Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 09/10/2010 @ 09:17:16, in scuola, visitato 1715 volte)
Roma.Press.Agency
Jarmila Vaňová | 2010-09-24
Oggi all'ufficio editoriale abbiamo ricevuto una lettera. Per ragioni che
saranno chiare dopo la lettura, non menzionerò luoghi o nomi.
Il 20 settembre 2010 durante la quinta ora in una classe quarta elementare,
un'insegnante ha minacciato alcuni studenti, dicendo loro che se non le
obbedivano avrebbe chiamato la polizia. E l'ha fatto. Uno dei due poliziotti
entrato in classe era una vecchia conoscenza. Iniziò a battere un manganello sui
banchi, gridando: "Dannati zingari, chi vuole assaggiarlo?" Poi entrambe i
poliziotti hanno picchiato sulla testa i bambini rom e sbattuto la loro
testa sui banchi. Così la polizia ha picchiato 7 bambini. I bambini dalla paura
se la sono fatta addosso e sono corsi a casa. Piangendo hanno detto che non
sarebbero più andati a scuola. Hanno raccontato ai genitori tutto ciò che era
successo a scuola. Le madri rom sono corse a scuola per vedere la direttrice.
Quest'ultima ha detto di non essere informata sulla venuta della polizia a
scuola, ma poi ha aggiunto che la polizia può intervenire a scuola ogni volta
che i bambini non obbediscono. Più tardi, nel suo ufficio, alla presenza della
polizia, ha accusato una delle madri di aver afferrato per la gola l'insegnante
che aveva chiamato la polizia, dicendole che poteva avere dei problemi in quanto
le insegnanti sono protette. Solo 15 minuti prima la direttrice aveva detto di
non essere a conoscenza di niente. Le madri hanno rigettato con forza l'accusa
della direttrice. Alla fine la madre accusata ha una testimone che dice che non
ha attaccato l'insegnante, ma ha solo alzato la voce. Chi non griderebbe se
qualcuno picchiasse i suoi bambini?
Più tardi una delle madri è andata al commissariato locale con suo marito ed il
bambino che era a scuola. Sono stati ricevuti dagli stessi poliziotti che erano
stati a scuola. Hanno negato tutto, dicendo dinon aver picchiato i bambini.
Hanno sgridato la madre, dicendo che è colpa dei genitori che non si prendono
cura dei loro bambini. La polizia ha anche rifiutato di fare un rapporto, ed i
genitori sono tornati a casa col loro figlio.
Nei 5 giorni seguenti, 7 bambini per la paura non sono andati a scuola.
Sin qui la lettera.
No comment.
L'ufficio editoriale ha contattato un'organizzazione dei diritti umani ed
inoltre seguirà personalmente questo caso.
Di Fabrizio (del 09/10/2010 @ 09:52:04, in media, visitato 2137 volte)
La Stampa
Una ragazza di vent'anni, torinese, che fa un documentario prodotto da
RaiTre, ispirandosi a Woody Allen e alla sua famiglia. Solo un dettaglio: è Rom.
Ecco la sua storia
DA WWW.DIGI.TO.IT - MATTEO ZOLA
"Un giorno metti la pentola a bollire sul fuoco, e sei in un posto. Quando
l'acqua bolle sei in un altro. Quando la pasta cuoce in un altro, e la mangi
chissà dove". Con queste parole la vecchia nonna di Laura Halilovic commenta lo
sgombero che la polizia ha imposto al campo nomadi in cui si trova. Laura, dal
canto suo, ne ha fatto un film: "Io la mia famiglia Rom e Woody Allen", in cui
racconta la sua vita e quella dei suoi cari, tra discriminazioni e vita
quotidiana.
Il titolo è una citazione proprio di un film di Woody Allen. Il cineasta
americano ha letteralmente folgorato la piccola Laura che, ancora bambina, si
trovò da allora a coltivare un sogno: fare la regista. Oggi, con questo film
documentario prodotto in collaborazione con RaiTre e Film Commission Torino,
quel sogno è diventato realtà.
A META' TRA DUE CULTURE
"Da quando ho fatto questo film molti si interessano a me. Certo, il pericolo è
che lo facciano solo perché sono Rom, che mi mettano addosso quest'etichetta e
ci si interessi a me perché "diversa"".
Una diversità che le viene additata anche dalla sua comunità: "Sono diversa per
gli italiani e sono diversa per i Rom perché non voglio vivere secondo la nostra
tradizione e non intendo sposarmi per realizzare "il mio futuro"". Proprio con
queste parole infatti i genitori di Laura, nel documentario, la spingono al
matrimonio: "Sei già vecchia, hai 19 anni", le dicono. "Così mi trovo a metà tra
due culture, in bilico - prosegue Laura - e certo è una sofferenza, è una
situazione che vivo malissimo".
Ma la giovane regista ha le spalle larghe e con tenacia procede nel suo cammino
umano e artistico: "Anche la mia famiglia ora si è convinta, ma all'inizio è
stata dura poiché una ragazza Rom non può studiare e nemmeno lavorare, può solo
sposarsi".
LA VITA NEI CAMPI
Nata a Torino, Laura ha vissuto nel campo vicino all'aeroporto di Caselle fino
all'età di otto anni. Poi la sua famiglia ottiene una casa popolare dove vanno a
vivere in nove: lei e i suoi quattro fratelli, i genitori e due cognati. Della
vita del campo resta un ricordo indelebile di libertà e prigionia al contempo:
"Mi ricordo la libertà, noi bambini stavamo sempre in giro nel campo, solo il
cielo a farci da confine. Ma ricordo anche il filo e la rete che delimitavano il
campo, eravamo come animali in gabbia". Le difficoltà coi "Gagé" – i non Rom –
iniziarono con la scuola: "Ricordo la mia felicità, il primo giorno. E ricordo
come gli altri genitori commentassero: "Ci mancava anche la zingarella". Quel
giorno non parlai con nessuno e corsi via appena la campanella suonò".
INTEGRAZIONE NON E' ESSERE TUTTI UGUALI
Questo dolore è quello che, secondo Laura, farà sempre sentire i Rom inferiori.
Un'inferiorità interiorizzata a tal punto da renderli incapaci di rivendicare i
loro diritti. "E non cambierà mai. Come mai cambierà l'atteggiamento dei Gagé
che continueranno sempre a disprezzarci. Un'integrazione è impossibile". Poi,
con un sospiro: "Integrazione non è essere tutti uguali, non è –per un Rom –
diventare Gagé. I Rom non vogliono diventare Gagé. Se non ci fosse più
diversità, nel futuro, forse non ci sarebbe più discriminazione. Ma poi saremmo
tutti più poveri".
Nella parole di Laura echeggia la saggezza della vecchia nonna, che nel film è
il simbolo di una cultura antica, modellata dai secoli e dai chilometri percorsi
da questo popolo nomade. "Quando mi dicono: "vai a casa tua" io mi domando qual
è la mia casa, la casa di un nomade è ovunque". Laura non nasconde che ci siano
dei problemi: "Le persone però non devono fare di tutta l'erba un fascio, tra di
noi siamo diversi. Tra un Rom Romeno e uno bosniaco c'è differenza, ad esempio.
