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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 08/07/2012 @ 09:14:58, in casa, visitato 1992 volte)

Segnalazione di IdeaRom onlus

Una città a Parte. L'apartheid dei Rom in Italia - di Francesco Careri (introduzione all'inserto speciale L'abitare dei Rom e dei Sinti, de "Urbanistica Informazioni" n° 238, 2011, pp. 23-25) Articiviche.blogspot.it

In Italia esiste un apartheid strisciante (1), una città a parte che si prepara per quei 35.000 Rom e Sinti che da decenni vivono nei campi - gli altri 90.000 per fortuna vivono in case – con densità da tendopoli d'emergenza, lontani dai servizi primari, controllati da guardiania armata e telecamere a circuito chiuso, con orari di ingresso e di uscita, tesserino con foto e codice a barre, reti di recinzione tutto intorno. Sono un frammento di quell'universo dei campi e delle riserve, che con numeri ancora più esorbitanti abitano il nostro pianeta e su cui è stata prodotta una notevole letteratura: zone definitivamente temporanee dove abita l'umanità in eccesso (2), che si aprono quando lo stato di eccezione diventa regola (3), zone di sospensione (4) in una sorta di transitorietà congelata (5), e che producono sindromi di dipendenza e vite sotto trasfusione (6) città appoggiate per terra (7), città nude (8) abitate da cittadini senza diritti di cittadinanza e quindi senza città, o meglio con una città a parte, separata, tutta per loro, solo per loro.

In Italia nascono come campi nomadi - ufficialmente "campi sosta" - e sono istituzioni regolate, in assenza di un quadro legislativo nazionale, da leggi regionali varate negli anni novanta, una sorta di parcheggi attrezzati immaginati per comunità girovaghe quali erano i Rom e Sinti Italiani ancora negli anni ottanta. Appena finiti di costruire si sono trasformati in insediamenti perennemente temporanei per i Rom in fuga dalle guerre dei Balcani e poi dalle zone depresse della Romania. Si sono evoluti da slums di baracche e roulotte a campi di container agli attuali villaggi, con un crescendo di sorveglianza e di dipendenza dalle istituzioni e una conseguente perdita di autonomia decisionale sulla propria vita.
Anche la storia dell'abitare rom in Italia ha una lunga letteratura, è la storia dell'urbanistica del disprezzo (9) che da secoli li ha cacciati dalle nostre città rendendoli nomadi per forza (10), stranieri ovunque (11), popoli delle discariche (12), figli del ghetto (13). Ma quello a cui si sta assistendo a partire dal 2008 con il commissariamento della "questione rom" (14), è un ulteriore passaggio dalla vecchia politica di emarginazione nelle baraccopoli a quella di istituzionalizzazione di ghetti per i Rom e di veri e propri luoghi di concentramento etnico (16). Il punto da cui partire non può che essere l'attuale scenario di apartheid, e l'obiettivo prioritario è aprire nuove strade per abitare con i Rom (17), guardare insieme a loro oltre i campi (18), superare il dispositivo "campo nomadi", inviso ai Rom e incapace di costruire città e cittadinanza.

Il fine che ci siamo posti con la presente raccolta di articoli è quello di stimolare gli urbanisti italiani ad affrontare il tema dell'abitare dei Rom e dei Sinti con maggiore consapevolezza quando lo incontrano nei loro lavori professionali. I campi nomadi infatti, che siano baraccopoli informali o campi istituzionali, si trovano sempre in zone instabili, in margini urbani dove a un certo punto non possono più stare perché sono in programma nuove trasformazioni. La prassi allora è far arrivare le ruspe, spostare i Rom, creare un nuovo campo più lontano, con l'alibi che sono nomadi e una casa non gli serve. Tutto ciò viene vissuto da chi pianifica la città con un misto di naturalezza e distacco, come una questione con complesse implicazioni antropologiche sociali e politiche. Se come cittadini non riusciamo a riconoscere i nostri pregiudizi e la nostra ignoranza in materia, come urbanisti non ci sentiamo all'altezza di affrontare un problema così intricato e, incapaci di assumere una propria posizione, accettiamo i consigli degli esperti, dei servizi sociali, quando non dei politici guidati da convenienze elettorali e pressioni di "comitati di cittadini". Non è un caso che quello dell'abitare dei Rom e dei Sinti sia un aspetto della città sempre demandato, quando non direttamente alle prefetture, all'assessorato ai servizi sociali e mai all'assessorato all'urbanistica. Del resto quel campo da cancellare non figura neanche nelle carte e il nuovo campo continuerà a non figurarvi, sarà spostato dove ha deciso il sindaco di turno, il più lontano possibile dalla vista dei suoi elettori, magari andando ad ingrandire un campo esistente per non perdere voti in altri quartieri. È cosi che si creano i megacampi che daranno megaproblemi in futuro, sia ai Rom che a tutti i cittadini. E tutto ciò spesso avviene senza interloquire con chi pianifica il territorio e potrebbe proporre altre soluzioni.
Si è voluto qui raccogliere diversi tipi di materiali: sulla creazione e progettazione dei campi, sulla storia degli sgomberi in relazione con la speculazione edilizia, su numeri e costi riguardanti i campi attrezzati, sul rispetto delle legislazioni regionali. Ma soprattutto abbiamo creduto importante far conoscere le politiche utili a far uscire i Rom dai campi, perché siano proposte nel ventaglio a disposizione degli amministratori: percorsi di inserimento nell'Edilizia Residenziale Pubblica (19), di sostegno all'affitto privato (20), di legalizzazione e recupero dei campi informali (21), di microaree per gruppi familiari allargati (22), esperienze di autorecupero e di autocostruzione assistita (23) su terreni edificabili, casali abbandonati, fabbriche dismesse, immobili sequestrati alla criminalità organizzata.

Gli articoli che proponiamo disegnano infatti un quadro italiano desolante, ma con alcune lodevoli eccezioni. Claudia Mascia racconta di una Europa caratterizzata in larga parte da alloggi in case popolari, e approfondisce due casi: la Francia con 17.365 posti caravan in 729 aree per le Gens du Voyage , ma anche con i nuovi Villages d'Insertion che sembrano prendere a modello i tristi Villaggi della Solidarietà di Roma. E il Portogallo dove il Parque de Nómadas di Coimbra ospita i ciganos, in vista del re-insediamento in alloggi del comune a prezzo agevolato. Alexander Valentino ricorda come "il nomadismo sia un fenomeno quasi estinto in Italia ed che si debba parlare di mobilità di persone, o gruppi, all'interno della Comunità Europea", denuncia il ruolo complice delle associazioni umanitarie, e ci racconta di come nell'area napoletana diverse comunità italiane un tempo integrate come i cilentani, i Sinti vesuviani, i napulengre e i rom giuglianesi oggi si trovino in gravi difficoltà perché i loro mestieri non vanno più al passo con la globalizzazione. Ma ci fa ragionare anche su come le cronache romana hanno avuto attraverso i media effetti nefasti a chilometri di distanza. Un esempio è il Campo della Favorita di Palermo descritto da Simone Tulumello dove "le condizioni sono precipitate negli ultimi anni caratterizzati da un totale disinteresse istituzionale e da una cresciuta attenzione politica", nel totale vuoto normativo siciliano in cui i campi non esistono seppure insediati da oltre vent'anni. Anche il campo di Cagliari è uno di questi, si chiama "campo SS 554", il nome della statale. Barbara Cadeddu racconta le sue vicende e propone l'arte come mezzo per scardinare il pregiudizio e per offrire alla città la possibilità di mostrarsi in tutte le sue contraddizioni, come in due documentari che raccontano storie di vita di bambini di periferia, Rom e Gagè, tutti figli dell'indifferenza e del silenzio.

