Nella foto: foto e oggetti di Rita Prigmore
CORRIERE IMMIGRAZIONE Nel racconto di Alessandra Ballerini, la testimonianza di Rita Prigmore,
sinta sopravvissuta all'olocausto - 24 febbraio 2013
Sono a Palazzo Ducale. In ritardo, come sempre. La sala è già piena. Di ogni
tipo di persone. L'immancabile Genova "bene", rappresentanti attuali e passati
delle istituzioni, ma anche studenti o comunque giovani. Un'età media
incredibilmente bassa per essere a Genova. Anche molti stranieri in sala: per lo
più sudamericani e africani. E poi ci sono loro: "gli zingari". In realtà li
distingui solo dopo un po'. E solo se già li conosci. Sono tutti raccolti a
vedere ed ascoltare Rita Prigmore, una delle ultime donne "zingare"
sopravvissute all'Olocausto - e alle sperimentazioni mediche dei nazisti sui
bambini, invitata dalla Comunità di Sant'Egidio.
Sono in ritardo, ma in tempo per ascoltare Andrea Chiappori mentre spiega alla
platea che il genocidio inizia sempre con teorie e pregiudizi ed uccide le
persone non per quello che fanno ma per quello che sono. Queste parole mi
suonano familiari. Sono le stesse utilizzate da noi giuristi per eccepire
l'incostituzionalità delle norme sull'immigrazione che puniscono come reato la
clandestinità e infliggono la pena della prigionia nei Cie per 18 mesi per gli
stranieri irregolari, colpevoli, appunto, di essere (stranieri) e non di fare.
Rita parla, ferma e appassionata. Ricorda le leggi razziali tedesche che per
debellare la "personalità antisociale" dei rom, si inventano il sistema crudele
e insulso della prevenzione delle malattie ereditarie tramite la loro
sterilizzazione e gli esperimenti sui neonati, in particolare sui gemelli. La
neonata Rita viene strappata dal ventre materno insieme alla gemella che perirà
dopo poche settimane di "esperimenti". Rita subirà interventi alla testa e agli
occhi per tutto il suo primo anno di vita da parte degli "scienziati della
razza", convinti di poter creare una specie eletta e monotona con occhi azzurri
e capelli biondi. Rita non si compiace, come a volte fanno le vittime, della sua
sofferenza. Racconta con dolorosa memoria la storia della sua famiglia e della
sua "gente" perché vuole lasciare un messaggio: "voi che potete costruire il
vostro paese, guardate gli altri senza pregiudizio, riconoscete in loro sempre
un essere umano. Ogni essere umano è l'immagine di Dio, per questo nessuno può
condannare un'altra persona".
E detto da lei, che di condannare i suoi aguzzini ne avrebbe ben donde, questo
monito fa una certa impressione. Le persecuzioni razziali sono state sempre
avallate da leggi la cui emanazione è stata (ed è) possibile perché è stato
creato ad arte il consenso sociale. "Ma se ancora oggi è possibile considerare
intere categorie di esseri umani come non persone allora la storia non è
salvifica. Basta guardare la rabbia, il disprezzo e la paura che ancora ci
appartengono e stanno dentro la nostra cultura".
Lo so. È una frase di un pessimismo estremo. Non è mia ma di Luca Borzani,
presidente della fondazione Palazzo Ducale. E l'autorità dell'autore la rende
ancora più indigesta. "La storia non salva se non porta ad una responsabilità
individuale" ed infatti, in questa platea così "mista", quando ci scambiamo gli
sguardi durante il racconto di Rita, vergogna è il sentimento che ci unisce.
Vorremmo salire sul palco e chiederle scusa. Perché da esseri umani ci si
vergogna del male che siamo in grado generare.
Anche Ariel Dello Strologo (Presidente del Centro Culturale Primo Levi) ritiene
che non bastino la storia né la cultura per non ricompiere gli errori del
passato. Oltre alla storia e alla cultura servirebbe una costante e cosciente
responsabilità individuale e collettiva per ogni nostra scelta, anche la più
banale e quotidiana. E lo dice fiero nel ricordo di quella prima volta in cui si
celebrò il 27 gennaio a Genova dodici anni fa e lo si fece ricordando lo
sterminio dei rom e sinti.
