Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 20/02/2011 @ 09:20:51, in Italia, visitato 2152 volte)
Corriere della Sera BRESCIA - I VIGILI DEL FUOCO HANNO TOLTO LA
CORRENTE PER SLOGGIARE GLI ABUSIVI
Tommaso, 15 mesi, ha una malattia genetica. Staccata l'energia, si ferma la
macchina salvavita
Tommaso nella roulotte con i genitori (Cavicchi)
BRESCIA - Avete già sentito un bambino di un anno e tre mesi, quasi immobile,
emanare dei pigolii, come fosse un uccellino triste o ferito? Bisognerebbe
andare al campo sinti di via Orzinuovi per avvicinarsi all'angoscia di due
genitori che non possono far altro che asciugare la saliva emessa di continuo
dalle labbra del piccolo Tommaso quando gli manca il respiro. Cioè ogni due-tre
minuti. Ma ci vuole calma, per raccontare questa storia. Piove sulle roulotte
del campo nomadi, dopo il fuoco di lunedì sera. Il conflitto tra i nomadi e il
Comune non è una novità. Dopo una tormentata vicenda, l'amministrazione ha
investito 180 mila euro per bonificare un campo che costeggia il parco del fiume
Mella e ora, da una ventina di giorni, la situazione dei circa centoventi sinti
di Brescia (italiani da secoli) sembrava avviarsi verso un epilogo pacifico, con
la ghiaia pulita sul terreno, gli impianti idraulici ed elettrici a norma, le
fognature.
Restava una questione ancora in sospeso: quel terreno prevedeva sin dall'inizio
l'«abitabilità» per 15 famiglie. Rimanevano fuori cinque nuclei, corrispondenti
all'ampia famiglia Terenghi, ai quali il Comune ha offerto il trasferimento in
via Borgosatollo, dove è stanziata da anni la comunità rom. Proposta
inaccettabile, per gli interessati, per motivi ambientali (le famiglie rom
vivono ammassate). Non è escluso che gli stessi sinti temano anche una
convivenza non proprio pacifica con i rom e chiedono di lasciare che i Terenghi
rimangano con la propria comunità, anche se i patti non lo prevedevano. Insomma,
di fronte al persistente rifiuto del trasferimento, lunedì sera arriva
l'ultimatum, i vigili entrano nel campo e disattivano la corrente per punire i
morosi e quelli che non vogliono saperne di spostarsi. Č lì che i sinti non ci
pensano due volte e bruciano baracche, cassonetti e roulotte ai margini del
campo e creano uno sbarramento di fuoco. Il vicesindaco Fabio Rolfi parla di
problemi di sicurezza e ci tiene a precisare che si tratta di tutelare anche le
altre famiglie.
Ma nessuno avrebbe immaginato che il muro contro muro (e in particolare la
mancata corrente) avrebbe creato gravi problemi a due bambini malati che vivono
nella comunità sinti. Gabriel ha cinque mesi e soffre di una malattia cardiaca:
ieri, in seguito a complicazioni dovute al freddo, è finito in ospedale per
accertamenti e il padre si dice deciso a far causa al Comune. L'altro caso è
ancora più grave. Eccolo lì, il piccolo Tommaso, tra le braccia di mamma Fenni,
vent'anni, seduta sul salotto a fiori grigi, ancora avvolto dalla plastica. Al
suo fianco c'è papà Samuel, chiuso in un giubbotto scuro, trent'anni. Tommaso
soffre di una malattia genetica rarissima (solo 14 casi al mondo) che si chiama
H-ABC: quel che gli permette di sopravvivere è un sondino fissato a una narice e
a una macchina per l'ossigeno pronta all'occorrenza (cioè ogni mezz'ora).
Quando, lunedì sera, è mancata l'elettricità, il signor Marin ha dovuto
procurarsi con le buone o con le cattive un generatore portatile, e l'ha trovato
a San Zeno. Tra le braccia di sua mamma, continua a tossire sputando catarro:
pulirlo con un fazzoletto è ormai un gesto automatico che papà e mamma fanno
centinaia di volte al giorno. «Buono Tommaso, buono...».
Sulla porta della roulotte c'è un cartello scritto a mano: «Per piacere, non
salite con scarpe, tosse, febbre, bambini vi prego non ho più voglia di stare in
ospedale». Firmato Tommaso, che prega i bambini del campo di non entrare per non
procurargli infezioni. «Ogni venti giorni al massimo - dice Samuel - bisogna
ricoverarlo perché si prende l'influenza. Č nato così, non c'è guarigione, non
hanno ancora capito che cosa succederà». Purtroppo non è difficile sapere che
cosa succederà, leggendo i due soli studi specialistici che esistono sulla
H-ABC. Č una malattia degenerativa, che colpisce i gangli basali. «Non sappiamo
come crescerà, sappiamo che porta cecità, sordità e immobilità», dice mamma Fenni. Oggi in ospedale hanno cambiato il sondino. La storia della famiglia
Marin è presto detta: originari di Piacenza, hanno lasciato il campo della loro
città il mese scorso e si sono trasferiti qui perché l'ospedale di Brescia
dispone di mezzi più aggiornati: «Ora però vogliono mandarci via, perché siamo
residenti a Piacenza: è già partita l'ordinanza».
Scarpette blu da ginnastica, su cui non camminerà, felpa verde, Tommaso si
agita, pigola pigola, gira gli occhi al soffitto: «Me lo dice come possiamo fare
con un bambino così delicato? Ci sono notti che ci fa tribolare, bisogna sempre
tenerlo attaccato all'ossigeno, dieci giorni fa alle tre di notte aveva pochi
battiti, appena appena, era nero in faccia e all'ospedale ce l'hanno salvato».
Nove chili, i pugnetti sempre chiusi. Come gli altri sinti, anche Samuel si
arrangia andando a raccogliere ferraglia nei dintorni per rivenderla nei centri
di rottamazione. Oppure viene chiamato per svuotare qualche cantina in città.
Questo è tutto. I suoi antenati erano giostrai e circensi. «Con Tommaso ci
vogliono tanti soldi, ogni tanto dobbiamo andare a fare controlli a Milano e a
Padova». Il ministro spirituale del campo si chiama Renato Heric. Č un pastore
evangelico ed è fiero della sua comunità: «Il sindaco dice che usiamo i nostri
bambini per ricatto, venga qui a trovarci, per favore, venga a vederli». Tommaso
ha sonno. Mamma Fenni lo adagia nel lettone pieno di cuscini. Ci sono due
tubicini per l'ossigeno da infilargli nel naso e il saturimetro da fissare al
pollice con un cerotto. Ora può dormire.
