Rom e Sinti da tutto il mondo

Ma che ci fa quell'orologio?
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Conoscere non significa limitarsi ad accennare ai Rom e ai Sinti quando c'è di mezzo una disgrazia, ma accompagnarvi passo-passo alla scoperta della nostra cultura secolare. Senza nessuna indulgenza.

La redazione
-

\\ Mahalla : VAI : conflitti (inverti l'ordine)
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 09/02/2012 @ 09:28:52, in conflitti, visitato 1638 volte)

Da Czech_Roma (con una chiusa personale)

Romea.cz PHOTO: Repro Česká televize
La bambina rom bruciata ha subito oltre 100 anestesie, in seguito ci sarà un intervento chirurgico - Budišov nad Budišovkou (Opava district), 4.2.2012 21:00

Natálie Siváková (5 anni) si sta gradualmente riprendendo dalle ferite patite nell'aprile 2009, quando fu vittima di un assalto di neonazisti, poi conosciuti come i piromani di Vitkov. Lo scorso ottobre, i medici hanno effettuato la ricostruzione delle dita e dell'avambraccio destro, che erano inutilizzabili a causa del tessuto cicatrizzato dalle ustioni. La televisione ceca riporta che ora è in attesa di un'operazione al collo ed alle ascelle.

Alla bambina non è permesso di uscire, a causa del gelo intenso nella regione. "Il tessuto cicatriziale è più sensibile della pelle sana, si asciuga più velocemente e può rompersi," ha detto alla televisione Iva Zámečníková, vice direttrice del Centro Ustionati dell'ospedale di Ostrava.

L'intervento a cui sarà sottoposta presso il centro ustionati sarà il ventesimo in sequenza. "Non riesce a reggere la testa in maniera corretta, quindi [i dottori] la opereranno al collo e alle ascelle. Ho molta paura," ha detto alla televisione sua madre Anna Siváková. La bambina è già stata sotto anestesia un centinaio di volte.

Durante l'ultima operazione ad ottobre 2011, i dottori avevano fissato la cicatrice sul collo della bambina. Allora, una specialista in chirurgia alle mani, Alena Schmoranzová, l'aveva operata al dito indice ed all'avambraccio, che a causa delle cicatrici la bambina non era in grado di muovere. "Prima non li usava per niente," conferma Anna Siváková. "Ora ha scoperto che va meglio e lo usa tutto il tempo," ha detto alla televisione, aggiungendo che la figlia deve ancora indossare plantari speciali.

Natálie venne ferita alle prime ore del mattino del 19 aprile 2009, durante un assalto incendiario a sfondo razziale, commesso da quattro neonazisti contro la casa della famiglia. Il tribunale ha condannato David Vaculík e Jaromír Lukeš a 22 anni di carcere, e Václav Cojocaru e Ivo Müller a 20 anni per tentato omicidio a sfondo razziale ed atti vandalici.

ryz, Czech Television, translated by Gwendolyn Albert


E' dal 2009 che seguo passo passo la storia di Natálka. All'inizio mi era rimasta impressa l'efferatezza del gesto: in una casa come tante, abita una famiglia come tante. Ma è una famiglia rom, e così una notte 3-4 teste rasate buttarono una molotov attraverso la finestra. Natálka, di neanche tre anni, rimase ustionata sull'80% del corpo. Dichiarata quasi morta, cominciò invece un lento recupero, che vide coinvolti in una gara solidale non solo i suoi genitori, ma i medici, le autorità dello stato, tanti cittadini anonimi di quella stessa Repubblica Ceca che invece è nelle cronache europee per gli atti di violenza quotidiana contro la minoranza rom.

Da una parte facevo il tifo per i piccoli miglioramenti di Natálka, dall'altro seguivo le cronache del processo ai piromani, interrogandomi su cosa avesse portato dei ragazzi a un gesto simile, e se mai sarebbero stati in grado di capirlo, e cosa avrebbero pensato quando anche loro avessero generato una prole. Ed assieme tentavo di capire cosa significasse sopravvivere, ricostruirsi pezzo a pezzo, per una bambina di quell'età, per i suoi genitori ed i fratelli e sorelle.

Quel fuoco, non arde solo nella remota Repubblica Ceca. Sentiamo il crepitare delle fiamme anche a Opera, a Ponticelli, a Torino.

E' passata da poco (e già mi sembra vecchia) la memoria del Porrajmos, tra il ricordo di 500.000 morti e le risate di scherno dei negazionisti.

Per me  non è il Porrajmos il marchio di questo popolo, con tutto il rispetto per la tragedia di quegli anni. Il marchio sono le storie di violenze grandi e piccole di OGGI, del tempo dove NOI viviamo. A costo di essere retorico, è la piccola storia di una bimba bruciata, che NON E' MORTA, che attraverso le sue ustioni riflette la nostra immagine allo specchio.

Lo scorso 11 ottobre, così Nicolae Gheorghe chiudeva il convegno per i 40 anni dell'AIZO:

"L'Olocausto ancora non è stato riconosciuto come fatto politico.
La povertà del nostro popolo, la capisco sino ad un certo punto, non oltre: non siamo a chiedere l'elemosina agli altri. La nostra miseria da forza ai nuovi nazisti, dobbiamo averne conoscenza per combatterli.
La nostra terra, il ROMESTAN, ci è stato copiata ed è diventato patrimonio dei discorsi della destra. Ricordatevi: in Germania la prima misura dei nazisti fu di togliere la cittadinanza ai sinti, e la loro prima richiesta a guerra finita fu di riaverla. Allora: la cittadinanza EU, richiesta da molti, non può essere una riparazione per la mancata cittadinanza nazionale.
Siamo una nazione culturale:
IL NOSTRO SIMBOLO NON E' LO STERMINIO, MA LA SOPRAVVIVENZA."

 
Di Fabrizio (del 24/02/2012 @ 09:31:14, in conflitti, visitato 1691 volte)

Domenica 26 febbraio alle ore 19.30, presso l'Obra Cultural, il Cantiere Sociale de l'Alguer presenta "Qualche Rom si è fermato italiano".