Chiude l'incontro Pino Petruzzelli che i rom li conosce, li narra e li ama e che
in poche ma precise parole ricorda le nefandezze compiute dagli scienziati e dai
medici nazisti. Nel 1936 in Germania, nel centro per l'igiene e la razza, nasce
la teoria della "pericolosità degli zingari" causata dal "gene dell'istinto al
nomadismo". Nel 1935 iniziavano le ricerche per rendere potabile l'acqua del
mare ed il capo della polizia criminale decide di utilizzare come cavie i rom
(chiamati ariani decaduti) geneticamente più simili ai tedeschi, sottoponendoli
a dementi esperimenti di inutile crudeltà. Al processo di Norimberga i medici
mentono e si giustificano esaltando i risultati (inesistenti) degli esperimenti.
Alcuni di questi medici, nonostante si siano macchiati di tali imperdonabili
crimini, hanno continuato a svolgere la loro attività, sono stati promossi e
agevolati nella carriera universitaria. E a me viene in mente il medico e
l'infermiera condannati per le torture di Bolzaneto durante il G8 del luglio
2001, che ancora esercitano indisturbati la professione in strutture pubbliche.
E poi penso alle parole. Alla loro manomissione (come direbbe Carofiglio). Lo
sterminio, il genocidio vengono artatamente trasformati, nella propaganda
razzista, in ricerche per migliorare la "razza". Gli "zingari" seppure cittadini
tedeschi (o italiani) vengono rappresentati come un problema sociale. Ieri come
oggi. Penso ai continui ed odierni sgomberi dei campi rom, ai fogli di via
notificati a cittadini comunitari privi di stabile reddito e perciò considerati
automaticamente minacciosi per l'ordine pubblico.
Concetti insidiosi come "personalità antisociale" o "predisposizione a
commettere reati" sono utilizzati da sempre, senza alcun criterio, per
discriminare intere fasce di popolazione. Oggi, a chi chiede la cittadinanza
italiana dopo decenni di regolare residenza nel nostro Paese, viene eccepita la
"contiguità a movimenti aventi scopi incompatibili con la sicurezza dello
stato". Formula ambigua e discriminante visto che viene utilizzata per negare la
cittadinanza a persone immuni da qualsiasi problema penale ma "colpevoli" di non
essere di religione cattolica.
Oggi si deportano in Libia o si respingono in alto mare naufraghi richiedenti
asilo. Si sono chiusi i lager e si sono aperti i Cie. Si vota in Parlamento, in
nome della sicurezza, una norma di legge (poi fortunatamente dichiarata
incostituzionale) che sancisce il divieto di matrimonio per gli stranieri
irregolari (i non ariani dei giorni nostri) ed un'altra (poi mitigata da una
circolare) che impedisce agli irregolari di ottenere atti dello stato civile
(compresi certificati di morte e di nascita) con la conseguenza sciagurata per i
genitori irregolari di non poter riconoscere i propri figli e dunque di
rischiare di vederli dati in adozione a famiglie italiane.
La portata evidentemente nefasta ed abnorme di questa norma, votata dal nostro
Parlamento all'interno del cosiddetto "pacchetto sicurezza" (a proposito di
mistificazione delle parole!) nell'agosto del 2009, è stata successivamente
contenuta grazie ad una circolare ministeriale emessa in risposta alle proteste
di giuristi, assistenti sociali e della società civile cosciente e informata.
Altre norme, come il divieto di accesso alle cure mediche e all'istruzione
scolastica per gli stranieri irregolari, seppure già scritte, non hanno
fortunatamente visto la luce solo in seguito all'accesa protesta di medici e
insegnanti.
Penso al susseguirsi negli ultimi anni di insensati decreti governativi per
fronteggiare un'inesistente "emergenza nomadi" (parliamo in realtà in tutta
Italia attualmente di circa 60 mila persone, per metà cittadini italiani ed in
massima parte minori) come fosse una "calamità naturale", legittimando sgomberi
ed espulsioni.
Forse ha ragione Borzani: la storia non ci salva. Ma le storie e i testimoni
narranti possono comunque aiutarci a comprendere, ricordare e scegliere.
"L'importante è un'altra cosa - diceva Basaglia -, è sapere ciò che si può fare.
È quello che ho già detto mille volte: noi, nella nostra debolezza, in questa
minoranza che siamo, non possiamo vincere. È il potere che vince sempre; noi
possiamo al massimo convincere. Nel momento in cui convinciamo, noi vinciamo,
cioè determiniamo una situazione di trasformazione difficile da recuperare".