Paolo Di Stefano - 17 febbraio 2011
Al
Corriere il giorno dopo non sarà sembrato vero, di aver trovato una storia
strappalacrime in cui buttarsi
BRESCIA - RIMANE ALTA LA TENSIONE DOPO LA RIVOLTA DELLA NOTTE DI SAN
VALENTINO
Il piccolo sinti che ha rischiato di morire: partita la gara di solidarietà
Un lettore del Corriere ha deciso di raccogliere i fondi necessari per
pagare le visite specialistiche al bambino
BRESCIA - Una raccolta di fondi per aiutare Tommaso, il bambino di 15
mesi che vive nel campo sinti di via Orzinuovi a Brescia e soffre di H-abc,
una malattia genetica rarissima. Il piccolo, che vive grazie a un sondino
fissato a una narice e a una macchina per l'ossigeno, sarà aiutato da un lettore
del Corriere della Sera che, commosso dalla storia di Tommy, ha deciso di
raccogliere i fondi necessari per pagare le visite specialistiche al bambino.
Intanto rimane alta la tensione dopo la rivolta della notte di San Valentino,
quando il Comune ha staccato la corrente elettrica mettendo a rischio la vita di
Tommaso, che vive proprio grazie al funzionamento di particolari macchinari. Non
solo. La famiglia Terrenghi (la più numerosa del campo) ha annunciato una
denuncia contro Fabio Rolfi, vice sindaco di Brescia: i sinti lo ritengono
responsabile del malore di un altro piccolo di 5 mesi cardiopatico ricoverato
dopo il black out ordinato dalla Loggia.
Ieri, grazie alla mediazione della Cgil è stato possibile riaprire il
tavolo delle trattative tra i sinti e l'amministrazione comunale. «La questione
- ha spiegato Damiano Galletti, segretario Cgil - riguarda 3 delle 5 famiglie
che il patto di cittadinanza vorrebbe spostare. Due hanno trovato sistemazione
in una casa popolare dell'hinterland e a Reggio Emilia. Le altre sono disposte
ad uscire liberando le piazzole a condizione che non ci sia alcun intervento
della forza pubblica e che la Loggia apra un tavolo di discussione sul loro
destino». Il patto firmato nei mesi scorsi prevedeva espressamente lo
spostamento dei 5 nuclei familiari. Ma ora i Sinti sostengono che il
trasferimento al campo di via Borgosatollo, fianco a fianco ai Rom, creerebbe
problemi di convivenza tra le due etnie.
G. Spa.
18 febbraio 2011
Di Fabrizio (del 21/02/2011 @ 09:22:46, in Europa, visitato 1706 volte)
Da
Hungarian_Roma
NewEurope I Rom in Ungheria di fronte alla perdita d'identità - Author: Cillian Donnelly
La prossima generazione di Rom. Mentre si prepara il Quadro per le Strategie
d'Inclusione Nazionale dei Rom, che dovrebbe essere presentato ad aprile, c'è
paura che venga erosa l'identità rom in Ungheria. Il governo ha fatto delle
Strategie d'Inclusione una delle priorità chiave dei suoi sei mesi di presidenza
UE. |
EPA/MIRCEA ROSCA
13/02/2011 - E' stato detto in un incontro al Parlamento Europeo che le
prossime generazioni di Rom in Ungheria sono in pericolo di perdere il loro
senso di storia e di identità.
"E' importante per i gruppi rom passare conoscenze ed esperienze ai più
giovani", ha detto la parlamentare ungherese Ágnes Osztolykán durante una
riunione del gruppo dei Verdi il 9 febbraio. "Ma in Ungheria, è abbastanza
diverso, non ci sono gruppi simili tra i Rom, ed è difficile trovare giovani
progressisti. I Rom ungheresi sono in una situazione più difficile degli altri
nell'Europa Centrale e del Sud-Est".
Osztolykán, portavoce per l'istruzione e la cultura di Lehet Más a Politika (LMP),
ha illustrato la situazione rom nel suo paese nativo durante un incontro di due
giorni in cui l'Ungheria e la sua politica, che detiene la presidenza
UE,
erano sotto scrutinio.
Le due più grandi sfide da affrontare per i Rom in Ungheria sono una maggiore
integrazione e combattere la crescita dell'estrema destra, entrambe devono
essere affrontate come parte di un più ampio sforzo della società civile. La
marginalizzazione dei Rom, spesso attraverso politiche di odio, hanno portato ad
una comunità più isolata e frammentata, nonostante gli sforzi politici.
Gli anni '90, dice Osztolykán, hanno visto la volontà in Ungheria di
stabilire un programma per l'integrazione sociale dei Rom, invece
dell'integrazione economica, facilitata dai donatori internazionali. Ci sono
stati, dice, "molti segnali positivi all'inizio", particolarmente
nell'istruzione, ma presto si sono spenti. Il denaro sembrava andare "nella
lotta alla crisi economica. Gli investimenti nell'insegnamento e nell'istruzione
non erano sufficienti".
Nel 2004 è stata progettata una nuova strategia rom, per cui a ciascun stato
membro UE viene richiesto di elaborare un piano d'azione. "Soltanto a quel punto
la gente ha iniziato a pensare all'integrazione economica", dice Osztolykán, "e
a cose come l'edilizia sociale. Sono state avviate diverse iniziative
comunitarie". Oggi, dice, il governo ungherese ha parlato molto di integrazione
rom, che giudica un "buon segno". Dice anche di essere "molto soddisfatta" per i
progressi in corso verso una strategia integrata dei Rom.
Tuttavia, dice, i problemi economici continuano ad incombere sui Rom. E'
importante riqualificare. "Abbiamo bisogno di insegnare la conoscenza. Molti Rom
hanno perso il lavoro, diversi settori industriali sono stati distrutti. Ora i
Rom sono tra il 10% più povero dell'Ungheria, nonostante qualche piccolo
movimento verso la fascia di ceto medio. Tuttavia, ci sono ancora "pochissimi
laureati". La questione dei progressi dalla scuola primaria al terzo livello è
qualcosa che ancora dev'essere esaminata.
L'ascesa dell'estrema destra in Ungheria, cominciata circa dieci anni fa,
provoca grandi preoccupazioni, non solo ai Rom, ma anche a chi è impegnato con
la politica, la società civile e l'attivismo, dice Ágnes
Osztolykán.
La destra radicale, aggiunge, è riuscita a "prendere il sopravvento" nel
dibattito sull'integrazione e a definire l'agenda, che è qualcosa su cui tanto i
parlamentari nazionali che quelli europei devono lavorare per porre rimedio.
Dice: "Sta a noi trovare una via di mezzo".