Non conoscono la nostra cultura". E davvero è arduo conoscere la cultura Rom, il
film di Laura è un ponte per la reciproca conoscenza. Forse così sarà possibile
capire che: "Non è vero che i Rom sono tutti ladri e delinquenti". "Quando un
Rom fa un reato, a venire puniti sono tutti i Rom" si dice nel film.
CASETTE IN FILA
E Laura fa un agghiacciante parallelismo: "Quando vedo le casette in fila, tutte
uguali, del nuovo campo di via Germanasca a Torino, con un recinto di ferro
intorno alto tre metri, mi vengono in mente i campi di concentramento dove sono
morti i miei bisnonni". Già, poiché molti dimenticano che, insieme agli ebrei,
ad Auschwitz trovarono la morte milioni di zingari. "Se mai incontrassi Woody
Allen di persona – conclude Laura – gli chiederei come ha vissuto il suo essere
ebreo. E come ne ha fatto una risorsa".
Di Fabrizio (del 10/10/2010 @ 09:02:10, in casa, visitato 1745 volte)
Comunicato stampa di
Luciano Muhlbauer
I capi del Pdl e della Lega di Milano, il Sindaco e il Vicesindaco del
capoluogo lombardo e tutti gli altri illustri esponenti delle istituzioni locali
e nazionali, che in queste ultime settimane hanno animato l'incredibile gazzarra
sulle 25 case ai rom di via Triboniano, dovrebbero semplicemente chiedere scusa
ai cittadini e alle cittadine.
Lo farebbero, se gli fosse rimasto ancora un briciolo di dignità, perché la
realtà che sta emergendo, dopo settimane di politica politicante ed urlante,
ci consegna la fotografia di un'ignobile montatura elettorale, fatta da bugie,
prese per i fondelli e violazioni di regole ed accordi sottoscritti.
L'ultimo atto di questa imbarazzante e disgustosa commedia l'abbiamo letto
stamattina su il Giorno di Milano, che accanto al solito ritornello decoratiano
del "verranno sgomberati", riporta le dichiarazioni del Prefetto di Milano, Gian
Valerio Lombardi, il quale dichiara, invece, che il campo di via Triboniano non
verrà sgomberato. Anzi, trattandosi di un campo regolare e non abusivo,
sgomberarlo "sarebbe come intervenire in una casa privata; si commetterebbe
reato". In altre parole, bisogna trovare soluzioni concordate.
E bene ha fatto, dunque, la Casa della Carità a pubblicare sul suo sito web
finalmente la dettagliata e documentata
cronistoria degli ultimi mesi. Nulla di nuovo, beninteso, nel senso che non
rivela certo segreti, ma in cambio mette in fila quei fatti, coperti e nascosti
da settimane di fango.
Infatti, i 25 (venticinque) appartamenti non sono stati sottratti ai milanesi
in graduatoria per una casa popolare, poiché vuoti, abbandonati e bisognosi di
ristrutturazione. E quindi, la Giunta regionale ha deliberato il 5 agosto
scorso, all'unanimità, dunque Lega compresa, di toglierli da patrimonio Erp
dell'Aler. La ristrutturazione sarebbe stata gestita dal Comune di Milano e
finanziata da un apposito stanziamento di 300mila euro del Ministro Maroni.
Riassumiamo. Il Triboniano è un campo comunale e regolare e suoi residenti
sono regolari e quindi non possono essere sgomberati. Quindi, volendo liberare
l'area, visto che si trova sulla traiettoria dell'Expo, il Comune, la Regione e
il Ministero degli Interni, gestiti tutti quanti dalle stesse forze politiche,
cioè Pdl e Lega, hanno deciso di concordare con la Casa della Carità un piano,
al fine di trovare soluzioni alternative e negoziate per le 104 famiglie
riconosciute del Triboniano.
A tal fine, sono già stati firmati, dai rappresentanti del Sindaco e del
Ministro, alcuni accordi, relativi all'ingresso negli appartamenti dei primi 11
nuclei familiari.
Ma poi, qualcuno si è ricordato della campagna elettorale e del bilancio
disastroso dell'amministrazione Moratti e ha pensato bene di riesumare un po' di
campagna razzista contro i rom, che funziona sempre.
A questo punto, però, il re è nudo e non rimangono che due strade. La prima ci
porta fuori dalla democrazia e dalla Costituzione e consiste nel fissare
formalmente il principio che in Italia c'è un'etnia a cui è inibito l'accesso ad
alcuni servizi e diritti. La seconda è quella di porre fine alla gazzarra,
assumersi le proprie responsabilità e trovare delle soluzioni.
La scelta sta unicamente alla Moratti, a De Corato e a Maroni.
Dopo il
comunicato dello scorso 24 settembre e una serie di riunioni, ieri mattina i
Rom di via Idro hanno volantinato a Milano in piazza Costantino assieme ai gagé
della zona
LA COSTITUZIONE VALE PER TUTTI ANCHE PER I MINISTRI ED IL SINDACO!!!
BASTA GOVERNARE CON LA PAURA!!!
In via Idro c'è un insediamento di famiglie rom (in tutto circa 150-160
persone), non è una novità, ma forse non tutti sanno che SONO CITTADINI
ITALIANI!
Molte di queste famiglie VIVONO LÌ DA OLTRE 20 ANNI, il "campo" è uno di
quelli realizzati dal Comune negli anni '90: il campo è autorizzato!
In Via Idro il Comune vorrebbe realizzare un "campo di transito" dove poter
trasferire anche una parte degli abitanti del campo di Via Triboniano che stanno
sgomberando in quanto quei terreni rientrano nell'area destinata all'EXPO 2015…
La scorsa settimana sono state recapitate 20 lettere di "sfratto": non è
cosa da poco, sono coinvolte quasi tutte le famiglie (circa 120 persone tra cui
bambini che da anni frequentano le scuole della nostra zona).
Nelle motivazioni degli sfratti sono stati riesumati anche vecchi reati
risalenti fino a 35 anni fa – alcuni francamente di nessuna gravità come il
"chiedere l'elemosina" che parecchi anni fa era considerato reato penale.
Ma, cosa ancor più grave, la colpa del singolo viene fatta ricadere
sull'intero nucleo familiare: basta che ci sia stato un solo componente
della famiglia che ha commesso il reato (anche una sola volta e per il quale ha
già scontato la pena) che si intima a tutto il nucleo di abbandonare il campo!
Ecco perché una ventina di lettere implicano lo sfratto dal campo per circa
120 persone.
Gli interessati, aiutati da Casa della Carità (che è presente nel campo di Via
Idro ed in quello di Triboniano con un presidio sociale), hanno subito inviato
regolare lettera di opposizione allo sfratto e stanno attivando un ricorso al
TAR.
Questi sfratti possono essere i primi passi dell'Amministrazione Comunale
verso la realizzazione del campo di transito!
