A rivista anarchica -
anno 42 n. 375 -
novembre 2012
in direzione ostinata e contraria 6
Intervista a Santino "Alexian" Spinelli
di Renzo Sabatini
Rom abruzzese, compositore, musicista, insegnante, poeta, saggista, studioso di
linguistica e musicologia, insegnante di cultura Romanì all'Università di
Trieste, ambasciatore della cultura Romanì nel mondo... una biografia molto
ricca! Da dove nascono tutte queste tue passioni?
Dalla famiglia di origine. Ho una grande passione per le lingue ma soprattutto,
fin da piccolo, ho avuto una grande passione per la musica. Questa della musica
è una cosa che si eredita all'interno delle famiglie Rom.
Esistono varie culture e lingue Rom. Chi sono i Rom abbruzzesi?
Noi siamo la prima comunità Rom arrivata in Italia, alla fine del 1300, quindi
la nostra comunità è in Italia da molti secoli, ma la lingua Romanì non ha nulla
a che vedere né con il rumeno né con le lingue romanze, né tantomeno con il
romanesco! È una lingua che deriva dal sanscrito e che si è arricchita nei
secoli con le lingue dei paesi che abbiamo attraversato e dei popoli con cui
siamo entrati in contatto. I Rom, suddivisi in cinque grandi gruppi e
innumerevoli comunità, provengono dall'India del nord e attraverso la Persia,
l'Armenia e l'Impero Bizantino sono arrivati in Europa. I Rom abruzzesi in
particolare sono approdati all'epoca sulle coste di quelle regioni oggi
conosciute come Abruzzo e Molise.
Fabrizio De André nel 1996 ha pubblicato Khorakhané, una canzone interamente
dedicata al popolo Rom, con una poesia finale in Romanì. Tu ne hai curata una
bellissima versione in Romanì abruzzese, ci puoi raccontare come nasce questo
progetto?
Mi è stato proposto dalla rivista anarchica e ho accettato molto volentieri,
essendo De André uno strenuo difensore della nostra cultura e soprattutto dei
diritti umani del nostro popolo, purtroppo ancora oggi vittima di una serie
infinita di discriminazioni. Khorakhané in realtà è il nome di un sottogruppo,
una comunità particolare di Rom, che pratica la religione musulmana. Io ho visto
come molto significativo il sottotitolo della canzone: "a forza di essere
vento", che sottolinea come De André avesse capito perfettamente che i Rom non
sono nomadi per cultura ma piuttosto itineranti coatti; un sottotitolo con cui
voleva, secondo me, allo stesso tempo, sottolineare lo stereotipo romantico che
avvolge da sempre il nostro mondo, sottolineare quindi il fatto che i Rom, in
realtà, non sono assolutamente conosciuti per quello che sono veramente.
Questa canzone non voleva essere soltanto un omaggio ma anche un veicolo di
conoscenza, un ponte per oltrepassare l'ostacolo del pregiudizio e far conoscere
meglio la nostra realtà culturale. Quindi, da parte mia, nel momento in cui mi è
stata offerta la possibilità di lavorare su Khorakhané grazie a questa rivista
che aveva proposto a una trentina di gruppi di nicchia di fare un omaggio a De
André, ho accettato volentieri. Dal Romanes harvado della poesia ho curato una
versione in Romanes italiano, ovviamente con una interpretazione assolutamente
originale, consona alla tradizione dei Rom italiani.
- La sensibilità: dei Rom italiani
La canzone rappresenta i tratti essenziali della cultura e storia dei Rom. È
come se in poche righe fossero condensati decine di libri. In effetti prima di
lavorare al testo della canzone De André ha voluto studiare tutto il materiale
disponibile. Pensi che abbia colto nel segno? Anche se non era un Rom trovi che
abbia parlato in maniera corretta del tuo popolo?
Assolutamente sì, perché ha capito, ripeto, che i Rom non sono nomadi per
cultura ma itineranti coatti, eterni perseguitati, costantemente discriminati.