"Purtroppo, ci sono pochi Rom dentro la società civile in grado di parlare.
Da una parte c'è un clima di paura, ma c'è anche l'intenzione di aiutarli, di
porre fine alla discriminazione e alla marginalizzazione. Nel 2010, è stato
costruito un nuovo istituto a Budapest, allo scopo di porre queste persone
emarginate sulla mappa".
Di Fabrizio (del 21/02/2011 @ 09:32:59, in Italia, visitato 1629 volte)
Segnalazione di Sara Palli
PISA notizie - Botta e risposta tra il consigliere Scaramuzzino e
l’assessore Maria Paola Ciccone in Consiglio Comunale
Breve ma importante discussione ieri (giovedì 17 febbraio) in Consiglio Comunale
a Pisa sulla questione degli sgomberi dei campi rom nella nostra città. A porre
il problema e a chiedere chiarimenti con un question time è stato il
capogruppo in consiglio di Sinistra Ecologia e Libertà, Carlo Scaramuzzino.
Quest'ultimo nel suo intervento ha ricordato la tragedia dei bambini morti a
Roma citando le parole di preoccupazione espresse in questi giorni dal capo
dello Stato, Giorgio Napolitano, in seguito a tale episodio.
"Chiediamo al Sindaco - spiega Scaramuzzino nella sua illustrazione - se
considera giunto il momento per affrontare in sede consiliare una discussione
complessiva sulla presenza dei cittadini rom nel nostro territorio, così come da
lui stesso proposto nei mesi scorsi, in occasione di risposte date a
interpellanze su fatti di cronaca che hanno coinvolto la popolazione rom. E se
ritiene di poter soprassedere alla decisione di dare seguito agli sgomberi, in
attesa dello svolgimento della seduta consiliare, nel corso della quale
potrebbero essere esaminate soluzioni eque e solidali per le popolazioni rom in
difficoltà".
Vista l'assenza del sindaco a causa di una indisposizione fisica, a rispondere
al question time è l'assessore alle politiche sociali Maria Paola Ciccone. La
risposta dell'assessore appare però molto risentita e polemica nei toni e nei
contenuti per le questioni sollevate dal consigliere comunale.
"Esprimendo il mio dispiacere per quanto avvenuto a Roma, voglio ricordare che
il comune di Pisa è uno dei pochi in Italia che ha messo a disposizione delle
famiglie Rom 400 alloggi, cose che pochi comuni hanno fatto. Pisa non è quindi
una città a cui si possono fare lezioni di accoglienza".
"Per primi - prosegue l'assessore - abbiamo denunciato le condizioni di vita dei
campi abusivi in cui non si rispetta il diritto minimo alla salute dei bambini.
Mantenere questi campi significa negare i diritti dell'infanzia".
Rispetto agli imminenti sgomberi, l'assessore precisa: "Stiamo facendo
rispettare l'ordinanza fatta dal sindaco nel dicembre del 2009 e così chiuderemo
in modo graduale gli insediamenti della Bigattiera e di via Maggiore di Oratoio,
come previsto dal protocollo d'intesa triennale siglato un anno fa da Regione e
Comuni della Zona Pisana. E continueremo a smantellare i nuovi accampamenti che
sorgeranno sul territorio comunale perché sono luoghi pericolosi per la salute e
la sicurezza di chi ci vive".
"Parallelamente - conclude la Ciccone - proseguiremo anche il lavoro con la
Regione perché è importante che tutti facciano la loro parte per quanto riguarda
l'accoglienza: a Pisa lo abbiamo già fatto ampiamente negli anni passati e
continueremo a farlo. Ma non possiamo continuare da soli: se non si attivano
anche gli altri, continueremo a essere il polo attrattore di ulteriori nuovi
arrivi".
Per nulla soddisfatto delle risposte avute si dichiara il consigliere di Sel che
nella sua replica afferma: "Tutte le mie domande sono state eluse. Avevo chiesto
chiarimenti precisi riguardo al fatto se il sindaco, così come aveva annunciato
negli scorsi mesi, fosse intenzionato ad affrontare la questione in un consiglio
comunale ad hoc e quando questo si sarebbe svolto, ma al riguardo l'assessore
non ha detto nulla, come nulla ha detto rispetto alle modalità di sgombero e
agli interventi da parte dei servizi sociali nei confronti di coloro che abitano
in questi campi che sarebbero stati predisposti".
"Il mio question time - conclude Scaramuzzino - è stato eluso dall'assessore che
ha fatto una storia degli investimenti del comune di Pisa e del programma Città
Sottili, che noi tra l'altro abbiamo sempre difeso da chi lo voleva chiudere, e
non posso che prenderne atto".
Questo dibattito si intreccia anche con quanto avvenuto nella giornata di
mercoledì in Consiglio Regionale con l'approvazione di una mozione da parte di
tutti i partiti della maggioranza in cui si impegna la Giunta stessa a
"predisporre un piano, corredato dalle risorse necessarie, per attivare ogni
strumento utile a superare le attuali condizioni di pericolo e di degrado in cui
versano uomini, donne e bambini di etnia Rom soggiornanti sul territorio
toscano".
Soddisfazione è stata espressa al riguardo da parte di Rifondazione Comunista di
Pisa per tale mozione e sulla base di questa si chiede una discontinuità da
parte dell'amministrazione comunale di Pisa rispetto a come è stata fino ad ora
affrontata la questione della presenza della comunità rom nel nostro territorio.
"Purtroppo alcune amministrazioni toscane, negli ultimi anni - afferma il
segretario provinciale del Prc, Luca Barbuti - non hanno saputo resistere alla
facile politica della "sicurezza", hanno creato e risolto falsi allarmi come
quelli delle "invasioni" di nomadi e le politiche degli sgomberi hanno preso il
sopravvento anche nelle nostre città e dintorni. Ma finalmente oggi il consiglio
regionale della toscana, con un documento a firma di tutti i capigruppo di
maggioranza, ha ristabilito quella dignità e umanità che ha sempre
contraddistinto l'istituzione regionale".
"La Regione Toscana ha preso finalmente l'iniziativa sulla situazione dei Rom -
prosegue Barbuti - e approvando il documento consiliare, si è impegnata per
un'integrazione di queste persone. L'auspicio è che quello della Regione sia un
esempio che tutte le istituzioni locali che sino ad oggi si erano lasciate
trascinare dal "leghista pensiero" riflettano su cosa sta producendo la politica
dell'espulsione, dello sgombero nel nostro paese e recuperino quella guida
sociale, quella solidarietà e dovere legislativo che compete a chi fa parte di
una comunità come quella Toscana storicamente dedita all'accoglienza, alla
solidarietà, al rispetto dei diritti umani".
