nuova Agenzia Radicale - martedì 21 febbraio 2012 di FLORE
MURARD-YOVANOVITCH
intervista allo storico Luca Bravi*
- Perché il genocidio dei Rom sotto il nazismo - il Porrajmos - che fece circa
mezzo milione di vittime tra questo antico popolo europeo, è ancora oggi in
parte uno sterminio dimenticato?
I Rom continuano oggi a subire stereotipi culturali simili a quelli che hanno
subito nel corso della Storia. Nella mentalità comune, lo "zingaro" è ancora
percepito come "asociale" o "nomade", presunte "tare" su cui i nazisti
imbastirono la loro teoria della "razza zingara". La rimozione del genocidio dei
Rom ha varie cause, storiografiche ma anche politiche. La Germania post-bellica
ha fatto di tutto per cancellare la radice razziale della persecuzione degli
"zingari", derubricandola a una semplice operazione di pubblica sicurezza per
via della loro presunta "pericolosità" (mistificando la legislazione nazista).
Cioè, ai sopravvissuti rom e sinti furono negati i risarcimenti e questa
rimozione durò fino alla fine degli anni '80, quando alcuni studiosi tedeschi
rivalutarono gli archivi del regime nazista che facevano chiari riferimento alla
"razza zingara". Il Porrajmos fu riconosciuto solo nel 1989 dalla Germania come
genocidio di stampo razziale. La legge relativa al Giorno della Memoria in
Italia attualmente ricorda correttamente la specificità della Shoah ma per
adesso non è stato inserito alcun riferimento al Porrajmos (il Parlamento ha
ricordato l'internamento dei rom e dei sinti nei campi di concentramento solo il
16 dicembre 2009).
- Gli storici non si sono interessati alla questione della persecuzione dei Rom
sotto il Terzo Reich, nemmeno dopo la fine della guerra?
Sì, ma solo tardivamente, tanto in Germania quanto in Italia. Anche tra gli
storici erano ed a volte sono presenti clichés sui nomadi pericolosi. Il
genocidio dei Rom è inoltre una questione storiografica complessa. Studiare il
Porrajmos a fianco della Shoah, senza con questo banalizzare o tanto meno negare
la centralità e la specificità di quest'ultima, significa rischiare di entrare
in attrito con chi propone l'idea di una unicità della Shoah; (e della sua
incomparabilità con qualsiasi altro fatto storico). La mia tesi è che esiste
invece un parallelismo nel totale annientamento che i nazisti riservarono a
questi due popoli considerati "razzialmente inferiori"; Porrajmos e Shoah sono,
purtroppo, tasselli dello stesso evento, l'uno getta luce sull'altro, ed
entrambi sono crimini contro l'umanità intera.
- Parallelamente alla "razza ebraica" i nazisti avevano infatti teorizzato una
"razza zingara", anch'essa "geneticamente inferiore" e da eliminare. Ci spiega
meglio come questa "classificazione" razzista fu elaborata?
La legislazione nazista si nutre della percezione popolare negativa dello
zingaro nomade. Già nel 1935 le Leggi di Norimberga, anche se non li menzionano,
furono applicate anche agli "zingari" (termine allora usato per chiamare i rom e
i sinti), deprivati dalla loro cittadinanza tedesca. Dal 1936, tutti gli zingari
vengono internati nei campi di sosta forzata e poi dal 1938 allontanati e
deportati in massa all'Est, in vagoni speciali aggiunti a quelli degli ebrei. In
quei campi di concentramento lavorava l'Unità di Igiene Razziale (e di Ricerca
biologica) del Reich, diretta dallo psichiatra infantile Robert Ritter, che
effettuava pseudo "studi zingari". Da misurazioni antropometriche sui circa
20.000 internati, la sua squadra faceva derivare delle caratterizzazioni di tipo
morale e psichico dell'intero gruppo. Gli "zingari" sarebbero stati razzialmente
"inferiori" perché portatori del carattere ereditario dell'"istinto al
nomadismo" che causava la loro consequenziale "asocialità", una "piaga" da
sradicare. Nel 1938, sulla base delle ricerche di Ritter, Himmler equipara la
Zigeunerfrage, la "questione zingara", a quella ebraica, per via della radice
razziale. Tra il 1938 e il 1942, il Reich pianifica le tappe cruciali per
"risolvere" la questione con la stessa logica razionalista del "trattamento
speciale" degli ebrei. Prigionia nei campi di concentramento, esecuzioni di
massa dalle Einsatzgruppen, ricorso ai gaswagen (camion della morte), fino al
decreto del 16 dicembre del 1942 (Decreto di Auschwitz), che progetta la
deportazione e lo sterminio di chiunque risultasse di "sangue nomade". Nel
vernichtungslager (campo di sterminio) di Auschwitz prende il via la "soluzione
finale" dei 23.000 Rom detenuti e si chiude la fase finale della persecuzione
razziale dei Rom, che mirava al loro annientamento totale. I nazisti
sterminarono circa mezzo milione di rom e sinti, circa un terzo degli Zingari
che vivevano in Europa, l'80% nell'aerea dei paesi occupati.
