. Altri non trovano di
meglio che chiedere l'elemosina o essere introdotti nella criminalità.
Addirittura alle mense la maggior parte di loro non può ricevere niente, in
quanto va esibita una tessera con cui dimostrano di ricevere contributi sociali.
Molte donne hanno trovato di che vivere lavorando come prostitute. In passato
più di 700 donne avevano denunciato la loro attività lavorativa come prostitute;
nel Strassenstrich ("marciapiede", "quartiere a luci rosse" - in cui, in
Germania, è consentito esercitare la prostituzione, ndr.) della Ravensbergersrasse,
pensato originariamente per 50 donne, arrivavano a lavorare contemporaneamente
fino a 120 prostitute. Con i soldi guadagnati erano in grado di assicurare
un'esistenza dignitosa alle loro famiglie in Romania o Bulgaria.
Lo Strassenstrich è stato tuttavia chiuso nel 2011 e la prostituzione è stata
vietata su tutto il territorio della città di Dortmund. Il provvedimento avrebbe
dovuto scoraggiare un afflusso più ampio di immigrati dalla Bulgaria. Il
prefetto di Dortmund, Ingo Moldenhauer, spiegava: "Deve arrivare fino in
Bulgaria il segnale che qui non si può più guadagnarsi da vivere con la
prostituzione".
Adesso la prostituzione viene esercitata illegalmente in case-bordello. Le
assistenti sociali, che prima si occupavano delle prostitute aiutandole ad
ottenere mezzi contraccettivi o organizzando corsi di lingua tedesca, ora non
hanno più alcuna possibilità di aiutarle. Nel frattempo adesso si rincorrono
voci che potrebbe essere di nuovo autorizzato lo Strassenstrich.
Le terribili condizioni abitative negli "Ekelhäuser" hanno fornito un pretesto
per politici populisti e di destra per campagne sobillatrici contro immigrati
sia sulla stampa locale che sul web, campagne che nella terminologia ricordano
la propaganda nazionalsocialista.
Il telegiornale del 2 aprile 2011, in un servizio, così descriveva un gruppo di
inquilini rom: "Rubano, irrompono nelle case, lasciano danni da riparare e
confermano concretamente i pregiudizi esistenti su di loro." Hubert Scheuer, ex
sindacalista, è dell'opinione che chi non si difende, soccombe.
Invece di chiedere ai proprietari delle case di assumersi le proprie
responsabilità e di combattere contro lo strozzinaggio degli affitti
esorbitanti, si preferisce insultare i rom che vivono in condizioni disumane.
Alcuni rom che abitavano nelle "case problematiche" sono stati nel frattempo
sfrattati tramite le forze dell'ordine. L'impresa comunale della città di
Dortmund, la DOGEWO, ha comprato 7 case e sta risanando 65 alloggi. Ne
seguiranno altri. I rom senzatetto dell'Arbeiterstrich non saranno in grado di
pagare i prezzi d'affitto di questi alloggi.
Dortmund non è un caso unico. In molte grandi città della Germania accade la
stessa cosa. Nelle stesse condizioni vivono anche i rom a Duisburg, dall'altro
lato del territorio della Ruhr: più di 6000 rom, provenienti dalla Bulgaria e
dalla Romania, nelle stesse condizioni disumane.
I politici borghesi e i mezzi d'informazione rappresentano come responsabile
essa stessa, per la propria grave situazione, questa parte più povera della
popolazione che lavora e ne promuovono la deportazione. La campagna sobillatrice
razzista contro i rom viene fomentata consapevolmente dalla borghesia allo scopo
di dividere la classe operaia e di ostacolare la solidarietà di classe. I
lavoratori europei non lo devono permettere. Solo una difesa anche delle parti
più oppresse della classe operaia può impedire che questi attacchi non vengano
poi estesi a tutti gli altri e diano spazio a forze di destra e fasciste.
Di Fabrizio (del 22/02/2013 @ 09:09:21, in Europa, visitato 1696 volte)
Il consiglio che spese 7 milioni di sterline per sgomberare i traveller
da Dale Farm, vorrebbe costruire il nuovo campo a meno di 800 metri - By JAMES RUSH
-
PUBLISHED: 15:22 GMT, 11 February 2013
- Il consiglio di Basildon diceva di non voler premiare le
azioni illegali
- Dal 2001 le autorità sono state coinvolte in 10 anni di
battaglie legali
- A ottobre 2011 spesi 7 milioni di sterline per
sgomberare il sito di Dale Farm
Il consiglio che ha speso oltre 7 milioni di sterline per sgomberare il campo
traveller di Dale Farm, finisce nel mirino per aver dato via libera ad un nuovo
sito posto sul lato opposto della strada.
Il consiglio di Basildon si è trovato coinvolto in una battaglia legale
decennale dal 2001, dopo che ai traveller venne consentito di espandersi
illegalmente in un ex discarica a Crays Hill,
Essex.
(Oltre alle spese per lo sgombero, la battaglia legale su Dale Farm è
costata alla comunità di Basildon ben 18 milioni di sterline, lievitati ad oltre
20 dopo lo sgombero di ottobre. Sulle tante questioni legali del terreno
occupato e della sua destinazione d'uso, vedi questi articoli precedenti:
Uno,
Due,
Tre,
Quattro,
Cinque,
Sei. ndr.)