Da qui la federazione pisana del PRC rivolge un forte appello
"all'amministrazione del Comune di Pisa, che negli ultimi mesi ha abbandonato
questo senso di civiltà effettuando continui sgomberi nei campi di periferia. La
speranza a questo punto è che, conseguentemente all'impegno assunto dalla
Regione Toscana, l'amministrazione Filippeschi, sospenda gli sgomberi e tramite
la Società della salute e il coinvolgendo dei tanti soggetti, primi tra tutti la
comunità Rom che nel recente passato hanno contribuito al soddisfacente successo
dei progetti di integrazione, si faccia trovare pronta a riattivare i percorsi
di inclusione sociale quando la Regione avrà predisposto il piano".
Di Fabrizio (del 22/02/2011 @ 09:12:04, in Europa, visitato 1658 volte)
Da
Roma_Daily_News
17/02/2011 - Un gruppo di 93 Macedoni sono tornati giovedì dalla Francia,
dopo che lì era stato negato loro l'asilo, lo riporta la stazione privata TV Alsat.
Il gruppo, Macedoni di origine albanese e rom, è stato rimandato
all'aeroporto della meridionale città di Ohrid, prima di essere riportato alle
loro case, recita il rapporto.
I richiedenti asilo, intervistati dalla TV, hanno detto di aver cercato
lavoro in Francia, la maggior parte illegalmente, prima di essere deportati dopo
che la loro richiesta di asilo si era dimostrata senza basi.
Il gruppo è stato il primo di questo genere ad essere ritornato dalla
Francia.
Settimana scorsa, un gruppo di 60 persone a cui era stato negato
l'asilo in Germania, ha cercato di attaccare e prendere a male parole un gruppo
di giornalisti che seguiva il loro arrivo all'aeroporto di Skopje.
Da quando l'Unione Europea ha abolito l'obbligo di visto per Serbia,
Macedonia e Montenegro nel dicembre 2009, alcuni stati membri UE, cioè Svezia,
Belgio e Germania hanno registrato un incremento di richiedenti asilo da questi
paesi, soprattutto di etnia rom e albanese.
La Commissione Esecutiva Europea ha ammonito Serbia e Macedonia che
potrebbero perdere i privilegi di circolazione senza visto, se non fermeranno
questo afflusso.
La Germania ha anche deportato 36 persone a dicembre, quando la UE ha esteso
gli stessi diritti ad Albania e Bosnia, ma con uno stretto sistema di
monitoraggio e la possibilità di sospendere i privilegi in caso di abuso.
© 2010 AFP
Di Fabrizio (del 22/02/2011 @ 09:42:35, in Italia, visitato 1994 volte)
Buongiorno,
Le invio un comunicato del "Gruppo di confronto e ricerca sulle politiche locali
per i gruppi zigani in Europa" nato all'Università di Milano Bicocca in risposta
a quanto affermato dal Ministro degli Interni Roberto Maroni alla puntata del
13/02/2011 del programma "Che tempo che fa" .
Cordialmente,
Alice Sophie Sarcinelli
Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales, Paris
Nella puntata di "Che tempo fa?" del 13/02/2010, il Ministro degli
Interni Roberto Maroni ha affermato di aver firmato il piano sviluppato dal
Comune di Milano secondo il quale "lo sgombero c'è quando c'è una soluzione
alternativa". Egli si è detto "garante della buona attuazione di questo piano".
Come ricercatori sul campo, siamo a diretta conoscenza della concreta situazione
relativa agli sgomberi delle baraccopoli costruite a Milano dai rom immigrati
dall'Europa sud-orientale. Quanto è stato affermato dal Ministro degli Interni
Roberto Maroni non trova alcun riscontro di realtà. Al contrario, nella maggior
parte dei casi gli sgomberi, che sono ciclici e reiterati, avvengono in assenza
di alternative abitative e senza il rispetto dei diritti fondamentali. Esemplari
sono i ripetuti sgomberi delle famiglie che ruotano attorno al quartiere
Feltre/Lambrate. Il primo, in data 19/11/2009, prevedeva di separare gli uomini
da donne e bambini, e le madri dai figli maggiori di sette anni. Le famiglie
sono rimaste in strada, sotto la pioggia, mentre alcuni bambini e anche alcune
famiglie sono stati ospitati per qualche giorno da maestre e cittadini del
quartiere. Lo stesso campo (con le stesse famiglie) è stato sgomberato a inizio
settembre 2010, a pochi giorni dall'inizio delle scuole, che la maggior parte
dei minori che vi abitavano frequentano. Dopo molte negoziazioni, alle famiglie
rom è stata proposta una soluzione temporanea, che tuttavia prevedeva di
separare gli uomini da donne e bambini. Solo una percentuale inferiore al 20%
delle madri che avevano fatto esplicitamente richiesta scritta è stata ospitata
per un breve periodo in alcune strutture pubbliche o convenzionate di
accoglienza. Queste famiglie hanno passato gli ultimi due inverni a subire
sgomberi, vivendo in strada: alcuni bambini hanno subito 20 sgomberi in un anno.
Nella stragrande maggioranza dei 170 sgomberi effettuati nel corso del 2010
nessuna alternativa è stata offerta, e sul luogo non erano presenti i servizi
sociali. Lo sgombero dei rom è un trattamento differenziale nel duplice senso
che è rivolto a una popolazione in particolare, e che aumenta e produce le
differenze.
Riteniamo di estrema importanza reagire a quanto detto affinché il Ministro
degli Interni si faccia davvero garante della buona attuazione del piano da lui
firmato, garantendo il rispetto dei diritti fondamentali di tutte le persone.
A nome del Gruppo di confronto e ricerca sulle politiche locali per i gruppi
zigani in Europa
Laura Boschetti Institut d'Etudes Politiques de Grenoble
Raffaele Mantegazza, professore associato Università degli Studi di Milano
Bicocca
Chiara Manzoni, Università degli Studi di Milano Bicocca
Oana Marcu, Università Cattolica di Milano
Greta Persico,Università degli Studi di Milano Bicocca
Andrea Rampini, Codici Agenzia di Ricerche
Alice Sophie Sarcinelli, Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales
Tommaso Vitale, Sciences Po
Di Fabrizio (del 22/02/2011 @ 09:56:38, in Italia, visitato 1587 volte)
Dei rom e dei sinti (non chiamiamoli zingari) abbiamo da sempre due opinioni,
entrambe sbagliate: tutti straccioni, oppure intrisi di colore romantico.