Le famiglie del campo sono molto preoccupate: hanno paura che da un momento
all'altro possano arrivare le ruspe, senza ulteriori avvertimenti.... non
sarebbe la prima volta a Milano! Se ciò avvenisse si creerebbe una situazione
devastante per queste famiglie.
Pensiamo che non sia giusto che tutte le famiglie paghino per errori (se ci
sono) commessi solo da qualcuno.
Nel campo ci sono tante persone che si comportano bene: uomini e donne che hanno
intrapreso un percorso per vivere dignitosamente, bambini che hanno iniziato un
percorso scolastico: quest'anno sono 27 i bambini che frequentano l'IC
Russo-Pimentel – elementari e medie -cacciarli significa ributtarli in una
situazione di precarietà; è loro diritto continuare a vivere nel campo senza
essere abbandonati dalle istituzioni.
TUTTO QUESTO È INGIUSTO E VIOLA LA COSTITUZIONE ITALIANA!
TUTTI I CITTADINI HANNO PARI DIGNITÀ SOCIALE E SONO EGUALI DAVANTI ALLA
LEGGE, SENZA DISTINZIONE DI SESSO, DI RAZZA, DI LINGUA, DI RELIGIONE, DI
OPINIONI POLITICHE, DI CONDIZIONI PERSONALI E SOCIALI [art. 3 della
Costituzione Italiana].
LA REPUBBLICA TUTELA CON APPOSITE NORME LE MINORANZE LINGUISTICHE [art. 6
della Costituzione Italiana].
LA RESPONSABILITÀ PENALE È PERSONALE [art. 27 della Costituzione
Italiana].
Difendiamo il diritto delle persone a vivere dignitosamente!
Difendiamo il diritto dei cittadini che non commettono reati a vivere come
meglio credono.
Chiediamo rispetto della legalità da parte di tutti, questo significa anche il
rispetto dei patti e degli accordi già sottoscritti.
Non vogliamo un campo di transito in Via Idro!
A.N.P.I. Crescenzago, Assoc. VILLA PALLAVICINI, Assoc.
elementare.russo, Martesanadue, Comunità Rom di via Idro 62, Legambiente
Crescenzago, Osservatorio sui razzismi, Comitato "Vivere in Zona 2, Partito
Democratico-Zona 2, Sinistra Ecologia e Libertà-Zona 2
8 ottobre 2010 ciclostilato in proprio
Di Fabrizio (del 11/10/2010 @ 09:49:59, in Italia, visitato 2696 volte)
Segnalazione di Stefano Pasta
Storie migranti
Il 21 Maggio del 2008 il Governo Italiano emana un decreto (Decreto Emergenza
Nomadi riguardante le Regioni Lazio, Campania e Lombardia) con il quale dichiara
lo stato di emergenza e attua una serie di misure dirette e indirette nei
confronti dei cittadini rom e sinti presenti sul territorio nazionale. A seguito
di tale decreto sulla base di tre Ordinanze Presidenziali emanate in data 30
Maggio 2008, i Prefetti di Napoli, Roma e Milano vengono nominati Commissari
Straordinari per l'emergenza nomadi, poiché, si legge nel preambolo del Decreto,
"[…] la situazione non è fronteggiabile con gli strumenti previsti dalla
normativa ordinaria".
A Milano, in Lombardia la politica attuata per fronteggiare la questione rom
segue due direzioni, una relativa alle "Aree di sosta autorizzata destinate ai
nomadi", ovvero gli undici campi regolari del Comune di Milano stesso e l'altra
che riguarda gli insediamenti definiti "campi abusivi".
Le risorse a disposizione della città di Milano e vincolate all'implementazione
di azioni rivolte ai cittadini rom e sinti arrivano a circa 13.000.000 di euro
destinati dal Ministero dell'Interno nel Luglio 2009 per fronteggiare
"l'emergenza nomadi". Del totale circa 4.000.000,00 euro sono destinati ad
attività sociali da realizzare all'interno dei campi regolari, il resto, ovvero
circa 9.000.000 euro, vengono spesi per azioni volte a migliorare la sicurezza
urbana e tutelare l'ordine pubblico, azioni che si concretizzano principalmente
negli sgomberi forzati dei campi abusivi.
Il presente contributo vuole fornire sinteticamente alcuni elementi relativi
alle politiche di sgombero attuate come unica misura di gestione degli
insediamenti abusivi, ovvero insediamenti di varie dimensioni (da poche persone
fino a 600 abitanti come accadde nel campo di Piazzale Alfieri alla Bovisa nel
2008) che sorgono spontaneamente su terreni privati o pubblici, palazzi
abbandonati, aree verdi etc…e abitati nella quasi totalità dei casi, da
cittadini rom di origine romena presenti sul territorio nazionale da ormai
alcuni anni.
La complessità della realtà rom e il suo declinarsi come questione
socio-politica infatti necessiterebbe di un approfondimento che non è possibile
esaurire in poche righe.
Nelle sue dichiarazioni pubbliche, il vice sindaco De Corato ha più volte
ribadito la volontà di eliminare la totalità degli insediamenti abusivi
allontanandone gli abitanti dal territorio milanese. Dal 2007 ad oggi la
soluzione proposta è dunque quella dello sgombero continuativo di tali
insediamenti con una frequenza che è andata intensificandosi fino a raggiungere
la media di circa uno o più sgomberi al giorno.
Sempre nelle dichiarazioni pubbliche dei politici interessati viene registrato
un significativo abbassamento delle presenze dei rom sul territorio cittadino,
numeri smentiti dai censimenti ufficiali realizzati dalla Questura nonché dalle
informazioni diffuse dalle agenzie di ricerca sociale e dagli enti del terzo
settore attivi a Milano ed hinterland.
Altro dato interessante che emerge da un'analisi diacronica della politica degli
sgomberi è che la stessa concorre in modo primario al riprodursi dei campi
stessi e in modo frequente all'interno di aree già ripetutamente sgomberate,
all'aumento del numero degli insediamenti abusivi, al peggioramento delle
condizioni di vita degli abitanti rom, all'interruzione di percorsi di
scolarizzazione dei minori, di inserimento lavorativo degli adulti e di tutela
sanitaria di minori e donne con particolare attenzione alle donne in gravidanza.
Le modalità di sgombero forzato adottate, oltre che violare il diritto ad un
alloggio adeguato, non tengono conto di nessuna delle procedure di garanzia
individuate dal Comitato sui Diritti Economici, Culturali e Sociali e delle
Nazioni Unite (CESCR) quali:
a) L'opportunità di una reale consultazione con gli interessati
b) Un adeguato e ragionevole preavviso per tutte le persone interessate prima
della data prevista per lo sgombero
c) Informazioni sugli sgomberi previsti e ove possibile sull'utilizzo successivo
del terreno o delle abitazioni, dovrebbero essere rese disponibili in tempi
ragionevoli a tutti coloro interessanti dai provvedimenti;
d) In particolare, quando sono coinvolti gruppi di persone, funzionari
governativi o loro rappresentanti dovrebbero essere presenti durante lo
sgombero,
e) Tutte le persone che effettuano lo sgombero dovrebbero essere correttamente
identificate
f) Gli sgomberi non dovrebbero aver luogo in condizioni climatiche
particolarmente avverse o di notte a meno che le persone coinvolte non ne diano
il consenso,
g) Dovrebbero essere forniti strumenti di ricorso legale e
h) dove possibile, assistenza legale alle persone che lo richiedono qualora
volessero ricorrere alla giustizia
Di seguito sono indicati i principali sgomberi effettuati dal 31.08.2010 al
30.09.2010 di cui è possibile trovare traccia in comunicati stampa, articoli e
dichiarazioni pubbliche.
