L'essere straniero per me non è altro che una via diretta al concetto di identità. In altre parole, l'identità non è qualcosa che già possiedi, devi invece passare attraverso le cose per ottenerla. Le cose devono farsi dubbie prima di potersi consolidare in maniera diversa.
Prague, 23.11.2012 20:46, Per avere successo studentessa rom
deve lasciare le scuole ceche
Il portale di notizie Novinky.cz
ha pubblicato (in lingua ceca, tradotto in inglese da Gwendolyn Albert ndr.))
la seguente intervista con Magdaléna Karvayová, una donna rom che ha frequentato
le superiori, nonostante la perdurante discriminazione a causa del colore
della sua pelle. Sin da giovane si è trovata di fronte odio, non ha mai avuto
molti amici a scuola ed era disprezzata dagli insegnanti, anche se i voti che
prendeva dimostravano che era un'alunna di talento. Si è iscritta ad una scuola
superiore internazionale per sfuggire da quell'ambiente sgradevole, ed anche là
ha ottenuto successo. Per lungo tempo nessuno ha creduto che potesse farcela, ma
alla fine è riuscita a segnare un percorso praticabile per i suoi fratelli più
piccoli.
Cosa faceva tuo padre per vivere?
Si guadagnava da vivere come indovino. Aveva una laurea, che dopo la
rivoluzione non è stata riconosciuta. Mia madre faceva le pulizie.
Sei cresciuta in una vasta comunità rom?
Allora a Jince u Příbrami c'erano solo tre famiglie rom, ma avevamo sempre
dei parenti in visita, quindi di volta in volta mi trovavo in una specie di
comunità rom.
Incontravate intolleranza e pregiudizi?
All'inizio. Ho avuto dei conflitti con dei bambini che avevano qualche anno
più di me, e non solo a scuola. Ad esempio, una volta era andata in negozio ed
un ragazzo che era in agguato mi ha afferrato la gola. Era è più tranquillo,
perché tutti ci conosciamo.
Quanto, i tuoi genitori ti hanno motivato a studiare?
Mi hanno appoggiato, ma la motivazione veniva soprattutto da me stessa. Avevo
due fratelli e sorelle più piccoli e dovevo prendermi cura di loro, ma quando
uscivo dicevo loro che dovevo studiare.
Com'era a scuola?
Una catastrofe. In tutta la scuola eravamo soltanto due studentesse rom. Non
avevo amiche e le mie compagne mi perseguitavano. Se solo camminavo nel
corridoio, i ragazzi mi spintonavano dicendo "Fuori di qui grassa zingara!". Mi
avrebbero spinto la testa nella tazza del gabinetto. Se mi lamentavo con
l'insegnante, lei mi accarezzava il viso rispondedomi "Facendo così, ti
succederà di nuovo". Così mio padre veniva a scuola tutti i giorni per
lamesso.entarsi, ma il direttore si limitava ad annuire ed il giorno seguente
era lo stesso.
Com'erano i tuoi voti?
Non ho mai preso meno del massimo dei voti. Facevo del mio meglio per
combattere, per mostrare loro - posso studiare anche meglio di voi, allora
perché mi trattate così? Poi è scattata una reazione e ho iniziato io stessa a
diventare una persona aggressiva, cosa che non piaceva a me né alla mia
famiglia. Decidemmo che avrei studiato alla Scuola Superiore Internazionale (Mezinárodní gymnázium),
dove c'erano sol studenti stranieri. L'ambiente multiculturale mi attraeva. Ci
sono andata a 12 anni.
Il tuo ambiente come ha reagito quando ti hanno accettata?
Gli insegnanti delle elementari mi hanno detto che non dovevo nemmeno
provarci, nessuno di loro credeva in me. Quando ho ottenuto un premio come
miglior studentessa del mese, mio padre l'ha portato alla scuola elementare per
mostrarlo. Dopo, anche i miei fratelli minori sono andati alle stesse mie
elementari, Anche loro hanno incontrato problemi, ma mai quanto me.
Com'era alle superiori?
Esattamente all'opposto. Il personale mi ha baciato e abbracciato per tutti i
miei sei anni di scuola. Il mio inglese non era del livello richiesto lì, ma gli
insegnanti mi aiutavano. Mi sono integrata in pochi mesi. Non c'era nessuna
ragione perché gli stranieri mi discriminassero, al contrario: ero qualcosa di
speciale per loro. Gli altri studenti venivano da tutto il mondo, ma io ero la
prima romanì.
Perché hai deciso per l'Anglo-American College?
Quando volevo iscrivermi alla Charles University, la prima domanda che mi
hanno fatto, guardando la mia carta d'identità, è stata: "Tu non sei Ceca,
vero?" Quell'approccio mi ha spento, avevo paura di ritrovarmi quella roba
daccapo. Dato che l'istruzione individualizzata funzione anche meglio per me, ho
scelto di frequentare l'Anglo-American.
Come fai fronte alla retta, che è piuttosto alta?
Lì c'è una borsa di studio per gli studenti rom - copre il 100% della retta
se si mantiene una certa media di valutazione. Così finora non ho pagato nessuna
tassa scolastica.
Perché stai studiando diritto comparato?
Dopo le esperienze che ho passato, ho deciso di aiutare gli altri, perché
sono sicura che non è capitato solo a me. Dovevo scegliere tra diritto e
psicologia, e diritto mi è sembrato più confacente. Voglio dedicare me stessa
all'istruzione, ai diritti umani e soprattutto alla minoranza romanì.
Ostrava, 24.11.2012 20:16,
Gli insegnanti cechi affermano che la comunità romanì non è interessata
allo studioDeník.cz, translated by Gwendolyn Albert
I genitori di alcuni studenti rom di Ostrava sono recentemente scesi in strada a
manifestare davanti al Municipio Nuovo. Tra i problemi che li preoccupano, il
fatto che ai bambini romanì non siano offerte le stesse condizioni educative
degli altri bambini, che vengono discriminati ed esclusi dall'istruzione
regolare, per essere mandati in scuole e classi per soli rom. Il portale di
notizie Deník.cz ha ora pubblicato un rapporto sulle esperienze negative e
positive di quanti insegnano hai rom nella scuola pubblica. Romea.cz ne presenta
qui la traduzione.
Esperienze negative
Gli insegnanti contattai da Deník.cz e quanti lavorano nella scuola con i
bambini romanì, dicono che la situazione è un po' differente da come è stata
dipinta dai suoi critici. Dicono che i genitori rom non partecipano spesso alle
riunioni di classe e non mostrano interesse nell'istruzione dei loro figli, e
spesso, neanche lo mostrano i bambini stessi.
Il punto è che l'istruzione non è importante nella loro cultura. Un altro
problema è che i genitori di questi bambini non hanno mai completato
l'istruzione primaria, quindi per loro è difficile aiutare i loro figli con le
responsabilità scolastiche, questi è la reale situazione," dice
Šárka Honová, direttrice dell'elementare Trnkovecká a Slezská Ostrava. Molti
degli alunni sono rom.