Per questo il sottotitolo è per me così importante, perché noi siamo definiti
spesso, romanticamente: "i figli del vento" e in realtà con questo romanticismo
si sono istituzionalizzate in Italia la segregazione razziale e la
discriminazione. I campi nomadi sono una realtà orrenda del nostro mondo,
rappresentano una forma di segregazione razziale e di apartheid di casa nostra e
attraverso questa canzone De Andrè denuncia questo, fin dal titolo.
Quindi a tuo parere i Rom sono essenzialmente un popolo discriminato?
Certamente. I Rom rappresentano la minoranza etnica più diffusa in Europa e,
secondo le ricerche della Commissione della Comunità Europea, è anche la
minoranza che subisce, nel continente, le maggiori discriminazioni. I Rom
subiscono ancora oggi la violazione dei diritti più elementari e l'Italia
purtroppo si trova al primo posto per ciò che riguarda la discriminazione nei
nostri confronti.
Per la poesia che chiude la canzone De André si è servito della collaborazione
di Giorgio Bezzecchi, un Rom harvado. Tu per fare la tua versione hai avuto modo
di confrontarti con lui?
No, io sono andato direttamente alla musica di De André e Fossati e ho lavorato
su quella, facendo però una versione assolutamente originale, cercando di
mettere in risalto la sensibilità dei Rom italiani, senza però nulla togliere al
valore semantico, alla bellezza di questa poesia e alla bellezza della musica.
Perché la musica, nella sua semplicità, è fortemente evocativa e carica di
pathos, e questo va a merito di De André e Fossati per la loro straordinaria
sensibilità. Insomma il brano è di per sé già bellissimo, io non ho fatto altro
che dare una mia interpretazione.
Bezzecchi ha scritto che: "Khorakhané è in fondo una canzone sulla libertà
conquistata attraverso l'emarginazione". Condividi questa affermazione?
Si, la condivido, anche se a me interessa maggiormente sottolineare l'aspetto
della denuncia sociale da parte di De André. Certo, comunque sicuramente la
canzone esalta la libertà. La libertà ad esempio di avere una identità che sia
ben chiara, al di là delle discriminazioni e delle politiche di assimilazione.
La popolazione Romanì è rimasta sé stessa nel tempo e nello spazio senza aver
mai fatto guerra a nessuno, senza aver mai avuto un esercito, senza mai aver
attuato alcuna forma di terrorismo. Questa senz'altro è anche l'essenza di
questa canzone.
Ma allora secondo te il popolo Rom per essere libero, per rivendicare questa
libertà deve per forza anche accettare l'emarginazione?
Assolutamente no, anzi, al contrario! La popolazione Romanì che si trova in
Italia è generalmente composta da cittadini italiani e non deve essere
discriminata, perché questo ce lo dice la Costituzione. Non possiamo accettare
che ci siano cittadini di serie A e cittadini di serie B. Cittadini che hanno
diritti ed altri che non li hanno. I diritti elementari: scolarizzazione,
lavoro, casa, assistenza sanitaria, sono diritti inalienabili. Invece nel caso
dei Rom questi diritti elementari, che conferiscono cittadinanza, vengono
violati quotidianamente. Questo è non solo ingiusto ma anche anticostituzionale,
perché stiamo parlando di cittadini italiani. Quindi, per quanto riguarda la
libertà, si tratta di essere cittadini soggetti di diritti e questa è la vera
libertà che i Rom devono ancora conquistare sul suolo italiano.
Nella tournée di "Anime Salve" De André presentava Khorakhané parlando a lungo
degli "zingari". La sua riflessione lo portava a chiedere, per gli zingari, il
premio Nobel per la pace perché, come hai appena sottolineato anche tu: "girano
il mondo da duemila anni senza armi". Questa è una bella provocazione rispetto
ai tanti italiani che gli zingari invece li considerano addirittura pericolosi.
Qual è stata la tua reazione a questo atteggiamento di De André?
Secondo me ha colto l'essenza, ha capito fino in fondo la nostra cultura e l'ha
difesa a spada tratta. L'errore però è definirci: "zingari", noi non siamo
zingari, siamo Rom. Zingaro è offensivo ed è un eteronimo, non è la maniera in
cui definiamo noi stessi, è la maniera in cui i gagé, i non Rom, ci definiscono,
spregiativamente. Anche questo concetto quindi va superato.