Ma dall'Italia arrivano anche buone notizie. Stefano Petrolini porta l'esempio di Trento dove i kosovari arrivati negli anni novanta hanno trovato posto nell'Edilizia Residenziale Pubblica e dove una nuova legge provinciale introduce per la prima volta in Italia le "Microaree" o "Aree Residenziali di Comunità", destinate a piccoli nuclei di famiglie allargate. Francesco Piantoni racconta dei percorsi di superamento dei campi del piano di Bologna, volti a "stabilizzare le condizioni abitative dei nuclei con sufficiente reddito, assegnando loro alloggi reperiti sul mercato privato tramite un contratto di sublocazione e un affitto agevolato". E ci descrive dall'interno l'appassionante esperienza della Piccola Carovana che lavora all'interno dei campi per preparare i nuclei familiari all'uscita, e segue l'ingresso in case non più reperite dal Comune sul mercato privato e "calate dall'alto", ma "accompagnando le famiglie nella ricerca della loro futura abitazione in maniera autonoma, di modo che possano prendere coscienza fin da subito dei costi, delle spese, delle zone". Da Torino Massimiliano Curto e Cristian Anastasio dell'Associazione Terra del Fuoco, con un articolo ricco di dettagli e di dati, descrivono l'esperienza del Dado, una delle più interessanti pratiche di autorecupero in un condominio misto di Rom, rifugiati politici e giovani volontari, realizzato a costi assolutamente contenuti (238 €/mq) con un risparmio del 30% rispetto a un cantiere tradizionale.

C'è infine il caso Roma, dove il nuovo sistema di apartheid è in piena sperimentazione, e l'unica risposta positiva sembrano essere le occupazioni a scopo abitativo. Gli articoli raccolti costruiscono una critica al Piano Nomadi che ha fissato un numero massimo di 6000 Rom sul territorio comunale e si è concentrato nello smantellamento dei campi abusivi, nella riduzione del numero di presenze e nel concentramento degli sfollati in villaggi dove le condizioni di vita sono spesso al di sotto degli standard abitativi stabiliti dalla legge, e addirittura di quelli utilizzati della Protezione Civile per disastri come inondazioni e terremoti. Giacomo Zanelli analizza le relazioni tra la speculazione edilizia e la localizzazione dei campi approfondendo i casi di Via di Villa Troili, via dei Gordiani e Camping Roman River, mentre Cecilia Sgolacchia fa un attenta analisi dei fondi investiti per costruire e gestire i campi e conclude che se fossero stati investiti in edilizia pubblica, oggi più di 8000 Rom potrebbero vivere nelle case popolari.

Ma anche a Roma alcune buone pratiche hanno cominciato a manifestarsi. L'esperienza di Savorengo Ker raccontata da Azzurra Muzzonigro fa comprendere come i Rom del Casilino 900 sono stati in grado di produrre una loro risposta per il loro abitare, attraverso un processo di autocostruzione creativa inventato insieme a Stalker/Osservatorio Nomade e l'Università di Roma Tre, che ha dato vita a una casa in regola con le normative edilizie e che costa un terzo di un container. Mentre Francesca Broccia e Adriana Goni Mazzitelli raccontano dell'esperienza del Metropoliz, una ex fabbrica occupata da migranti provenienti dall'Africa, dal Sudamerica e dall'Europa dell'Est , che ha accolto diverse famiglie di Rom Rumeni che con grande consapevolezza politica hanno deciso di sottrarsi ai campi. Il Metropoliz, come il Dado di Torino, ci sembrano indicare una nuova strada capace di superare non solo il campo ma anche la logica monoculturale dell'abitare Rom fino ad oggi data per immutabile. Dalle queste esperienze, seppur molto diverse tra loro, si può desumere infatti un modello di "Condominio Interculturale" aperto ai Rom, ai migranti e a chi si trova in condizioni abitative precarie, ma anche a studenti fuorisede e giovani volontari in grado di accompagnare e sviluppare virtuosi processi di autocostruzione edilizia e autogestione sociale, per costruire insieme non più ghetti ma nuovi pezzi di città.

note:

1) La parola "apartheid" in africaans significa "separazione", comincia ad esistere di fatto quando nel 1909 il Regno Unito promulga il South African Act escludendo la popolazione nera dal processo decisionale di creazione dell'Unione Sudafricana ed entra in vigore come sistema di segregazione etnica nel 1948, quando il National Party vince le elezioni. Di "creeping apartheid" scrive Oren Yiftachel, Theoretical Notes on 'Gray Cities': The Coming of Urban Apartheid?, "Planning Theory" 2009, vol. 8, n. 1, pp. 88-100.

2) Federico Rahola, Zone definitivamente temporanee. I luoghi dell'umanità in eccesso, ombre corte, Verona 2003.

3) Giorgio Agamben, Homo Sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, Torino 1995, p. 188.

4) Alessandro Petti, Arcipelaghi e enclave. Architettura dell'ordinamento spaziale contemporaneo, Bruno Mondadori, Milano 2007. Petti a pag 24 cita Aleksander Solzenicyn, Arcipelago Gulag, Mondadori, Milano 1974. " Arcipelago si incunea in un altro paese e lo screzia, vi è incluso, investe le sue città, è sospeso sopra le sue strade, eppure alcuni non se ne sono accorti affatto, moltissimi ne hanno sentito parlare vagamente, solo coloro che vi sono stati sapevano tutto."

5) Di frozen transiente scrive Zigmut Bauman, In the Lowly Nowervilles of Liquid Modernity, "Ethnography" vol. 3, N. 3, 2002, pp. 343-349; "una transitorietà congelata, un perpetuo, duraturo stato di temporalità, una durata fatta di tanti momenti rappezzati tra loro" in Zigmut Bauman, La società sotto assedio, Laterza, Bari 2003, p117.

6) Michel Agier, Au bord du monde, les refugiés, Flammarion, Paris 2002, p.85.