A titolo di esempio si segnala la situazione del campo abusivo di Via Rubattino
sgomberato lo scorso 19 Novembre 2009 (300 persone) nonostante la mobilitazione
dell'intero quartiere che voleva preservare i percorsi di integrazione
scolastica e sociale di 36 minori e delle loro famiglie. Le insegnanti, i
genitori dei compagni di classe, le associazioni del terzo settore, a seguito
dello sgombero si sono mobilitate per collocare alcune delle famiglie.
Il 7 Settembre 2010 Via Rubattino arriva a contare nuovamente circa 200
presenze. All'appello mancano le circa 80 persone, tra adulti e minori, che sono
state inserite in percorsi di autonomia abitativa, inserimento lavorativo grazie
alla rete di solidarietà creata dai cittadini del quartiere e dalle
associazioni.
Tutti gli abitanti presenti al campo sono persone pluri- sgomberate che nei
giorni seguenti subiranno una vera e propria "caccia all'uomo".
(Greta Persico e Stefano Pasta, settembre 2010)
31 agosto 2010:
Parco Cassinis (2 campi): 35 Rom rumeni (25 adulti e 10 bambini) sgomberati
dalla polizia locale. Vengono smantellate 20 tende.
Dal 2007, totale sgomberi effettuati: 306.
03-04 settembre 2010: 6 sgomberi in 24 ore.
Via Zubiani: 20 rom rumeni vengono sgomberati da una zona di verde pubblico da
parte della polizia locale, 7 tende vengono demolite.
Via Zubiani: durante la notte, la polizia locale sgombera 15 Rom rumeni che
hanno acceso un fuoco per scaldarsi.
Parco Cassinis (nei pressi di via San Dionigi): 20 Rom rumeni sono sgomberati da
5 auto della polizia locale.
Via Malaga: 5 caravan appartenenti a Sinti provenienti dalla Sicilia vengono
sgomberati. I proprietari delle roulotte ricevono ammende pari a 450 euro.
Via Civitavecchia: 3 roulotte di Rom rumeni vengono sgomberate. I proprietari
delle roulotte ricevono una multa di 450 euro.
7 settembre 2010:
Rubattino: circa 180 rom rumeni vengono sgomberati sotto la pioggia. Per tutta
la giornata e nei giorni seguenti i rom vengono allontanati ripetutamente dai
luoghi dove cercano riparo. Alle donne sole o con minori di età superiore ai 5
anni circa vengono offerti alcuni posti presso il dormitorio pubblico sito in
viale Ortles; accettano la proposta in 29 tra cui 12 minori. Alle mamme con
minori neonati o molto piccoli viene offerta l'accoglienza presso alcune
comunità mamma-bambino in città e provincia; accettano il collocamento solo due
donne con due minori, altre rifiutano l'accoglienza per paura che i minori
vengano loro sottratti una volta in struttura. Agli uomini non viene fatta
alcuna proposta di accoglienza, ad esclusione di un nucleo di anziani anch'essi
collocati presso il dormitorio pubblico.
8 settembre 2010:
Un gruppo di rom – circa 30/40 persone, secondo le forze dell'ordine - sono
arrivati intorno alle 21 in via delle Regioni, zona Redecesio, in seguito allo
sgombero dell'insediamento di via Rubattino.
10 settembre, 2010:
Bacula; 40 Rom rumeni sgomberati.
Rubattino; 30 Rom rumeni sgomberati da via Caduti di Marcinelle-via Rubattino.
Due donne e un bambino accettano la separazione dal marito e vengono accolte in
comunità.
Via Ceresio: 4 caravan di un gruppo proveniente da Napoli viene sgomberato da
una rimessa di autobus
Via Novara: 12 roulotte di 40 Camminanti siciliani vengono sgomberate
13 settembre 2010:
Via Gozzoli: 24 Rom rumeni (di cui 6 bambini), provenienti da Rubattino sono
sgomberati, 9 tende e una baracca vengono demolite.
Sale a 320 il totale sgomberi effettuati dal 2007
15 settembre 2010:
Rogoredo (zona Tangenziale Est): 38 baracche e 2 tende vengono demolite dalla
polizia locale (22 poliziotti) in un'area pubblica. Secondo il Comune di Milano,
tutti i rom rumeni hanno rifiutato alternative di alloggio per donne e bambini.
Via Forlanini (ex polveriera in una zona abbandonata). 30 Rom rumeni sgomberati
da 3 pattuglie (polizia locale), 5 tende e una baracca vengono demolite. Nel
momento dello sgombero, erano presenti due soli uomini (di circa 35 anni). Via
Forlanini, come moltissimi altri luoghi di questo elenco, è stato sfrattato più
volte.
Via Toledo in zona Rogoredo: 8 Rom rumeni tra cui 2 bambini vengono sgomberati
dalla polizia locale e 2 baracche demolite. Nel luogo dove hanno vissuto vi era
un cantiere abusivo abbandonato con presenza di amianto.
16 Settembre 2010:
Bacula, 40 persone circa provenienti dal campo precedentemente sgomberato di via
Rubattino vengono nuovamente allontanate; non vengono fatte offerte alternative
di alloggio.
La situazione del cavalcavia Bacula è forse una tra le più emblematiche tra
tutti gli sgomberi presentati; non è infatti possibile, ad oggi, conteggiare gli
sgomberi effettuati realmente in tale insediamento.
Dalle testimonianze raccolte e ricostruendo le informazioni dei vari comunicati
stampa durante la maggior parte dell'anno vengono infatti realizzati circa due o
più sgomberi a settimana.
22 Settembre 2010:
Chiaravalle: 45 rom rumeni sgomberati dalla polizia locale (15 poliziotti) da
una zona tra il cimitero e l'abbazia di Chiaravalle. 5 tende e 8 baracche
vengono demolite.
Secondo le dichiarazioni di De Corato, erano presenti gli assistenti sociali ma
i rom hanno rifiutato le proposte di alloggio.
"Salgono a 335 gli sgomberi effettuati dal 2007 - sottolinea De Corato - 159 nel
2010[…]"
(Omnimilano.it del 22.09.2010 ore 11:16)
28 settembre 2010:
Via Cristina di Belgioioso: 7 baracche demolite in una zona privata, 20 Rom
rumeni sgomberati.