- Ribellione e richiesta di aiuto
Penso che De André usasse il termine: "zingari" a mo' di provocazione e anche
per maggiore chiarezza. Visto che al termine è associato il disprezzo generale
dire: "Nobel per la pace agli zingari" è certamente più forte, come
provocazione, che dire "Nobel ai Rom".
Si, ne sono convinto anch'io. Lui utilizzava il termine a mo' di provocazione ma
sapeva perfettamente che noi siamo Rom. Però per me è importante chiarire, per
chi ci ascolta, per coloro che non conoscono profondamente la nostra realtà
culturale ma ci conoscono solo attraverso il filtro di stereotipi negativi che
spesso allontanano, spingono a non manifestare neanche l'interesse nei nostri
confronti. Così succede, da una parte, che un enorme patrimonio culturale e
artistico non viene valorizzato e dall'altra che dei semplici fatti sociali
vengono addirittura elevati a modelli culturali, per cui l'errore del singolo
porta inevitabilmente alla condanna di tutte la comunità, che sono invece tante
e molto diversificate fra loro.
Eppure i Rom, nonostante la discriminazione in Europa, hanno contribuito a
crearla, l'Europa! Pensiamo alla cultura musicale: nel periodo romantico, nel
momento in cui si sviluppa il concetto di "nazione", in cui si parla di fattori
locali e di radici culturali, in quella fase i Rom hanno dato un contributo
enorme ai grandi compositori. Listz, Brahms, Schubert, Granado, Debussy,
Mussowski, Stravinskij, Chaikovski, Dvorak, Bela Bartok: tutti si sono ispirati
alla nostra musica. Fino ad arrivare ad oggi. Pensiamo a Goran Bregovic: che
operazione ha fatto? Ha preso a piene mani dalla musica dei Rom in macedonia, ma
poi per quanto riguarda i diritti di autore risulta che questa musica è sua! La
stessa cosa che ha fatto Brahms con le danze ungheresi o Listz con le rapsodie
ungheresi.
I Rom poi hanno arricchito l'Europa portando strumenti fondamentali. Anzitutto
il "cimbalom", introdotto in Europa ad immagine e somiglianza del "Santur"
indiano. Dal cimbalom ungherese e rumeno nacque il clavicembalo, da cui poi, per
altre vie, nacque il pianoforte. Quindi lo strumento dei Rom è stato l'antenato
del pianoforte e questo ben pochi lo sanno! Così come nei territori balcanici i
Rom hanno introdotto la "zurna", uno strumento a doppia ancia dal quale in
Europa derivano due strumenti, uno colto e l'altro popolare: l'oboe, che si
suona nelle orchestre sinfoniche e, nel sud dell'Italia, la ciaramella, che è
uno strumento conico di forma allungata a doppia ancia.
Ma tornando a questa idea di De André, il premio Nobel per la pace ai Rom. Tu
come reagisci?
I Rom hanno risposto alle discriminazioni con un atteggiamento di passività che
voleva essere una forma di ribellione e una pacifica richiesta di aiuto. Hanno
utilizzato forme di resistenza passiva analoghe a quelle adottate da Ghandi
secoli dopo. Credo sia molto significativo avere un popolo che non ha mai usato
le armi in un'Europa in cui l'etnocentrismo ha causato danni incalcolabili. De
André aveva capito perfettamente il nostro spirito e la qualità, la carica
emotiva della nostra musica, il coinvolgimento fisico della nostra ritmica.
Aveva capito perché aveva studiato i Rom e in questa canzone, Khorakhané, aveva
riassunto tutta la sua esperienza, la sua profonda conoscenza di un mondo che
ancora, a molti, appare sconosciuto, negativo, degradato, perché in realtà non
lo conoscono.
Insomma, sul Nobel non ti sei sbilanciato! Con la frase: "i soldati prendevano
tutti e tutti buttavano via", De André nella sua canzone affronta anche il tema
delle persecuzioni subite dai Rom...