Ma dopo aver speso milioni in un durissimo sgombero ad ottobre 2011, i
consiglieri hanno ora approvato un nuovo sito di sosta, situato a neanche 800
metri di distanza.
Progetto: il consiglio di Basildon Council ha approvato un nuovo sito per
travweller (cerchiato in rosso) ad appena 800 metri da Dale Farm
(perimetrato in blu)
Sfrattati: I traveller continuano a vivere in un viottolo che conduce ai sei
acri del sito di Dale Farm, a oltre 15 mesi dallo sgombero
Scontri hanno infiammato gli animi durante lo sgombero di ottobre 2011
Le autorità hanno difeso la loro azione odierna, negando che i traveller siano
stati premiati per la loro illegalità.
Len Gridley, 53 anni - da oltre dieci vive accanto a Dale Farm, è sbottato:
"I conti non tornano! Si parla di costruire un mini-sito, quando tutti sanno che
ci sono oltre 20 carovane sistemate sulla strada che porta a Dale Farm o da
quelle parti. Il consiglio sta spostando il problema senza volerlo risolvere.
Non accettano di aver affrontato in maniera pessima il problema con lo sgombero,
ed ora stanno nascondendo i loro risultati sotto il tappeto."
Costoso: Lo sgombero di ottobre 2011 è costato al consiglio di Basildon 7
milioni di sterline
Violenze: lo sgombero ha visto oltre 300 poliziotti in tenuta antisommossa e
centinaia di ufficiali giudiziari impegnati nell'ex discarica in un operazione
di prima mattina, che ha portato a scontri sanguinosi e violenti
Revisione: E' atteso per fine mese un rapporto dell'Agenzia per l'Ambiente
sui contaminanti pericolosi a Dale Farm
"Dale Farm è in condizioni peggiori di quando ci vivevano illegalmente i
traveller."
I traveller continuano a vivere illegalmente in una strada chiusa accanto a Dale
Farm, ad oltre 15 mesi dallo sgombero.
Nei prossimi mesi è atteso un rapporto dell'Agenzia per l'Ambiente sui
contaminanti pericolosi - inclusi amianti e olii industriali.
Vista aerea del sito di Dale Farm, prima dello sgombero di ottobre 2011.
L'area illegale abbandonata è marcata in rosso
I progetti approvati per il nuovo sito includono 15 piazzole per carovane
doppie, in una proprietà governativa su terreno incolto ad appena mezzo miglio
di distanza, a Gardiners Lane South, Basildon.
Il piano, approvato giovedì dalla maggioranza del consiglio, potrebbe ospitare
non oltre 80 traveller, che attualmente vivono in carovane all'ingresso del sito
illegale.
Vista aerea di Dale Farm, per cui il consiglio di Basildon ha spento 7
milioni di sterline per sgomberare i traveller ad ottobre 2011
Toni Ball, leader del consiglio di Basildon, ha detto:
"Vorrei ripetere che
questo sito non è una soluzione alla questione di Oak Lane, dove i traveller
stanno tuttora vivendo illegalmente, mentre i posti verranno assegnati in base
alle esigenze locali. Non siamo qui a premiare chi si è comportato illegalmente.
Da sempre siamo impegnati a lavorare con le comunità zingare e traveller, per
trovare luoghi adatti dove possano vivere, come ogni altro settore della
comunità. E' importante aver lavorato in accordo con la Home and Communities
Agency (HCA) e gli sviluppatori, per essere sicuri che questo sito sia avviato
correttamente e che le piazzole siano assegnate sulla base delle necessità.
Vogliamo prendere il terreno in affitto dalla HCA e subaffittarla poi alla Home Space
Sustainable Accommodation (HSSA), per mantenere il controllo del sito."
Il piano approvato include 15 piazzole per due carovane ognuna, su un
terreno governativo incolto
U Velto (foto da
La Gazzetta di Mantova)
Respingo
le accuse strumentali dell'assessore provinciale Elena Magri e la invito a
leggersi le relazioni inviate annualmente. Per l'annualità 2012 è stato chiesto
all'associazione Sucar Drom di prolungare l'annualità 2012 fino al mese di
febbraio 2013, noi eravamo contrari perchè tale scelta ci ha esposto
finanziariamente in maniera evidente per mantenere i servizi richiesti dai
territori. Nel mese di marzo sarà inviata la rendicontazione. Inoltre,
sottolineo che non è mai giunta all'associazione, dall'Assessore Elena Magri,
nessuna richiesta di spiegare come è condotta la mediazione culturale. Ricordo
però all'assessore che la stessa Provincia di Mantova ha pubblicato il libro la
mediazione culturale: una scelta, un diritto dove è spiegato come
l'associazione conduce la mediazione culturale.
Ritengo scorretto spostare l'attenzione pubblica su qualcosa di inesistente per
coprire la propria ostilità all'unica proposta seria e concreta su come offrire
un habitat diverso da un ghetto a famiglie mantovane.