Honová dice che un altro problema è che i bambini romanì spesso non hanno il
materiale scolastico che serve. "E' stato annullato il beneficio per le matite e
le famiglie semplicemente non hanno i soldi per comperarle, o li usano per
altro," ritiene Honová.
Barbora (36 anni) è un'insegnante con parecchi bambini romanì in classe. Dice
che non è facile interessarli nell'istruzione. "Funziona quando sono più
giovani, ma già a 13-14 anni non hanno più alcun interesse nell'istruzione. Non
ho il tempo per focalizzarmi solo su di loro, specialmente quando le famiglie
non cooperano," dice Barbora, che non vuole rivelare il suo vero nome, per paura
che dei genitori si vendichino su di lei. "I genitori di questi studenti non
sono mai venuti alle riunioni di classe.
Secondo Jolana Šmarhovyčová, un'assistente sociale, sarebbe d'aiuto contare
più mediatrici scolastiche romanì, che aiuterebbero i bambini nell'uso del
materiale scolastico e nel rapporto con le insegnanti. Anche la direttrice
Honová è dello stesso parere.
Aggiunge: "Sfortunatamente, nessuno ci da il denaro che servirebbe. Però, se i
genitori non hanno interesse nell'istruzione dei figli, neanche gli assistenti
potranno servire."
Esempi positivi
Markéta (26 anni) lavora per un'organizzazione che assiste i bambini romanì ad
Ostrava. Dalla sua esperienza ha appreso che a molti di loro piace andare a
scuola.
"Ho visitato la famiglia di un bambino di 10 anni. Durante il periodo in cui
l'ho aiutato, i suoi voti sono migliorati di molto. Occorre pazienza," dice la
giovane.
Šmarhovyčová sottolinea che spesso i bambini romanì vivono segregati dalla
società maggioritaria. Anche se ufficialmente classi e scuole per soli rom non
esistono, dice che nel pratico ci sono queste divisioni.
Chiede: "Come possono questi bambini essere sufficientemente motivati, quando
mancano di esempi positivi? Quando i loro compagni di classe sono tutti nella
loro stessa situazione?"
Recentemente si è tenuta ad Ostrava una conferenza sull'istruzione per le
minoranze. Vi hanno preso parte autorità locali e organizzazioni non-profit,
oltre a genitori e dirigenti scolastici.
"Abbiamo proposto che l'ente legale incaricato delle scuole, monitori la
percentuale dei bambini romanì che le frequentano. Se la percentuale dovesse
raggiungere una data cifra, lì non si dovranno più iscrivere bambini romanì,"
dice Šmarhovyčová, aggiungendo che dev'essere aumentato anche il numero di
mediatrici scolastiche. "Penso che le parti si apriranno tra loro e che la
situazione migliorerà."
Di Sucar Drom (del 05/12/2012 @ 09:05:40, in blog, visitato 1091 volte)
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Rom abruzzese, compositore, musicista, insegnante, poeta, saggista, studioso di
linguistica e musicologia, insegnante di cultura Romanì all'Università di
Trieste, ambasciatore della cultura Romanì nel mondo... una biografia molto
ricca! Da dove nascono tutte queste tue passioni?
Dalla famiglia di origine. Ho una grande passione per le lingue ma soprattutto,
fin da piccolo, ho avuto una grande passione per la musica. Questa della musica
è una cosa che si eredita all'interno delle famiglie Rom.
Esistono varie culture e lingue Rom. Chi sono i Rom abbruzzesi?
Noi siamo la prima comunità Rom arrivata in Italia, alla fine del 1300, quindi
la nostra comunità è in Italia da molti secoli, ma la lingua Romanì non ha nulla
a che vedere né con il rumeno né con le lingue romanze, né tantomeno con il
romanesco! Č una lingua che deriva dal sanscrito e che si è arricchita nei
secoli con le lingue dei paesi che abbiamo attraversato e dei popoli con cui
siamo entrati in contatto. I Rom, suddivisi in cinque grandi gruppi e
innumerevoli comunità, provengono dall'India del nord e attraverso la Persia,
l'Armenia e l'Impero Bizantino sono arrivati in Europa. I Rom abruzzesi in
particolare sono approdati all'epoca sulle coste di quelle regioni oggi
conosciute come Abruzzo e Molise.
Fabrizio De André nel 1996 ha pubblicato Khorakhané, una canzone interamente
dedicata al popolo Rom, con una poesia finale in Romanì. Tu ne hai curata una
bellissima versione in Romanì abruzzese, ci puoi raccontare come nasce questo
progetto?
Mi è stato proposto dalla rivista anarchica e ho accettato molto volentieri,
essendo De André uno strenuo difensore della nostra cultura e soprattutto dei
diritti umani del nostro popolo, purtroppo ancora oggi vittima di una serie
infinita di discriminazioni. Khorakhané in realtà è il nome di un sottogruppo,
una comunità particolare di Rom, che pratica la religione musulmana. Io ho visto
come molto significativo il sottotitolo della canzone: "a forza di essere
vento", che sottolinea come De André avesse capito perfettamente che i Rom non
sono nomadi per cultura ma piuttosto itineranti coatti; un sottotitolo con cui
voleva, secondo me, allo stesso tempo, sottolineare lo stereotipo romantico che
avvolge da sempre il nostro mondo, sottolineare quindi il fatto che i Rom, in
realtà, non sono assolutamente conosciuti per quello che sono veramente.
Questa canzone non voleva essere soltanto un omaggio ma anche un veicolo di
conoscenza, un ponte per oltrepassare l'ostacolo del pregiudizio e far conoscere
meglio la nostra realtà culturale. Quindi, da parte mia, nel momento in cui mi è
stata offerta la possibilità di lavorare su Khorakhané grazie a questa rivista
che aveva proposto a una trentina di gruppi di nicchia di fare un omaggio a De
André, ho accettato volentieri. Dal Romanes harvado della poesia ho curato una
versione in Romanes italiano, ovviamente con una interpretazione assolutamente
originale, consona alla tradizione dei Rom italiani.
La sensibilità: dei Rom italiani
La canzone rappresenta i tratti essenziali della cultura e storia dei Rom. Č
come se in poche righe fossero condensati decine di libri. In effetti prima di
lavorare al testo della canzone De André ha voluto studiare tutto il materiale
disponibile. Pensi che abbia colto nel segno? Anche se non era un Rom trovi che
abbia parlato in maniera corretta del tuo popolo?
Assolutamente sì, perché ha capito, ripeto, che i Rom non sono nomadi per
cultura ma itineranti coatti, eterni perseguitati, costantemente discriminati.