Pensate al rossiniano "stuol di zingarelle" del Turco in Italia. Un
compiacimento che affiora ancora di tanto in tanto. Prevale, però, la visione
degli zingari "brutti, sporchi e cattivi" che a Pino Petruzzelli, attore e
regista, direttore del centro teatro Ipotesi di Genova, non piace. Petruzzelli
ha così deciso, diversi anni fa, di mettersi sulla strada dei rom per capirli.
Per anni ha visitato i loro campi, ha stretto loro la mano, e ne ha raccolto le
storie. Tutto è finito in Non chiamarmi zingaro, edito da Chiarelettere
(pagine 228, euro 12,60), che è il taccuino vivido e appassionato di questo
singolare viaggio.
Cosa l'ha spinto a questo nomadismo culturale?
"Mi sembrava interessante capire come mai di questo popolo si conosca soltanto
una sfaccettatura negativa: i furti, il nomadismo... Ho voluto comprendere
cosa c'è dietro, partendo da una frase di Eduardo De Filippo. Diceva: 'Un uomo
vivo non ruba per morire, ma ruba per vivere'. Me ne sono occupato per circa
cinque anni, girando l'Italia e l'Europa, per conoscere questo mondo così
sconosciuto. In libreria c'era e c'è ancora poco, se non qualcosa per gli
addetti ai lavori. E girando ho scoperto tante cose".
Chi sono, allora, gli zingari?
"Un popolo né migliore né peggiore di tutti gli altri popoli che colorano questo
nostro mondo. Hanno problemi con cui devono confrontarsi quotidianamente.
Vivere in un campo, per i sinti o per i rom italiani, non è semplice. Non è un
campeggio, vivere venti anni in situazioni così estreme è drammatico. In
Italia c'è il grande equivoco che i rom siano nomadi geneticamente, e infatti
siamo l'unica nazione al mondo che ha messo in piedi i campi nomadi. In tutto il
resto del mondo vivono in appartamenti, e solo se sono estremamente poveri
finiscono in una baracca, come finiscono così anche i non rom poveri delle
periferie delle grandi metropoli. Forse anche in buona fede si è pensato così.
Negli anni '70 si diceva: sono nomadi, quindi, facciamo un campo per loro... ".
Č la condizione di disagio in cui vivono che crea la diversità...
"Sicuramente. I rom hanno una storia molto simile a quella del popolo ebraico,
ma nessuno si sognerebbe di dire che un ebreo è un nomade. Invece, nel caso
degli zingari, una storia di continue persecuzioni ha creato il nomadismo, a
iniziare dal Cinquecento quando – mi riferisco alla Serenissima – si poteva
uccidere uno zingaro senza scontare alcuna pena".
I rom entrano nella storia, ma quella degli altri. Sembra un popolo senza
storia: non ha avuto la possibilità di scriverla?
"Hanno una storia tramandata in maniera orale. La nostra è una cultura che ha
scritto, così sappiamo soltanto quello che noi abbiamo scritto di loro. Oggi
sarebbe importante conoscere meglio questa loro storia e la loro cultura per
provare a vivere insieme nel rispetto di regole reciproche. Su questo dovremmo
lavorare tutti, e naturalmente anche i rom".
Lei non è zingaro. Usando una loro espressione è un gagé. Non crede che la
parola sia discriminante almeno quanto la parola zingaro? C'è anche da parte
loro una forma di discriminazione?
"Gagé è l'equivalente del nostro zingaro. Effettivamente racchiude tutto ciò
che non va bene, in un'accezione abbastanza negativa".
Da dove nasce il solco tra noi e loro, o, se preferisce, tra loro e noi gagé?
"Le radici sono nel Cinquecento. Il fatto che si spostassero ha creato grossi
problemi. La nostra società invece si fa sedentaria, sicché loro, con i
continui spostamenti, rappresentano un problema. Le persecuzioni iniziano
proprio in questo periodo. Vivono in un continuo terrore verso il mondo gagé.
Nutrono la stessa paura nei nostri confronti. E hanno anche buone ragioni per
temerci. Guardando indietro nella storia, gliene abbiamo fatte di tutti i
colori: da ultimo i campi di sterminio nazisti in cui sono morti a migliaia".
Prenda De André: "Con le vene celesti dei polsi anche oggi si va a caritare".
Č il verso di una sua bella canzone. Non crede però che continui ad offrire
un'immagine romantica del mondo rom? Caritare rientra nella cultura?
"No, certo, ma caritare è ben diverso da rubare. Anche il furto va capito. Chi
pensa che sia facile per un giovane rom trovare un lavoro anche da cameriere in
un bar sbaglia. Diventa difficile venir fuori da una situazione complicata, come
un campo rom. Ciò non giustifica il furto, è solo un voler capire cosa c'è
dietro".
Lei, nel suo nomadismo culturale, ha incontrato tanta gente che si è integrata.
Come è possibile l'integrazione?
"In Italia ci sono tantissimi rom e sinti che ci sono riusciti, nascondendo
però la loro origine, per non essere discriminati. L'integrazione comincia con
i bambini, e nelle scuole i bambini rom e gagé giocano tra loro. Scuola però non
significa entrare in un campo e imporla. Va capito un meccanismo: agli occhi di
una società in cui il padre rappresenta la massima autorità, l'imposizione
della scuola va a minare questo suo prestigio. Un approccio sbagliato ha
soltanto un risultato: quel bambino non dovrà andare a scuola. Non si può da
elefanti entrare in una vetreria. In molti, comunque, frequentano la nostra
scuola. In tanti la lasceranno dopo le medie, ma questo avviene anche tra i
ragazzi... gagé".
Lei, da autore di teatro, ha preso qualcosa dai rom?
"Il mio lavoro è nomade: stare qui e domani là, oppure prendere da questo o da
quell'autore. Ho imparato che il bello di tutti i lavori sta nel farli.
Nell'arte conta più la persona, l'autore dell'opera, che il risultato finale.
Questo a me piace: è un rispetto dell'essere umano, perché non tutti i
musicisti e i commediografi diventeranno Mozart o Shakespeare. Però hanno
vissuto come se lo fossero. Gli zingari la pensano così".
Giovanni Ruggiero
Di Fabrizio (del 23/02/2011 @ 09:39:24, in Italia, visitato 1795 volte)
Leggere anche
QUI (17 ottobre 2010),
QUI (27 gennaio 2011) e
QUI (6 febbraio 2011)
Oggetto: incontro comitato intersettoriale venerdì 18 febbraio pv.
Egregio Sig. Sindaco,
in riferimento all'invito pervenutoci telefonicamente per il tramite
dell'assistente sociale in servizio presso l'istituzione dei Servizi Sociali del
Comune di Lecce, Le comunico che non presenzieremo all'incontro.