Sono oltre 10 milioni i Romà d'Europa, la più grande minoranza etnica transnazionale, formata da varie etnie accomunate dall'uso del romanésh, antichissima lingua di origine indiana. Dieci milioni di persone di cui i due terzi vivono al di sotto della soglia di povertà, confinati soprattutto in Italia nei "campi nomadi", recinti suburbani senza strade, acqua corrente, luce elettrica, con difficoltà e discriminazioni nell'accesso al lavoro, all'assistenza sociale e sanitaria. La parola zingaro è carica di connotazioni negative e rimanda a rappresentazioni stereotipate di un intero popolo a cui vengono associati comportamenti sociali fuorvianti, veri o presunti. Spesso i romà diventano i capri espiatori dei malfunzionamenti e delle perversioni della politica e dell'economia dei nostri paesi.
Della lunga e sofferta storia di questo popolo, un tempo nomade ora sempre più sedentarizzato, abbiamo scelto la pagina più tragica: lo sterminio da parte dei nazifascisti. Porrajmos (distruzione) è la parola in lingua romanì corrispondente all'ebraico Shoà: si stima che quasi 500.000 tra romà, sinti e camminanti siano stati uccisi nei campi di concentramento tedeschi, con la solerte collaborazione dei fascisti di Mussolini che in Italia e in Jugoslavia provvedevano a rastrellare e caricare nei vagoni piombati ebrei e figli del vento. Una storia a lungo dimenticata ma che aggrava il bilancio della follia nazifascista: due, e non solo uno, furono i popoli perseguitati per motivi razziali e destinati alla "soluzione finale": romà ed ebrei.

Durante la serata saranno proiettati i documentari "Porrajmos" di Paolo Poce e Francesco Scarpelli, e "Un rom italiano ad Auschwitz"di Francesco Scarpelli ed Erika Rossi (tratti dal dvd "A forza di essere vento" edito da A rivista anarchica), e l'intervista a Pashana, realizzata dal Cantiere Sociale de l'Alguer nel 2003.

Bica (nonna) Pashana, anziana capostipite degli Hadzovich, famiglia rom khorakhanè che vive ad Alghero da quasi 40 anni, racconta la storia dei suoi due fratelli, partigiani di Tito durante la II Guerra Mondiale (e di cui conserva gelosamente un attestato al merito), le stragi che ha patito il suo popolo in Jugoslavia per mano di tedeschi e ustasha, e poi la povertà, i lutti, la semplice dignità di una vita sempre in viaggio. Con il solo desiderio della serenità per se, ormai ultraottantenne, e la sua famiglia: speranza delusa dalla sorda burocrazia italiana che gli ha negato "la pensia", l'agognata pensione sociale. Per tutti noi un'occasione mancata per sentirci parte di una società del diritto, prima che Pashana lasciasse la sua sempre più numerosa discendenza per riprendere il suo viaggio.

La proiezione dei filmati si alternerà alle letture tratte dal libro "Màskar e Borori", a cura di Joan Oliva.

«fuggi luna, luna, luna se verranno i gitani faranno del tuo cuore collane e anelli bianchi» Federico Garcia Lorca, 'Romancero Gitano'

 
Di Fabrizio (del 27/02/2012 @ 09:11:49, in conflitti, visitato 1833 volte)

nuova Agenzia Radicale - martedì 21 febbraio 2012 di FLORE MURARD-YOVANOVITCH

intervista allo storico Luca Bravi*

- Perché il genocidio dei Rom sotto il nazismo - il Porrajmos - che fece circa mezzo milione di vittime tra questo antico popolo europeo, è ancora oggi in parte uno sterminio dimenticato?

I Rom continuano oggi a subire stereotipi culturali simili a quelli che hanno subito nel corso della Storia. Nella mentalità comune, lo "zingaro" è ancora percepito come "asociale" o "nomade", presunte "tare" su cui i nazisti imbastirono la loro teoria della "razza zingara". La rimozione del genocidio dei Rom ha varie cause, storiografiche ma anche politiche. La Germania post-bellica ha fatto di tutto per cancellare la radice razziale della persecuzione degli "zingari", derubricandola a una semplice operazione di pubblica sicurezza per via della loro presunta "pericolosità" (mistificando la legislazione nazista). Cioè, ai sopravvissuti rom e sinti furono negati i risarcimenti e questa rimozione durò fino alla fine degli anni '80, quando alcuni studiosi tedeschi rivalutarono gli archivi del regime nazista che facevano chiari riferimento alla "razza zingara". Il Porrajmos fu riconosciuto solo nel 1989 dalla Germania come genocidio di stampo razziale. La legge relativa al Giorno della Memoria in Italia attualmente ricorda correttamente la specificità della Shoah ma per adesso non è stato inserito alcun riferimento al Porrajmos (il Parlamento ha ricordato l'internamento dei rom e dei sinti nei campi di concentramento solo il 16 dicembre 2009).

- Gli storici non si sono interessati alla questione della persecuzione dei Rom sotto il Terzo Reich, nemmeno dopo la fine della guerra?

Sì, ma solo tardivamente, tanto in Germania quanto in Italia. Anche tra gli storici erano ed a volte sono presenti clichés sui nomadi pericolosi. Il genocidio dei Rom è inoltre una questione storiografica complessa. Studiare il Porrajmos a fianco della Shoah, senza con questo banalizzare o tanto meno negare la centralità e la specificità di quest'ultima, significa rischiare di entrare in attrito con chi propone l'idea di una unicità della Shoah; (e della sua incomparabilità con qualsiasi altro fatto storico). La mia tesi è che esiste invece un parallelismo nel totale annientamento che i nazisti riservarono a questi due popoli considerati "razzialmente inferiori"; Porrajmos e Shoah sono, purtroppo, tasselli dello stesso evento, l'uno getta luce sull'altro, ed entrambi sono crimini contro l'umanità intera.

- Parallelamente alla "razza ebraica" i nazisti avevano infatti teorizzato una "razza zingara", anch'essa "geneticamente inferiore" e da eliminare. Ci spiega meglio come questa "classificazione" razzista fu elaborata?