7) Olivier Razac, Storia politica del filo spinato. La prateria, la trincea, il campo di concentramento, ombre corte, Verona, 2001, pp. 42-43: "I campi non sono costruiti per durare. In ogni caso non si tratta di edificare o fondare. Un campo, anche se immenso, non deve penetrare la memoria di un luogo, è lì senza esservi realmente, la sua furtività è dovuta al fatto che è solo appoggiato sulla terra, come una tenda che da un giorno all'altro può essere tolta."

8) Camillo Boano e Fabrizio Floris, Città nude. Iconografia dei campi profughi, Franco Angeli, Milano 2005, p.

9) Piero Brunello (a cura di), L'urbanistica del disprezzo. Campi rom e società italiana, Manifestolibri, Roma 1996

10) Krzysztof Wiernicki, Nomadi per forza. Storia degli zingari, Rusconi, Milano 1997.

11) Andrea Brazzoduro e Gino Candreva (a cura di): Stranieri Ovunque. Kalè, Manouches, Rom, Romanichals, Sinti… «Zapruder. Rivista di storia della conflittualità sociale» n° 19, 2009.

12) Leonardo Piasere, I Popoli delle discariche, Cisu, Roma 1991.

13) Nando Sigona, Figli del ghetto. Gli italiani, i campi nomadi e l'invenzione degli zingari, nonluoghi libere edizioni, Divezzano 2002.

14) Nel 2008 il Governo Italiano presieduto da Romano Prodi ha dichiarato lo "stato di emergenza in relazione agli insediamenti di comunità nomadi nel territorio delle Regioni Campania, Lazio e Lombardia" (prorogato ed esteso attualmente anche alle regioni Veneto e Piemonte) e i Prefetti di Napoli, Roma e Milano sono stati nominati dal Ministro degli Interni Giuliano Amato "Commissari Delegati per la realizzazione di tutti gli interventi necessari al superamento dello stato di emergenza".

15) Nicola Valentino (a cura di), I ghetti per i Rom. Roma Via di Salone 323. Socioanalisi narrativa di un campo rom, sensibili alle foglie, Roma 2011.

16) Associazione 21 Luglio, La casa di carta. Il Centro di Raccolta Rom di via Salaria 971. Roma, rapporto presentato alla Facoltà di Architettura di Roma Tre il 30 maggio 2011. Tra i report presentati recentemente ricordiamo: Ass. 21 luglio: Esclusi e ammassati. Il Piano Nomadi di Roma: un muro che divide i bambini dai loro diritti; Ass. 21 luglio, Report Casilino 900. Parole e immagini di una diaspora senza diritti; Amnesty International, Lasciati Fuori. Violazioni dei diritti dei Rom in Europa; Amnesty International, La risposta sbagliata. Italia: il "piano nomadi" viola il diritto all'alloggio dei Rom a Roma.

17) Tommaso Vitale (a cura di), Politiche possibili. Abitare le città con i rom e i sinti, Studi Economici e Sociali, Carocci, Roma 2009. Nel campo delle politiche vedi anche: Tosi A., Cambini S., Sidoti S., Esperienze innovative per l'abitare di Rom e Sinti, in Atlante dell'alloggio sociale in Toscana, Fondazione Michelucci e Arci Toscana, Firenze 2006; Tosi A., Rom e Sinti: un'integrazione possibile, in Giovanna Zincone a cura di, Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati. Secondo rapporto sull'integrazione degli immigrati in Italia, Il Mulino, Bologna 2000.

18) Lorenzo Romito, Oltre i campi. Note per una politica integrata di emancipazione abitativa, civile, culturale, economica e sociale dei Rom in Italia, a partire dal superamento dei campi nomadi, "Roma Time" n° 5, 2009, http://dl.dropbox.com/u/4394790/compl.pdf. Sul lavoro di Stalker /ON con i Rom vedi Francesco Careri e Lorenzo Romito, Roma, una città senza case, un popolo senza terra, in Aldo Bonomi (a cura di), La Vita Nuda, Triennale Electa, Milano 2008, pp.105-115;

19) Si ricorda che la legge n.179 del 17 febbraio 1992, "Norme per l'Edilizia Residenziale Pubblica" nell' Art. 4. sotto il titolo "Quota di riserva per particolari categorie sociali" asserisce che le Regioni, nell'ambito delle disponibilità loro attribuite, possono riservare una quota non superiore al 15 % dei fondi per la realizzazione di interventi da destinare alla soluzione di problemi abitativi di particolari categorie sociali individuale, di volta in volta, dalle regioni stesse. La Regione Lazio con la Legge 788 del 20 febbraio 1996, nell' Art. 4.3 sotto il titolo: "Programmi per categorie speciali", menziona esplicitamente i Rom tra tali categorie a cui assegna una quota di ERP pari all' 11%. (Delibera 1105 del 1995).

20) Sono diverse le organizzazioni di volontariato e le associazioni che attualmente stanno abbandonando la gestione dei campi e della scolarizzazione per concentrarsi sul lavoro di accompagnamento fuori dai campi. Tra gli articoli presentiamo il caso della Piccola Carovana di Bologna, ma è utile ricordare anche il programma Le città sottili condotto dalla Fondazione Giovanni Michelucci nel 2007 per il Comune di Pisa.

21) In campo internazionale un quadro di riferimento di eccellenza si trova nelle linee guida attraverso cui l'OSCE - ODIHR e UN-Habitat recuperano gli insediamenti informali Rom nel sud-est europeo: 1 - Perimetrazione e legalizzazione degli insediamenti spontanei; 2 - Legalizzazione di parcelle e case singole, attraverso una mappatura qualitativa dello stato di fatto; 3 - Miglioramento e implementazione degli insediamenti esistenti con opere di urbanizzazione; 4 - Nuove costruzioni per affrontare i problemi abitativi non legalizzabili; 5 - Istituzione di processi partecipativi per sviluppare gli insediamenti nuovi ed esistenti. Vedi: Vladimir Macura, Housing, urban planning and poverty: problems faced by Roma/Gypsies communities with particular references to central and eastern Europe, CDMG, Consiglio d'Europa, Strasbourg 1999; Vladimir Macura, Inclusion of Roma population through housing and settlements improvement, in : A.A., Four strategic themes for housing policy in Serbia, UN Habitat, SIRP, Belgrade 2006, pp.26-45.

22) Esempi validi sono quelli della microarea per i Sinti di Bressanone (Bolzano) e i villaggi di Guarlone (Firenze) e di Coltano (Pisa) progettati dalla Fondazione Giovanni Michelucci. Vedi: Corrado Marcetti., Tiziana Mori., Nicola Solimano (a cura di), Zingari in Toscana. Storia e cultura del popolo Rom. Zingari e comunità locali. I campi nomadi e l'urbanistica del disprezzo. Orientamenti per soluzioni abitative diversificate, Pontecorboli, Firenze 1994; Città di Bolzano, Fondazione Giovanni Michelucci, La città accogliente. Studio per un programma di superamento dei campi nomadi e delle situazioni di precarietà abitativa tra le popolazioni di Rom e Sinti a Bolzano, Bolzano 2005.

