Da
Roma_ex_Yugoslavia
Sarajevo il 2 aprile, visto attraverso il foro di uno shrapnel di 20 anni fa
The New York Times Sarajevo delle tensioni permanenti -
by EMMA DALY*
SARAJEVO, Bosnia and Herzegovina - Visitare un insediamento rom a nord di
Sarajevo settimana scorsa è stato come tornare al tempo di guerra - cinque
persone in piccola stanza, la legna accatastata in un angolo, la stufa in un
altro, un consunto divano che serve da letto.
Elettricità fornita da un sistema improvvisato, una "finestra" di teli di
plastica col logo dell'ONU e l'acqua fredda che scorre in un bagno comune.
Ovviamente, niente armi e nessuna esplosione, ma una familiare litania di
lamentele: "Non abbiamo cibo, lavoro, niente di niente."
La guerra che rese popolare il termine "pulizia etnica" iniziò 20 anni fa,
quando i cecchini serbi spararono contro pacifici manifestanti a Sarajevo.
In poche settimane, la città fu assediata e le immagini televisive di europei
che morivano scioccarono l'occidente - anche se non abbastanza da agire prima
che fossero passati quasi quattro anni e decine di migliaia fossero i morti.
Ma nel 1995, ii leader delle fazioni in guerra si riunirono nella base
militare USA di Dayton, Ohio, per concordare un accordo di pace che ponesse fine
ai combattimenti - e condannando la Bosnia ad un futuro basato su politiche
etniche.
Gran parte della città è stata ricostruita, anche se i segni dei proiettili e
degli incendi ancora marcano come cicatrici strade ed edifici, come i parchi
dove furono seppelliti i morti parlano del costo umano.
Nonostante la pace, la Bosnia Erzegovina rimane un paese profondamente diviso
lungo linee etniche, basate non solo su dispute preesistenti, ma anche sulla
separazione per etnie nella vita pubblica e politica. Secondo la costituzione
del dopoguerra, i cittadini "costituenti" sono identificati in Bosgnacchi
(conosciuti come Bosniaci musulmani durante la guerra), Croati e Serbi. Non c'è
spazio per le minoranze di Bosnia.
Ho passato due anni a Sarajevo per trasmettere la guerra, e sono tornata
settimana scorsa per il XX anniversario e lanciare il rapporto Human Rights Watch,
"Cittadini di seconda classe" che precisa la discriminazione contro le minoranze
nazionali, o "altri". Si pensa rappresentino sino al 5% dei 4 milioni di
abitanti di Bosnia - soprattutto Rom, ma anche Ebrei, Ucraini ed altri originari
dai paesi dell'est e sud-est Europa.
Molta di questa discriminazione deriva dalla costituzione del 1995, redatta
in inglese dai negoziatori di pace americani, che ha istituito un sistema di
governo basato sull'appartenenza etnica e che esclude questi gruppi dalle alte
cariche politiche.
I Rom, che sono di gran misura la più grande minoranza nazionale in Bosnia
Erzegovina, soffrono sproporzionalmente questa discriminazione etnica. La
discriminazione diretta contro i Rom presente nella struttura politica, rafforza
la discriminazione indiretta cui spesso si trovano di fronte nell'accesso a
sevizi come alloggio, cure sanitarie, istruzione ed impiego.
"Durante la guerra era dura per tutti," dice Muljo Fafulic, che gestisce
un'organizzazione rom. "Nessuno aveva cibo o elettricità, si viveva nella paura,
eravamo tutti nello stesso fango. Oggi non è così, ma per i Rom le condizioni
rimangono davvero difficili."
Di certo non sono solo le minoranze a vivere ancora come rifugiati - circa
5.600 degli oltre 100.000 rimanenti sfollati rimangono in centri collettivi
squallidi ed angusti, assistiti dall'ONU. In un quartiere periferico di
Sarajevo, tenuto dai Serbi durante la guerra ed ora parte dell'entità
"Repubblica Serba" all'interno della Bosnia, incontriamo dei Serbi di Sarajevo
che ancora non sono tornati nelle loro case d'anteguerra, ad un paio di
chilometri di distanza.
Una donna che vive in una stanza con i suoi genitori e i due bambini, sarebbe
felice di andare nel settore bosniaco-croato, se trovasse un appartamento e un
lavoro, cosa non facile quando il tasso nazionale di disoccupazione viaggia sul
40%.
"Non avrei problemi a vivere in un quartiere misto - sono nata a Sarajevo e
prima della guerra non sapevamo chi fosse cosa," dice. "Questa è la Bosnia
Erzegovina, un unico paese."
Secondo la costituzione, non ci sono "Bosniaci". Ma provate a dirlo a chi
proviene da matrimoni misti o non vuole essere etichettato come Bosgnacco,
Croato o Serbo, perché non crede nelle politiche etniche.
Jakob Finci, Ebreo, e Dervo Sejdic, Rom, (vedi
QUI ndr)
hanno provato a candidarsi alle alte cariche, ma sono stati rigettati su base
etnica ed hanno portato il caso alla Corte Europea dei Diritti Umani. Il
tribunale ha riconosciuto che l'esclusione politica delle minoranze nazionali
costituisce un'illegittima discriminazione etnica. Nonostante questa sentenza
del 2009, la costituzione non è stata cambiata.
Sarajevo appare certamente come una moderna città europea, nuove torri di
vetro, ingorghi e luccicanti centri commerciali si mischiano con le strade
acciottolate dei vecchi quartieri ottomani e lo splendore austro-ungarico. C'e
persino un evento del tipo
Occupy Sarajevo, una manciata di tende piantate di fronte all'edificio del
parlamento, dove furono sparati i primo colpi della guerra 20 anni fa.
E' un raduno dei veterani di tutte e tre le fazioni combattenti, alcuni
ancora in uniforme, uniti in una protesta comune per chiedere le pensioni che
furono loro promesse per il loro servizio in tempo di guerra. Un segno di
speranza, è uno dei pochi luoghi in Bosnia dove tutte le parti lavorano assieme.
Ma finché la Bosnia non riscriverà la sua costituzione per togliersi le
etichette etniche, sarà dura vedere come si riunirà il resto del paese.
Emma Daly is communications director at Human Rights Watch. She covered the war
in Sarajevo for the Independent.