La legislazione nazista si nutre della percezione popolare negativa dello zingaro nomade. Già nel 1935 le Leggi di Norimberga, anche se non li menzionano, furono applicate anche agli "zingari" (termine allora usato per chiamare i rom e i sinti), deprivati dalla loro cittadinanza tedesca. Dal 1936, tutti gli zingari vengono internati nei campi di sosta forzata e poi dal 1938 allontanati e deportati in massa all'Est, in vagoni speciali aggiunti a quelli degli ebrei. In quei campi di concentramento lavorava l'Unità di Igiene Razziale (e di Ricerca biologica) del Reich, diretta dallo psichiatra infantile Robert Ritter, che effettuava pseudo "studi zingari". Da misurazioni antropometriche sui circa 20.000 internati, la sua squadra faceva derivare delle caratterizzazioni di tipo morale e psichico dell'intero gruppo. Gli "zingari" sarebbero stati razzialmente "inferiori" perché portatori del carattere ereditario dell'"istinto al nomadismo" che causava la loro consequenziale "asocialità", una "piaga" da sradicare. Nel 1938, sulla base delle ricerche di Ritter, Himmler equipara la Zigeunerfrage, la "questione zingara", a quella ebraica, per via della radice razziale. Tra il 1938 e il 1942, il Reich pianifica le tappe cruciali per "risolvere" la questione con la stessa logica razionalista del "trattamento speciale" degli ebrei. Prigionia nei campi di concentramento, esecuzioni di massa dalle Einsatzgruppen, ricorso ai gaswagen (camion della morte), fino al decreto del 16 dicembre del 1942 (Decreto di Auschwitz), che progetta la deportazione e lo sterminio di chiunque risultasse di "sangue nomade". Nel vernichtungslager (campo di sterminio) di Auschwitz prende il via la "soluzione finale" dei 23.000 Rom detenuti e si chiude la fase finale della persecuzione razziale dei Rom, che mirava al loro annientamento totale. I nazisti sterminarono circa mezzo milione di rom e sinti, circa un terzo degli Zingari che vivevano in Europa, l'80% nell'aerea dei paesi occupati.

- Durante tutto il regime nazista, dunque, sugli zingari usati come cavie, furono effettuati atroci sperimenti pseudo-scientifici, particolarmente atroci, dai medici nazisti; come mai questi non furono mai processati?

Su quelle "vite indegne di essere vissute" furono attuati dal 1934 alla fine del regime (in particolare nell'operazione eutanasia T4) mostruosi esperimenti, come sterilizzazione coatta, esperimenti eugenetici e test dei primi gas, su donne e soprattutto bambini zingari. Quegli pseudo-scienziati non solo non vengono processati nella nuova Germania, ma vengono lodati come "esperti zingari" e continuano ad esercitare in cliniche private. Non processarli andava di pari passo con la rimozione ufficiale del genocidio di stampo razziale. Rare sono state le voci di sopravvissuti rom o non furono credute né ascoltate. Inoltre, per alcuni gruppi rom e sinti, non si deve parlare dei morti, perché parlarne sarebbe trattenerli in vita; questa scelta di non raccontare deriva da questo specifico rapporto con la morte, ma questo è vero solo per alcuni gruppi ed è comunque un tratto in evoluzione recentemente. Ma in nessun modo si può accollare la dimenticanza di questa tragedia a quel popolo; bensì a qualcosa di profondamente radicato nella cultura delle società tecnologicamente avanzate nei confronti degli zingari.

- Anche il fascismo italiano istituirà campi di internamento riservati ai Rom?

La ricerca sui campi fascisti è relativamente recente; venne avviata meno di 20 anni fa, quando fu rintracciata la circolare del Ministero dell'Interno dell'11 settembre del 1940 che ordinava il rastrellamento e l'internamento di tutti gli zingari, in vari campi sul territorio italiano. Oggi, grazie alle liste degli internati, sappiamo che furono tre i campi fascisti "riservati" agli zingari (Agnone, oggi in provincia d'Isernia, Tossicia, provincia di Teramo, e Prignano sulla Secchia in provincia di Modena). L'internamento si basava sulla ricerca razziale fascista, elaborata in particolare da Renato Semizzi (un docente di Medicina Sociale) e dal giovane antropologo Guido Landra: lo stesso che elaborò, su indicazione di Mussolini, il manifesto della razza. In alcuni articoli comparsi su La difesa della Razza, i due studiosi affermavano la pericolosità dei rom e dei sinti in relazione alla loro componente psichica deficitaria, un elemento legato anch'esso a connotazioni di stampo razziale che si richiamavano ancora una volta al nomadismo e all'asocialità insiti nel "sangue zingaro".

- Oggi il "Piano Nomadi" non mostra una sconcertante continuità con questo passato di emarginazione?

Affronto questo tema in "Tra inclusione ed esclusione. Una storia dell'educazione dei rom e dei sinti in Italia" (Unicopli, 2009), dove studio la continua rieducazione etnica di questa minoranza, dal fascismo all'odierno decreto Sicurezza. Oggi ovviamente i campi rom non sono in sé campi di internamento. Ma continuare a parlare di "campi", applicare a queste persone gli stessi concetti di asocialità e nomadismo di allora, significa pianificare soluzioni di emarginazione. Fuori dalle città, dai servizi, dai collegamenti: e più sono allontanati, più vengono usati dalla politica come capro espiatorio su cui indirizzare le colpe dei mali della società odierna. Quello che si intendeva allora per "razza", si sostituisce oggi per la loro presunta "cultura" di gruppo, con ragionamenti che non sono molto diversi dal passato. La soluzione è progettare l'uscita dai ghetti, e progettare, insieme a loro, soluzioni abitative diverse. Loro sono organizzati e auto rappresentati, devono essere coinvolti nei progetti che li riguardano.

- Teme la riapparizione di fenomeni di razzismo anti-Rom, in tutta Europa, che da noi hanno il volto dei tentati pogrom di Ponticelli e Torino?

Ovunque nel continente europeo cresce l'antiziganismo. In Italia, quando un rom o un sinti viene incolpato, prima ancora del processo, il campo viene distrutto o spostato ed esplodono proteste popolari. Nella società serpeggia quella paura del diverso, che si traduce in forme estreme di violenza, i Rom essendo la diversità in assoluto. Considerati, agli occhi della società maggioritaria, non-cittadini da fare vivere ai margini: ogni azione nei loro confronti viene considerata quasi lecita. La nostra cultura dovrebbe finalmente confrontarsi con i Rom e con la rimozione della loro tragedia; la conoscenza del Porrajmos (ancora assente dai manuali scolastici) permetterebbe di combattere l'antiziganismo.