L'assessore Elena Magri non è riuscita a formulare in due anni una proposta: ne
per la chiusura del cosiddetto campo nomadi, ne per implementare la
scolarizzazione, ne per tutelare le culture sinte e rom e neppure per aiutare le
famiglie sul tema fondamentale del lavoro. Dopo un primo incontro con le donne
sinte l'assessore è sparita, ma può incontrare le mantovane e i mantovani
appartenenti alle minoranze linguistiche sinte e rom, quando vuole. Certo, c'è
almeno da convocare le persone e quindi un piccolo sforzo è da fare; come quello
di mandare una comunicazione ufficiale della avvenuta stipula di un protocollo
d'intesa agli Uffici competenti ed è ridicolo pensare che l'Ente Provincia di
Mantova non sia in grado di mandare una semplice comunicazione. Io penso che non
l'abbia voluto fare.
Al contrario l'unica proposta che ho sentito dall'Assessore Magri è quella di
non chiudere il cosiddetto campo nomadi. Proposta fatta al Tavolo Men Sinti
alla presenza di tutti i partner che si sono guardati negli occhi stupiti e
scioccati perchè eravamo in procinto di firmare il protocollo d'intesa con
l'obiettivo di smantellare l'area di viale Learco Guerra. Ogni commento è
superfluo.
L'assessore Elena Magri spieghi ai mantovani, in particolare ai sinti, cosa
intende fare sui temi della scuola, dell'abitare, del lavoro, della cultura, ma
lasci all'associazione Sucar Drom il diritto di indire manifestazioni dove e
come lo ritiene opportuno nel rispetto della legge. Io non ricatto nessuno e
quindi respingo al mittente tale accusa. L'associazione Sucar Drom ha fatto in
questi anni decine di manifestazioni per mettere in evidenza le mancanze di
Assessori di tutti i colori politici, ma per l'assessore Elena Magri il dissenso
verso le sue mancanze sono da bollare come ricatti. La stessa identica tesi
ideologica delle frange più xenofobe mantovane.
L'associazione Sucar Drom non svolge solo attività di mediazione culturale, ma
svolge anche un ruolo politico. Questo ruolo lo rivendico con forza e decisione
perchè è chiaro a tutti che senza tale ruolo la situazione a Mantova non sarebbe
diversa da quella di altre città lombarde. E' chiaro che anche dentro alla
sinistra i bisogni espressi dai cittadini italiani, appartenenti alle minoranze
sinte e rom, non sono bisogni legittimi. Gli stereotipi e i pregiudizi che
pervadono la società italiana non vedono le persone che si professano di
sinistra immuni. A peggiorare le cose c'è un'idea che le questioni debbano
essere affrontate sull'onda delle emozioni e poi abbandonate al loro destino. Il
lavoro quotidiano di condivisione e di cammino anche nei momenti più difficili è
un concetto che non appartiene a molti perchè è più semplice fare il solito
progettino dove le questioni sono affrontate in maniera superficiale. Io le
affronto in tutta la loro complessità con passione e serietà e non solo un
pomeriggio alla settimana per un paio di mesi. Se non fosse così l'associazione
che ho formato, insieme a tanti altri mantovani appartenenti alla minoranza
sinta, non avrebbe la credibilità che invece ha a Mantova e non solo.
di Carlo Berini, vice presidente dell'associazione Sucar Drom
CONSERVATORIO DI MILANO-SALA VERDI: Via Conservatorio, 12 Milano
Domenica 3 marzo
2013. h. 16.30
Nella splendida cornice della Sala Verdi del Conservatorio di Milano, Claudio
Bisio, insieme a un ensemble urbano-sinfonico-multiculturale e ai colori di
bellissimi acquarelli, ci racconta le avventure di Pierino, di un bruco e di
come, insieme, diventano farfalla contro la prepotenza e contro ogni forma di
pregiudizio e di solitudine.
Una prima esecuzione, un evento unico, organizzato in collaborazione con il
Conservatorio di Milano e i cui proventi saranno devoluti alla ONLUS Soleterre,
organizzazione umanitaria che da 10 anni si occupa di diritti umani, con una
particolare attenzione a bambini e ragazzi.
Pierino e il bruco è una storia contro il bullismo che valorizza la ricchezza
della diversità, in tutte le sue forme. Una storia per grandi e piccini. Una
storia in cui, chi ha trascorso del tempo guardando le nuvole, non può non
ritrovare anche se stesso nelle vicende del nostro protagonista.
L'autore delle musiche è Stefano Corradi, il cui percorso artistico va dalla
musica classica al jazz con un grande amore per la "musica del mondo". Questa
varietà è il frutto di intense collaborazioni con diversi gruppi multiculturali
come la StageOrchestra di Moni Ovadia, l'Orchestra di Via Padova e la Bantu
Band, collaborazioni di cui ha voluto portare testimonianza nello spettacolo di
Pierino e il bruco coinvolgendone alcuni musicisti.
Sul palcoscenico ci saranno quindi artisti di diverse provenienze, sia culturali
che geografiche. I grandi solisti jazz Tino Tracanna, Giovanni Falzone e Bebo
Ferra affiancati dal fisarmonicista rom Albert Mihai, dagli studenti del
Conservatorio fino al percussionista ivoriano Pegas Ekamba, formeranno
un'orchestra di circa 30 musicisti che accompagneranno Pierino in un viaggio
variegato ed emozionante, dove sono i piccoli gesti a costruire le singole
esistenze e salvare il mondo.