Certo. I Rom e i Sinti sono stati barbaramente massacrati durante la seconda
guerra mondiale. Oltre mezzo milione di Rom e Sinti trucidati, seviziati, usati
come cavie per gli esperimenti, depredati dei loro averi: oro, terre, case e
soldi mai restituiti. E su questo, da subito c'è stata una rimozione: nessun Rom
o Sinto è stato chiamato a Norimberga a denunciare i propri carnefici. Quindi
questo genocidio, nella storia, è stato totalmente rimosso. Ancora oggi l'Europa
deve un riconoscimento, dal punto di vista morale, psicologico, culturale e
storico, perché oggi, quando si celebra la giornata della memoria, si celebra
una giornata mutilata, offensiva e discriminante, perché si ricorda soltanto una
parte delle vittime, non tutte. Quindi i Rom sono vittime discriminate anche nel
ricordo.
Infatti lo sterminio nazista delle popolazioni Rom è un capitolo della storia
poco noto e poco studiato sia in Italia che altrove...
Sì, però bisogna dire che all'estero se ne parla molto di più che in Italia. In
Germania per esempio ci sono stati anche dei risarcimenti, esiste un museo
dell'Olocausto Rom, vengono promosse delle iniziative importanti. Ne cito una
per fare un esempio: nel 2008, di fronte al Parlamento tedesco che nel 1933
Hitler fece bruciare, dove già c'è un monumento che ricorda lo sterminio degli
ebrei, sorgerà un monumento enorme, anche molto bello (ho visto il progetto),
dedicato a Rom e Sinti. Tra l'altro sul monumento apparirà proprio una mia
poesia, Auschwitz, che sarà illuminata ventiquattro ore su ventiquattro.
La canzone riassume i tratti essenziali della cultura e della storia dei Rom.
Paolo Finzi, anarchico e amico di Fabrizio, ci raccontava che prima di scriverla
De André aveva studiato tutto il materiale disponibile. Secondo te De André ha
colto nel segno? Ha parlato correttamente del tuo popolo, pur senza essere lui
stesso Rom? Ha colto l'essenza?
Certo. Io penso che sia straordinario come De André abbia sintetizzato in una
sola canzone, in poche righe, tutto il mondo Rom. Ha fatto una sintesi che solo
un genio artistico poteva fare in quel modo. Per questo ho cantato questo brano
con una particolare dedizione e con tanta attenzione, perché era importante
sottolineare tutto quello che lui aveva scritto cercando però di dare al pezzo
l'anima Romanì. Ecco questo è stato il mio contributo: ho cercato di dare a
questo pezzo un'emotività tipicamente Romanì.
Tu dicevi che i Rom sono spesso conosciuti solo attraverso gli stereotipi,
magari ammantati di romanticismo. Con Khorakhané invece De André ci ha
avvicinato al popolo Rom così com'è, in carne ed ossa. Mi piacerebbe sapere se
questa canzone si è fatta strada anche nel popolo Rom. Se è conosciuta,
apprezzata, se la gente è stata contenta, se si è sentita magari, per una volta,
ben rappresentata.
Come no, certamente. Ovviamente, fra i Rom, gli intellettuali, quelli con un
grado di istruzione più elevato, hanno capito meglio, hanno potuto cogliere la
profondità, la valorizzazione del mondo Rom che c'è dietro questa canzone. Altri
invece magari hanno apprezzato soprattutto la musica, perché la musica già di
per sé è un linguaggio, che arriva al cuore prima che alla mente. Per cui molti
Rom e Sinti apprezzano tantissimo questo brano. Ma del resto molti Rom e Sinti
appezzano proprio l'artista De André in maniera particolare, anche al di là di
questo brano.
Parlando invece degli "altri", dei non Rom, De André ha raccontato che questo
testo ha sollevato qualche malumore. Aveva anche ricevuto qualche lettera di
protesta, come del resto c'era da aspettarsi.
Tu hai avuto la sensazione che comunque la canzone sia servita, che sia arrivata
al cuore di qualcuno, che magari prima aveva un atteggiamento negativo e che
poi, a partire da una riflessione su Khorakhané, abbia cominciato a porsi in
modo nuovo nei confronti dei Rom?