* ricercatore presso Università Telematica L. Da Vinci di Chieti), ha pubblicato, tra gli altri, il volume "Altre tracce sul sentiero per Auschwitz" (Ed. Cisu)

 
Di Fabrizio (del 09/03/2012 @ 09:32:48, in conflitti, visitato 1596 volte)

nuova Agenzia Radicale lunedì 05 marzo 2012 di FLORE MURARD-YOVANOVITCH

Strano come, nell'indifferenza generale, i "campi rom" vadano a fuoco in questo Paese. Ultimo di una lunga catena, da Ponticelli a oggi, l'incendio del 2 marzo scorso (valutato come accidentale ma avvenuto a poca distanza da una manifestazione organizzata dal Pdl contro i "nomadi") del campo del Parco della Marinella a Napoli, con due feriti; dopo i ripetuti incendi di gennaio nel insediamento di viale Maddalena.

Una ripetizione che fa dichiarare a Rodolfo Viviani, presidente dell'associazione radicale "Per la Grande Napoli": "Assistiamo a una drammatica catena di fatti che è impossibile ricondurre a casualità. Campagne stampa, interventi repressivi, incendi".

A seguito del tentato pogrom di Torino, nel dicembre scorso, un embrione di reazione anti-razzista sembrava nascere nella società civile, ma sembra, a posteriori, più un'onda emotiva in reazione alla strage dei senegalesi a Firenze che vera presa di coscienza della drammatica crescita in Italia dell'antiziganismo, dell'odio contro questa minoranza specifica.

Anche da vittime, i Rom sono trattati in secondo piano. Invece è allarmante l'escalation dal 2008 a oggi, che spesso non viene nemmeno raccontata dai media, di aggressioni e attacchi razzisti particolarmente gravi contro i campi rom nelle vicinanze di grandi città come Milano, Napoli, Pisa, Roma e Venezia; con incendi dolosi che hanno talvolta messo in pericolo la vita dei loro abitanti, in certi casi costretti ad andarsene sotto la protezione della polizia.

Atti di violenza collettiva, a volte quasi pianificata, come a Torino. Quei roghi vengono ad aggiungersi alle gravi forme di emarginazione e di discriminazione che subiscono la maggior parte dei Rom e Sinti, nel loro quotidiano. Circa un terzo, siano essi cittadini italiani o meno, vive in campi "nomadi" praticamente segregato dal resto della società e senza avere accesso ai servizi più basilari, come educazione e salute.

Senza parlare della questione alloggio, mai davvero affrontata dalle autorità locali. Anzi, su di loro e come gruppo, sono piovute le cosiddette misure di "emergenza" del "pacchetto sicurezza", alcune riguardanti esplicitamente i Rom o i "nomadi" e utilizzate in modo discriminatorio: censimenti effettuati in insediamenti abitati esclusivamente da Rom, raccolta, spesso non volontaria, delle impronte digitali; e strapotere conferito ai Prefetti nella gestione di uno pseudo "stato di emergenza in relazione agli insediamenti di comunità nomadi".

Leggere: sgomberi forzati e abusi quotidiani. Non a caso, la maggior parte delle denunce di presunti maltrattamenti commessi dalle forze dell'ordine riguarda atti compiuti nei confronti di Rom. Tutte politiche che rafforzano l'impressione che i Rom siano presi di mira proprio dalle autorità e che legittimano l'intolleranza popolare invece di contrastarla.

Una deriva chiaramente xenofoba in Italia, che invece non è stata passata sotto silenzio dalla Commissione europea contro il razzismo e l'intolleranza (ECRI), organo indipendente di monitoraggio istituito dal Consiglio d'Europa per la tutela dei diritti umani. Nel Rapporto sull'Italia 2012 (che rispecchia la situazione fino a giugno 2011), dichiara: "Si respira un clima generale fortemente negativo rispetto ai Rom: i pregiudizi esistenti nei loro confronti si riflettono talvolta negli atteggiamenti e nelle decisioni adottate dai politici, o sono da queste rafforzati".

O, ancora, è "in aumento il discorso razzista e xenofobo in politica, che prende di mira neri, africani, rom, romeni, (…) immigrati in generale; in certi casi, certe dichiarazioni hanno provocato atti di violenza contro questi gruppi". L'Ecri punta il dito sulla radice del problema: la relazione che esiste tra discorso razzista e violenza a sfondo razziale. E' infatti nel linguaggio che si opera la progressiva disumanizzazione dell'altro. Nell'uso improprio della parola "nomadi", per etichettare cittadini che per la metà sono italiani e appartengono a gruppi che vivono in Italia da secoli.

O nell'uso di termini che suggeriscono una minaccia, una presunta pericolosità. Perché le parole sono armi. L'ECRI intanto è convinta che il contesto attuale richieda una reazione urgente, molto più incisiva, da parte delle autorità italiane.

"Adottare fermi provvedimenti per combattere l'uso di discorsi xenofobi da parte dei partiti politici o dei loro esponenti o di discorsi che costituiscano un incitamento all'odio razziale e, in particolare, ad adottare delle disposizioni legali finalizzate alla soppressione dei finanziamenti pubblici per i partiti politici che fomentano il razzismo o la xenofobia". Si potrebbe iniziare ad applicare le leggi in materia. Ogni riferimento a un partito politico in particolare, è puramente casuale.

 
Di Fabrizio (del 13/04/2012 @ 09:38:58, in conflitti, visitato 1448 volte)

La Stampa Quattro mesi fa l'assalto alle baracche della Continassa. Le prime foto la ritraevano in lacrime. Ora lavora con i bimbi
09/04/2012 - MARIA TERESA MARTINENGO - TORINO

Andriana, al centro Vides Main delle Vallette, i bambini ormai la chiamano «maestra». Ogni pomeriggio pulisce, mette in ordine, fa giocare i piccoli mentre i fratelli grandi fanno i compiti e le madri chiacchierano nel salone. Č una «maestra» con le trecce lunghe, la gonna colorata fino ai piedi. E la pazienza di chi di bimbi ne ha cresciuti parecchi e sa che cosa li fa divertire o annoiare. Andriana Tudor è la giovane mamma rom che la sera del rogo della Continassa, e nella desolazione dei giorni seguenti, è stata fotografata con la sua bellissima Maria tra le braccia davanti alle rovine dell'accampamento abitato da una cinquantina di persone.

Quando l'odio razzista è esploso come a Torino non era mai successo, Andriana si è nascosta dietro ad un cespuglio di rovi ed è rimasta lì per un tempo incalcolabile, con la mano premuta sulla bocca di Maria perché non piangesse. Perché gli esaltati che stavano appiccando il fuoco ad ogni baracca apparentemente abitata, non sentissero la loro presenza. In quel momento, la paura di Andriana era doppia: delle fiamme e di soffocare la sua bambina.