La proposta di contributo comunale dell'ammontare di Euro 500 non ci permette di
risolvere il problema abitativo in quanto non è una cifra sufficiente ad
acquistare delle roulotte ignifughe a norma di legge.
Questa cifra è stata sufficiente in passato perché coloro che hanno occupato i
16 prefabbricati hanno venduto per 500 euro al comune alcune roulotte ancora in
buone condizioni.
Consci che il comitato intersettoriale non ha poteri decisionali all'interno
dell'amministrazione comunale ma che si tratta di un organismo puramente
consultivo e di razionalizzazione dell'agire amministrativo, rimaniamo in attesa
di essere ricevuti in delegazione dalla S.V. ed insieme ad una rappresentanza di
associazioni che in questi anni hanno seguito le vicende del campo rom panareo.
Sono trascorsi più di quindici anni dal nostro arrivo nella città. Non siamo
nomadi, non lo siamo mai stati. Non possiamo ritornare a vivere nelle roulotte e
nel degrado nel quale il campo si trova.
Stante la disponibilità di altri enti e di associazioni di sostegno ad
individuare delle strategie di superamento della condizione di estrema
emarginazione sociale ed urbana nella quale viviamo, chiediamo di poter essere
ascoltati e di poter trovare insieme una speranza di soluzione.
Siamo consci che le diverse problematiche non sono risolvibili nell'immediato,
siamo consci altresì che il Comune di Lecce non può farlo da solo, perciò
chiediamo di allargare a quei soggetti che si sono resi disponibili.
Tamponare oggi un'emergenza più che annunciata, non risolve i problemi sanitari
e abitativi del campo e soprattutto quanto durerà?
Altri quindici anni?
Non possiamo non dare un futuro più dignitoso ai nostri figli, nati e cresciuti
qui a Lecce.
Segnaliamo, infine, che l'aria del campo è fortemente malsana, irrespirabile a
causa del continuo fluire delle fogne e della mancata raccolta della spazzatura.
Constatiamo con dispiacere che di fronte ai diversi problemi strutturali e
sociali che presenta il campo, più volte da noi denunciati in tutti questi anni,
non ci si è attrezzati politicamente per ricercare soluzioni capaci di garantire
un'effettiva inclusione sociale. Le Istituzioni si sono mosse solo sulla scia
delle infinite emergenze che la stessa situazione di vita in un campo
ripropone sistematicamente. Questo modo di operare si è rivelato, di fatto,
infruttuoso, visto che l'unico
risultato è stato quello di spostare le "risoluzioni" a qualche anno più avanti,
senza di fatto mai iniziare alcun processo di emancipazione.
Per questi motivi rimaniamo in attesa di un cortese confronto con la S.V. per
avviare un dialogo, che ci auguriamo sia costruttivo e proficuo, capace di
affrontare con una prospettiva politica di medio e lungo termine la questione
dell'inclusione sociale. Auspichiamo che esista la volontà politica di avviare
un percorso concertato in grado di superare definitivamente l'approccio
emergenziale con cui sino ad oggi ci si è mossi rispetto al campo.
Ai fini, inoltre, dell'incontro previsto venerdi p.v., ci scusiamo e chiediamo
cortesemente di voler far mettere a verbale la presente lettera.
In attesa di cortese riscontro, porgiamo cordiali saluti.
Lecce, 17.02.2011.
Benfik Toska
(Rappresentante Campo Sosta Panareo - Lecce)
Tel. 328.9447057
Al Sindaco del Comune di Lecce
Paolo PERRONE
Al Direttore dell'Istituzione per i servizi Sociali del Comune di Lecce
Antonio CARPENTIERI
Ai Componenti Commissione Intersettoriale dell'Amministrazione Comunale di
Gestione dell'Area Sosta Attrezzata per Comunità Rom
Dirigente del Settore Servizi Sociali, Dirigente del Settore Educazione,
Formazione e Lavoro,Dirigente del Settore Lavori Pubblici, Dirigente del Settore
Igiene, Dirigente del Settore Randagismo, Dirigente del Settore Urbanistica,
Dirigente del Settore Polizia Municipale, Equipe socio-assistenziale referente
dell'area di sosta
Componenti la V^ Commissione
Sevizi sociali, pari opportunità, emarginazione ed emigrazione, politiche della
casa, problematiche giovanili, associazioni, problematiche del lavoro, emergenza
abitativa.
Roberto MARTELLA, Corrado DE RINALDIS, Carlo BENINCASA, Marcello CANNONE,
Antonio LAMOSA, Massimo LANZILAO, Francesca MARIANO, Antonio PELLEGRINO, Stefano
PORCARI, Paola POVERO
Di Fabrizio (del 24/02/2011 @ 09:36:24, in Italia, visitato 1637 volte)
Repubblica Il Comune ha trasferito i rom un anno fa, ma rimane il degrado
- di CECILIA GENTILE
Degrado e rifiuti dopo lo sgombero del campo nomadi
Sedie di plastica, materassi, scarpe, rami secchi, bottiglie, cibo per gatti. Un
water, tante carrozzine, tavolacci, schermi di vecchi computer, calcinacci,
carcasse di auto. C'è di tutto nelle montagne di rifiuti davanti all'ingresso di
quello che fino ad un anno fa era il Casilino 900, il campo rom più grande
d'Europa.
Il sindaco Gianni Alemanno celebrò lo sgombero del febbraio 2010 come l'inizio
di una nuova era. La rimozione di quella indecente baraccopoli avrebbe
consentito la realizzazione del parco di Centocelle ed inaugurato la progressiva
scomparsa degli insediamenti abusivi. "Vogliamo che entro quest'anno non
esistano più campi nomadi abusivi e tollerati e tra qualche anno neanche gli
altri", diceva Alemanno durante il lavoro delle ruspe. E ancora prima, quando
nel giugno 2009 il Comune installò gli allacci della luce nell'insediamento, il
sindaco dichiarava: "I lavori portati a termine a Casilino 900 resteranno a
disposizione dei cittadini che, una volta completata la chiusura del campo
prevista per fine anno, avranno un parco pubblico attrezzato dotato di
illuminazione".
Ma un anno dopo, il parco di Centocelle non esiste e i 700 rom sgomberati dal
Casilino 900 vivono appiccicati ai nomadi dei villaggi attrezzati esistenti,
contendendosi spazi e servizi in condizioni di estremo degrado. Nella gigantesca
area un tempo occupata dalle case di fortuna di bosniaci, montenegrini e serbi,
adesso ci sono un'altissima foresta di erba secca, siringhe vecchie e nuove
sparpagliate tra campi e sentieri, cumuli di rifiuti. Un altro monumento al
degrado e all'abbandono, che rischia di essere rioccupato da un momento
all'altro dai nomadi sgomberati e furiosi. Qualcuno che ci vive dentro c'è già.