Di Fabrizio (del 12/10/2010 @ 09:01:37, in Italia, visitato 2117 volte)
Sky.it "Perché ci trattano così? Mica siamo marocchini"
Davide, 45 anni, giostraio, vive a Buccinasco (Milano) in un campo Sinti con
casette in legno e pannelli solari. A chi lo chiama nomade risponde "sono
italiano". Viaggio in una comunità che si è integrata con gli altri abitanti
della città - di Alberto Giuffrè
Il pranzo al campo Sinti di Buccinasco
Guarda anche:
LE IMMAGINI DEL CAMPO SINTI Buccinasco, il campo Sinti che piace (quasi) a tutti
"Ci sono terremotati che vivono nelle nostre condizioni e chiedono di avere le
case. Noi invece vogliamo rimanere così, nel nostro campo. Tutti insieme".
Davide, 45 anni, fa il giostraio e il musicista. Mostra quasi con orgoglio la
tessera della Lega Nord ma non nasconde il suo disappunto per le ultime mosse
delle camicie verdi in Regione che vorrebbero abbattere la sua abitazione.
"Perché ci trattano così? Perché ci vogliono cacciare? Mica siamo marocchini,
noi siamo italiani. Abbiamo fatto il militare, tifiamo per la nazionale".
Vivono in un campo ma a chi li chiama nomadi rispondono sfoderando un
impeccabile dialetto lombardo. Più di vent'anni fa hanno deciso di stabilirsi
nella zona industriale di Buccinasco, comune dell'hinterland milanese. Sono un
gruppo di circa cento Sinti, etnia che con i Rom condivide le origini gitane
oltre che una storia di discriminazioni e sofferenze che va dai campi di
concentramento nazisti ai pregiudizi e le paure dei giorni nostri. Pregiudizi e
paure che non sembrano trovare posto a Buccinasco dove i Sinti vanno a scuola,
lavorano e votano come tutti gli altri abitanti.
L'unica differenza con i concittadini sta nella residenza, uno spazio di 3800
metri quadri con casette in legno che sembrano baite di montagna, strutture
prefabbricate e roulotte. Più un centro servizi con pannelli solari sul tetto.
Ventuno piazzole in tutto, in stile campeggio, assegnate dal Comune alle
famiglie con un contratto decennale (stipulato nel 2005).
Quanto di più lontano dalle immagini che arrivano dalla Francia dove
recentemente il governo di Nicolas Sarkozy ha espulso dal Paese cittadini rom
comunitari. Uno scenario diverso anche dalla più vicina via Triboniano, a
Milano, dove uno dei campi più popolosi è a rischio sgombero. Ma nonostante Buccinasco, uno degli otto campi autorizzati nella provincia di Milano, si
presenti come un modello positivo, nei mesi scorsi la Lega Nord, in Regione, ha
chiesto "la demolizione delle strutture abusive" dei Sinti. Il motivo? Il
terreno si trova all'interno del Parco Agricolo Sud sul quale, dopo la
costruzione delle abitazioni, sono stati posti dei vincoli paesaggistici.
Quella dei Sinti di Buccinasco è una famiglia allargata: 92 persone di cui 35
bambini. Al centro del campo, piantonata da due statue di Padre Pio, c'è la casa
di Rosa che con suo marito (il "capo", come lo chiamano gli altri) ha messo al
mondo 14 figli. Durante una mattina di un giorno feriale sono quasi tutti sono a
lavoro. Tranne Davide, che apre in serata le sue giostre. Cosiì, ci pensa lui a
fare da cicerone agli ospiti. Con addosso una t-shirt del New York Police
Department, dribblando cani e gatti che scorazzano nel campo, apre le porte
delle case. "Sono bellissime e d'inverno si sta al caldo, il problema sono le
roulotte dove si fa una vita di inferno". La differenza salta subito all'occhio:
nelle strutture prefabbricate c'è spazio per un soggiorno, bagno e camera da
letto. Accanto a ogni abitazione c'è una torretta per l'elettricità installata
dall'Enel. Davide indica la sua sventolando l'ultima bolletta, in risposta al
consigliere leghista che ha denunciato "allacciamenti abusivi". Poi indica la tv
a schermo piatto e ci tiene a precisare: "Alcuni dicono che rubiamo ma quello
che abbiamo qui è tutto frutto del nostro lavoro".
E proprio per il lavoro non è un buon momento. Anche qui la crisi economica si è
fatta sentire. "Uno di noi è finito in cassa integrazione e per tutti gli altri
non è facile trovare un'occupazione". In città gli abitanti dell'area sono tutti
conosciuti ma basta cercare un lavoro negli altri comuni che "subito veniamo
guardati con diffidenza". Tra i progetti in cantiere da realizzare con i 100
mila euro già stanziati dalla prefettura grazie al fondo del Ministero degli
Interni, c'è anche l'apertura di una ciclofficina. "Darebbe lavoro a molti di
noi, ma il mio sogno è quello di comprare un tagadà per le mie giostre",
conclude Davide.
Quando si parla di campi si fa sempre riferimento ai problemi di sicurezza.
"Anche noi abbiamo avuto i nostri", conclude Davide, "siamo stati costretti a
mettere una sbarra all'ingresso perché è capitato che qualche teppista entrasse
la notte con la macchine per fare le sgommate sulla ghiaia".
Di Fabrizio (del 12/10/2010 @ 09:50:35, in Europa, visitato 2352 volte)
Ultimamente i martedì sono stati dedicati alla vicenda
raccontata da "Negligenza mortale". Credo, senza modestia, di essere
stato fra i primi a parlare in Italia di Paul Polansky. Ho ritrovato nel gruppo
di discussione
Arcobaleno a Foggia il primo articolo di Polansky che tradussi in italiano.
Sono passati solo 6 anni. Una testimonianza di come si vive(va?) in Kosovo.
8 luglio 2004
Ieri sera stavo cenando quando alcune donne Romnia hanno iniziato ad urlare che
un bambino di 10 anni si era seriamente ferito giocando a calcio. Sono uscito,
in tempo per incrociare un signore che a braccia trasportava un bambino in stato
di incoscienza. Il bambino vestiva calzoncini, T-shirt ed era senza scarpe. Il
braccio era rotto in due punti, trattenuti a malapena da qualche lembo di pelle.
C'è una piccola clinica serba a solo 4 chilometri, ma i genitori hanno voluto
che li accompagnassi a un altro ospedale più grande, a 10 Km., nella speranza
che fosse attrezzato per curare la frattura.
Alle 19.30 siamo arrivati in quello che è chiamato l'ospedale Greco di
Grachanica. Tre anni fa, era stato costruito da Medicine du Monde di Grecia, per
donarlo alla comunità serba. Mentre parcheggiavo il furgone, Dija, la nostra
interprete, era già balzata a terra col bimbo in braccio, che nel frattempo era
rinvenuto e stava piangendo.
Ho aspettato 45 minuti nel parcheggio e alla fine Dija è tornata, sempre con il
bambino il cui braccio era nelle condizioni di prima, tenuto assieme da una
steccatura di fortuna. Pochi passi dietro ai due, camminava la madre piangendo
lentamente nelle pieghe del suo velo.
Dija era furiosa: accusava i medici di averli presi in giro. Appena arrivata
nella sala per le emergenze, aveva spiegato di cosa si trattasse, mentre il
medico di servizio sarcasticamente le chiedeva se fosse lei il dottore. Dija
aveva rimarcato le condizioni del braccio, ma il medico, soccorso da un nuovo
collega, aveva disposto che prima era necessario fare una radiografia, e il
radiografo era a casa.