L'incubo che ritorna
«Uscite che vi bruciamo», sono le parole che le rimbombano nella testa. Quattro mesi dopo, questa donna di 29 anni sta entrando - assistita da uno psicologo - in un nuovo capitolo della sua vita. Attraverso la rete di solidarietà che si è creata intorno agli abitanti del campo, l'associazione Idea Rom e la Comunità di Sant'Egidio sono riusciti a darle la speranza di una svolta con un lavoro e una casa. «Ho sempre desiderato lavorare, uscire dal campo, dare una prospettiva di vita diversa ai miei figli. Ma non sapevo come fare, a chi rivolgermi», spiega Andriana nel salone delle Figlie di Maria Ausiliatrice, frequentato ogni pomeriggio da oltre cento bambini e ragazzi italiani e si origine straniera assistiti nello studio da educatori e volontari.

La solidarietà
«Paradossalmente, da un grande male è nato per qualcuno un po' di bene», dice Vesna Vuletic, presidente di Idea Rom, la mediatrice culturale che ha conosciuto Andriana subito dopo il rogo e non l'ha più abbandonata. La sera del 10 dicembre e nei giorni seguenti le famiglie della Continassa avevano ricevuto molta solidarietà espressa con numerose visite: il ministro Riccardi, l'arcivescovo, don Ciotti e don Fredo Olivero, padre Lucian Rosu, il rabbino capo, volontari di tante associazioni. La Comunità di Sant'Egidio è rimasta, insieme ad altre e ad alcuni singoli. «La Compagnia di San Paolo aveva dato immediatamente un contributo di cinquemila euro - ricorda Vesna Vuletic -: con la sottoscrizione pubblica curata e vigilata dal Centro Sereno Regis sono arrivati alla fine poco meno di novemila euro. Con questo denaro sono state assistite sette persone con contributi mensili, sono stati rifatti all'estero documenti andati distrutti, si è avviato l'inserimento lavorativo di Andriana». Ancora: «Č stata la Comunità di Sant'Egidio a trovare, sul mercato, il monolocale dove Andriana spera di accogliere anche il più piccolo degli altri quattro figli che vivono in Romania. Nei prossimi giorni, poi, un'altra donna della Continassa dovrebbe entrare in una casa».

Diversi ma uguali
«Al lavoro - dice Andriana tutti mi trattano bene, nessuno fa caso ai miei vestiti. Sento che qui le persone mi accettano per quello che sono, per quello che posso dare». Nel salone dove i bambini mangiano le fette di pane e marmellata preparate da nonna Lucia, aggiunge: «Purtroppo tanta gente non si fida dei rom. Eppure, chi ci dà lavoro sa tutto di noi, ha i nostri documenti. Perché dovremmo tradire la sua fiducia, mettendoci nei guai da soli? Tanti giovani, vogliono fare una vita diversa da quella dei nostri genitori, sperano davvero di lavorare. A me piacciono i bambini, credo che sarei una brava baby sitter».

Ogni pomeriggio suor Carmela apre il centro che si popola via via di bambini che escono da scuola. Prima del loro arrivo, Andriana riordina. «I bambini la chiamano "maestra" - dice suor Carmela - ed è normale... Nessuno sottolinea le differenze: le Vallette sono cambiate da quando, vent'anni fa, noi suore siamo arrivate. Ora sono il mondo».

Il monolocale azzurro
Finito il lavoro, Andriana fa salire Maria sul passeggino e dopo un lungo viaggio in autobus, mamma e figlia ritornano nel minuscolo appartamento azzurro che la Comunità di Sant'Egidio ha trovato. «Per me è un po' strano vivere sola, ma col tempo, se potrò avere qui anche un altro dei miei figli, mi abituerò». «Noi di Sant'Egidio - racconta Daniela Sironi - siamo andati alla Continassa dopo aver appreso la notizia dell'incendio. Andriana era l'unica con una bambina così piccola. Occuparci di lei ci sembra una restituzione, saldare un debito che la città ha. Cerchiamo di farla uscire dalla marginalità: ce la può fare, ha volontà e intelligenza. La accompagneremo per il tempo necessario, il salto che deve fare è grande».

Trovare soluzioni
Giulio Taurisano di Idea Rom: «Anche altri possono sperare in una vita meno misera, sono tantissime le persone che chiedono di uscire dai campi. Eliminare i campi vorrebbe anche dire attenuare l'esasperazione dei residenti, perché è innegabile che un campo porti dei problemi. Oggi alla Continassa sono rimaste 19 persone, 19 che hanno rischiato di morire. Per loro non solo la società civile, ma anche il governo del territorio dovrebbe trovare soluzioni».

 
Di Fabrizio (del 15/04/2012 @ 09:00:13, in conflitti, visitato 1434 volte)

Da Roma_ex_Yugoslavia

Sarajevo il 2 aprile, visto attraverso il foro di uno shrapnel di 20 anni fa
The New York Times Sarajevo delle tensioni permanenti - by EMMA DALY*

SARAJEVO, Bosnia and Herzegovina - Visitare un insediamento rom a nord di Sarajevo settimana scorsa è stato come tornare al tempo di guerra - cinque persone in piccola stanza, la legna accatastata in un angolo, la stufa in un altro, un consunto divano che serve da letto.

Elettricità fornita da un sistema improvvisato, una "finestra" di teli di plastica col logo dell'ONU e l'acqua fredda che scorre in un bagno comune. Ovviamente, niente armi e nessuna esplosione, ma una familiare litania di lamentele: "Non abbiamo cibo, lavoro, niente di niente."

La guerra che rese popolare il termine "pulizia etnica" iniziò 20 anni fa, quando i cecchini serbi  spararono contro pacifici manifestanti a Sarajevo. In poche settimane, la città fu assediata e le immagini televisive di europei che morivano scioccarono l'occidente - anche se non abbastanza da agire prima che fossero passati quasi quattro anni e decine di migliaia fossero i morti.

Ma nel 1995, ii leader delle fazioni in guerra si riunirono nella base militare USA di Dayton, Ohio, per concordare un accordo di pace che ponesse fine ai combattimenti - e condannando la Bosnia ad un futuro basato su politiche etniche.