- Durante tutto il regime nazista, dunque, sugli zingari usati come cavie,
furono effettuati atroci sperimenti pseudo-scientifici, particolarmente atroci,
dai medici nazisti; come mai questi non furono mai processati?
Su quelle "vite indegne di essere vissute" furono attuati dal 1934 alla fine del
regime (in particolare nell'operazione eutanasia T4) mostruosi esperimenti, come
sterilizzazione coatta, esperimenti eugenetici e test dei primi gas, su donne e
soprattutto bambini zingari. Quegli pseudo-scienziati non solo non vengono
processati nella nuova Germania, ma vengono lodati come "esperti zingari" e
continuano ad esercitare in cliniche private. Non processarli andava di pari
passo con la rimozione ufficiale del genocidio di stampo razziale. Rare sono
state le voci di sopravvissuti rom o non furono credute né ascoltate. Inoltre,
per alcuni gruppi rom e sinti, non si deve parlare dei morti, perché parlarne
sarebbe trattenerli in vita; questa scelta di non raccontare deriva da questo
specifico rapporto con la morte, ma questo è vero solo per alcuni gruppi ed è
comunque un tratto in evoluzione recentemente. Ma in nessun modo si può
accollare la dimenticanza di questa tragedia a quel popolo; bensì a qualcosa di
profondamente radicato nella cultura delle società tecnologicamente avanzate nei
confronti degli zingari.
- Anche il fascismo italiano istituirà campi di internamento riservati ai Rom?
La ricerca sui campi fascisti è relativamente recente; venne avviata meno di 20
anni fa, quando fu rintracciata la circolare del Ministero dell'Interno dell'11
settembre del 1940 che ordinava il rastrellamento e l'internamento di tutti gli
zingari, in vari campi sul territorio italiano. Oggi, grazie alle liste degli
internati, sappiamo che furono tre i campi fascisti "riservati" agli zingari
(Agnone, oggi in provincia d'Isernia, Tossicia, provincia di Teramo, e Prignano
sulla Secchia in provincia di Modena). L'internamento si basava sulla ricerca
razziale fascista, elaborata in particolare da Renato Semizzi (un docente di
Medicina Sociale) e dal giovane antropologo Guido Landra: lo stesso che elaborò,
su indicazione di Mussolini, il manifesto della razza. In alcuni articoli
comparsi su La difesa della Razza, i due studiosi affermavano la pericolosità
dei rom e dei sinti in relazione alla loro componente psichica deficitaria, un
elemento legato anch'esso a connotazioni di stampo razziale che si richiamavano
ancora una volta al nomadismo e all'asocialità insiti nel "sangue zingaro".
- Oggi il "Piano Nomadi" non mostra una sconcertante continuità con questo
passato di emarginazione?
Affronto questo tema in "Tra inclusione ed esclusione. Una storia
dell'educazione dei rom e dei sinti in Italia" (Unicopli, 2009), dove studio la
continua rieducazione etnica di questa minoranza, dal fascismo all'odierno
decreto Sicurezza. Oggi ovviamente i campi rom non sono in sé campi di
internamento. Ma continuare a parlare di "campi", applicare a queste persone gli
stessi concetti di asocialità e nomadismo di allora, significa pianificare
soluzioni di emarginazione. Fuori dalle città, dai servizi, dai collegamenti: e
più sono allontanati, più vengono usati dalla politica come capro espiatorio su
cui indirizzare le colpe dei mali della società odierna. Quello che si intendeva
allora per "razza", si sostituisce oggi per la loro presunta "cultura" di
gruppo, con ragionamenti che non sono molto diversi dal passato. La soluzione è
progettare l'uscita dai ghetti, e progettare, insieme a loro, soluzioni
abitative diverse. Loro sono organizzati e auto rappresentati, devono essere
coinvolti nei progetti che li riguardano.
- Teme la riapparizione di fenomeni di razzismo anti-Rom, in tutta Europa, che
da noi hanno il volto dei tentati pogrom di Ponticelli e Torino?
Ovunque nel continente europeo cresce l'antiziganismo. In Italia, quando un rom
o un sinti viene incolpato, prima ancora del processo, il campo viene distrutto
o spostato ed esplodono proteste popolari. Nella società serpeggia quella paura
del diverso, che si traduce in forme estreme di violenza, i Rom essendo la
diversità in assoluto. Considerati, agli occhi della società maggioritaria,
non-cittadini da fare vivere ai margini: ogni azione nei loro confronti viene
considerata quasi lecita. La nostra cultura dovrebbe finalmente confrontarsi con
i Rom e con la rimozione della loro tragedia; la conoscenza del Porrajmos
(ancora assente dai manuali scolastici) permetterebbe di combattere l'antiziganismo.
* ricercatore presso Università Telematica L. Da Vinci
di Chieti), ha pubblicato, tra gli altri, il volume "Altre tracce sul sentiero
per Auschwitz" (Ed. Cisu)