La storia è stata scritta da Laura Rossi, la cui esperienza attinge al mondo del
teatro e dei ragazzi. E' passata per il Piccolo Teatro di Milano, frequentando
l"Officina degli scrittori" e il Masterclass diretto da Luca Ronconi, per il
teatro Franco Parenti e la StageOrchestra di Moni Ovadia come assistente alla
regia. Ha condotto per diversi anni laboratori teatrali per studenti delle
scuole medie e superiori. E' autrice del libro "L'identità e la maschera", un
confronto tra le figure femminili in Ibsen e Pirandello.
I "colori" delle musiche sono anche i colori delle scenografie, realizzati da
Jacopo Ziliotto, illustratore, visualizer, autore di fumetti, creativo.
Apertura porte h. 15,30
Inizio spettacolo h.16,30
Biglietto: 15,00 euro intero; 10,00 euro ridotto per ragazzi fino a 16 anni.
Prevendite, dal 12/2/2013 on-line su:
VivaTicket
CONSERVATORIO DI MILANO-SALA VERDI: Via Conservatorio, 12 Milano
Per Informazioni e prenotazioni:
lun-ven h 13,00 14,00 / sabato 10,00-13,00 - tel 3343149628
E-mail : info@lagrandejatte.it
www.pierinoeilbruco.it
www.soleterre.org/it/
Di Fabrizio (del 25/02/2013 @ 09:03:03, in sport, visitato 2081 volte)
immagine da gazzetta.it
Qualche giorno fa, leggevo su un sito che più serio ed affidabile non si
potrebbe (Agenzia Parlamentare del 21 febbraio), questo titolo:
TORINO: RICCA-SCIRETTI (LNP), UNICO MODO PER SUPERARE I CAMPI ROM E' FARLI
SPARIRE
Il contesto è dato da un
intervento del sindaco di Torino, volto a rilanciare la strategia
cittadina su Rom e Sinti. Intervento che, a parte i plausi per il coraggio
dimostrato a parlarne nel pieno della campagna elettorale, ha
(ovviamente) anche risvegliato le voci di chi è contrario: da una sommaria
lettura di altri siti web mi pare che i punti più criticati sono i ritardi
rispetto agli impegni già presi tempo fa, oltre alla solita domanda "Con quali
soldi??"
Dibattiti simili stanno fiorendo un po' in tutte le città, e anche le
modalità si somigliano. Dell'opinione del capogruppo leghista, mi interessa la
parte finale: FARLI SPARIRE. Mi chiedevo (linguaggio a
parte) in cosa si differenziassero le sue parole dall'altro mantra che
viene ripetuto dall'opposto schieramento: IL SUPERAMENTO DEI CAMPI.
I campi (parlo per esperienza personale) so come sono fatti: un insieme
di strutture dall'aria provvisoria ma che spesso durano decenni, abitati da gente
abbastanza strana. Li si SUPERA, come si supera un semaforo, un'indicazione
stradale ecc. andando oltre, oppure li si supera perché li si ignora. Come
qualsiasi cosa materiale, farli SPARIRE è impossibile: puoi usare la ruspa ma il
campo, beffardo, si ricrea qualche centinaio di metri più in là.
Così, magari per puro divertimento, entro in una storia trattata già tante
volte e da diversi punti di vista.
- La questione dei Rom e' un problema complesso da
governare... dice il sindaco torinese.
- Il tema dei rom è molto complesso e va affrontato nella
maniera opposta... risponde l'opposizione.
Consolante, direi. Altro tema che accomuna i due interventi è l'inciviltà
che regna in questi campi, che secondo l'esponente leghista è dovuta ai Rom
stessi, che non vogliono (lo si intuisce dal pensierino finale) andare a
lavorare, accendere un mutuo o pagare un affitto. Inciviltà che c'è
anche per il sindaco, ma non
si capisce di chi sia la colpa (dei Rom, del comune, della società malvagia?).
Come lettore, sono già disorientato da questo politichese, mi sembra di
nuotare nella marmellata. Per il momento:
PIERO FASSINO: 0 - FABRIZIO RICCA: 1
Sulla complessità, in effetti, l'opposizione tenta di fare pressing su
tempo
e soldi già passati. Ma, chiede il solito lettore, voi opposizione cos'avete
fatto? E qua, ci sta un clamoroso autogol, perché disorientato dal termine, il
capogruppo e la sua squadra rilanciano vecchie parole d'ordine che con la parola
complessità fanno a cazzotti: far scomparire tutti i campi nomadi, rimpatriare
gli zingari tramite i centri di identificazione ed espulsione e trasformare gli
spazi attualmente occupati abusivamente in aree di transito, da usare come sosta
temporanea previo pagamento dell'occupazione del suolo pubblico.
PIERO FASSINO: 1 - FABRIZIO RICCA: 1
Può sembrarvi generoso il punto a Fassino (che di suo ci ha messo poco), ma
parliamo di complessità e di saper governare (non di noccioline del
Piemonte!):
- quanti "zingari" finirebbero nei CIE? Per quanto tempo?
Rimpatriati quando?
- domanda ingenua: i CIE funzionano? A cosa servono?
- campi sosta a pagamento? Chi mi da la garanzia che i
sostanti possano pagare? Se non hanno soldi e continuano a
vagare, cosa cambia rispetto a oggi?