Ma io direi che la canzone in realtà rappresenta un pezzo, una testimonianza di
un movimento in atto in Italia, un movimento di opinione che coinvolge in
qualche misura il mondo Rom e Sinto che per ora, in questo paese, è ancora
segregato e discriminato. Forse De André di questo movimento è stato proprio un
precursore, gli ha dato l'input, perché ha scritto questa canzone quando questo
movimento ancora non esisteva. Quindi io gli riconoscerei questo grandissimo
merito: come in tanti altri casi, come per tante altre sue canzoni, lui è stato
un precursore. E il genio è anche questo: il saper cogliere prima degli altri
determinati aspetti della nostra società, del mondo, della stessa città in cui
viviamo. Lui, da questo punto di vista, è stato sicuramente un precursore.
In questa canzone c'è anche la gioia di stare assieme, divertirsi, fare festa.
C'è una strofa che, non a caso, viene subito dopo quella sulle persecuzioni,
come se il momento della festa fosse anche un momento di riconciliazione con la
vita, con il mondo e con gli altri.
Infatti qui Fabrizio ha colto perfettamente questo aspetto della nostra cultura.
Se da una parte ci sono le discriminazioni, le persecuzioni, dall'altra esce
fuori l'aspetto reale dei Rom, l'essenza, il carattere brioso, allegro, di
persone che, in qualsiasi condizione, riescono a sorridere alla vita. Laddove
altre persone, nelle stesse condizioni, finirebbero per cadere in depressione o
fare scelte estreme, come il suicidio, i Rom, invece, comunque sorridono alla
vita non ostante tutto. Credo che questo aspetto abbia colpito profondamente De
André e quella strofa della canzone ce lo fa capire. Lì lui ha colto la
baldanza, l'allegria, la voglia di vivere di un popolo che non si è mai
rassegnato. Del resto persino ad Auschwitz i bambini Rom, fino all'ultimo
giorno, fino all'ultimo respiro, hanno sempre mostrato la loro voglia di vivere.
Questa è una cosa che tanti, molti ebrei, molti sopravvissuti, hanno
sottolineato: erano proprio i Rom che ad Auschwitz riuscivano a dare una
dimensione un po' più umana del lager, di quel campo di orrore e morte.
La canzone parla di Rom senza avanzare giudizi, com'era nello stile di De André.
C'è però un passaggio particolarmente coraggioso che mi piace sottolineare:
quando parla delle "spose bambine" che vanno a "caritare". Qui non solo non si
avanzano giudizi ma si invitano gli ascoltatori alla cautela nell'esprimerli
perché: "Se questo vuol dire rubare, lo può dire soltanto chi sa di raccogliere
in bocca il punto di vista di Dio".
Su questo tema poi De André nei concerti diceva; "certo gli zingari rubano, ma
non ho mai sentito dire che abbiano rubato tramite banca". Ancora una volta c'è
un bel ribaltamento della morale comune.
Beh, De André sapeva già ed aveva capito perfettamente che rubare per
sopravvivere è ben diverso dal rubare per arricchirsi. Rubare del resto non è
per i Rom un fatto culturale, come molti credono, infatti i Rom fra di loro non
si rubano né si chiedono l'elemosina. Quindi bisogna dare il giusto valore alle
cose, capirle, conoscerle profondamente. I Rom, quando venivano fatti oggetto di
violenza, nel corso dei secoli, non volendo né potendo controbattere con
altrettanta violenza o con la guerra, si sono ripiegati su atteggiamenti solo
apparentemente umili, come la mendicità.
Ma la mendicità in realtà è una forma di resistenza passiva e di ribellione
pacifica e questo De André l'aveva capito. Perché il fatto di dire,
provocatoriamente, che i Rom rubano... ed è vero che molti rubano, certo, non
tutti, perché anche qui generalizzare è assurdo, perché ci sono Rom medici,
ingegneri, docenti universitari, artisti, vigili urbani, ci sono tanti Rom
impegnati nei mestieri più vari quindi, ovviamente, quando si parla dei Rom che
rubano, esce fuori uno stereotipo, per cui i Rom così vengono generalmente
definiti come criminali e questo è profondamente ingiusto. È altrettanto vero
che discriminazione e degrado portano inevitabilmente all'illegalità. Però, non
ostante tutto, i Rom anche nell'illegalità si sono sempre limitati a cose tutto
sommato futili, quelle necessarie alla sopravvivenza. Non si sono arricchiti
tramite le banche, appunto. Quindi sono altri i veri criminali a mio avviso.