Due ambulanze erano nel piazzale, ma entrambe i conducenti erano impegnati
altrove, così quello che sembrava il primario dell'ospedale di Grachanica ha
detto a Dija che avrebbe dovuto andare lei a recuperare il dottore, che vive a
parecchi chilometri di distanza. Disse che avevano provato a telefonargli, ma
nessuno rispondeva al suo cellulare. Una volta rintracciato il radiografo, ci
saremmo dovuti recare ad un'altra clinica, perché la loro era sfornita del gesso
per immobilizzare il braccio. A questo punto, riaccompagnato il radiografo a
casa, avremmo dovuto riportare il bambino a Grachanica per le cure del caso.
Nessuno aveva l'indirizzo del dottore che avremmo dovuto rintracciare, sapevamo
solo che viveva nei pressi di Kisnica. Abbiamo incrociato diversi pedoni per
avere informazioni e 20 minuti dopo abbiamo raggiunto casa sua. Ormai era buio.
Nel cortile di fronte a casa una donna, presumibilmente sua moglie, stava
spazzando e vistasi arrivare incontro un gruppo di zingari con un ragazzo ferito
in gravi condizioni, ci ha richiuso il cancello in faccia dicendo che non aveva
idea di dove fosse suo marito, né di quando sarebbe tornato.
Di solito, ho una soluzione per ogni cosa. Dopo 5 anni di Kosovo, conosco
l'ambiente in cui devo lavorare. Ma questa volta non mi veniva in mente niente
da fare. Il bambino era ripiombato nel coma. I genitori piangevano
silenziosamente. Dija a questo punto è letteralmente esplosa: accusando tutti i
Serbi, soprattutto i dottori. "Se questo bambino fosse un Serbo, sono sicura che
qualsiasi dottore avrebbe potuto aiutarlo".
Tornando all'ospedale, abbiamo intravisto un jeep svedese della KFOR, davanti a
un monastero ortodosso. Grachanica in questi periodi è ancora sotto presidio
armato. Ho parlato con i soldati, giovani e gentili, spiegando la situazione.
Sapevo che la base KFOR ha due ospedali: uno gestito dagli inglesi vicino a
Pristina sulla strada di Kosovo Polje e quello dei finlandesi a Lipjan. Entrambi
a 15 minuti di strada ma, purtroppo, non aperti al pubblico.
I soldati hanno chiamato il comando col telefono da campo. Nel frattempo,
bisbigliavo nelle loro orecchie come i miei antenati fossero arrivati in America
dalla Svezia nel 1880, da un piccolo villaggio di pescatori della costa
meridionale. Pensavo che questa storia potesse esserci d'aiuto, e invece dopo un
lungo colloquio telefonico, ci venne detto che questo povero zingaro dal braccio
rotto poteva essere ricoverato solo all'ospedale albanese di Pristina... Tutti i
Rom intendono l'ospedale albanese come una sentenza di morte. La storia a cui si
sommano le leggende, parlano di Zingari e Serbi morti tra le mani dei dottori
albanesi. Ho chiesto ai soldati da quanto erano in Kossovo. Un mese, mi hanno
risposto.
Ho guidato nuovamente verso l'ospedale. Stavolta, ho accompagnato io il padre
con suo figlio fuori conoscenza, mentre Dija e la madre rimanevano a discutere
su quanto fosse inutile la KFOR in Kosovo. Comunque anni fa erano presenti,
quando gli Albanesi bruciarono la loro casa assieme a tutto il villaggio. E
c'erano anche quando gli Albanesi distrussero 39 chiese serbe e oltre 7000 case
di Serbi e Rom. La KFOR rispondeva che il suo compito non era di proteggere le
persone, ma di evacuarle.
Di nuovo al Pronto Soccorso, raccontammo quanto c'era successo, ma non trovammo
simpatia tra i medici in servizio. Non avevano niente da offrirci, solo di
aspettare il giorno dopo. Oppure, ci rimaneva di guidare sino a MItrovica, un
viaggio di oltre un'ora. Rifiutarono di accogliere il bambino, ormai
incosciente, tra i loro degenti. D'altronde, era solo uno zingaro. Non lo
dissero, non potevano ammetterlo. Ma il linguaggio dei loro corpi e degli occhi
era molto eloquente.
Siamo tornati al villaggio, perché i genitori prendessero il loro Visto, anch'io
ho recuperato il mio visto e la patente. Ne ho approfittato anche per un caffè
forte; ormai erano le 22.00 e a quell'ora vado a dormire.
Una folla di Rom musulmani ha circondato il furgone per pregare. Una giovane
nipote, in preda all'isteria, non voleva lasciare il portello ed è stata
allontanata a forza. Tutti avevamo paura degli agguati notturni. Dopo cinque
anni di occupazione NATO, chi ha la pelle scura o può essere confuso con uno
zingaro non ha libertà di movimento. Per arrivare a Mitrovica, bisogna
attraversare il territorio controllato dagli Albanesi. Molti suggerivano di
attendere mattina, ma c'era il rischio che il ragazzo non sopravvivesse.
Non avevo paura della strada per Mitrovica. L'ho fatta per cinque anni, anche
due volte la settimana accompagnando i Rom all'ospedale. Al collo porto il
tesserino KFOR, che gli Albanesi rispettano ancora.
Partimmo infine alle 22.30. Metà villaggio ci accompagnò sino all'imbocco
dell'autostrada. Le donne urlavano e piangevano, gli uomini in silenzio
trattenevano le lacrime.
I viaggio fu movimentato. Appena lasciata Mitrovica Sud fummo fermati da una
pattuglia della polizia kosovara albanese. La prima loro parola fu "Rom"; io
risposi "KFOR" mostrando loro chiaramente il mio tesserino di riconoscimento.
Guardarono chi c'era nel pullmino ancora una volta, mi batterono la mano sul
ginocchi e in inglese mi dissero "Puoi andare, KFOR"
Un chilometro avanti iniziava una lunga fila di veicoli, diretti a Mitrovica
NOrd, i territorio serbo. Era un altro controllo patente da parte degli
Albanesi, che durante i controlli ne approfittavano per lanciare pietre alle
vetture o picchiare gli occupanti che non fossero in regola.
Fummo all'ospedale di Mitrovica Nord poco prima di mezzanotte. Il parcheggio era
vuoto, ma le luci dell'ospedale erano ancora accese. All'ingresso un'infermiera
fumava una sigaretta. Mentre io rimanevo di guardia al furgone, Dija e famiglia
accompagnarono il bambino, che nel frattempo aveva ripreso conoscenza, sulle
scale dell'ospedale.
Dija ritornò poco dopo, raccontandomi quanto fosse stato gentile e cortese tutto
lo staff dell'ospedale. L'avevano accompagnato per la radiografia. Tutti si
erano preoccupati per lui e non era mai stato lasciato solo.