Lasciamo perdere (ahi che guaio la complessità!) che ci sono
"zingari" italiani, stranieri comunitari, stranieri extracomunitari. Lasciamo
anche perdere che i CIE altro non sono che posti dove i diritti sono meno
rispettati che nelle prigioni (non sto facendo il solito estremista, sto
leggendo
Wikipedia). La domanda, piatta-piatta, è: sinora i CIE hanno
influito sull'afflusso di migranti irregolari (o di migranti che hanno perso
i titoli legali di restare in Italia), oppure questi arrivi sono
proseguiti (aumentati addirittura)?
Il più grande deterrente all'arrivo di migranti (regolari o meno), non sono i
CIE, non sono neanche i nipotini di Borghezio. Gli arrivi in Italia stanno
diminuendo, per il solo motivo che qua non ci sono più soldi, e visto che i migranti (tra
cui i Rom) non sono stupidi, se possono cercano altre mete. Quanti tra loro
continuano il gioco eterno di rimpatrio-ritorno, sono quelli che sono stati
espulsi nonostante avessero qua una famiglia, un lavoro, qualsiasi interesse,
che fosse o meno riconosciuto dalla legge. Insomma, sto dicendo, finché non
risolveremo il problema NOSTRO della crisi, è fuorviante prendersela con i Rom.
A meno che, non si voglia iniziare da loro per prendersela in futuro con gli
altri stranieri (FALLO DA AMMONIZIONE).
Il fallo da ammonizione suscita (al solito) vivaci contestazioni dalla
panchina. Volendo (anche se non capisco come) si potrebbe rimpatriare TUTTI GLI
ZINGARI, italiani o meno, in India da dove sono arrivati qualche vagonata di
secoli fa. Ricca, ad esempio, è un cognome diffuso nell'imperiese ma che è
originario della Sicilia, non è che in caso di secessione nordista (sempre
di fantapolitica si parla), sarebbe rimpatriato anche il capogruppo leghista?
PER DIRLA CHIARA: se volevate chiudere le frontiere (o crearne di nuove), ne avete avuto tutto il
tempo. Non ne siete stati capaci (meglio così, ma resti tra noi...)?
Come succede in qualsiasi paese civile (e anche in quelli incivili), fatevene
una ragione. E date tempo e risorse a chi è arrivato qui QUANDO ERAVATE ANCHE
VOI AL GOVERNO, per sistemarsi e organizzarsi, perché adesso il problema è
questo e l'avete creato voi.
A parte ciò, sinora FAR SPARIRE un campo ha significato solo spostarlo di
poco, un po' come nascondere la polvere sotto il tappeto. I rimpatri, sono un
gioco simile, soltanto giocato su grande scala: i Rom vengono "deportati" in
paesi che non li vogliono, e che faranno di tutto a spingerli ad emigrare
nuovamente, Un eterno ping-pong. Sono quegli stessi paesi dove da un lato
investiamo per ridurre i costi della manodopera nostrana (ahi la crisi!), e dove
rimandiamo gente disinteressandoci di cosa succede loro dopo. E così, ritornano.
Dimenticavo, a proposito dell'autogol di prima: il capogruppo Lega Nord provi
a spiegare cosa deve fare un Rom per andare a lavorare, accendere un mutuo o
pagare un affitto, visto che, anche se fosse italiano, gli viene risposto
PRIMA NOI.
FINE PRIMO TEMPO
SUPERAMENTO: sentite com'è un termine più civile ed elegante? Fassino e tutta
la sua squadra giocano sicuramente un calcio più signorile, ma "semanticamente"
mi sfugge la differenza. E' un difetto molto italiano: ad un certo punto
qualcuno scopre una parola fortunata, che altri riempiono di una serie di
concetti tutti da dimostrare e valutare, dimenticando vincoli molto pratici come soldi e
tempi... e talvolta persino l'avversario!
Si è partiti il giugno scorso con
il piano del ministro Riccardi. Da allora, e non solo a Torino, ho letto un
susseguirsi di buone intenzioni, con pochissimi fatti. Perché, se la politica
del "chiudere e mandare via" ha i suoi costi (nonostante le semplificazioni
leghiste), che vengono ripagati solo in chiave ideologica (avremo
comunque nuovi arrivi e ritorni: l'inefficacia del risultato crea nuovi bersagli),
anche per superare i campi occorrono fondi e investimenti. Che, guarda caso, non
si trovano, sono bloccati, qualcuno li ha usati per altro... C'è addirittura chi
non si è posto il problema!
Il discorso, se ascoltiamo anche la controparte che si oppone, è: LI VOGLIAMO
O NO? Perché se non li vogliamo questi "zingari", allora a cosa serve investire
in casa, lavoro, sanità ecc? Magari salterà fuori qualche spicciolo che farà
gola a qualcuno, e si inizierà timidamente a fare qualcosa, per bloccarsi alla
prima difficoltà. E, se non li vogliamo, cosa ne facciamo? ATTENTI, se non
sappiamo che farne di questi zingaracci, c'è l'altra squadra pronta a segnare
in contropiede.