Quelli che rubano per arricchirsi e per detenere un potere soggiogando le masse.
- Il concetto di multiculturalità
Nelle canzoni degli anni Sessanta De André invitava alla compassione e alla
pietà. Invece negli anni Novanta con Khorakhané, parlando dei Rom, che la
società considera un problema, lui li considera portatori di valori.
In un'intervista aveva detto che: "gli zingari custodiscono una tradizione che
rappresenta la cultura più vera e semplice dell'uomo" e che: "potrebbero
insegnarci un cammino più umano e più spirituale per un futuro migliore". Tu la
condividi un'affermazione di questo genere?
Sì, perché la società Romanì è una società semplice, precapitalistica, basata
sui concetti di dare, avere e ricambiare. Il tutto regolato dalla morale di
"fortuna / sfortuna", e dal concetto di "puro e impuro", laddove al concetto di
puro si collegano parole e comportamenti che danno al soggetto onorabilità e
rispetto e al concetto di impuro tutto il contrario. Questo è il mondo Rom, che
evidentemente De André aveva capito nella sua essenza.
Nel documentario "Faber" di Bigoni e Giuffrida c'è un'intervista a Giorgio
Bezzecchi che tra l'altro dice che De André anche se era un "Gagé" in fondo,
spiritualmente, era un Rom. Cosa voleva dire? Cosa si può cogliere in De André
che lo faccia sentire così vicino alla tua gente?
La solidarietà umana! La sua solidarietà con il popolo Rom. Lui aveva capito la
discriminazione, l'ingiustizia, il fatto che questo popolo è imbavagliato, senza
diritto di espressione, in un'epoca in cui la diversità ancora non era un valore
ma qualcosa da eliminare.
Oggi il concetto di multiculturalità è entrato a far parte del nostro
vocabolario quotidiano ma ancora è di là da venire una vera società
multiculturale, che abbia una vera base interculturale; cioè una società in cui
non basti la conoscenza ma dove ci sia anche la capacità di viverla un'altra
cultura. Oggi noi siamo preparati ad accogliere l'altro come noi stessi? Siamo
incuriositi? Abbiamo la capacità di valorizzare l'altro per quello che è e non
per quello che noi vorremmo che fosse? Questi sono i quesiti che De André ha
posto e ancora non ci sono delle risposte.
All'inizio di questa serie radiofonica abbiamo intervistato lo scrittore Stefano
Benni, il quale tra l'altro ci ha raccontato di aver avuto una nonna Rom. Lui
sostiene che queste canzoni, proprio perché raccontano senza giudicare, sono un
antidoto contro ogni razzismo.
Tu pensi che una canzone possa davvero combattere pregiudizio, razzismo,
addirittura aiutare concretamente un popolo discriminato?
Certamente sì, la canzone può essere parte di un percorso di formazione. La
canzone arriva al cuore, prima che alla mente, parla alla parte più intima
dell'essere umano, dialoga, e può davvero svelare delle verità a persone che non
conoscono. Spesso la disinformazione impedisce il dialogo, impedisce il
confronto costruttivo, la conoscenza. Nella ricerca della verità una canzone
sicuramente aiuta. Pensiamo al successo straordinario che ha avuto questa
canzone di De André: ha formato, incentivato, stimolato la curiosità nei
confronti dei Rom e questo, sicuramente, è un grandissimo merito.
Proprio da questo punto di vista De André è stato un Rom e non un Gagé. Ha fatto
ancor prima di me ciò che io sto facendo per la mia gente, che è il tentativo di
valorizzare un enorme patrimonio culturale che è patrimonio dell'intera umanità.
Perché la lingua, la cultura, la storia dei Rom appartengono all'umanità tutta e
se un domani dovessero scomparire l'umanità intera ne sarebbe impoverita.