Per questo il sottotitolo è per me così importante, perché noi siamo definiti
spesso, romanticamente: "i figli del vento" e in realtà con questo romanticismo
si sono istituzionalizzate in Italia la segregazione razziale e la
discriminazione. I campi nomadi sono una realtà orrenda del nostro mondo,
rappresentano una forma di segregazione razziale e di apartheid di casa nostra e
attraverso questa canzone De Andrè denuncia questo, fin dal titolo.
Quindi a tuo parere i Rom sono essenzialmente un popolo discriminato?
Certamente. I Rom rappresentano la minoranza etnica più diffusa in Europa e,
secondo le ricerche della Commissione della Comunità Europea, è anche la
minoranza che subisce, nel continente, le maggiori discriminazioni. I Rom
subiscono ancora oggi la violazione dei diritti più elementari e l'Italia
purtroppo si trova al primo posto per ciò che riguarda la discriminazione nei
nostri confronti.
Per la poesia che chiude la canzone De André si è servito della collaborazione
di Giorgio Bezzecchi, un Rom harvado. Tu per fare la tua versione hai avuto modo
di confrontarti con lui?
No, io sono andato direttamente alla musica di De André e Fossati e ho lavorato
su quella, facendo però una versione assolutamente originale, cercando di
mettere in risalto la sensibilità dei Rom italiani, senza però nulla togliere al
valore semantico, alla bellezza di questa poesia e alla bellezza della musica.
Perché la musica, nella sua semplicità, è fortemente evocativa e carica di
pathos, e questo va a merito di De André e Fossati per la loro straordinaria
sensibilità. Insomma il brano è di per sé già bellissimo, io non ho fatto altro
che dare una mia interpretazione.
Bezzecchi ha scritto che: "Khorakhané è in fondo una canzone sulla libertà
conquistata attraverso l'emarginazione". Condividi questa affermazione?
Si, la condivido, anche se a me interessa maggiormente sottolineare l'aspetto
della denuncia sociale da parte di De André. Certo, comunque sicuramente la
canzone esalta la libertà. La libertà ad esempio di avere una identità che sia
ben chiara, al di là delle discriminazioni e delle politiche di assimilazione.
La popolazione Romanì è rimasta sé stessa nel tempo e nello spazio senza aver
mai fatto guerra a nessuno, senza aver mai avuto un esercito, senza mai aver
attuato alcuna forma di terrorismo. Questa senz'altro è anche l'essenza di
questa canzone.
Ma allora secondo te il popolo Rom per essere libero, per rivendicare questa
libertà deve per forza anche accettare l'emarginazione?
Assolutamente no, anzi, al contrario! La popolazione Romanì che si trova in
Italia è generalmente composta da cittadini italiani e non deve essere
discriminata, perché questo ce lo dice la Costituzione. Non possiamo accettare
che ci siano cittadini di serie A e cittadini di serie B. Cittadini che hanno
diritti ed altri che non li hanno. I diritti elementari: scolarizzazione,
lavoro, casa, assistenza sanitaria, sono diritti inalienabili. Invece nel caso
dei Rom questi diritti elementari, che conferiscono cittadinanza, vengono
violati quotidianamente. Questo è non solo ingiusto ma anche anticostituzionale,
perché stiamo parlando di cittadini italiani. Quindi, per quanto riguarda la
libertà, si tratta di essere cittadini soggetti di diritti e questa è la vera
libertà che i Rom devono ancora conquistare sul suolo italiano.
Nella tournée di "Anime Salve" De André presentava Khorakhané parlando a lungo
degli "zingari". La sua riflessione lo portava a chiedere, per gli zingari, il
premio Nobel per la pace perché, come hai appena sottolineato anche tu: "girano
il mondo da duemila anni senza armi". Questa è una bella provocazione rispetto
ai tanti italiani che gli zingari invece li considerano addirittura pericolosi.
Qual è stata la tua reazione a questo atteggiamento di De André?
Secondo me ha colto l'essenza, ha capito fino in fondo la nostra cultura e l'ha
difesa a spada tratta. L'errore però è definirci: "zingari", noi non siamo
zingari, siamo Rom. Zingaro è offensivo ed è un eteronimo, non è la maniera in
cui definiamo noi stessi, è la maniera in cui i gagé, i non Rom, ci definiscono,
spregiativamente. Anche questo concetto quindi va superato.
Ribellione e richiesta di aiuto
Penso che De André usasse il termine: "zingari" a mo' di provocazione e anche
per maggiore chiarezza. Visto che al termine è associato il disprezzo generale
dire: "Nobel per la pace agli zingari" è certamente più forte, come
provocazione, che dire "Nobel ai Rom".
Si, ne sono convinto anch'io. Lui utilizzava il termine a mo' di provocazione ma
sapeva perfettamente che noi siamo Rom. Però per me è importante chiarire, per
chi ci ascolta, per coloro che non conoscono profondamente la nostra realtà
culturale ma ci conoscono solo attraverso il filtro di stereotipi negativi che
spesso allontanano, spingono a non manifestare neanche l'interesse nei nostri
confronti. Così succede, da una parte, che un enorme patrimonio culturale e
artistico non viene valorizzato e dall'altra che dei semplici fatti sociali
vengono addirittura elevati a modelli culturali, per cui l'errore del singolo
porta inevitabilmente alla condanna di tutte la comunità, che sono invece tante
e molto diversificate fra loro.
Eppure i Rom, nonostante la discriminazione in Europa, hanno contribuito a
crearla, l'Europa! Pensiamo alla cultura musicale: nel periodo romantico, nel
momento in cui si sviluppa il concetto di "nazione", in cui si parla di fattori
locali e di radici culturali, in quella fase i Rom hanno dato un contributo
enorme ai grandi compositori. Listz, Brahms, Schubert, Granado, Debussy,
Mussowski, Stravinskij, Chaikovski, Dvorak, Bela Bartok: tutti si sono ispirati
alla nostra musica. Fino ad arrivare ad oggi. Pensiamo a Goran Bregovic: che
operazione ha fatto? Ha preso a piene mani dalla musica dei Rom in macedonia, ma
poi per quanto riguarda i diritti di autore risulta che questa musica è sua! La
stessa cosa che ha fatto Brahms con le danze ungheresi o Listz con le rapsodie
ungheresi.
I Rom poi hanno arricchito l'Europa portando strumenti fondamentali. Anzitutto
il "cimbalom", introdotto in Europa ad immagine e somiglianza del "Santur"
indiano. Dal cimbalom ungherese e rumeno nacque il clavicembalo, da cui poi, per
altre vie, nacque il pianoforte. Quindi lo strumento dei Rom è stato l'antenato
del pianoforte e questo ben pochi lo sanno! Così come nei territori balcanici i
Rom hanno introdotto la "zurna", uno strumento a doppia ancia dal quale in
Europa derivano due strumenti, uno colto e l'altro popolare: l'oboe, che si
suona nelle orchestre sinfoniche e, nel sud dell'Italia, la ciaramella, che è
uno strumento conico di forma allungata a doppia ancia.