Il secondo ragionamento è: chi è il soggetto che attua il SUPERAMENTO? Per
essere chiari: chi gioca nella formazione di capitan Fassino? Al momento, posso solo
intuirlo: mediatori culturali (mi sa che sono i soliti),
associazionismo dal bel nome (mi sa che sono i soliti), imprese e
cooperative che qualche lavoretto - anche in tempo di crisi - lo chiedono (mi
sa... ops, l'ho già detto). Schierata sul campo di gioco, vedo la stessa
formazione che sino a qualche anno fa sui campi ci ha marciato alla grande (grandi
insuccessi, intendo). Come
sempre in panchina Rom e Sinti.
No, non parlo di qualche Rom e Sinto autoproclamatosi rappresentante di tutta la
galassia, parlo di quella massa che in quelle COSE SCHIFOSE CHE VORREMMO (forse)
SUPERARE ci vive, che lo
voglia oppure no. Vedete, se superiamo i campi con le stesse precondizioni con
cui li abbiamo ideati, cioè limitandoci a sentire gli autoproclamati ESPERTI e
consorterie,
non saremo (ancora!) in grado di superare la marginalità creata da
questi campi. Perché chi ci vive o chi lo lascia, viene trattato come un bravo
giocatore, anche indispensabile, ma da tenere in panchina.
Inoltre i campi, che piacciano o no, ci sono ancora. Ma il messaggio
che le tutte le amministrazioni (destra e sinistra) si sono trasmesse
sottotraccia è che non ci sono più i soldi per il loro mantenimento (manutenzione
elettrica e idraulica, sgombero delle fogne, supporto sanitario e scolastico),
Così il paradosso è che mentre si parla (si parla, ricordatelo: non che nei
fatti sia cambiato nulla) del loro superamento, anche il campo, anche
quello regolare, diventa sempre più invivibile, difficile e oneroso da gestire.
Chi vi abita, che sino a qualche anno fa aveva speranza e capacità per alzarsi
dalla panchina, in questa situazione ha sempre più problemi, URGENTI QUOTIDIANI
BASILARI, e di giocare non ci pensa, perché TUTTO GLI SEMBRA
LONTANO E ASTRATTO.
UNA PARTITA GIOCATA SENZA DI LUI. Qui termina la telecronaca.
1-1, secondo me. Se avessi dimenticato qualche
bel
momento di gioco, fatemelo sapere. GRAZIE, PER IL MOMENTO E' TUTTO DAL VOSTRO
SANDRO CIOTTI.
Di Fabrizio (del 26/02/2013 @ 09:00:40, in scuola, visitato 1737 volte)
Disegnatore di moda aiuta il progetto
Romsky' Mentor
Prague, 9.2.2013 20:32, (ROMEA)
Jana Baudyshovà, translated by Gwendolyn Albert
2013: Il progetto Romsky' Mentor si svolge nel centro comunitario di Pràdelna
a Praga 5 per il secondo anno di fila
Il centro comunitario di Pràdelna in via Holechkova a Praga 5 sta ospitando il
Romsky'
Mentor per il secondo anno di fila. Il processo d'integrazione porta lo stesso
nome ed ancora una volta ha la collaborazione di successo del disegnatore di
moda Pavel Berky.
Si gela, ma la "casetta", come i bambini chiamano il centro, è pieno di
giovani voci. Poco prima delle 15.00 Pavel arriva col "suo" gruppo. Lo schermo
cinematografico nella piacevole penombra dell'attico, è riempito da sfumature
colorate anni '60: vestiti a fiori, capelli lunghi, pantaloni a zampa
d'elefante, segni della pace e il sorriso di Janis Joplin.
"Wow!" mi dico, guardando un gruppo di adolescenti che ascoltano attentamente le
storie dei loro nonni quando erano giovani. Non hanno paura di fare domande se
qualcosa li interessa e così il flusso della conversazione rotola su droga,
guerre, religione, amore libero, ed anche il lato scuro dello stile di vita
hippy.
Poi, la moda diventa la star dello show, ed inizia un vortice di misurare,
accorciare, cucire, selezionare i tessuti e intrecciare nastri nei capelli.
Quasi dimentico che sono lì col compito di scrivere sul progetto Romsky'
Mentor.
Raggiungere una cosa e capirne un'altra
Il progetto internazionale si svolge contemporaneamente con successo in
Bulgaria, Ungheria, Macedonia e Slovacchia. E' stato portato in Repubblica Ceca
dall'Open Society Foundations (OSF) e sin dal 2011 viene sviluppato da ROMEA.
"Lo scopo principale è contribuire verso l'integrazione dei bambini
svantaggiati, attuando attività ricreative nel campo delle arti e della cultura
nelle scuole," dice la coordinatrice Iva Hlavàchkovà.
Uno dei punti di contatto tra il progetto e il mondo esterno è un artista romanì
di successo: un professionista che regolarmente si incontra con un gruppo di
bambini e, assieme ad un pedagogo, ha preparato un programma per loro, in base
alla sua attenzione professionale. Come parte del programma, i bambini quindi
familiarizzano con un'attività specifica e coi suoi contesti più ampi, ma
soprattutto creano e inventano loro stessi.
Oltre a sviluppare competenze, però, i bambini imparano a lavorare in gruppo e
ottenere competenze sociali. Il modello positivo incarnato da una figura romanì
di successo, li motiv a sviluppare le loro idee sul futuro e di sforzarsi in un
percorso di carriera di successo.