Gran parte della città è stata ricostruita, anche se i segni dei proiettili e degli incendi ancora marcano come cicatrici strade ed edifici, come i parchi dove furono seppelliti i morti parlano del costo umano.

Nonostante la pace, la Bosnia Erzegovina rimane un paese profondamente diviso lungo linee etniche, basate non solo su dispute preesistenti, ma anche sulla separazione per etnie nella vita pubblica e politica. Secondo la costituzione del dopoguerra, i cittadini "costituenti" sono identificati in Bosgnacchi (conosciuti come Bosniaci musulmani durante la guerra), Croati e Serbi. Non c'è spazio per le minoranze di Bosnia.

Ho passato due anni a Sarajevo per trasmettere la guerra, e sono tornata settimana scorsa per il XX anniversario e lanciare il rapporto Human Rights Watch, "Cittadini di seconda classe" che precisa la discriminazione contro le minoranze nazionali, o "altri". Si pensa rappresentino sino al 5% dei 4 milioni di abitanti di Bosnia - soprattutto Rom, ma anche Ebrei, Ucraini ed altri originari dai paesi dell'est e sud-est Europa.

Molta di questa discriminazione deriva dalla costituzione del 1995, redatta in inglese dai negoziatori di pace americani, che ha istituito un sistema di governo basato sull'appartenenza etnica e che esclude questi gruppi dalle alte cariche politiche.

I Rom, che sono di gran misura la più grande minoranza nazionale in Bosnia Erzegovina,  soffrono sproporzionalmente questa discriminazione etnica. La discriminazione diretta contro i Rom presente nella struttura politica, rafforza la discriminazione indiretta cui spesso si trovano di fronte nell'accesso a sevizi come alloggio, cure sanitarie, istruzione ed impiego.

"Durante la guerra era dura per tutti," dice Muljo Fafulic, che gestisce un'organizzazione rom. "Nessuno aveva cibo o elettricità, si viveva nella paura, eravamo tutti nello stesso fango. Oggi non è così, ma per i Rom le condizioni rimangono davvero difficili."

Di certo non sono solo le minoranze a vivere ancora come rifugiati - circa 5.600 degli oltre 100.000 rimanenti sfollati rimangono in centri collettivi squallidi ed angusti, assistiti dall'ONU. In un quartiere periferico di Sarajevo, tenuto dai Serbi durante la guerra ed ora parte dell'entità "Repubblica Serba" all'interno della Bosnia, incontriamo dei Serbi di Sarajevo che ancora non sono tornati nelle loro case d'anteguerra, ad un paio di chilometri di distanza.

Una donna che vive in una stanza con i suoi genitori e i due bambini, sarebbe felice di andare nel settore bosniaco-croato, se trovasse un appartamento e un lavoro, cosa non facile quando il tasso nazionale di disoccupazione viaggia sul 40%.

"Non avrei problemi a vivere in un quartiere misto - sono nata a Sarajevo e prima della guerra non sapevamo chi fosse cosa," dice. "Questa è la Bosnia Erzegovina, un unico paese."

Secondo la costituzione, non ci sono "Bosniaci". Ma provate a dirlo a chi proviene da matrimoni misti o non vuole essere etichettato come Bosgnacco, Croato o Serbo, perché non crede nelle politiche etniche.

Jakob Finci, Ebreo, e Dervo Sejdic, Rom, (vedi QUI ndr) hanno provato a candidarsi alle alte cariche, ma sono stati rigettati su base etnica ed hanno portato il caso alla Corte Europea dei Diritti Umani. Il tribunale ha riconosciuto che l'esclusione politica delle minoranze nazionali costituisce un'illegittima discriminazione etnica. Nonostante questa sentenza del 2009, la costituzione non è stata cambiata.

Sarajevo appare certamente come una moderna città europea, nuove torri di vetro, ingorghi e luccicanti centri commerciali si mischiano con le strade acciottolate dei vecchi quartieri ottomani e lo splendore austro-ungarico. C'e persino un evento del tipo Occupy Sarajevo, una manciata di tende piantate di fronte all'edificio del parlamento, dove furono sparati i primo colpi della guerra 20 anni fa.

E' un raduno dei veterani di tutte e tre le fazioni combattenti, alcuni ancora in uniforme, uniti in una protesta comune per chiedere le pensioni che furono loro promesse per il loro servizio in tempo di guerra. Un segno di speranza, è uno dei pochi luoghi in Bosnia dove tutte le parti lavorano assieme. Ma finché la Bosnia non riscriverà la sua costituzione per togliersi le etichette etniche, sarà dura vedere come si riunirà il resto del paese.

Emma Daly is communications director at Human Rights Watch. She covered the war in Sarajevo for the Independent.

 
Di Fabrizio (del 18/04/2012 @ 09:08:20, in conflitti, visitato 1466 volte)

Da Roma_und_Sinti

by Lyssandra Sears

Gli atteggiamenti ostili verso i Rom in Svizzera stanno rendendo difficile la vita agli Jenische, un gruppo etnico nomade completamente separato, con una lunga storia nel paese [...].

13/04/2012 - I leader jenische dicono che la reputazione dei Rom riguardo all'accattonaggio, furto e prostituzione, sta peggiorando l'immagine degli Jenische, e sta comportando un cambiamento di atteggiamento verso gli Jenische.

"Veniamo spesso abusati," dice Daniel Huber, presidente di "Radgenossenschaft der Landstrasse", l'associazione che protegge i diritti degli Jenische, nomadi che per secoli hanno vissuto in Europa.

"Spesso, ad esempio, in Svizzera per strada veniamo appellati -sporchi zingari-".

L'associazione conta circa 35.000 membri Jenisch, di cui 3.500 ancora conducono uno stile di vita nomade, mentre il resto è stanzializzato in case permanenti. Anche se sono completamente separati dai Rom, molti Svizzeri non sanno riconoscere le differenze.

Anche se in Svizzera è sempre esistita una popolazione rom, il loro numero di recente è significativamente aumentato, a causa dell'adozione della direttiva UE sulla libera circolazione delle persone.

"In realtà alcuni Rom di altri paesi si comportano come elefanti in un negozio di porcellane," ha detto a Tages Anzeiger il presidente della Naschet Jenische Foundation, Uschi Waser.

"Purtroppo, è difficile far loro rispettare le nostre regole."