Ma tornando a questa idea di De André, il premio Nobel per la pace ai Rom. Tu
come reagisci?
I Rom hanno risposto alle discriminazioni con un atteggiamento di passività che
voleva essere una forma di ribellione e una pacifica richiesta di aiuto. Hanno
utilizzato forme di resistenza passiva analoghe a quelle adottate da Ghandi
secoli dopo. Credo sia molto significativo avere un popolo che non ha mai usato
le armi in un'Europa in cui l'etnocentrismo ha causato danni incalcolabili. De
André aveva capito perfettamente il nostro spirito e la qualità, la carica
emotiva della nostra musica, il coinvolgimento fisico della nostra ritmica.
Aveva capito perché aveva studiato i Rom e in questa canzone, Khorakhané, aveva
riassunto tutta la sua esperienza, la sua profonda conoscenza di un mondo che
ancora, a molti, appare sconosciuto, negativo, degradato, perché in realtà non
lo conoscono.
Insomma, sul Nobel non ti sei sbilanciato! Con la frase: "i soldati prendevano
tutti e tutti buttavano via", De André nella sua canzone affronta anche il tema
delle persecuzioni subite dai Rom...
Certo. I Rom e i Sinti sono stati barbaramente massacrati durante la seconda
guerra mondiale. Oltre mezzo milione di Rom e Sinti trucidati, seviziati, usati
come cavie per gli esperimenti, depredati dei loro averi: oro, terre, case e
soldi mai restituiti. E su questo, da subito c'è stata una rimozione: nessun Rom
o Sinto è stato chiamato a Norimberga a denunciare i propri carnefici. Quindi
questo genocidio, nella storia, è stato totalmente rimosso. Ancora oggi l'Europa
deve un riconoscimento, dal punto di vista morale, psicologico, culturale e
storico, perché oggi, quando si celebra la giornata della memoria, si celebra
una giornata mutilata, offensiva e discriminante, perché si ricorda soltanto una
parte delle vittime, non tutte. Quindi i Rom sono vittime discriminate anche nel
ricordo.
Infatti lo sterminio nazista delle popolazioni Rom è un capitolo della storia
poco noto e poco studiato sia in Italia che altrove...
Sì, però bisogna dire che all'estero se ne parla molto di più che in Italia. In
Germania per esempio ci sono stati anche dei risarcimenti, esiste un museo
dell'Olocausto Rom, vengono promosse delle iniziative importanti. Ne cito una
per fare un esempio: nel 2008, di fronte al Parlamento tedesco che nel 1933
Hitler fece bruciare, dove già c'è un monumento che ricorda lo sterminio degli
ebrei, sorgerà un monumento enorme, anche molto bello (ho visto il progetto),
dedicato a Rom e Sinti. Tra l'altro sul monumento apparirà proprio una mia
poesia, Auschwitz, che sarà illuminata ventiquattro ore su ventiquattro.
Fabrizio, un precursore
La canzone riassume i tratti essenziali della cultura e della storia dei Rom.
Paolo Finzi, anarchico e amico di Fabrizio, ci raccontava che prima di scriverla
De André aveva studiato tutto il materiale disponibile. Secondo te De André ha
colto nel segno? Ha parlato correttamente del tuo popolo, pur senza essere lui
stesso Rom? Ha colto l'essenza?
Certo. Io penso che sia straordinario come De André abbia sintetizzato in una
sola canzone, in poche righe, tutto il mondo Rom. Ha fatto una sintesi che solo
un genio artistico poteva fare in quel modo. Per questo ho cantato questo brano
con una particolare dedizione e con tanta attenzione, perché era importante
sottolineare tutto quello che lui aveva scritto cercando però di dare al pezzo
l'anima Romanì. Ecco questo è stato il mio contributo: ho cercato di dare a
questo pezzo un'emotività tipicamente Romanì.
Tu dicevi che i Rom sono spesso conosciuti solo attraverso gli stereotipi,
magari ammantati di romanticismo. Con Khorakhané invece De André ci ha
avvicinato al popolo Rom così com'è, in carne ed ossa. Mi piacerebbe sapere se
questa canzone si è fatta strada anche nel popolo Rom. Se è conosciuta,
apprezzata, se la gente è stata contenta, se si è sentita magari, per una volta,
ben rappresentata.
Come no, certamente. Ovviamente, fra i Rom, gli intellettuali, quelli con un
grado di istruzione più elevato, hanno capito meglio, hanno potuto cogliere la
profondità, la valorizzazione del mondo Rom che c'è dietro questa canzone. Altri
invece magari hanno apprezzato soprattutto la musica, perché la musica già di
per sé è un linguaggio, che arriva al cuore prima che alla mente. Per cui molti
Rom e Sinti apprezzano tantissimo questo brano. Ma del resto molti Rom e Sinti
appezzano proprio l'artista De André in maniera particolare, anche al di là di
questo brano.
Parlando invece degli "altri", dei non Rom, De André ha raccontato che questo
testo ha sollevato qualche malumore. Aveva anche ricevuto qualche lettera di
protesta, come del resto c'era da aspettarsi.
Tu hai avuto la sensazione che comunque la canzone sia servita, che sia arrivata
al cuore di qualcuno, che magari prima aveva un atteggiamento negativo e che
poi, a partire da una riflessione su Khorakhané, abbia cominciato a porsi in
modo nuovo nei confronti dei Rom?
Ma io direi che la canzone in realtà rappresenta un pezzo, una testimonianza di
un movimento in atto in Italia, un movimento di opinione che coinvolge in
qualche misura il mondo Rom e Sinto che per ora, in questo paese, è ancora
segregato e discriminato. Forse De André di questo movimento è stato proprio un
precursore, gli ha dato l'input, perché ha scritto questa canzone quando questo
movimento ancora non esisteva. Quindi io gli riconoscerei questo grandissimo
merito: come in tanti altri casi, come per tante altre sue canzoni, lui è stato
un precursore. E il genio è anche questo: il saper cogliere prima degli altri
determinati aspetti della nostra società, del mondo, della stessa città in cui
viviamo. Lui, da questo punto di vista, è stato sicuramente un precursore.
In questa canzone c'è anche la gioia di stare assieme, divertirsi, fare festa.
C'è una strofa che, non a caso, viene subito dopo quella sulle persecuzioni,
come se il momento della festa fosse anche un momento di riconciliazione con la
vita, con il mondo e con gli altri.
Infatti qui Fabrizio ha colto perfettamente questo aspetto della nostra cultura.