23) Oltre a quella del Dado di Torino e di Savorengo Ker a Roma, che qui riportiamo, si ricorda il Progetto Sperimentale di Autocostruzione "Il villaggio della speranza" del Comune di Padova, finanziato con fondi europei e coofinanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali nel 2010.

 
Di Fabrizio (del 10/07/2012 @ 09:03:58, in casa, visitato 1924 volte)
Conosco K. da tanti anni. Da piccoli i suoi figli ed i miei condividevano la medesima passione per la pesca ed il calcio.

K. vive in un bel prefabbricato in via Idro, con un giardino accogliente ed una marea di figli e nipoti.

Non credo rinnegherà mai il suo essere Rom, o i cavalli allevati da suo padre, o una vita difficile che ultimamente ha trovato un po' di sicurezza in più. Però, qualche anno fa ha deciso con i suoi fratelli che il campo dove ha abitato sinora non faceva più per lui.

Se volete conoscere tutta la storia, mettetevi comodi, perché c'è parecchio da raccontare:

Tutto cominciò circa sei anni fa, quando una massa di emeriti sconosciuti, tra cui io e lui, provarono a descrivere come avrebbe dovuto essere l'insediamento che loro volevano, e come questo poteva interagire col resto della zona.

Credo che quel progetto non lo vide nessuno di chi avrebbe potuto aiutare gli estensori, e anche K. dopo qualche mese aveva già cambiato idea. Poco importa, qualcosa aveva cominciato a frullargli in testa.

    "...si discute per un mese e alla fine si concorda - vedere come avere un ruolo e un tetto regolare all'interno del parco dove si vive da anni. Il più entusiasta di tutti salta fuori con l'idea di acquistare una cascina in una zona diversa da quella su cui si discute dall'inizio. Da una settimana proviamo a spiegargli che l'idea c'entra come i cavoli a merenda, lui mantiene lo stesso entusiasmo ed è convinto di avere già il finanziamento in tasca. O forse è lui a voler convincere noi."

Nella sua numerosa famiglia allargata c'è chi da anni lavora a tempo indeterminato. Grazie a questa fortuna (che non tutti hanno in via Idro), riescono ad aprire un mutuo ed acquistare una cascina, tutta da ristrutturare. Con l'arrivo del Piano Maroni si apre per loro la possibilità di finanziare la ristrutturazione, con i fondi per i progetti di allontanamento dal campo.

I soldi a disposizione non sono molti, circa 8.000 euro a famiglia, ma tutti assieme, ragionano, ce la si può fare. Intanto si comincia a pagare il mutuo... i mesi passano e i soldi non si vedono. Ci sono le promesse, scritte, e l'impegno che senza un tetto sulla testa (e già: ci sono i muri, ma il tetto fa acqua) e un lavoro in zona (se no, come la paghi la casa?) nessuno si sposta. Meglio vivere la miseria in un campo, pensano, che spersi in campagna; tanto la casa, chi te la porta via? Questa era la situazione circa un anno fa.

Cos'è successo da allora (intanto è passato quasi un anno)?

Ad ottobre scorso, la nuova giunta Pisapia scopre, tra i tanti debiti ereditati dall'amministrazione precedente, che c'è anche quello con K. ed i suoi. Naturalmente, non lo salderà tutto... solo una rata, magari abbastanza da comperare la porta di casa. Ma, vedete, nonostante tutto a K. è andata bene, perché il mese successivo il Consiglio di Stato giudica incostituzionale tutto il Piano Maroni, bloccando (ovviamente) i fondi.

Così ad ottobre insorgono Lega e PdL, accusando la giunta Pisapia di attuare quello per cui il loro centrodestra s'era impegnato (ottenendo anche i finanziamenti da Roma). E il mese dopo protesta il privato sociale, per paura di vedersi soffiare sotto il naso la vacca da mungere. Anche K. vorrebbe protestare (a ragione), ma chi vuoi che ascolti la protesta di uno zingaro?

Sempre ad ottobre, il 24 per la precisione, in mezzo alla tempesta PDL-leghista, esce questo comunicato dell'Ufficio Stampa del Comune di Milano ROM. GRANELLI: "CONTRASTIAMO OGNI GIORNO GLI INSEDIAMENTI ABUSIVI, PRESTO UN PIANO PER LE ASSOCIAZIONI" ("PRESTO" ha significato 9 mesi, non male! ndr.) In coda al comunicato, si legge:

    "Da quando la Giunta Pisapia si è insediata - ha concluso l’assessore - in attuazione del Piano Rom coordinato dal Prefetto - una dozzina di famiglie che vivevano in via Novara (circa la metà) e una decina di quelle che abitavano in via Idro hanno lasciato i loro campi, trovando soluzioni abitative alternative. Una decina di esse ad esempio si sono trasferite in una cascina in provincia di Pavia, reperita sul mercato con l'aiuto del Piano Rom" (sottolineature mie, ndr.).

La decina di famiglie di via Idro, l'avrete capito, erano e sono tuttora sempre nello stesso campo. Ma tre giorni fa, sono andato con K. e G. a vedere lo stato di avanzamento dei lavori, alla fine dell'articolo potete vederlo anche voi. E, ovviamente, in via Idro le famiglie che intendono rimanere, aspettano che partano i lavori di ristrutturazione del campo, e continueranno ad aspettare... finché K. ed i suoi non libereranno lo spazio dove vivono attualmente. Vi lascio immaginare quale sia il livello di convivenza ed esasperazione attuale!

Ma il comune lo ignora (anche se continua a filosofare di sicurezza, inclusione, politiche di convivenza), e ha le sue logiche immutabili, che resistono a destra o a sinistra. Con dicembre, a K. arriva un'ingiunzione di sfratto da parte del comune. Sono scaduti i termini concordati per i lavori e quindi lui e i suoi devono trasferirsi. In uno dei pochi incontri avuti con gli assessori, faccio presente che è il comune a non aver mantenuto i suoi impegni, e che se K. si trasferisse con la famiglia (nel frattempo è arrivato l'inverno, se la cosa fosse sfuggita), in un rudere ancora non ristrutturato, l'autorità locale potrebbe dichiarare inagibile il posto, ed addirittura sottrarre i bambini alle famiglie; insomma: la soluzione proposta sarebbe di "occupare"... casa propria, col rischio di essere sgomberati o beccarsi una polmonite. Mi risponde Majorino (assessore alle politiche sociali, conosciuto come "mister simpatia") che non spetta a me parlarne, e che se vogliono saranno le famiglie stesse a discuterne con i servizi sociali. Quello che probabilmente sfugge all'assessore, è che in realtà la situazione che lui e Granelli si immaginano, non è assolutamente sotto il loro controllo. Comunque, bontà loro, lo sfratto non viene eseguito, ma rinviato di 3 mesi in 3 mesi, sino ad oggi e chissà sino a quando.