"Molte persone accettano che non tutti i Rom sono mele marce". Tanto Waser che Huber riconoscono che il cattivo comportamento di pochi sta infangando la reputazione di entrambe i gruppi etnici.

Inoltre, i Rom sono anche usati come capro espiatorio dell'aumento di attività criminali.

"Molti delinquenti operano tra i confini, ma soltanto alcuni di loro sono Rom," ha detto al giornale  Venanz Nobel, vice-presidente della Transnational Jenische Assocation.

"Ma le notizie sono dominate dai Rom, che perpetuano i vecchi pregiudizi per cui sono zingari ladri."

Nobel è anche preoccupato delle azioni intraprese, con la scusa di proteggere i bambini che i Rom userebbero per attività criminali. Intravede paralleli con le azioni intraprese tra il 1926 ed il 1972, quando circa 600 bambini jenische vennero sottratti ai loro genitori.

"Ancora oggi," dice Nobel, "i bambini sono una scusa, mentre il vero obiettivo è di ripulire e liberare le strade dagli zingari."

 
Di Fabrizio (del 24/04/2012 @ 09:25:00, in conflitti, visitato 2022 volte)

Dal diario di un dirigente della polizia municipale di Roma Capitale... (segnalazione di Carlo Stasolla)

Continua lo sgombro degli insediamenti abusivi con la bonifica dell'aerea nel territorio del V Municipio. Oggi abbiamo sgombrato quattro insediamenti abusivi tra la Palmiro Togliatti e Ponte Mammolo, ove al nostro arrivo i nomadi si sono allontanati alla spicciolata. Nel corso dell'operazione, all'interno di una baracca, sono stati rinvenuti dei testi e quaderni scolastici. Una piccola e immediata indagine ha dato la possibilità ad un bambino che chiameremo Sandro, di rientrare in possesso almeno dei libri e quaderni rubati nel pomeriggio, unitamente allo zainetto e autoradio dall'interno dell'auto della mamma. Il piccolo studente è rimasto molto soddisfatto riavere i suoi libri e quaderni


da Vicini Distanti cronache da via Idro (pagg. 96-97):

    La più giovane, una ragazzina, sgranocchia un pezzo di focaccia:

Sono arrivati alle 7 di mattina. Ti lasciano sotto la pioggia. Dovevo scaldare il latte per mio figlio di 4 mesi e non potevo, perché avevano tolto l'elettricità. Ma intanto davano da mangiare ai cuccioli di cane. "Che carini!" dicevano.

    La più anziana è come un fiume in piena. Ci conosciamo da oltre 20 anni; i miei figli e i suoi nipoti sono praticamente cresciuti assieme. Mi investe con frammenti di frase, ripetendomi cose che io e lei sappiamo a memoria.

Mi hanno portato via la mia casetta. Capisco se fosse stata rubata, ma l'avevo pagata tutta coi miei soldi.

Ho 62 anni, sono italiana e non rubo. Quando io e mio marito avevamo un negozio, ci siamo dissanguati con le tasse, e siamo finiti qui.

Mi hanno messo per strada solo perché sono una zingara. Mi cacciano e non ho più dove andare.

Mi hanno detto vai via, e poi mi hanno chiesto "Dove dormirai stanotte?". "Sotto quell'albero," ho risposto...

Ma ti rendi conto? Sono cardiopatica, ho il pace-maker e mi hanno dovuto mettere nell'ambulanza perché stavo male, e la dottoressa mi ripeteva che dovevo andare via. Ma con che cuore?? Io ho forse cacciato di casa quella dottoressa?

Se avessi rubato, non sarei qui. Ma se fossi stata una ladra o una extracomunitaria, avrei avuto un aiuto.

Vorrei avere un mitra qua tra le mani. Farei una strage, credimi, ho perso ogni speranza.

I miei vestiti, sono nella casa che mi hanno sequestrato, ed io sono qui...

Eppure questo campo l'ho fatto anch'io, sono andata in piazza assieme a tutti quando chiedevamo acqua e luce. Guardami in che condizione sono...

    E poi ricomincia, arrabbiandosi con me, con i politici, con i giornalisti. Deve sfogarsi, sa che nessuno vuole ascoltarla.

    Io, forse ho fatto troppa abitudine a ragionare, mediare, spiegare. Ma poi torno a casa con la stessa rabbia di questa gente e mi stanco di dover essere sempre diplomatico. Non servirà a nulla, ma uno sgombero sono persone, beni, affetti, sicurezze, che ogni volta sono messi in discussione. Ecco cosa state leggendo.

 
Di Sucar Drom (del 26/04/2012 @ 09:31:14, in conflitti, visitato 1542 volte)

I Sinti nella Guerra di Liberazione di Carlo Berini

I Sinti italiani durante il fascismo subirono una violenta persecuzione su base razziale, il Porrajmos. Vennero rinchiusi a partire dal settembre 1940, quindi ancor prima degli ebrei italiani, in appositi campi di concentramento. E' un pezzo di storia ancora poco conosciuta dagli italiani. Ma con l'8 settembre 1943 molti riuscirono a fuggire con lo sbandamento che porterà alla formazione della Repubblica di Salò.

Le famiglie sinte scampate dalla deportazione nei campi di sterminio ma braccate dai repubblichini e dai nazisti furono aiutate da molti italiani anche nella Provincia di Mantova, in particolare dai contadini che li nascondevano nei fienili.

I Sinti non solo si nascosero, per non subire la deportazione, ma parteciparono attivamente alla Guerra di Liberazione. Questo pezzo di storia italiana è misconosciuta anche per il disinteresse dimostrato in questi anni dall'ANPI.

Nel mantovano si formò il battaglione "I Leoni di Breda Solini" formato unicamente da sinti italiani, fuggiti dal campo di concentramento di Prignano sul Secchia (MO), dove erano stati rinchiusi nel settembre 1940.

Lo racconta Giacomo "Gnugo" De Bar (in foto) nel suo libro "Strada, Patria Sinta", edito da Fatatrac:
"Molti sinti facevano i partigiani. Per esempio mio cugino Lucchesi Fioravante stava con la divisione Armando, ma anche molti di noi che facevano gli spettacoli durante il giorno, di notte andavano a portare via le armi ai tedeschi. Mio padre e lo zio Rus tornarono a casa nel 1945 e anche loro di notte si univano ad altri sinti per fare le azioni contro i tedeschi nella zona del mantovano fra Breda Salini e Rivarolo del Re (oggi Rivarolo Mantovano), dove giravamo con il postone che il nonno aveva attrezzato. Erano quasi una leggenda e la gente dei paesi li aveva soprannominati «I Leoni di Breda Solini», forse anche per quella volta che avevano disarmato una pattuglia dell'avanguardia tedesca."