Ad appena pochi passi dall'ingresso principale malamente chiuso con un muretto
basso di cemento e una cancellata arrugginita che è stata forzata, c'è una
costruzione in mattoni con un'entrata ad arco, dove sono accumulati materassi e
coperte. Tutt'intorno, i resti evidenti di toilette improvvisate.
"Ormai abbiamo capito che sindaco e giunta non hanno alcun interesse a
realizzare il parco di Centocelle - dichiara il presidente del VII municipio
Roberto Mastrantonio - Il 19 dicembre 2010 una delibera del consiglio comunale
ha rimodulato i fondi per Roma Capitale definanziando il secondo stralcio di 18
ettari del parco, per il quale erano stati stanziati quattro milioni e 200 mila
euro. Una gran parte di quei fondi, pari a tre milioni, sono stati utilizzati
per realizzare la Prenestina bis, che era una promessa elettorale di Alemanno".
Il parco archeologico di Centocelle venne deciso dalla prima giunta Rutelli nel
1993. Il consiglio comunale ne ha adottato il piano particolareggiato con le
controdeduzioni il 31 gennaio 2005. La regione Lazio lo ha approvato il 20
ottobre 2006. Ma fino ad ora, dei complessivi 110 ettari, ne sono stati aperti
al pubblico soltanto 33, all'epoca del sindaco Veltroni. "Il secondo stralcio
definanziato - racconta il presidente Mastrantonio - interessa la cosiddetta
area del "Canalone", dove un tempo c'era l'insediamento del Casilino 700, anche
quello sgomberato, e prevedeva anche un'area servizi con un teatro, piste di
pattinaggio e un gazebo per la guardiania. Ma adesso siamo di nuovo all'anno
zero".
(20 febbraio 2011)
Da
Roma_Francais
Nordéclair.fr par
FLORENCE TRAULLE'
Documenti inediti tracciano nuovamente la storia delle deportazioni razziali
commesse nel Nord Pas-de-Calais durante l'occupazione. Un lavoro di ricerche su
iniziativa di amici della fondazione per la memoria della deportazione e del
museo della resistenza di Bondues.
La più giovane aveva quattro settimane, il più anziano 81 anni. Arrestati nella
regione, sono stati imbarcati a bordo del convoglio Z, partiti dal campo di
transito belga di Malines, direzione senza ritorno: Auschwitz, Pologna. Era il
15 gennaio 1944. A bordo di questo treno, 351 persone, di cui quasi la metà
bambini, ebrei ma anche tzigani. "Siamo l'unica regione di Francia nella quale
ci sono state deportazioni di tzigani. Un triste privilegio..." constata Odile
Louage, presidente degli Amici della Fondazione per la Memoria della
Deportazione, e ugualmente presidente dell'associazione Ricordo della Resistenza
e dei Fucilati del Forte di Bondues, la quale percorre nuovamente la storia di
queste famiglie schiacciate dal sistema nazi.
47
TZIGANI ARRESTATI A ROUBAIX
Altrove, le famiglie tzigani sono rimaste nei campi installati sul territorio
francese.
Perché il Nord Pas-de-Calais andò oltre nell'orrore? "Non lo sappiamo ancora"
riconosce Monique Hennebaut, uno storico che si è chinata prima sulla storia
della deportazione degli ebrei nel Douaisis prima di scoprire che gli zigani
della zona erano stati assassinati nei campi della morte. Colpa
dell'affiliazione del Nord Pas-de-Calais al commando tedesco? Può darsi.
Erano cestai, giostrai, stagionali, artisti del circo, musicisti... "La maggior
parte parzialmente sedentarizzati" precisa Monique Heddebaut "e avevano quasi
tutti lo stesso itinerario". Ha trovato la traccia di 47 zigani arrestati a
Roubaix. Vivevano in via Edouard d'Anseele, via Pierre de Roubaix. C'era stata
anche la famiglia Lagrenée (leggere pag. 3), arrestata a Pont-de-la-Deule nel
Douaisis. Quindici deportati, solo tre sopravvissuti. Poi questa famiglia di
Poix-du-Nord, giostrai ancora. "Un giorno, dopo una conferenza che avevo data
sulla deportazione degli zigani della zona, un signore è venuto a vedermi,
ricorda Monique Heddebaut. Era di Poix-du-Nord. Mi ha raccontato il ricordo di
una roulotte che era rimasta sul ciglio della strada durante anni. Dopo la
guerra, pensava che i suoi proprietari sarebbero venuti a riprenderla. Aveva
finalmente capito perché era rimasta lì..."
UN SOLO MONUMENTO COMMEMORATIVO PER GLI ZIGANI DELLA ZONA
La deportazione degli tzigani della zona resta una macchia nera della nostra
storia. E' sempre mal conosciuta e i lavori degli storici che hanno lavorato per
l'esposizione virtuale presentata dal museo della resistenza di Bondues, colmano
questa lacuna. E' rivelatore che, nella zona, un solo monumento commemorativo
sia stato eretto per ricordarsi di questi zigani, allorché "ci sono 27 o 28
monumenti o targhe in memoria di ebrei o giusti" cifra Odile Louage. Niente a
Roubaix per 57 persone arrestate. Possiamo meravigliarci.
A Malines, questo campo di raggruppamento in Belgio, tramite il quale sono
transitati la maggior parte degli ebrei deportati, i sopravvissuti hanno fatto
installare una targa per gli tzigani, loro fratelli di dolore e di sfortuna.
"Nella zona, abbiamo aiutato e nascosto dei bambini ebrei" ricorda Odile Louage,
tra l'altro assistente di storia che ha insegnato fino ad andare in pensione in
classi preparatorie al liceo Faid'herbe di Lille "ma non abbiamo fatto nulla per
i bambini tzigani". La fondazione per la memoria della deportazione non fa
nessuna esclusiva, nessuna distinzione nell'orrore: ebrei, partigiani, tzigani,
omosessuali, hanno in comune la loro sorte.
UN GIORNO E' TROPPO TARDI
Di queste scomparse, Monique Heddebaut parla con commozione. Ha ritrovato tracce
dei decreti di 1940, i quali vietavano ai nomadi di circolare. "Poi ci fu
un'escalation". L'estate scorsa, quando i rom si trovarono tra i fuochi della
comunicazione governativa, Monique Heddebaut ha risentito un profondo malessere.