Se da una parte ci sono le discriminazioni, le persecuzioni, dall'altra esce
fuori l'aspetto reale dei Rom, l'essenza, il carattere brioso, allegro, di
persone che, in qualsiasi condizione, riescono a sorridere alla vita. Laddove
altre persone, nelle stesse condizioni, finirebbero per cadere in depressione o
fare scelte estreme, come il suicidio, i Rom, invece, comunque sorridono alla
vita non ostante tutto. Credo che questo aspetto abbia colpito profondamente De
André e quella strofa della canzone ce lo fa capire. Lì lui ha colto la
baldanza, l'allegria, la voglia di vivere di un popolo che non si è mai
rassegnato. Del resto persino ad Auschwitz i bambini Rom, fino all'ultimo
giorno, fino all'ultimo respiro, hanno sempre mostrato la loro voglia di vivere.
Questa è una cosa che tanti, molti ebrei, molti sopravvissuti, hanno
sottolineato: erano proprio i Rom che ad Auschwitz riuscivano a dare una
dimensione un po' più umana del lager, di quel campo di orrore e morte.
La canzone parla di Rom senza avanzare giudizi, com'era nello stile di De André.
C'è però un passaggio particolarmente coraggioso che mi piace sottolineare:
quando parla delle "spose bambine" che vanno a "caritare". Qui non solo non si
avanzano giudizi ma si invitano gli ascoltatori alla cautela nell'esprimerli
perché: "Se questo vuol dire rubare, lo può dire soltanto chi sa di raccogliere
in bocca il punto di vista di Dio".
Su questo tema poi De André nei concerti diceva; "certo gli zingari rubano, ma
non ho mai sentito dire che abbiano rubato tramite banca". Ancora una volta c'è
un bel ribaltamento della morale comune.
Beh, De André sapeva già ed aveva capito perfettamente che rubare per
sopravvivere è ben diverso dal rubare per arricchirsi. Rubare del resto non è
per i Rom un fatto culturale, come molti credono, infatti i Rom fra di loro non
si rubano né si chiedono l'elemosina. Quindi bisogna dare il giusto valore alle
cose, capirle, conoscerle profondamente. I Rom, quando venivano fatti oggetto di
violenza, nel corso dei secoli, non volendo né potendo controbattere con
altrettanta violenza o con la guerra, si sono ripiegati su atteggiamenti solo
apparentemente umili, come la mendicità.
Ma la mendicità in realtà è una forma di resistenza passiva e di ribellione
pacifica e questo De André l'aveva capito. Perché il fatto di dire,
provocatoriamente, che i Rom rubano... ed è vero che molti rubano, certo, non
tutti, perché anche qui generalizzare è assurdo, perché ci sono Rom medici,
ingegneri, docenti universitari, artisti, vigili urbani, ci sono tanti Rom
impegnati nei mestieri più vari quindi, ovviamente, quando si parla dei Rom che
rubano, esce fuori uno stereotipo, per cui i Rom così vengono generalmente
definiti come criminali e questo è profondamente ingiusto. Č altrettanto vero
che discriminazione e degrado portano inevitabilmente all'illegalità. Però, non
ostante tutto, i Rom anche nell'illegalità si sono sempre limitati a cose tutto
sommato futili, quelle necessarie alla sopravvivenza. Non si sono arricchiti
tramite le banche, appunto. Quindi sono altri i veri criminali a mio avviso.
Quelli che rubano per arricchirsi e per detenere un potere soggiogando le masse.
Il concetto di multiculturalità
Nelle canzoni degli anni Sessanta De André invitava alla compassione e alla
pietà. Invece negli anni Novanta con Khorakhané, parlando dei Rom, che la
società considera un problema, lui li considera portatori di valori.
In un'intervista aveva detto che: "gli zingari custodiscono una tradizione che
rappresenta la cultura più vera e semplice dell'uomo" e che: "potrebbero
insegnarci un cammino più umano e più spirituale per un futuro migliore". Tu la
condividi un'affermazione di questo genere?
Sì, perché la società Romanì è una società semplice, precapitalistica, basata
sui concetti di dare, avere e ricambiare. Il tutto regolato dalla morale di
"fortuna / sfortuna", e dal concetto di "puro e impuro", laddove al concetto di
puro si collegano parole e comportamenti che danno al soggetto onorabilità e
rispetto e al concetto di impuro tutto il contrario. Questo è il mondo Rom, che
evidentemente De André aveva capito nella sua essenza.
Nel documentario "Faber" di Bigoni e Giuffrida c'è un'intervista a Giorgio
Bezzecchi che tra l'altro dice che De André anche se era un "Gagé" in fondo,
spiritualmente, era un Rom. Cosa voleva dire? Cosa si può cogliere in De André
che lo faccia sentire così vicino alla tua gente?
La solidarietà umana! La sua solidarietà con il popolo Rom. Lui aveva capito la
discriminazione, l'ingiustizia, il fatto che questo popolo è imbavagliato, senza
diritto di espressione, in un'epoca in cui la diversità ancora non era un valore
ma qualcosa da eliminare.
Oggi il concetto di multiculturalità è entrato a far parte del nostro
vocabolario quotidiano ma ancora è di là da venire una vera società
multiculturale, che abbia una vera base interculturale; cioè una società in cui
non basti la conoscenza ma dove ci sia anche la capacità di viverla un'altra
cultura. Oggi noi siamo preparati ad accogliere l'altro come noi stessi? Siamo
incuriositi? Abbiamo la capacità di valorizzare l'altro per quello che è e non
per quello che noi vorremmo che fosse? Questi sono i quesiti che De André ha
posto e ancora non ci sono delle risposte.
All'inizio di questa serie radiofonica abbiamo intervistato lo scrittore Stefano
Benni, il quale tra l'altro ci ha raccontato di aver avuto una nonna Rom. Lui
sostiene che queste canzoni, proprio perché raccontano senza giudicare, sono un
antidoto contro ogni razzismo.
Tu pensi che una canzone possa davvero combattere pregiudizio, razzismo,
addirittura aiutare concretamente un popolo discriminato?
Certamente sì, la canzone può essere parte di un percorso di formazione. La
canzone arriva al cuore, prima che alla mente, parla alla parte più intima
dell'essere umano, dialoga, e può davvero svelare delle verità a persone che non
conoscono. Spesso la disinformazione impedisce il dialogo, impedisce il
confronto costruttivo, la conoscenza. Nella ricerca della verità una canzone
sicuramente aiuta. Pensiamo al successo straordinario che ha avuto questa
canzone di De André: ha formato, incentivato, stimolato la curiosità nei
confronti dei Rom e questo, sicuramente, è un grandissimo merito.
Proprio da questo punto di vista De André è stato un Rom e non un Gagé. Ha fatto
ancor prima di me ciò che io sto facendo per la mia gente, che è il tentativo di
valorizzare un enorme patrimonio culturale che è patrimonio dell'intera umanità.
Perché la lingua, la cultura, la storia dei Rom appartengono all'umanità tutta e
se un domani dovessero scomparire l'umanità intera ne sarebbe impoverita.