Racconta ancora Gnugo:
"Erano entrati nel cuore della gente come eroi, anche per il fatto che usavano la violenza il minimo necessario, perché fra noi sinti non è mai esistita la volontà della guerra, l'istinto di uccidere un uomo solo perché è un nemico. Questo lo sapeva anche un fascista di Breda Solini che durante la Liberazione si era barricato in casa con un arsenale di armi, minacciando di fare fuoco a chiunque si avvicinasse o di uccidersi a sua volta facendo saltare tutta la casa: «lo mi arrendo solo ai Leoni di Breda Salini». Così andarono i miei, ai quali si arrese, ma venne poi preso in consegna lo stesso da altri partigiani, che lo rinchiusero in una cantina e lo picchiarono."

Quella di Gnugo De Bar è una testimonianza per stimolare le stesse Istituzioni ad attivarsi per far conoscere e offrire spazi ai sinti anche nelle cerimonie ufficiali, perchè troppo spesso viene oscurato più o meno volontariamente l'apporto dato dai sinti alla formazione dell'Italia.

In ultimo il mio pensiero va oggi a Walter "Vampa" Catter, Lino Ercole Festini, Silvio Paina e Renato Mastin. Sono i martiri partigiani sinti, trucidati a Vicenza l'11 novembre 1944. Per non dimenticare.

 
Di Fabrizio (del 27/04/2012 @ 09:25:11, in conflitti, visitato 1891 volte)

Pisanotizie
Ieri pomeriggio un'ingente dispiegamento della Polizia Municipale si è recato sotto il Ponte delle Bocchette per intimare di allontanarsi da Pisa alle poche famiglie che lì hanno trovato riparo dopo lo sgombero dai Frati Bigi. Momenti di tensione con una signora che ha avuto un malore ed è stata condotta in ambulanza al Pronto Soccorso. Atteso nella giornata lo sgombero definitivo dell'area

Come si celebra il 25 aprile a Pisa, giorno della Liberazione dal nazi-fascismo? In molti modi, si direbbe. Il nostro giornale negli scorsi giorni ha pubblicato la notizia di innumerevoli commemorazioni ed eventi organizzati sul territorio cittadino e provinciale, legati a una delle "festività" più importanti della nostra democrazia. Eppure il 25 aprile 2012 rimarrà nella storia della città non solo per essere stato il 67° anniversario della Liberazione.

Nella giornata di ieri infatti, in località "Il Tondo", dove da meno di 72 ore avevano trovato un rifugio di fortuna alcune famiglie in emergenza abitativa che avevano lasciato negli scorsi giorni l'ex convento dei Frati Bigi, si sono recate cinque auto e due moto della polizia municipale per un totale di quasi venti agenti. Un dispiegamento di forze ingente con il solo scopo, all'apparenza, di intimare ai presenti di abbandonare il proprio giaciglio.

Un primo "avviso" da parte della polizia municipale c'era stato nella giornata di lunedì e ieri la nuova "visita". "Sono scesi dalle auto e subito hanno indossato guanti di pelle nera", così raccontano i testimoni presenti a "Il Tondo".

"Ci hanno intimato - proseguono - non solo di lasciare il campo entro domattina (oggi per chi legge, ndr.), ma di lasciare Pisa e alle nostre insistenze sul fatto che non abbiamo un posto dove andare si sono fatti aggressivi. Una donna per il forte spavento dopo l'aggressione verbale di uno dei vigili si è sentita male. E' stata chiamata un'autoambulanza e la signora è finita al pronto soccorso". Ed è proprio intorno a questo episodio che la giornata di ieri ritrova, purtroppo, una sua sintesi.

Secondo quanto riportato dai presenti, a provocare il malore della donna sarebbero stati i modi usati dal vicecomandante Migliorini e dall'ispettore Derri, che già in in occasione del recente sgombero dell'ex convento dei Frati Bigi, ricordano ancora i presenti, avevano tenuto un "atteggiamento particolarmente duro" nei confronti dei rom.

Vittima delle "escandescenze" dei due è stato anche uno dei giovani presenti al campo che, nel tentativo di riprendere la scena, ha visto - raccontano ancora i presenti al campo - letteralmente "volare" il suo cellulare in seguito a una manata.

La donna è stata subito condotta al Pronto Soccorso di Cisanello dove è rimasta in osservazione fino alle 18, poi rilasciata con un referto che riportava "stress psicologico (per sgombero della polizia)" . Al Pronto Soccorso sono poi arrivati anche Derri e Migliorini si sono recati nel tardo pomeriggio al Pronto Soccorso per verificare lo stato di salute della donna. Da quanto hanno raccontato i parenti di quest'ultima i due avrebbero incontrato anche i medici che l'hanno tenuta in osservazione.

Ma che il clima di ieri fosse tutto tranne che sereno, nonostante si trattasse di una decina di persone che da alcuni giorni dormono su dei materassi a cielo aperto, senza tende o baracche dove ripararsi, lo dimostra anche il fatto che dalla macchina della polizia municipale, dove erano presenti Migliorini e Derri, abbiamo sentito pronunciare insulti non si sa bene se rivolti agli occupanti del campo o ai redattori che erano giunti sul posto.

Sembra che l'Amministrazione pisana abbia ormai smesso di santificare le feste, sacre o laiche che siano. Dopo lo sgombero del venerdì santo, arriva quello del 25 aprile, quasi la logica delle liberalizzazioni commerciali abbia toccato da vicino anche i tempi di interventi e di azione .

Intanto il problema di fondo rimane irrisolto: "Continuiamo a essere vittime di vessazioni - affermano le famiglie - ma non sappiamo ancora dove andare per trovare riparo. Senza casa non ci fanno un contratto di lavoro e senza un contratto di lavoro non riusciamo a prendere una casa. Molti di noi lavorano al nero ma ormai sempre meno, perché il lavoro scarseggia".

Forse che l'unica Liberazione - si fa per dire - che si è festeggiata ieri a Pisa è stata proprio quella de "Il Tondo"?

 
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