Il progetto è aperto a tutti i bambini e, last but not least,
contribuisce ai bambini romanì o no ad imparare la cultura altrui. Il progetto
fa crescere la tolleranza e facilita l'integrazione scolastica.
Rivive la moda di tutto il secolo scorso
L'anno scorso il progetto Romsky'
Mentor si è focalizzato sullo spirito tradizionale del vestire romanì,
l'estetica dei suoi colori, il tipo di materiali adoperati, storia romanì,
cultura e moda indiana. Quest'anno Pavel, assieme al suo collega mentore,
l'insegnante Lenka Jiroudkovà, ha deciso di dedicare la sessione ad un viaggio
attraverso la storia della moda nel XX secolo.
Nell'accogliente attico della "casetta", grazie agli sforzi comuni, vediamo una
serie di fotografie di eleganti ragazze in attillati cappotti scuri, ombrelli
che ruotano dietro le schiene, come si fosse appena usciti dagli anni '40 o '50.
Vediamo punk hard-core con creste, hip-hopper con i pantaloni cascanti e dark
lady gotiche con cappotti che arrivano sino a terra, più neri del nero.
Col passare del pomeriggio, il centro comunitario si muta in una versione da
camera di Woodstock. Prevale tra i presenti un'atmosfera confortevole e
amichevole, mentre ci si diverte creando, godendo l'amicizia, condividendo
obiettivi comuni. Non ho dubitato per un momento - dopo tutto, di essere tra i
figli dei fiori.
Potete trovare qualcosa di più sul progetto Romsky'
Mentor sul sito di
ROMEA o su Facebook. IL progetto è totalmente finanziato da Open Society Foundation,
come parte del Programma Arti e Cultura di Budapest, e d anche parte del
Decennio Inclusione dei Rom.
Nella foto: foto e oggetti di Rita Prigmore
CORRIERE IMMIGRAZIONE Nel racconto di Alessandra Ballerini, la testimonianza di Rita Prigmore,
sinta sopravvissuta all'olocausto - 24 febbraio 2013
Sono a Palazzo Ducale. In ritardo, come sempre. La sala è già piena. Di ogni
tipo di persone. L'immancabile Genova "bene", rappresentanti attuali e passati
delle istituzioni, ma anche studenti o comunque giovani. Un'età media
incredibilmente bassa per essere a Genova. Anche molti stranieri in sala: per lo
più sudamericani e africani. E poi ci sono loro: "gli zingari". In realtà li
distingui solo dopo un po'. E solo se già li conosci. Sono tutti raccolti a
vedere ed ascoltare Rita Prigmore, una delle ultime donne "zingare"
sopravvissute all'Olocausto - e alle sperimentazioni mediche dei nazisti sui
bambini, invitata dalla Comunità di Sant'Egidio.
Sono in ritardo, ma in tempo per ascoltare Andrea Chiappori mentre spiega alla
platea che il genocidio inizia sempre con teorie e pregiudizi ed uccide le
persone non per quello che fanno ma per quello che sono. Queste parole mi
suonano familiari. Sono le stesse utilizzate da noi giuristi per eccepire
l'incostituzionalità delle norme sull'immigrazione che puniscono come reato la
clandestinità e infliggono la pena della prigionia nei Cie per 18 mesi per gli
stranieri irregolari, colpevoli, appunto, di essere (stranieri) e non di fare.
Rita parla, ferma e appassionata. Ricorda le leggi razziali tedesche che per
debellare la "personalità antisociale" dei rom, si inventano il sistema crudele
e insulso della prevenzione delle malattie ereditarie tramite la loro
sterilizzazione e gli esperimenti sui neonati, in particolare sui gemelli. La
neonata Rita viene strappata dal ventre materno insieme alla gemella che perirà
dopo poche settimane di "esperimenti". Rita subirà interventi alla testa e agli
occhi per tutto il suo primo anno di vita da parte degli "scienziati della
razza", convinti di poter creare una specie eletta e monotona con occhi azzurri
e capelli biondi. Rita non si compiace, come a volte fanno le vittime, della sua
sofferenza. Racconta con dolorosa memoria la storia della sua famiglia e della
sua "gente" perché vuole lasciare un messaggio: "voi che potete costruire il
vostro paese, guardate gli altri senza pregiudizio, riconoscete in loro sempre
un essere umano. Ogni essere umano è l'immagine di Dio, per questo nessuno può
condannare un'altra persona".
E detto da lei, che di condannare i suoi aguzzini ne avrebbe ben donde, questo
monito fa una certa impressione. Le persecuzioni razziali sono state sempre
avallate da leggi la cui emanazione è stata (ed è) possibile perché è stato
creato ad arte il consenso sociale. "Ma se ancora oggi è possibile considerare
intere categorie di esseri umani come non persone allora la storia non è
salvifica. Basta guardare la rabbia, il disprezzo e la paura che ancora ci
appartengono e stanno dentro la nostra cultura".
Lo so. Č una frase di un pessimismo estremo. Non è mia ma di Luca Borzani,
presidente della fondazione Palazzo Ducale. E l'autorità dell'autore la rende
ancora più indigesta. "La storia non salva se non porta ad una responsabilità
individuale" ed infatti, in questa platea così "mista", quando ci scambiamo gli
sguardi durante il racconto di Rita, vergogna è il sentimento che ci unisce.