I lavori fatti in precedenza nella cascina, nel frattempo sono tutti da rifare, a causa dello stop di novembre e delle infiltrazioni nei mesi invernali. K. ci ha messo anche dei soldi propri (oltre il danno, la beffa) e tutta questa storia gli sembra sempre più quella di un'infinita fabbrica del duomo.

Con la bella stagione, ecco che si ricomincia a parlare di sblocco dei fondi. Ricominciano i progetti, annunciati dagli squilli di tromba della ripresa degli sgomberi (non ho capito ancora il vizio di scrivere di progetti e agire per sgomberi, ma questa è un'altra storia).

Però, se è K. ad attaccarsi al telefono, nella speranza che i lavori concordati riprendano, gli viene risposto che i soldi non ci sono, e poi gli si chiude il telefono in faccia.

K. è rom, come lo sono i rumeni sgomberati in questi giorni. Ma K. ed i suoi hanno una casa, un lavoro, quel briciolo di sicurezza in più che non fanno di loro delle "pezze da piedi" preda della polizia municipale: non è lo zingaro povero e straniero dipinto da stampa e TV. Lui vorrebbe fare quel famoso passo che gli permetta di vivere come tutti, in autonomia, senza dipendere da questo o quello, fidandosi dei nostri accordi che lui ha sottoscritto con amministratori e gestori. Ed invece il rischio è di tornare ancora più indietro di quel poco di sicurezza che ha adesso, nel girone infernale degli SFOLLATI. Si sta convincendo che il comune, i piani nomadi, le associazioni, facciano tutta questa confusione per rispondere solo ai bisogni dei Rom rumeni, e ci si scorda (magari apposta) che esistono anche altri Rom, come lui, che hanno situazioni più complesse, e necessarie di quell'attenzione che sinora è mancata. In poche parole: guerra tra poveri. In altre parole: che fiducia possono avere i Rom ultimi arrivati, in un sistema che può scacciarli o assisterli, come una lotteria, ma che continuerà a trattarli con la massima indifferenza anche se riuscissero a salire qualche gradino nella scala sociale?

K. mi guarda, con la faccia di chi ha perso una bella somma ad una mano sfortunata di poker, si accende una sigaretta... Una volta mi avrebbe detto: "Va beh, facciamoci una birra..." Ma ora K. è cambiato, anzi per dirla tutta è proprio incazzato, e sta pensando che dovrà denunciare pure qualcuno per questa lunga storia.



SIGLA!

Sia chiaro, non diremo MAI dove abbiamo scattato le foto che seguono, col rischio di ritrovare un paese tranquillo assediato da tutti i leghisti del pavese. Anzi, se pensate che qualche foto possa dare degli indizi, segnalatelo che la toglieremo.

CLICCARE SULLE IMMAGINI PER VEDERLE IN DIMENSIONE ORIGINALE


Vista generale del tetto
Particolari frontali
K. dice di aver speso 10 mila euro per le assi del tetto, il risultato è qui sotto
Stanza allagata e altri 5 mila euro buttati via
particolare della parete e del soffitto
pavimento da rifare
muffa sul muro imbiancato da poco

Lavori in corso
Da dentro
Pavimento
Ingresso dal retro (su quel tubo maledetto ho sbattuto la testa due volte)
Vista d'insieme
Particolari


Di fuori la stalla, le assi sono sparite ed è crollata


Le foto qui presentate, ed altre, sono scaricabili (file .zip - 111 MB) QUI
 
Di Fabrizio (del 19/07/2012 @ 09:06:15, in casa, visitato 1526 volte)

Segnalazione di Stefano Nutini. Anche su

Repubblica Cucine pulite, bambini che giocano, un palazzo rinato così una zona piccolo borghese ha accolto 700 nomadi - dal nostro inviato GIAMPAOLO CADALANU

BERLINO - La prova che sulla convivenza si può investire è a Neukölln, un quartiere di palazzine basse e giardinetti curatissimi. È un rione considerato dai berlinesi fin troppo "spiessburgerlich", cioè piccolo borghese, chiuso al nuovo e al diverso, culturalmente lontano dal confinante Kreuzberg, da sempre roccaforte della sperimentazione e della mescolanza culturale. Eppure proprio qui è nato un esperimento particolare, quando un'immobiliare cattolica ha deciso di restaurare un complesso edilizio per lasciarlo ai nomadi che l'avevano occupato quando era semi diroccato.

Dalla finestra aperta su Harzer strasse numero 65, all'angolo con la Treptower strasse, si vede una cucina pulitissima. Nel cortile interno, bambini con occhi scuri giocano sereni fra due tigli, salutando gli ospiti in tedesco. Sull'intonaco restaurato di fresco spiccano brillanti murales. Questo è il palazzo che i vicini chiamavano "Casa dei topi". Questo è il palazzo che Benjamin Marx, responsabile del complesso per la immobiliare cattolica Aachener, vuole lasciare alle famiglie di origine rom che l'avevano occupato un anno fa: "L'idea è offrire ospitalità a chi viene sempre discriminato", sottolinea il funzionario.

Siamo a due passi dalle locali "colonie", giardinetti dati in concessione a privati, con alberi da frutto, casette in legno di pino, steccati dipinti di bianco e innaffiatori automatici, ma a solo pochi chilometri c'è il quartiere di Marzahn, oggi sfilata di palazzoni del socialismo reale, ma dove un tempo sorgeva il campo di raccolta degli "Zigeuner", gli "zingari", come i nazisti chiamavano le persone di etnia sinti e rom con un termine oggi considerato offensivo. La loro deportazione nel campo di Marzahn era cominciata proprio 76 anni fa, il 16 luglio del 1936, perché bisognava ripulire la capitale del Reich in vista delle Olimpiadi.

La storia proseguì con le deportazioni a Sachsenhausen e poi ad Auschwitz. Il bilancio di quello che in lingua rom si chiama Porajmos, cioè "la devastazione ", fu di almeno 250 mila o 500 mila vittime, ma c'è anche chi parla di un milione e mezzo di persone sterminate, fra "zingari" e persone di sangue misto.

Gli inquilini del complesso di Harzer strasse 65 sono già settecento. La prima ondata viene dal villaggio bulgaro di Fantanele, secondo il quotidiano popolare berlinese BZ tutto è cominciato quando un muratore disoccupato, diventato venditore di döner kebab, ha fatto amicizia con una ragazza romena.