Bisogna allontanare lo spettro dell'appiattimento del genere umano e questo è il
valore profondo del canto impegnato di De André: evviva la diversità! Evviva
l'essere individuo nella sua essenzialità, nella sua ricchezza, nella sua
complessità, nella sua pienezza. Questo è il valore profondo della testimonianza
di De André e Khorakhané lo rivela chiaramente.
La salute e la fortuna
Oltre a De André ci sono stati altri artisti Gagé che hanno cantato dei Rom? E
se sì, lo hanno fatto in maniera corretta e utile o restiamo nel campo degli
stereotipi?
Pochi, però in genere siamo ancora nel campo dello stereotipo: "Ho visto anche
degli zingari felici"... è bello sì, però nessuno vuole essere discriminato.
Bisogna stare attenti, perché è un po' come l'olocausto: il termine è sbagliato,
perché nessuno voleva morire. Non è che ci si volesse immolare per qualcosa.
Bisognerebbe parlare di genocidio. E allo stesso modo, non è che i Rom cerchino
la discriminazione, l'emarginazione: i Rom sono discriminati dal sistema. Ma non
c'è nessuno a cui piace vivere nel fango, o senza diritti. Quelli che vengono a
fare oggi in Italia i "nomadi", ieri nella ex Jugoslavia o in Romania avevano
tutti le loro case!
Noi Rom italiani abbiamo le case, non da adesso, da secoli! Č la disinformazione
dilagante che vuole vedermi per forza o criminale, da una parte, oppure,
dall'altra, il rovescio della medaglia, vuole vedermi in quell'idea romantica
del Rom libero, che sta al di fuori delle istituzioni... tutte queste
stupidaggini! In realtà la cosa più difficile da far capire all'opinione
pubblica è che i Rom sono esseri umani normalissimi e che come tutti gli esseri
umani vogliono avere rispetto, diritti, vogliono vivere in pace con tutti.
Questo ci racconta la storia secolare dei Rom, all'eterna ricerca di uno spazio
vitale e invece costretti ad essere eterni migranti, perché scacciati da una
parte e dall'altra dell'Europa, perché non protetti dalla politica, perché non
rappresentati nelle istituzioni.
Č facile prendersela con chi non può reagire! Ho visto delle trasmissioni
televisive che sono veramente dei crimini contro l'umanità! Trasmissioni dove
viene presentato il popolo Rom senza dare l'opportunità di esprimersi, dove
quindi viene influenzata l'opinione pubblica che diventa una vittima di questo
sistema. Č chiaro che poi diventa molto difficile rivendicare i propri diritti!
Certi servizi giornalistici, certi articoli, sono, assieme ai campi nomadi, dei
crimini contro l'umanità.
Quindi la disinformazione è uno dei problemi maggiori che dovete affrontare?
I Rom non hanno spazio nei mass media, ma non è solo questo. Non c'è ad esempio
una valorizzazione dal punto di vista artistico-culturale. La musica che faccio
io è presente in Italia da oltre sei secoli. Chi la conosce? E questo ti fa
capire. Se provi a chiedere a un laureato di indicare un solo nome di un artista
Rom, di citare una poesia Rom, ti risponderà che non ne conosce. Il livello di
ignoranza è altissimo nei confronti dei Rom. Ecco perché poi gli stessi
intellettuali non esprimono solidarietà. Č questa la differenza di De André: ha
mostrato solidarietà. Uno fra i primissimi e uno fra i pochissimi intellettuali
e artisti italiani che abbia mostrato solidarietà umana nei confronti delle
popolazioni Romanì indifese e discriminate. Č questo il fatto straordinario. Per
questo per noi Rom De André è un alfiere d'amore e di pace. Io se avessi potuto
incontrarlo gli avrei stretto semplicemente la mano e lo avrei salutato
fraternamente alla maniera Rom: (pronuncia una frase in lingua Romanì)...
Noi allora ti salutiamo con le stesse parole, anche se non saprei proprio
pronunciarle...
(ridendo) ...il saluto lo estendo fraternamente a tutti gli ascoltatori. Queste
parole significano letteralmente: "Che possiate essere sani e fortunati". Perché
la salute e la fortuna sono due elementi importanti nella cultura Romanì. Nel
mondo Rom stare bene e non incappare in qualcosa di negativo, per una società
fortemente oppressa come quella Rom, è l'augurio più grande e più profondo che
si possa esprimere nei confronti di un congiunto. Io lo esprimo altrettanto
fraternamente alla famiglia di De André, alla sua memoria e a tutti quelli che
ci stanno ascoltando. Vi abbraccio forte e spero che questa musica di cui De
André si è fatto alfiere sia sempre più conosciuta, apprezzata e valorizzata.
Renzo Sabatini
(intervista realizzata via telefono nell'aprile 2007. Registrata presso gli
studi di Rete Italia - Melbourne. Andata in onda nell'ambito della trasmissione
radiofonica settimanale: "In Direzione Ostinata e contraria", dedicata ai
personaggi delle canzoni di Fabrizio De André)
In direzione ostinata e contraria
Con questa intervista a Santino "Alexian" Spinelli, prosegue la pubblicazione su
"A" di una parte significativa delle 27 interviste radiofoniche realizzate da
Renzo Sabatini e andate in onda in Australia nel programma "In direzione
ostinata e contraria" sulle frequenze di Rete Italia fra il maggio 2007 e
l’agosto 2008. In tutto si è trattato di sessanta puntate (ciascuna della durata
di circa quaranta minuti, per un totale di quasi 40 ore di trasmissioni), nel
corso delle quali sono state trasmesse le 27 interviste e messe in onda tutte le
canzoni di Fabrizio De André. Si tratta dunque della più lunga e dettagliata
serie radiofonica mai dedicata al cantautore genovese.
Se proponiamo questi testi, è innanzitutto per dare ancora una volta spazio e
voce a quelle tematiche e a quelle persone che di spazio e voce ne hanno poco o
niente nella "cultura" ufficiale. E che invece anche grazie all’opera del
cantautore genovese sono state sottratte dal dimenticatoio e poste alla base di
una riflessione critica sul mondo e sulla società, con quello sguardo profondo e
illuminante che Fabrizio ha voluto e saputo avere. Con una profonda sensibilità
libertaria e - scusate la rima - sempre in direzione ostinata e contraria.
in arte Alexian, nasce a Pietrasanta (Lu) nel 1964.
Č musicista, cantautore, insegnante, poeta e saggista.
Ha due lauree: una in Lingue e letterature straniere e l'altra in Musicologia,
entrambe conseguite presso l'Università degli Studi di Bologna.
Attualmente vive a Lanciano, in Abruzzo. Insegna Lingua e cultura romaní presso
l'Università di Chieti e con il suo gruppo, l'Alexian group, tiene numerosi
concerti di musica romaní in Italia e all'estero.