"Siamo nel 2010 non nel 1940, ma attenzione, ci sono alcuni atteggiamenti che
non si possono tollerare."
Cita quest'altro storico che ha lavorato su le popolazioni rom di Ungheria,
Romania, Repubblica Ceca, la quale ha sentito dire là, inorridita: "bisognerebbe
gasarli"...
Monique Heddebaut dice ancora: "Il problema è l'escalation. Un giorno, è troppo
tardi."
Antoine Lagrenée, è un bambino rom arrestato e deportato qui.
Aveva 14 anni. Come altre 14 persone della sua famiglia, Antoine Lagrenée è
stato deportato perché tzigane. Arrestati dai tedeschi con l'aiuto della polizia
francese, solo tre di loro ritornarono dai campi nel 1945.
E' oggi un signore di 80 anni, con l'udito un po' difettoso, e dallo sguardo che
sfugge talvolta nel vago. Nel gennaio 1944 Antoine Lagrenée ha quasi 14 anni.
Vive a Pont-de-la-Deule vicino a Douai, dove la sua famiglia è arrivata dopo una
lunga epopea. Una vita di viaggiatori come quella di tanti altri. Lo storico
Monique Heddebaut non ha trovato tracce scritte di questi arresti. E' giusto
riuscita ha tirare fuori dagli archivi delle schede d'arresto, redatte a
posteriori. Sa che questi arresti sono stati compiuti dall'occupante tedesco con
"l'aiuto della polizia francese, la quale in zona rendeva sicuri i luoghi mentre
i tedeschi intervenivano per gli arresti."
Antoine Lagrenée ha una memoria discreta, il verbo scarso. Parla con poche
parole della sua liberazione, "l'11 aprile 1945". Dopo essere transitato nel
campo di Malines in Belgio e Auschwitz (il convoglio vi arrivò il 17 gennaio
1944) è inviato a Buchenwald. Antoine Lagrenée viveva nel blocco 31 di questo
campo di lavoro, vicino a Weimar in Germania. "Abbiamo avuto la fortuna di stare
in un blocco molto organizzato dai partigiani francesi" ricorda. Monique
Heddebaut che conosce bene Antoine, racconta anche "che un maestro che si
trovava nello stesso blocco, faceva lezione ai bambini."
Antoine Lagrenée è sopravvissuto, malgrado la sua giovane età, nell'inferno di
Buchenwald. "Siamo stati liberati dagli americani, ma prima ancora dai deportati
stessi" precisa. Secondo le valutazioni di Monique Heddebaut, 148 tzigani sono
stati deportati dal Nord Pas-de-Calais. Ne ha contati 351 arrestati in Belgio,
anche loro inviati verso i campi della Polonia e della Germania. Ma confessa di
non essere certa che non ce ne siano altri. Il lavoro degli storici non è ancora
concluso.
ESPOSIZIONE VIRTUALE A BONDUES
E' lì dove 68 persone della zona sono state fucilate, tra 1943 e 1944 che il
museo della resistenza di Bondues ha installato delle postazioni, presentando
documenti inediti sulle deportazioni razziali dell'ultima guerra mondiale. La
maggior parte sono inediti. I documenti sono stati affidati dalle famiglie agli
storici, i quali hanno lavorato con il museo della resistenza di Bondues. Ci
sono anche fondi degli archivi propri del museo, documenti tratti da archivi
dipartimentali, da quelli della caserma Dossin, del museo ebraico di Malines.
Una raccolta consultabile su delle postazioni, le quali presentano documenti
numerati, i quali raccontano di queste persecuzioni razziali che hanno toccato
il Nord Pas-de-Calais durante la seconda guerra mondiale. Alle spalle, ci sono
due anni di ricerche per potere tracciare le "grandi fasi di quello che è
successo", spiega Danielle Delmaire storico, che ha insegnato all'università di
Lille III. "Dalle prime serie di divieti imposti agli ebrei a partire da
1940-1941, i grandi arresti di 1942, i convogli, i ritorni dai campi..." Vi
troviamo inoltre la foto di Micheline Teichler, scolara a Faid'herbe a Lille
della quale un compagno di scuola – Edgard Leser il quale ha avuto la fortuna di
essere un bambino nascosto -, ha voluto onorare la memoria. Con gli Amici della
Fondazione per la Deportazione, ha tenuto che il suo ricordo non sprofondi
nell'oblio. Il suo nome è stato dato a una classe del collegio Rabelais di
Mons-en-Baroeul. "Abbiamo l'intenzione di proseguire con questo lavoro,
organizzando una giornata di studi sulla spoliazione dei beni di ebrei e
tzigani, il prossimo 12 ottobre, al museo della resistenza di Bondues" precisa
Odile Louage, la quale ha presa la presidenza del museo e vuole perfino prendere
in considerazione una pubblicazione al riguardo. Un lavoro che risponde
esattamente agli obiettivi della Fondazione per la Memoria della Deportazione:
la ricerca storica, la trasmissione e la difesa di questa memoria. Odile Louage
aggiunge che: "intorno alla Fondazione si è realizzata l'unione di tutti i
componenti del mondo della deportazione. Tutte queste strutture, con ognuna la
propria sensibilità, lavorano alla trasmissione di valori tali come sono stati
definiti all'indomani della guerra, nella Dichiarazione Universale dei Diritti
dell'Uomo."
Di Fabrizio (del 24/02/2011 @ 10:31:34, in scuola, visitato 2089 volte)
25 febbraio, ore 20.15
Auditorium Quintino di Vona -
via Sacchini 34, 20131 Milano
Un'occasione per conoscere da dove nascono e come trovano forza nei secoli
pregiudizi e persecuzioni della comunità Rom e Sinti
Dijana Pavlovic - attrice di origine Rom
scene da Rom Cabaret accompagnate al violino da George Moldoveanu
Paolo Finzi - giornalista, storico
Porrajmos: la Shoa zingara
Seminateci bene
documentario di E. Cucca, S. Fasullo, R. Midili e F. Picchi
(menzione speciale al film festival del documentario solidale "L'anello debole")
L'integrazione passa attraverso la scuola: lo mostrano tre scuole del
quartiere di Lambrate (via Feltre, via Cima, via Pini)
Anna, Flaviana, Francesca, Garofiza
le mamme e maestre di Rubattino
Storie di bambini Rom a scuola
Stefano Pasta - Comunità di Sant'Egidio
Integrazione o segregazione?
Rapporti tra Rom e comunità cittadina
Una serata aperta a tutti, genitori, ragazzi e insegnanti
per conoscere, per capire e per non voltare lo sguardo
Associazione Genitori della Quintino di Vona
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