La radiografia confermava che l'osso s'era rotto in due punti. Il dottore
curante aveva richiesto che il ragazzo passasse la notte in ospedale, gli aveva
fatto anche delle iniezioni di calmante. Ma il ragazzo voleva tornare a casa,
nonostante si sentisse in un ambiente amico. Aveva bisogno della sicurezza del
villaggio.
Col braccio finalmente ingessato, salì sul nostro furgone con le sue gambe e
riprendemmo la strada. Trovammo anche un "kebab-bar" dove ci rifocillammo. Il
ragazzo aveva ritrovato l'appetito.
Alle due eravamo a casa. Quanto ho raccontato è ciò che si chiana vivere in un
villaggio Rom amministrato dall'ONU
Paul Polansky
Head of Mission
Kosovo Roma Refugee Foundation
Riceviamo da Andrea Membretti
Venerdi 15/10/2010
Ore 21, Aula del 400 - Università di Pavia
Dijana Pavlovic (attrice e attivista rom)
Presenta lo Spettacolo Teatrale "Rom cabaret" e, al termine, dialoga con il
pubblico sulla campagna "Dosta!"
Venerdì 15/10 e Sabato 16 / 10 / 2010
Ore 10 - 17.30, Cortile delle Magnolie - Università di Pavia
Stand espositivo dedicato alla lingua e alla cultura dei Sinti e dei Rom e
alla campagna "Dosta!": esposizione di materiale didattico, libri, DVD, CD
musicali, prodotti artigianali e mostra fotografica sul "Porrajmos" (lo
sterminino di oltre 500,000 Sinti e Rom nei campi di concentramento). Proiezione
di video non-stop su progetti culturali con i Sinti di Pavia.
Referente per Pavia: Erasmo Silvano Formica - Federazione ROM e SINTI Insieme
(338 5204437)
Info:
http://sucardrom.blogspot.com/ ::
www.dosta.org
* La campagna "Dosta!", sostenuta dall’Unione Europea e promossa in Italia
dall’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR), è presentata a Pavia
in occasione del "Festival delle Lingue e dei Linguaggi", organizzato dal Comune
di Pavia e da altri partner locali e internazionali, nell’ambito del progetto
europeo "Kaleco". Sito web:
www.blogpavia.wordpress.com
Piacere di conoscervi!
Siamo i Rom e i Sinti, ma molti per ignoranza o cattiveria ci chiamano "zingari"
o "nomadi". Viviamo in mezzo a voi da circa seicento anni ma ancora in pochi ci
conoscono veramente.
Probabilmente avete letto sui giornali che siamo sporchi, ladri, accattoni… ma
non è così. Certo alcuni di noi sono molto poveri e alcuni hanno commesso degli
sbagli. Ma non siamo tutti uguali anche se siamo tutti presi di mira da
discriminazioni e in alcuni casi da razzismo vero e proprio.
In Europa siamo in dodici milioni, in Italia molto meno, circa 100.000. In
maggioranza siamo Cittadini italiani dal 1871 ma alcuni di noi vengono dalla ex
Jugoslavia e dalla Romania: scappati dalla guerra o dalla miseria.
Provate ad immaginare di non poter avere documenti (anche se i vostri e genitori
sono nati in Italia), di non poter chiedere lavoro o continuare a studiare per
questo motivo, di dover aspirare al massimo a vivere in un container o in una
roulotte… di essere allontanati se entrate in un bar, di essere oggetto di
battute e scherno… che vita sarebbe? La vita di molti di noi al momento.
Noi siamo i Rom e Sinti e come ogni altra minoranza abbiamo una lunga memoria
storica, valori, costumi, tradizioni, arti, talenti, musica e bellezza. Abbiamo
i colori di una civiltà millenaria che non hai mai preso parte ad una guerra.
Tutto questo tuttavia resta confinato troppe volte negli angusti spazi che
occupiamo alle periferie delle città, in ghetti che chiamano "campi nomadi".
La campagna DOSTA ("Basta" nella lingua romanes), promossa dall’UNAR, può
rappresentare la possibilità di superare quel muro del pregiudizio che circonda
la nostra gente.
Noi vi tendiamo una mano, metteremo in piazza frammenti della nostra cultura, vi
sorprenderemo con il calore della nostra musica, le emozioni delle nostre danze
e lo faremo in una serie di eventi che si snoderanno per tutta Italia,
accompagnati da seminari e conferenze, mostre fotografiche e proiezioni video,
momenti di riflessione in cui ci racconteremo a voi.
Venite a conoscerci. Vi aspettiamo a Pavia
Di Fabrizio (del 13/10/2010 @ 09:59:26, in casa, visitato 1615 volte)
Gazzetta di Reggio di Marco Martignoni
L'assessore Matteo Sassi propone: "Una casa popolare anche per le
giovani coppie di nomadi, purché lavorino e mandino a scuola i figli".
REGGIO. E se le campine non fossero l'unica soluzione per l'integrazione dei
nomadi? Ne è convinto l'assessore comunale al welfare Matteo Sassi che dopo le
dichiarazioni del sindaco Delrio - "i soldi per proseguire in questo momento non
ci sono e il provvedimento è fermo" - lancia il suo progetto. Un progetto per
molti versi innovativo e che, probabilmente, farà discutere. "Non mi sogno certo
di chiedere a un capo famiglia Sinti di lasciare il campo e le sue tradizioni
per sposare un progetto casa - dice Sassi - ma se noi investiamo nelle giovani
coppie, allora possiamo invitarle a partecipare alle graduatorie per
l'assegnazione degli alloggi popolari. E' un modo per avere un'integrazione vera
che ci possa permettere di ricacciare la paura".
LE CRITICHE. Invitare i giovani nomadi a "gareggiare" per avere una casa
popolare, potrebbe provocare reazioni pesanti, in particolare tra i reggiani. "Sulle giovani generazioni - aggiunge l'assessore - possiamo avviare un progetto
con punti saldi precisi: scolarizzazione, casa e lavoro. Il principio cardine
sul quale deve basarsi il nostro ragionamento politico è il superamento della
logica del campo nomadi. I cittadini forse non lo sanno, ma su una popolazione
nomade residente in città di 800 persone, solo 300 vivono nei campi. I reggiani
non si sono accorti che sono in realtà decine le campine sparse per la città. Il
mio obiettivo è che per il cittadino, il Sinto sia una persona e non un demone.
Ecco perché dove si è realizzato un percorso di integrazione vero, si sono
ottenuti risultati ottimi. Campine sì, campine no? Non mi faccio certo
calamitare da un dibattito che non mi appartiene".
NESSUN PRIVILEGIO. L'assessore poi ci tiene a precisare. "Lo strumento che
propongo - spiega - parte dalle condizioni economiche di una coppia giovane.