Tra i suoi numerosi lavori discografici ricordiamo: Romano Thèm - Orizzonti Rom (CNI - Compagnia Nuove Indie, 2007) Andrè mirò Romano Gi, viaggio nella mia anima Rom (Ass. Thèm Romanó e Provincia
dell'Aquila) Romano Drom - Carovana romaní (Ethnoword, Milano, 2002) Dromos (Associazione Dromos, 2001)
Segnaliamo inoltre alcuni lavori di natura letteraria e saggistica: Princkarang - Conosciamoci, incontro con la tradizione dei Rom Abruzzesi
(Editrice Italica, Pescara, 1994) Baxtaló Divès (Collezione Interface, Centro di Ricerche zingare dell'Università
di Parigi, Consiglio d'Europa, 2002) Baro Romano Drom - la Lunga strada dei Rom, Sinti, Kalé, Manouches e Romanichals
(Meltemi editore, Roma, 2003)
Per chi volesse approfondire la conoscenza con Santino Spinelli:
e-mail: spithrom@webzone.it - telefono: 0872.66.00.99
sito ufficiale: www.alexian.it
movieplayer.ita cura di Luciana Morelli pubblicato il 26 novembre
2012 Presentato in anteprima mondiale al Torino Film Festival 2012 nella sezione
Festa Mobile il nuovo film del regista di origini sarde ambientato nel campo
nomadi di Cagliari e incentrato sull'emarginazione.
Dopo
I bambini della sua vita e il documentario su Liliana Cavani,
Peter Marcias
torna nella sua Sardegna per raccontarci una storia di emarginazione e insieme
un dramma di volti e corpi che cerca di aprire lo sguardo ed allargare
l'orizzonte su una realtà dolorosa e ingiusta che riguarda strettamente il
nostro paese, un argomento che il cinema 'ufficiale' troppo spesso tende ad
ignorare. Scritto da
Gianni Loy, il film parla sì di un popolo relegato ai
margini della società dallo Stato ma più in generale affronta il tema della
diversità e dell'integrazione ma parla anche d'amore, amicizia e di
comprensione, valori che vanno oltre la razza, il colore della pelle e la
nazionalità. Ad accompagnare il film a Torino il giovane regista insieme allo
sceneggiatore e ai due attori protagonisti
Luli Bitri e
Salvatore Cantalupo,
rispettivamente una ragazza di origini rom che vive in Francia e un ispettore di
polizia di mezza età che diventano amici. Prodotto e distribuito da
Gianluca Arcopinto, rispettivamente con la Axelotil Film e con la Pablo,
Dimmi che
destino avrò è sostenuto dall'Unicef come film di interesse sociale per l'alto
valore del messaggio e del tema trattato e sarà nelle sale a partire da giovedì
29 novembre.
Signor Marcias, ci spiega com'è entrato in contatto con la realtà dei campi rom?
Peter Marcias: Per la realizzazione di questo film siamo partiti da una
sceneggiatura di Gianni Loy che collabora con la Fondazione Anna Ruggiu onlus e
lavora con i tanti campi nomadi presenti in Sardegna, per lo più campi
amministrati dalle autonomie locali. Personalmente era la prima volta che
entravo in un campo rom, per me è stato un po' come seguire lo stesso percorso
umano che intraprende il commissario nel film. E' stata un'esperienza importante
per me sia dal punto di vista umano sia professionale.
Come descriverebbe il suo film in poche parole? Peter Marcias: Dimmi che destino avrò è più di tutto un film sull'interazione
più che sull'integrazione, un film che sfrutta elementi di fiction per
raccontare la realtà.
Ci spiega perché nel suo film il rapporto che si instaura tra il commissario e
la ragazza rom è un po' in controtendenza e cioè è l'autorità ad essere meno
forte della parte 'lesa' vista solitamente come la più debole? Peter Marcias: Era sostanzialmente quello che volevo venisse fuori dal film, mi
sembrava troppo semplicistico realizzare il solito thriller in cui c'è un
commissario che esegue le indagini all'interno del campo rom, ho preferito farlo
entrare a contatto con la realtà dei nomadi un po' in sordina, quasi in punta di
piedi. Mi interessava poi che fosse una donna a prendere il sopravvento sulla
vicenda ma non nascondo che questa linea è venuta fuori successivamente e cioè
quando il film era già in corso d'opera. Capisco che questo aspetto possa
sembrare un po' inverosimile ma ho preferito dirigere la storia verso binari non
consueti, è per questo che abbiamo fatto in modo che non accadesse nulla di
romantico tra i due protagonisti. Devo ammettere di aver un po' giocato sotto
questo aspetto.
Ci spiega come sono andate le riprese nei campi e in che zone è stato girato il
film? Peter Marcias: Abbiamo girato in due diversi campi, quello di Monserrato e
quello vicino a Selargius. Il bello è che dovevamo stare una settimana ed invece
alla fine ci siamo stati un mese e mezzo, all'inizio non è stato facile farsi
accettare dalla comunità rom ed è anche comprensibile visto che siamo piombati
nella loro vita all'improvviso con le nostre attrezzature senza aver loro prima
spiegato il tutto. Successivamente si sono dimostrati curiosi nei confronti del
film, dei meccanismi organizzativi sul set, dei ciak, degli attori mentre noi
dal canto nostro abbiamo cercato di coinvolgerli in tutto e per tutto nelle
scene del film facendo interpretare ad alcuni di loro il ruolo di alcuni
poliziotti durante la scena della perquisizione. Quello che non volevamo era
approfittare del loro naturale folklore per raccontare la nostra storia, abbiamo
voluto raccontare la loro vita nella loro essenza.
Come hanno vissuto i due attori questo stretto contatto con la comunità rom e
come hanno lavorato per affrontare al meglio i loro personaggi? Luli Bitri: Per me era un po' più difficile perché dovevo essere una di loro,
per prepararmi ho fatto ricerche letterarie ma quel che mi ha più aiutato è
stato l'incontro con una ragazza che era nella stessa situazione di Alina, il
mio personaggio, e quindi ho usato i suoi consigli linguistici e comportamentali
per entrare nella psicologia delle donne della comunità. Col passare dei giorni
poi sono diventati degli amici per me, mangiavamo insieme, stavamo ore a
chiacchierare e qualcuno si è anche confidato intimamente con me, alla fine mi
sono dimenticata di essere un'attrice. Posso dire di aver preso parte ad un
pezzettino della loro vita e di aver regalato loro qualche momento di
riflessione stuzzicando la loro curiosità e le loro speranze per il futuro.
Salvatore Cantalupo: Mi sono molto rispecchiato nei bambini rom che ho allenato
sul campo di calcio nel film, facevano gli stessi giochi che facevo io da
scugnizzo napoletano, ma più di ogni altra cosa ho cercato di vivere il più
umanamente possibile il mio personaggio.