Bisogna allontanare lo spettro dell'appiattimento del genere umano e questo è il
valore profondo del canto impegnato di De André: evviva la diversità! Evviva
l'essere individuo nella sua essenzialità, nella sua ricchezza, nella sua
complessità, nella sua pienezza. Questo è il valore profondo della testimonianza
di De André e Khorakhané lo rivela chiaramente.
Oltre a De André ci sono stati altri artisti Gagé che hanno cantato dei Rom? E
se sì, lo hanno fatto in maniera corretta e utile o restiamo nel campo degli
stereotipi?
Pochi, però in genere siamo ancora nel campo dello stereotipo: "Ho visto anche
degli zingari felici"... è bello sì, però nessuno vuole essere discriminato.
Bisogna stare attenti, perché è un po' come l'olocausto: il termine è sbagliato,
perché nessuno voleva morire. Non è che ci si volesse immolare per qualcosa.
Bisognerebbe parlare di genocidio. E allo stesso modo, non è che i Rom cerchino
la discriminazione, l'emarginazione: i Rom sono discriminati dal sistema. Ma non
c'è nessuno a cui piace vivere nel fango, o senza diritti. Quelli che vengono a
fare oggi in Italia i "nomadi", ieri nella ex Jugoslavia o in Romania avevano
tutti le loro case!
Noi Rom italiani abbiamo le case, non da adesso, da secoli! È la disinformazione
dilagante che vuole vedermi per forza o criminale, da una parte, oppure,
dall'altra, il rovescio della medaglia, vuole vedermi in quell'idea romantica
del Rom libero, che sta al di fuori delle istituzioni... tutte queste
stupidaggini! In realtà la cosa più difficile da far capire all'opinione
pubblica è che i Rom sono esseri umani normalissimi e che come tutti gli esseri
umani vogliono avere rispetto, diritti, vogliono vivere in pace con tutti.
Questo ci racconta la storia secolare dei Rom, all'eterna ricerca di uno spazio
vitale e invece costretti ad essere eterni migranti, perché scacciati da una
parte e dall'altra dell'Europa, perché non protetti dalla politica, perché non
rappresentati nelle istituzioni.
È facile prendersela con chi non può reagire! Ho visto delle trasmissioni
televisive che sono veramente dei crimini contro l'umanità! Trasmissioni dove
viene presentato il popolo Rom senza dare l'opportunità di esprimersi, dove
quindi viene influenzata l'opinione pubblica che diventa una vittima di questo
sistema. È chiaro che poi diventa molto difficile rivendicare i propri diritti!
Certi servizi giornalistici, certi articoli, sono, assieme ai campi nomadi, dei
crimini contro l'umanità.
Quindi la disinformazione è uno dei problemi maggiori che dovete affrontare?
I Rom non hanno spazio nei mass media, ma non è solo questo. Non c'è ad esempio
una valorizzazione dal punto di vista artistico-culturale. La musica che faccio
io è presente in Italia da oltre sei secoli. Chi la conosce? E questo ti fa
capire. Se provi a chiedere a un laureato di indicare un solo nome di un artista
Rom, di citare una poesia Rom, ti risponderà che non ne conosce. Il livello di
ignoranza è altissimo nei confronti dei Rom. Ecco perché poi gli stessi
intellettuali non esprimono solidarietà. È questa la differenza di De André: ha
mostrato solidarietà. Uno fra i primissimi e uno fra i pochissimi intellettuali
e artisti italiani che abbia mostrato solidarietà umana nei confronti delle
popolazioni Romanì indifese e discriminate. È questo il fatto straordinario. Per
questo per noi Rom De André è un alfiere d'amore e di pace. Io se avessi potuto
incontrarlo gli avrei stretto semplicemente la mano e lo avrei salutato
fraternamente alla maniera Rom: (pronuncia una frase in lingua Romanì)...
Noi allora ti salutiamo con le stesse parole, anche se non saprei proprio
pronunciarle...