È nato l'amore, poi il giovane è andato a trovare le famiglia di lei. E in pochissimo tempo l'intero villaggio si era trasferito a Neukölln. All'inizio era un panorama di materassi abbandonati, rifiuti ovunque, topi. Poi è arrivata un'immobiliare di ispirazione cristiana, la Aachener. E l'esperimento è cominciato.

Per adesso molti inquilini vivono di assistenza sociale, fanno riferimento cioè alla Hartz VI, il sistema di sostegno per disoccupati. Ma chi può cerca lavoro, chi non può si impegna nel risanamento della casa, sempre sotto gli occhi di Benjamin Marx. E il programma è trasformare le palazzine in un centro moderno, c'è persino l'idea di costruire un piccolo teatro all'interno del complesso.

"Abbiamo buttato via 150 metri cubi di immondizia, abbiamo eliminato i topi. Adesso vogliamo nel complesso di Harzer strasse anche altre persone, non solo rom, abbiamo già altri aspiranti inquilini", dice Marx, amministratore dell'edificio e vero ispiratore dell'operazione. Secondo l'uomo della Aachener, i nomadi che si sono trasferiti in Germania in realtà avevano in Romania un villaggio con case in buone condizioni.

Ma anche a casa loro erano una minoranza, e come tale venivano trattati. "Adesso voglio vivere qui, voglio un futuro tedesco per i miei bambini. Sono contenta perché qui ho anche i parenti, e voglio restare in questa casa", dice una madre con i capelli nerissimi raccolti all'indietro in una crocchia.

In tutta l'Europa, dicono gli attivisti delle organizzazioni pro nomadi, i pregiudizi sono duri a morire, solo nei mesi scorsi un settimanale della civilissima Svizzera ha pubblicato in copertina la foto di un giovane rom con una pistola giocattolo sotto il titolo: "Vengono i nomadi, ondata di furti in Svizzera".

Pure fra i piccoli borghesi di Neukölln è arrivato l'appello della destra xenofoba, ma è caduto nel vuoto. Quando i nostalgici dell'organizzazione "Pro Deutschland" hanno distribuito volantini contro la presenza delle famiglie dei nomadi, nessuno gli ha dato retta. Per ora l'esperimento della Aachener va avanti. I vicini preferiscono ascoltare la fisarmonica di una famiglia di Bucarest, alla festa di quartiere, nel cortile dell'ex "casa dei topi", che i richiami all'odio.

 
Di Fabrizio (del 30/07/2012 @ 09:12:38, in casa, visitato 1624 volte)

Dice l'Alemanno sindaco: «Sono riuscito a convincere le comunità nomadi» di Tor de Cenci «ad andare nei nuovi siti, alla Barbuta e nei nuovi spazi che saranno ...

video e testi di Davide Zaccheo

60 macedoni costretti ad accettare il trasferimento volontario nel campo della Barbuta, con la minaccia di rimanere in mezzo alla strada se non avessero firmato volontariamente. I loro container, di proprietà pubblica e ben mantenuti, invece di essere adoperati per i 300 rom rimasti vengono abbattuti come deterrente per lo sgombero che sta tanto a cuore al "duo monnezza" che purtroppo ancora comanda Roma Capitale. La politica romana sui rom in questa legislatura si conclude come era iniziata: promesse, ricatti e minacce, è ora che vadano a casa e paghino alla giustizia i gravi danni che hanno e stanno provocando.

 
Di Sucar Drom (del 20/08/2012 @ 09:11:14, in casa, visitato 1768 volte)
 
Di Fabrizio (del 26/08/2012 @ 09:16:58, in casa, visitato 1420 volte)

Di Nazzareno Guarnieri

...non è stato mai affrontato, solo qualche caso puramente dimostrativo e demagogico per buttare fumo negli occhi dei cittadini e riempirsi la bocca di legalità.
E' bene precisare che che questi alloggi sono occupati abusivamente da cittadini Italiani di cui circa un terzo da imputare a famiglie rom.

Da qualche mese a Pescara e Provincia è in atto LO SFRATTO dagli alloggi popolari occupati abusivamente, cioè senza una regolare assegnazione o senza il corretto iter amministrativo.

Una scelta giustissima per la garanzia dei diritti e per il ripristino della legalità.
Ma gli fratti eseguiti finora riguardano SOLO FAMIGLIE ROM.

Inoltre dopo questi fratti molti bambini rom vengono letteralmente buttati in mezzo alla strada violando la normativa che obbliga a definire una soluzione alternativa allo sfratto ed in particolare per tutelare i minori.
E' POSSIBILE RIPRISTINARE LA LEGALITA' VIOLANDO LA LEGGE?

Per esempio si è verificato che in condominio con 3 inquilini abusivi, di cui uno Rom, lo sfratto è stato notificato ed eseguito solo ll'inquilino abusivo rom.
Diverse sono situazioni simili, sia a Pescara che nei comuni della Provincia.
Un vero PROGROM che riverserà il disagio sulla quotidianità di tutti i cittadini
E' questa la legalità di questa politica abruzzese?
L'ennesima discriminazione razziale di una politica incapace di governare.
Dove è finita l'opposizione politica?
e la società civile?
Tutti bravi a fare fumo e teorie, fatti concreti utili al cittadino? .... chi sa quando

La legalità è una valore importante per una società civile e democratica e non può essere strumentalizzata per interessi personali o di parte.
Quanti personaggi a Pescara si sono riempiti la bocca di legalità ed istigato all'odio razziale SOLO per essere eletti e dopo la elezione non hanno fatto nulla?

La Fondazione romanì Italia ed il Centro Studi Ciliclò nei prossimi giorni, in merito agli sfratti eseguiti e da eseguire a Pescara e Provincia, invieranno una segnalazione alle istituzioni internazionali preposte ed all'Ufficio nazionale antidiscriminazione razziale della Presidenza del consiglio dei Ministri, inoltreranno alla procura di Pescara una denuncia/esposto per indagare su eventuali violazioni della legge.

 
Di Fabrizio (del 30/08/2012 @ 09:31:11, in casa, visitato 1510 volte)

Pubblicato il 21 ago 2012 Le foto

Continuiamo ad occuparci di bioedilizia, amici di Ecoblog, seguendo i progetti del contest Solar Decathlon Europe 2012 che ricordiamo si svolgerà dal 14 al 30 settembre prossimo a Madrid. Dopo la portoghese Casas Em Movimento, l'abitazione solare modulare che vi abbiamo presentato nelle scorse settimane, è la volta di un progetto made in Romania.