Potremo dare loro una casa se ne faranno richiesta e senza alcun privilegio, ma
solo se avranno diritto ad accedervi. Questa è la differenza tra noi e quanto
succede a Milano. Dove una persona, in quanto nomade, non ha nemmeno la
possibilità di accedere ai servizi abitativi". Poi un accenno su quanto
dichiarato dal sindaco in merito ai tagli agli enti locali. "Il sindaco -
aggiunge Sassi - ha riportato al tema attuale degli enti locali. Il tentativo
del governo è quello di destrutturare il meccanismo degli enti locali. La
manovra incide a questo livello. Le campine, al pari delle altre opere
pubbliche, sono progetti congelati. Basta fare un esempio: da aprile ad oggi il
Comune ha speso meno della metà sulle manutenzioni straordinarie. Questo tanto
per dare il senso della crisi economica che incombe anche su di noi".
LE SOLUZIONI. Secondo Sassi per affrontare nel migliore dei modi il "problema"
nomadi, il ragionamento politico da fare abbraccia anche la nascita delle campine.
"Perché fare le campine? - si chiede l'assessore - L'obiettivo vero è
superare i campi nomadi. La campina non è il fine, ma il superamento dei campi è
il traguardo da tagliare. Le microaree sono sempre state uno strumento per
farlo. Non lo strumento, ma uno strumento. Il punto politico è il superamento
del campo che non permette una vera integrazione sociale e culturale. Finché non
si arriva a un punto di incontro, la soglia dei pregiudizi e della paura non si
abbassa".
CONTINUITA'. "Non abbiamo ripensato la nostra politica - ha detto nei giorni
scorsi il sindaco Delrio alla Gazzetta -, la prospettiva di arrivare a chiudere
i campi nomadi è una prospettiva che come amministratori locali abbiamo tutti, e
che si pone all'interno di un programma nazionale di riduzione dei campi nomadi.
Il tema di via Gramsci è da avviare a soluzione, ma va detto che la prima
micro-area è stata allestita con finanziamenti regionali. Oggi, però, hanno
tagliato tutti i fondi. I soldi per proseguire in questo momento non ci sono, e
il provvedimento è fermo. Mancano le risorse: le difficoltà che riguardano i
reggiani purtroppo riguardano anche loro". E' su queste basi che si fonda
un'altra proposta di Sassi. "Per abbassare il livello di paura dei cittadini -
dice - proviamo a rendere più visibili le condizioni in cui vivono i nomadi nei
campi. Allora i reggiani si accorgeranno di quanto avviene in quelle aree.
Conoscendo quella realtà, la si potrà vivere senza paura".
10 ottobre 2010
Di Fabrizio (del 14/10/2010 @ 09:08:09, in Italia, visitato 1964 volte)
PARMAdaily.it Intervista a Vladimiro Torre, presidente dell'associazione
di rom e sinti Them Romanò, nata per diffondere e sdemonizzare la cultura
zingara tra i "Gagi, come chiamiamo noi gli stanziali".
12/10/2010
Intervista a Vladimiro Torre, presidente dell'Associazione Culturale Thèm Romanó,
fondata nel 1990 a Lanciano (CH) da un gruppo di Rom e Sinti con lo scopo di
rilevare, valorizzare e diffondere la cultura zingara a livello nazionale e
internazionale perché i caggè -non zingari- possano meglio conoscere e
sdemonizzare la cultura di questo popolo e perché i Rom stessi prendano
coscienza della loro millenaria cultura e spezzino la secolare catena di
emarginazione per inserirsi dignitosamente nell'ambito della società
maggioritaria.
Organizza corsi di aggiornamento per insegnanti, di ogni ordine e grado,
seminari, convegni, esposizioni multimediali di arte, storia e cultura zingara,
proiezioni di film con dibattito, presentazione di libri, concerti e festival di
musica zingara, teatro zingaro, corsi di Storia, letteratura e lingua zingara.
Torre, ci presenti lo spirito dell’iniziativa «Vai oltre i pregiudizi, scopri
i Rom e i Sinti».
Abbiamo promosso la campagna europea Dosta, che in Romanes significa Basta,
basta con la strumentalizzazione dei nomadi a fini politici, basta ai campi
nomadi in stile lager e basta ai pregiudizi sul nostro popolo.
Per la prima volta nella storia di Sinti e dei Rom metteremo in vista la nostra
cultura con due roulotte per sensibilizzare i Gagi, come chiamiamo noi gli
stanziali.
Qual è il messaggio?
Vogliamo far capire che abbiamo nostra cultura, un popolo pacifico che non ha
mai fatto guerre né usurpato territori, che non siamo il popolo brutto e cattivo
dipinto da Maroni e Sarkozy: dicono che dobbiamo andare dalle nostre parti,
perché se mi mandassero via io andrei qui perché qui è la mia città.
L’Europa vi dà una mano…
Sì, non si accetta più questa politica per prendere voti facendo campagne
discriminatorie contro i Sinti: con il Consiglio d’Europa e tramite l’elezione
di un nostro presidente in ogni città stiamo promuovendo iniziative per arrivare
dritti alla gente e allo stesso tempo stiamo dialogando con i politici. Ad
esempio abbiamo incontrato Bossi e Fini.
Voglia di reagire?
Sì, non possiamo più continuare a scegliere tra una bastonata o tre in tutte le
città d’Italia, io dico sempre alla mia gente: «Sinti su la testa», andiamo
avanti. Poi anche da noi ci sono il buono, il brutto e il cattivo come
dappertutto ma dobbiamo vincere i pregiudizi dei Gagi, siamo noi i mediatori dei
nostri Sinti.
L’avversione di molti nasce dall’idea che gli enti locali vi mantengano a
suon di luce, gas e acqua.
Non ci pagano niente, paghiamo tutto noi, dalla luce al plateatico. Pensate che
si stia bene in un campo nomadi? Ci sono 300 persone con 6 gabinetti e chi ha
avuto l’opportunità di comprarsi un pezzo di terra è andato fuori costruendosi
una casetta di legno.
Dicono che siamo abusivi, ma non credete che se avessimo i soldi ci costruiremmo
una casa in muratura?
I campi nomadi non vi piacciono dunque…
Non sono altro che moderni lager. Nella storia come tutti sappiamo ce ne sono
già stati ma nessuno ci rende conto che noi ci siamo ancora dentro, nel 2010.
Siamo sempre stati dei circensi e abbiamo seguito l’evoluzione dei tempi
prendendo i luna park, giravamo nei mercati di tutta Italia, ma ora ci hanno
impedito di essere nomadi costringendoci in lager sempre più affollati.
Volete uscire quindi?
Sì, vorremmo la possibilità di fare queste microaree.
L’obiettivo è integrarvi nel tessuto cittadino pur mantenendo le vostre
tradizioni?
Esatto, noi siamo orgogliosi della nostra cultura e non potremmo mai rinnegarla.
Siete mai andati al Circo? I Togni, gli Orfei e tante altre strutture sono
gestite da Sinti, è questa la nostra vocazione, ma allo stesso tempo ci rendiamo
conto di essere sempre più sedentari così, mentre alcuni continuano a fare i
giostrai, con tutti i problemi del non potersi fermare da nessuna parte se non
per il tempo esatto della fiera, gli altri nostri figli dovrebbero avere le
stesse opportunità di tutti gli altri ragazzi, trovando lavoro nelle fabbriche,
nelle cooperative e ovunque ci sia posto.
Francesca Manini
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