Vorremmo salire sul palco e chiederle scusa. Perché da esseri umani ci si
vergogna del male che siamo in grado generare.
Anche Ariel Dello Strologo (Presidente del Centro Culturale Primo Levi) ritiene
che non bastino la storia né la cultura per non ricompiere gli errori del
passato. Oltre alla storia e alla cultura servirebbe una costante e cosciente
responsabilità individuale e collettiva per ogni nostra scelta, anche la più
banale e quotidiana. E lo dice fiero nel ricordo di quella prima volta in cui si
celebrò il 27 gennaio a Genova dodici anni fa e lo si fece ricordando lo
sterminio dei rom e sinti.
Chiude l'incontro Pino Petruzzelli che i rom li conosce, li narra e li ama e che
in poche ma precise parole ricorda le nefandezze compiute dagli scienziati e dai
medici nazisti. Nel 1936 in Germania, nel centro per l'igiene e la razza, nasce
la teoria della "pericolosità degli zingari" causata dal "gene dell'istinto al
nomadismo". Nel 1935 iniziavano le ricerche per rendere potabile l'acqua del
mare ed il capo della polizia criminale decide di utilizzare come cavie i rom
(chiamati ariani decaduti) geneticamente più simili ai tedeschi, sottoponendoli
a dementi esperimenti di inutile crudeltà. Al processo di Norimberga i medici
mentono e si giustificano esaltando i risultati (inesistenti) degli esperimenti.
Alcuni di questi medici, nonostante si siano macchiati di tali imperdonabili
crimini, hanno continuato a svolgere la loro attività, sono stati promossi e
agevolati nella carriera universitaria. E a me viene in mente il medico e
l'infermiera condannati per le torture di Bolzaneto durante il G8 del luglio
2001, che ancora esercitano indisturbati la professione in strutture pubbliche.
E poi penso alle parole. Alla loro manomissione (come direbbe Carofiglio). Lo
sterminio, il genocidio vengono artatamente trasformati, nella propaganda
razzista, in ricerche per migliorare la "razza". Gli "zingari" seppure cittadini
tedeschi (o italiani) vengono rappresentati come un problema sociale. Ieri come
oggi. Penso ai continui ed odierni sgomberi dei campi rom, ai fogli di via
notificati a cittadini comunitari privi di stabile reddito e perciò considerati
automaticamente minacciosi per l'ordine pubblico.
Concetti insidiosi come "personalità antisociale" o "predisposizione a
commettere reati" sono utilizzati da sempre, senza alcun criterio, per
discriminare intere fasce di popolazione. Oggi, a chi chiede la cittadinanza
italiana dopo decenni di regolare residenza nel nostro Paese, viene eccepita la
"contiguità a movimenti aventi scopi incompatibili con la sicurezza dello
stato". Formula ambigua e discriminante visto che viene utilizzata per negare la
cittadinanza a persone immuni da qualsiasi problema penale ma "colpevoli" di non
essere di religione cattolica.
Oggi si deportano in Libia o si respingono in alto mare naufraghi richiedenti
asilo. Si sono chiusi i lager e si sono aperti i Cie. Si vota in Parlamento, in
nome della sicurezza, una norma di legge (poi fortunatamente dichiarata
incostituzionale) che sancisce il divieto di matrimonio per gli stranieri
irregolari (i non ariani dei giorni nostri) ed un'altra (poi mitigata da una
circolare) che impedisce agli irregolari di ottenere atti dello stato civile
(compresi certificati di morte e di nascita) con la conseguenza sciagurata per i
genitori irregolari di non poter riconoscere i propri figli e dunque di
rischiare di vederli dati in adozione a famiglie italiane.
La portata evidentemente nefasta ed abnorme di questa norma, votata dal nostro
Parlamento all'interno del cosiddetto "pacchetto sicurezza" (a proposito di
mistificazione delle parole!) nell'agosto del 2009, è stata successivamente
contenuta grazie ad una circolare ministeriale emessa in risposta alle proteste
di giuristi, assistenti sociali e della società civile cosciente e informata.
Altre norme, come il divieto di accesso alle cure mediche e all'istruzione
scolastica per gli stranieri irregolari, seppure già scritte, non hanno
fortunatamente visto la luce solo in seguito all'accesa protesta di medici e
insegnanti.
Penso al susseguirsi negli ultimi anni di insensati decreti governativi per
fronteggiare un'inesistente "emergenza nomadi" (parliamo in realtà in tutta
Italia attualmente di circa 60 mila persone, per metà cittadini italiani ed in
massima parte minori) come fosse una "calamità naturale", legittimando sgomberi
ed espulsioni.
Forse ha ragione Borzani: la storia non ci salva. Ma le storie e i testimoni
narranti possono comunque aiutarci a comprendere, ricordare e scegliere.
"L'importante è un'altra cosa - diceva Basaglia -, è sapere ciò che si può fare.
Č quello che ho già detto mille volte: noi, nella nostra debolezza, in questa
minoranza che siamo, non possiamo vincere. Č il potere che vince sempre; noi
possiamo al massimo convincere. Nel momento in cui convinciamo, noi vinciamo,
cioè determiniamo una situazione di trasformazione difficile da recuperare".
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