Si chiama PRISPA ed è una casa solare prefabbricata che produce, grazie ai pannelli fotovoltaici, il 20% in più di energia dei consumi medi (in Romania). A Bucarest i consumi medi sono di 7.508 kWh all'anno, la casa ne produrrebbe 9.501 kWh. Una piccola centrale energetica che va oltre l'autosufficienza. Il progetto degli studenti di architettura degli atenei rumeni, rispetto a quello dei colleghi portoghesi, è decisamente più semplice: non introduce novità radicali, come nel caso della casa modulare che si adatta alle mutate esigenze di spazio ed energia della famiglia, in costante evoluzione, bensì punta a sfruttare le tecnologie esistenti in modo innovativo. D'altra parte, è la prima volta che la Romania partecipa al Solar Decathlon Europe ed è un esordio davvero niente male.

I pannelli fotovoltaici, 32 in tutto, sono integrati alla struttura per una potenza installata complessiva di 8 kWp. La casa, costruita in legno, è ottimizzata per sfruttare la luce solare in inverno e raffrescarsi passivamente d'estate. In dotazione anche due pannelli solari termici ed impianti per il riciclo delle acque grigie in grado di recuperare fino a 250 litri al giorno.

La particolare struttura angolare garantisce inoltre un elevato livello di protezione dai venti gelidi e sferzanti che soffiano in Romania d'inverno. Anche gli interni sono in legno, sono stati mantenuti i colori naturali dei tessuti e delle altre materie prime utilizzate per i pavimenti ed i rivestimenti. Gli ambienti sono arieggiati e molto luminosi e per ridurre l'invasività degli impianti è stato progettato un locale appositamente per ospitare i convertitori di energia e le altre apparecchiature tecnologiche.

La casa costerebbe, orientativamente, intorno ai 120 mila euro (è il prezzo del prototipo di 87,15 metri quadrati), ma gli studenti sperano che il costo in futuro possa abbassarsi ulteriormente attestandosi intorno ai 70 mila euro, cifra nettamente più abbordabile.

Cliccare sulle foto per vederle a grandezza originale

PRISPA su Facebook

 
Di Fabrizio (del 09/09/2012 @ 09:05:03, in casa, visitato 1371 volte)

Il Resto del Carlino - REGGIO EMILIA di Federico Malavasi

I Sinti in via Gramsci (Artioli) - Il Comune ha deciso di spostare alcune famiglie del campo di via Gramsci

Reggio Emilia, 3 settembre 2012 - LA COMUNITA' sinti di via Gramsci si prepara a traslocare. E' infatti di pochi giorni fa (precisamente del 31 di agosto) il via libera ad un provvedimento dirigenziale del Comune che stabilisce la realizzazione di due nuove microaree - una a San Maurizio e una sempre a Mancasale - destinate ad ospitare le famiglie che attualmente vivono nel campo alla periferia nord della città. Questo intervento rappresenterebbe un ulteriore passo in avanti sulla strada del progetto, approvato dal consiglio comunale nell'ottobre del 2007 e finito al centro di una lunga scia di polemiche, che si era prefissato lo scopo di migliorare le condizioni abitative della comunità sinta, «andando oltre il concetto dei campi sosta».

E così, dopo la prima microarea creata in via Felesino - a Villa Cella - si apre ora un'ulteriore valvola di sfogo per gli abitanti del sempre più affollato campo di via Gramsci. Sulla scia dell' ‘esperimento' di Villa Cella, il Comune ha quindi individuato due aree idonee ad ospitare le famiglie sinti, una in via Beretta (a Mancasale) e l'altra in via Zannoni (un'area di campagna non molto abitata nella zona est della città, non lontano da San Maurizio).

L'INTERVENTO, si legge nel documento di piazza Prampolini, prevede «per ciascuna nuova microarea l' ‘urbanizzazione' di un terreno di 660 metri quadri, la pavimentazione della zona per il parcheggio di roulotte e case mobili, la realizzazione di 5 colonnine per l'allaccio di acqua ed elettricità, due servizi igienici, un impianto di illuminazione e uno di smaltimento di acque di scarico e piovane». I lavori, puntualizzano dal Comune, verranno portati a termine in meno di un anno dal loro inizio. Per quanto riguarda i costi, si stima una spesa di 230mila euro, finanziati per il 90% (207mila euro) da fondi regionali. Fondi (261mila euro in tutto per la provincia di Reggio) che la giunta di viale Aldo Moro ha sbloccato nel giugno scorso per il «miglioramento delle condizioni di vita nei campi nomadi». Un provvedimento che ha fatto andare su tutte le furie il capogruppo della Lega in sala del Tricolore Giacomo Giovannini («Appuriamo che Errani ha più a cuore i nomadi che i terremotati»).

DI TUTT'ALTRO tenore invece l'accoglienza riservata alla notizia dagli abitanti del campo sosta di via Gramsci. «Ben vengano le microaree - esulta Silvio Truzzi, che il campo di Mancasale lo ha visto nascere -. Qui ci sono quasi 40 ‘campine', e, quando ci siamo tutti, siamo circa in 300. E più le famiglie si allargano, più serve spazio». Uno spazio che in via Gramsci ormai non c'è più. «Le casette sono una attaccata all'altra . Non c'è privacy e se per disgrazia dovesse scoppiare un incendio sarebbe un disastro. Con queste nuove sistemazioni si potrebbero invece avere spazi idonei per vivere dignitosamente». Qualche perplessità in più invece riguardo alle dimensioni ipotizzate per le nuove microaree. «Per 660 metri quadri - continua Truzzi - non vale nemmeno la pena di iniziare i lavori. Nel giro di due anni, con l'arrivo di figli e nipoti e il conseguente ampliarsi delle famiglie, si sarebbe ancora da capo. Ne servirebbero almeno mille». Il progetto si preannuncia comunque tutto in salita. Il rischio è che - vista anche la non semplice situazione economica - si scoperchi un ‘vaso di Pandora' ancora peggiore di quello di Villa Cella.

 
Di Fabrizio (del 14/09/2012 @ 09:11:43, in casa, visitato 1654 volte)

Da Sociale in Rete

    06/09/2012 - Matteo ha scritto un nuovo commento in risposta al mio post del 4 settembre pubblicato nel blog SOCIALE IN RETE tratto da Vita. I miei blog non sono testate giornalistiche e io sono mero collettore volontario di info sociali e news di nicchia. Non ho strumenti per valutare nel merito la questione. Per correttezza pubblico comunque e giro a giornalisti professionisti in grado di effettuare indagini serie l'appello e la denuncia di Matteo Mattioli.