Volete fare un regalo e (tanto per cambiare) avete già spremuto la vostra
fantasia (e le vostre tasche) nel corso delle feste passate? Senza nessuna pretesa di
completezza, ecco i suggerimenti di Mahalla:
Libri:
Vicini
Distanti, presa diretta di vent'anni di storia di un gruppo di Rom Harvati,
raccontati "come sono", senza retorica e romanticismi. Un bigino su
come "provare" a creare convivenza. Costo unitario 14 euro. Promozione
natalizia di Mahalla: 3 copie (firmate dall'autore) 30 euro.
Luoghi Comuni, ovvero la lunga lotta attraverso paradossi ei stereotipi,
tramite una mini-guida turistica ai segreti, le bellezze e i monumenti che
possono nascondersi in un campo rom. I ricavati della vendita vanno a finanziare
le attività proposte dalla locale comunità rom. Costo unitario 5 euro.
Inoltre: sorprese in preparazione per i lettori di Mahalla.
Arte:
Rebecca è una ragazza
di origine Rom. Un'arte innata, la sua, nell'esprimersi attraverso i disegni.
Fin da bambina usa ciò che trova in natura per rappresentare le sue idee: terra
bagnata, erba, petali di fiori, sassi... Per contattiQUI
Di Fabrizio (del 07/12/2012 @ 09:05:08, in Italia, visitato 1301 volte)
Karin Faistnauer, Presidente dell'Associazione "Donne e Futuro", scrive alla
cittadinanza lametina
Vivo da tanti anni a Lamezia Terme e sono stata accolta subito in modo
speciale dalla popolazione calabrese. Perciò quando ho capito che tra la
popolazione Zigara e non-zigara c'è un difetto di comunicazione mi sono sentita
in dovere di mettermi in prima persona a vedere come si poteva risolvere il
problema. Sapevo che non sarebbe stato facile, poiché tanti altri avevano già
provato a "civilizzare" gli Zingari. Ma io avevo un vantaggio in più, straniera,
venivo da Innsbruck, non avevo mai avuto contatto con gli Zingari e così non
avevo nessun pregiudizio verso di loro come popolo. Lì vedevo come singole
persone che si comportano più o meno bene e che non conoscono il "nostro" mondo
postmoderno.
Spesso mi chiedono perché mi occupo soltanto delle donne Zingare e io
rispondo sempre che, in effetto, mi occupo di tutti, perché se noi riuscissimo a
risolvere "il problema zingaro" tutti potremmo vivere bene a Lamezia Terme,
perché ci sarebbe finalmente la Pace (guerra non è soltanto quando ci si spara).
Per questo scrivo questa lettera con la preghiera di pubblicarla. Per far
notare che c'è una guerra in atto alimentata anche da un'informazione sbagliata
che aumenta l'astio verso questo popolo misconosciuto: circolano su Facebook
delle foto, dove degli zingari, due donne e un ragazzo, "bruciano" provocando
una grossa nuvola di fumo bianco.
Dopo un'assemblea aperta con il Prefetto dove ha partecipato anche una
delegazione Zingara alla quale è stata rivolta la richiesta formale di non
bruciare più copertoni e rame, gli abitanti "italiani" vicini al campo nomade
sono, giustamente, all'erta per controllare se la promessa da parte degli
zingari, verrà mantenuta. Dopo anni di convivenza difficile anche il fumo bianco
dei rami bagnati dell'albero di olivo accesi per riscaldare i container gelidi o
per cucinare quando non ci sono i soldi per comprare la bombola di gas, viene
visto come una presa in giro, pensando che si vuole nascondere con la sterpaglia
i copertoni o il rame da bruciare. Non è così. Le foto che circolano su Facebook
fanno vedere una famiglia Zingara che non ha mai bruciato ne copertoni, ne rame.
Questa famiglia vive con la vendita di frutta ma si riscalda al caminetto con il
fuoco acceso nell'oliveto.
Adesso, ogni volta che vado al campo nomade, gli zingari che cercano di
sopravvivere in un mondo alieno al loro modo di vivere, mi dicono orgogliosi
"hai visto non bruciamo più", non sapendo che per gli "italiani" anche il fumo
dei rami di olivo bagnati è una minaccia e io spero che chi legge queste righe
mi dirà come posso spiegare a loro che non devono più riscaldarsi o cucinare
perché il fumo è sempre fumo !
Stanchi delle polemiche sulla pulizia dell'ex campo sulla 554 i Rom si appellano
agli amministratori dell’ex giunta comunale colpevoli, secondo quanto
dichiarano, di averli emarginati e abbandonati a loro stessi contribuendo così
al degrado dell’area nella quale erano stanziati:
"La comunità Rom si rende disponibile volontariamente e gratuitamente a lavorare
per la bonifica del luogo (…). Saremmo felici se si rendessero disponibili
volontariamente e gratuitamente gli ex amministratori del Comune di Cagliari
(…)".
Prague, 27.11.2012 0:31
Commento: "Yuck, l'hanno toccato gli zingari!"First published in Deník Referendum. Miroslav Hudec, translated
into English by Gwendolyn
Albert
"Yuck, l'hanno toccato gli zingari!"
Il grido proveniva dalla madre di un bambino di due anni che, spaventato, è
scoppiato a piangere. Si era incuriosito per qualcosa sopra un cestino dei
rifiuti in una città della Boemia del Nord. Il primo ammonimento di non toccare
il cestino sembrava aver terminato il suo effetto - sembrava non aver capito.
Dall'aspetto e dal comportamento, immaginai che probabilmente venivano da una
famiglia povera. La madre indossava un cappotto rosa un po' sporco e fumava
mentre parlava ad alta voce col ce3llulare attaccato all'orecchio, controllando
il bambino di tanto in tanto con rapide occhiate, mentre lui cercava in giro
qualcosa di divertente.
Mi è venuta in mente quella madre "bianca" quando ho letto l'articolo su Právo
intitolato "A nessuno piacciono i Romanì, ma gli estremisti stanno perdendo" del
22 novembre. Non so chi abbia effettivamente toccato il cestino prima del
bambino, e probabilmente non lo sa neanche sua madre. La piazza era silenziosa
come se tutti lì attorno fossero morti da tempo in quel noioso, ventoso tardo
pomeriggio di sabato. Evidentemente, la madre aveva usato quello che considerava
il suo argomento pregnante per non toccare il cestino.
Nel concetto popolare, il termine "zingaro" intende qualcosa di realmente
detestabile. Sostanzialmente, un sinonimo per asociale. Questo stereotipo
concettuale dura da decenni e viene tramandato da generazioni. "Sono come
zingari bianchi", dicevano i nostri genitori 50 anni fa, parlando di gente
disordinata, il cui aspetto personale o i quartieri dove vivevano erano
trascurati, o in qualche manieri problematici. Se gli intervistati di recente
dall'agenzia di sondaggi STEM soltanto hanno avuto un ricordo di quelle nozioni,
quando hanno risposto alle domande sulle persone rom, non c'è da stupirsi se il
risultato è che "nessuno" li ama.
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