(ridendo) ...il saluto lo estendo fraternamente a tutti gli ascoltatori. Queste
parole significano letteralmente: "Che possiate essere sani e fortunati". Perché
la salute e la fortuna sono due elementi importanti nella cultura Romanì. Nel
mondo Rom stare bene e non incappare in qualcosa di negativo, per una società
fortemente oppressa come quella Rom, è l'augurio più grande e più profondo che
si possa esprimere nei confronti di un congiunto. Io lo esprimo altrettanto
fraternamente alla famiglia di De André, alla sua memoria e a tutti quelli che
ci stanno ascoltando. Vi abbraccio forte e spero che questa musica di cui De
André si è fatto alfiere sia sempre più conosciuta, apprezzata e valorizzata.
(intervista realizzata via telefono nell'aprile 2007. Registrata presso gli
studi di Rete Italia - Melbourne. Andata in onda nell'ambito della trasmissione
radiofonica settimanale: "In Direzione Ostinata e contraria", dedicata ai
personaggi delle canzoni di Fabrizio De André)
In direzione ostinata e contraria
Con questa intervista a Santino "Alexian" Spinelli, prosegue la pubblicazione su
"A" di una parte significativa delle 27 interviste radiofoniche realizzate da
Renzo Sabatini e andate in onda in Australia nel programma "In direzione
ostinata e contraria" sulle frequenze di Rete Italia fra il maggio 2007 e
l’agosto 2008. In tutto si è trattato di sessanta puntate (ciascuna della durata
di circa quaranta minuti, per un totale di quasi 40 ore di trasmissioni), nel
corso delle quali sono state trasmesse le 27 interviste e messe in onda tutte le
canzoni di Fabrizio De André. Si tratta dunque della più lunga e dettagliata
serie radiofonica mai dedicata al cantautore genovese.
Se proponiamo questi testi, è innanzitutto per dare ancora una volta spazio e
voce a quelle tematiche e a quelle persone che di spazio e voce ne hanno poco o
niente nella "cultura" ufficiale. E che invece anche grazie all’opera del
cantautore genovese sono state sottratte dal dimenticatoio e poste alla base di
una riflessione critica sul mondo e sulla società, con quello sguardo profondo e
illuminante che Fabrizio ha voluto e saputo avere. Con una profonda sensibilità
libertaria e - scusate la rima - sempre in direzione ostinata e contraria.
Precedenti interviste pubblicate: a
Piero Milesi ("A" 370, aprile 2012), a
Carla
Corso ("A" 371, maggio 2012),
Porpora Marcasciano ("A" 372, maggio 2012),
Franco
Grillini ("A" 373, estate 2012),
Massimo ("A" 374, ottobre 2012).
Santino Spinelli
in arte Alexian, nasce a Pietrasanta (Lu) nel 1964.
È musicista, cantautore, insegnante, poeta e saggista.
Ha due lauree: una in Lingue e letterature straniere e l'altra in Musicologia,
entrambe conseguite presso l'Università degli Studi di Bologna.
Attualmente vive a Lanciano, in Abruzzo. Insegna Lingua e cultura romaní presso
l'Università di Chieti e con il suo gruppo, l'
Alexian group, tiene numerosi
concerti di musica romaní in Italia e all'estero.
Tra i suoi numerosi lavori discografici ricordiamo:
Romano Thèm - Orizzonti Rom (CNI - Compagnia Nuove Indie, 2007)
Andrè mirò Romano Gi, viaggio nella mia anima Rom (Ass. Thèm Romanó e Provincia
dell'Aquila)
Romano Drom - Carovana romaní (Ethnoword, Milano, 2002)
Dromos (Associazione Dromos, 2001)
Segnaliamo inoltre alcuni lavori di natura letteraria e saggistica:
Princkarang - Conosciamoci, incontro con la tradizione dei Rom Abruzzesi
(Editrice Italica, Pescara, 1994)
Baxtaló Divès (Collezione Interface, Centro di Ricerche zingare dell'Università
di Parigi, Consiglio d'Europa, 2002)
Baro Romano Drom - la Lunga strada dei Rom, Sinti, Kalé, Manouches e Romanichals
(Meltemi editore, Roma, 2003)
Per chi volesse approfondire la conoscenza con Santino Spinelli:
e-mail:
spithrom@webzone.it - telefono: 0872.66.00.99
sito ufficiale:
www.alexian.it