    Paolo Teruzzi

"da 72 giorni io ed altre 13 famiglie stiamo occupando il cantiere di autocostruzione di Filetto (RA) sul quale già da 3 anni sarebbero dovute sorgere 14 unità abitative realizzate da cittadini svantaggiati, metà dei quali extracomunitari, individuati attraverso bando del 2006 del Comune che assumeva su di se l'onere di "sovrintendere coordinare e vigilare in tutte le fasi la corretta attuazione del progetto". Il Comune procedeva poi ad individure la ditta Alisei (Alisei S.r.l., figlia della ONG) sempre attraverso bando, ditta che nel 2010, dopo avere usufruito dell'80% del fido dichiarava fallimento lasciando i lavori di costruzione al 40%.
Da 3 anni i lavori sono sospesi. http://difesaconsumatori.eu/

A livello locale questa vicenda ha assunto un certo rilievo mediatico, tuttavia è una problematica che interessa l'intero territorio nazionale e coinvolge amministrazioni a vario titolo. In base a ricerche approssimative da me eseguite è emerso che la società Alisei ONG non si occupa soltanto di autocostruzione ma di progetti umanitari in Afganistan, Libia, Pakistan, Sry Lanka, Ruanda, Sao Tomè, Angola, Congo, Haiti che interessano le più svariate discipline, a volte anche sostenendo missioni militari (Cooperazione in contesti di guerra). La finalità di tutto ciò è resa ancora più evidente dai rapporti che collegano Alisei ONG a Protezione Civile, PD, Emma Bonino membro del comitato esecutivo dell'International Crisis Group e Commissario Europeo all'ONU, e che oggi si concretizzano ad esempio nella partecipazione all'Expo 2015 di Milano di Alisei in quanto "impegnata in progetti agricoli di successo in vari paesi del mondo".

In merito a questa vicenda, però, ancora nessuno ha condotto una seria inchiesta giornalistica che possa far luce sul sistema di scatole cinesi attuato col fine di "distrarre" dei soldi impunemente.
Mi auguro possiate essere Voi a farlo.


Cos'è l’autocostruzione associata e assistita (tratto da FONDAZIONE MICHELUCCI)
L’autocostruzione fa parte della storia sociale dell’abitare. [...] la pratica di costruire direttamente, in tutto o in parte, la casa in cui si andrà ad abitare, è rimasta diffusa soprattutto fra i ceti popolari.
E’ una pratica molto comune nei paesi in via di sviluppo, ma anche in molti stati del Nord America e in alcuni paesi europei come in Germania, Danimarca, Francia, Irlanda. [...]
Oggi, l’autocostruzione assistita è una procedura edilizia con specifiche e consolidate modalità e tecnologie costruttive, diretta e coordinata da professionisti, attraverso la quale un gruppo associato e volontario di persone o di famiglie realizza, nel tempo libero dal lavoro o dall’occupazione principale, la propria abitazione.
[...]
“Fare l’autocostruzione” significa partecipare attivamente e condividere una modalità di produzione dell’alloggio, nella quale i futuri abitanti sono direttamente e materialmente impegnati. Gli autocostruttori sono una comunità organizzata, autogestita, e assistita nelle procedure e nei lavori da personale tecnico professionale esperto e accreditato.
Agire in maniera associata con altre persone, e assistiti da professionisti, permette di condividere le responsabilità, le problematiche, le difficoltà che accompagnano necessariamente un impegno come quello dell’autocostruzione.
L’autocostruzione promuove la partecipazione e il coinvolgimento nelle scelte di governo del territorio e nelle politiche di inclusione sociale.
Costituisce una occasione di socialità, di cooperazione, di mutuo aiuto tra persone. Produce coesione e solidarietà dove la lotta per la casa rischia di diventare una guerra tra poveri.
Investe sulle relazioni di vicinato e contribuisce alla costruzione della comunità locale, mentre la convivenza diventa sempre più un aspetto critico dell’abitare.
Per partecipare a un cantiere di autocostruzione è necessario avere la disponibilità di un monte/ore settimanale per nucleo familiare, distribuite tra le giornate di fine settimana (sabato e domenica) ed eventuali fasce orarie libere in altri giorni della settimana. Il monte/ore settimanale e totale necessario risulterà dalla progettazione definitiva e dai tempi in cui si deciderà insieme di completare l’opera.
Non è necessario, anche se è auspicabile, avere competenze in uno dei campi tecnici (edilizia, impiantistica varia, etc.) necessari sul cantiere.
E’ una occasione di autoformazione professionale e consente di acquisire capacità e conoscenze preziose.
L’autocostruzione, che può essere totale o parziale (e con varie gradazioni), consente un sensibile abbattimento del costo di costruzione e di accesso ad una abitazione. L’abbattimento è in stretta relazione con la percentuale di opere realizzate in autocostruzione, e può oscillare tra il 40 e il 60%.

L'Autocostruzione in Italia spesso è stata il pretesto di giochi politici ed economici.
Dal 1999, anno in cui venne avviato il primo progetto a Vergiate (VR) dall'architetto Cusatelli, padre dell'autocostruzione in Italia, ad oggi, sono stati avviati qualcosa come 40 cantieri, in almeno 8 regioni italiane.
Il 90% di questi sono stati affidati ad Alisei ONG o sue società "figlie", avente/i il compito di dirigere i lavori con personale tecnico qualificato, istruire gli autocostruttori e amministrare le risorse economiche (linee di credito intestate alle cooperative di autocostruttori).
Questi i progetti avviati da Alisei in Italia:
VERGIATE - VR: concluso.
AMMETO MARSCIANO - PG: concluso nel 2007, gravi difetti di costruzione, infiltrazioni.
GABELLETTA - TERNI: nessuna informazione.
RIPA - PG: concluso.
BESANA BRIANZA - MI:nessuna informazione.
PADERNO DUGNANO - MI: non risulta avviato.
TREZZO SULL'ADDA - MI fermo dal 2009.
PIEVE EMANUELE - MI: fermi, mancano 1,3 milioni di €.
VIMODROME - MI: cantiere interrotto da 3 anni.
CASAMAGGIORE - CR: concluso con problemi strutturali, i proprietari abitano le case senza avere rogitato.
SANT'ENEA - PG: finito nel luglio 2012.
SANPOLINO - BR: case rase al suolo.
BAREGGIO - MI: annullato.
PADOVA: concluso, ma con fondi del Ministero.
MONTERIGGIONI - SI: ancor prima di far partire il cantiere con la cooperativa già avviata era già bella e sparita e i lavori non si sono mai avviati.
CADONEGHE - PD: cantiere bloccato da gennaio 2012.
PIEDIMONTE CE: in corso.
VILLARICCA - NA: in corso.
CAIAZZO - CE: in fase di avvio.
PIANGIPANE - RA: terminato con finanziamento della Regione.
SAVARNA - RA: avviato nel 2005 non è ancora stato completato.
FILETTO - RA: bloccato dal luglio 2009, buco di 500.000 €.

Matteo Mattioli - 3382019094 - matmattioli@gmail.com

 
Di Fabrizio (del 15/09/2012 @ 09:10:02, in casa, visitato 1115 volte)

Segnalazione di Piero Leodi

Vi suggerisce l'ascolto di TUTTA LA CITTÀ NE PARLA del 05/09/2012, trasmessa in occasione del World Urban Forum 6, Napoli 1-7 settembre 2012. The Urban Future.
Dura circa 43 minuti

 

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