Orly, giovedì. Maria ed i suoi figli fanno parte dei 74 Rom accolti nel
primo villaggio d'inserimento in Francia, finanziato principalmente dall'Unione
Europea. Mala giovane lotta per trovare un lavoro | (lp/florian dèbes) Rom, il villaggio test non accoglie nessuno - A quasi otto mesi
dall'apertura, il villaggio d'inserimento dei Rom, un esperimento europeo, è
ancora lontano dal compiere la propria missione. Lì cresce l'impazienza.
leParisien.fr par
Florian Dèbes -
Publié le 30.07.2012, 06h17
E' un luogo unico in Francia, quello che visiterà questo pomeriggio ad Orly Jean-Yves Leconte,
senatore dei francesi dell'estero. Recandosi nel villaggio d'inserimento delle
famiglie rumene, potrà incontrare Maria ed i suoi 73 vicini. Per loro
l'emergenza è terminata grazie al dispositivo installato non lontano dalla
stazione di Saules.
Spostatasi a metà dicembre in una casa provvisoria, la giovane aveva posto fine
ad un percorso fatto di produzione di mattoni in Romania, di bracciante agricola
in Italia e di elemosine a Parigi. Nella baraccopoli che occupava
precedentemente a Orly, a febbraio 2010 sono morti in un incendio due bambini di
15 mesi e 3 anni. Oggi la pulizia del sito è da considerarsi un imperativo.
Maria spera di iniziare un tirocinio in una struttura per la prima infanzia. Ma
questo è ancora una speranza.
Il programma d'inserimento, finanziato dall'Unione Europea per un importo di
250.000 €, e dal consiglio generale Val-de-Marne, ha davanti a sé
ancora numerosi ostacoli, malgrado gli sforzi di Habitat et soins,
l'organizzazione che quotidianamente gestisce il sito. "Non è ancora tutto
bene", riassume Maria in un francese incerto.
I 74 abitanti vivono di vendita di rottami ed accattonaggio
L'obiettivo di dare alloggio alle famiglie è comunque soddisfatto. Ma vivono
ancora di rivendita di rottami e di accattonaggio. Gli adulti sono sempre
sottomessi al regime derogatorio che limita l'accesso dei cittadini rumeni
l'accesso al mercato del lavoro. Viene additata la lentezza amministrativa. "In
autunno depositeremo in prefettura sette dossier completi per le domande
d'autorizzazione al lavoro," spiega Laurence Potte-Bonneville, direttrice
regionale dell'associazione.
Si complica la scolarità degli adolescenti
Nessun problema da segnalare nella scuola primaria Marcel-Cachin.
Invece per gli studenti delle superiori ci sono maggiori difficoltà. Mescolati
in tre diversi istituti durante l'anno, per integrare in classi specializzate
chi ha potuto andare poco a scuola, gli studenti faticano ad adattarsi allo
stress. "Per qualcuno non è automatico alzarsi tutti i giorni per ascoltare un
prof. Non l'hanno mai fatto," riconosce Elsa, l'educatrice specializzata del
sito.
Corsi di francese per adulti offerti solo ora
Otto mesi dopo il loro insediamento lì, gli adulti potranno finalmente seguire,
prima della partenza, laboratori sociolinguistici orientati alla ricerca di
lavoro. "E' una richiesta insistente da parte loro," rileva Laurence Potte-Bonneville.
Abitanti ed associazioni hanno faticato ad assumere un insegnante. Tre hanno
declinato l'offerta all'ultimo momento. Una quarta ha infine incontrato le
famiglie a inizio luglio. E così, se per il momento il villaggio di inserimento
non è ancora un successo, c'è ancora tempo, le parti si son date tre mesi, per
fare un bilancio.
IL
MATTINO
di Leandro Del Gaudio
Venerdì 10 Agosto 2012
NAPOLI - Il suo nome è entrato negli annali come esempio - più unico che raro -
di cittadina rom condannata per sequestro di persona. Si chiama Angelica Varga,
sta per compiere venti anni, gli ultimi quattro trascorsi in cella: una vicenda
personale legata a un pezzo di storia di Napoli, con tanto di attenzione
mediatica nazionale.
Ricordate? Metà maggio del 2008, sabato mattina, una stradina di Ponticelli.
Poi: la ragazzina arrestata per sequestro di persona, la rabbia popolare,
l'espulsione di oltre ottocento rom dal quartiere orientale. E ancora: un
giudice che non scarcera Angelica, perché di "etnia rom", quindi incline a
compiere delitti analoghi", la sentenza definitiva e il suo caso diventa un
primato da giurisprudenza: una ladra di bambini, l'incubo metropolitano messo su
carta bollata, con tanto di firma di un giudice. Un caso chiuso.
Quattro anni e mezzo dopo, Angelica si racconta. Č stata scarcerata da poco,
proprio negli stessi giorni in cui a Ponticelli venivano arrestati alcuni
presunti camorristi che "con odio razziale" incendiavano i campi rom (storia del
2010) per impedire che i piccoli zingari frequentassero le scuole del quartiere.
Storie simili, anche secondo Angelica Varga, che su una panchina del centro di
Napoli si racconta: "Desidero cose elementari: la verità, poi un lavoro qui a
Napoli, una famiglia, l'integrazione. Ma anche una cultura dell'integrazione a
Napoli, che - come la mia storia insegna - non esiste ancora".
C'è una sentenza, una verità giudiziaria, lei ha rapito una bambina in fasce,
punto. Qual è la sua versione?
"Ero a Napoli da un mese e mezzo, ero da poco arrivata da Bistrita
(Transilvania, Romania), la mia città natale. La mattina uscivo con una mia
amica di poco più grande, che faceva piccoli sbagli. Mi portò con lei in una
casa, voleva rubare qualche oggetto di valore. Facemmo appena in tempo a salire
una rampa di scale, che venimmo bloccati da un uomo. La mia compagna riuscì a
scappare, io finii in cella. Non parlavo italiano, ma ero tranquilla, mi dicevo:
non ho portato via niente, ora mi rilasciano. Invece, quindici giorni di cella e
ho capito: sequestro di persona, rapimento, stavo impazzendo".
Eppure, lei in quella stanza ci è entrata. Ha accarezzato quella bimba nel
carrozzino, l'ha abbracciata?
"Mai. Non l'ho neppure vista quella bambina. Non siamo entrate in casa, non ci
riuscimmo. Facemmo appena in tempo a salire una rampa di scale che fummo
bloccate, la mia compagna scappò via, io rimasi lì senza immaginare cosa mi
sarebbe toccato vivere".
Poi, mentre lei era in cella, a Ponticelli è scoppiato il finimondo: un
quartiere in fiamme, raid incendiari, un popolo in fuga. Venne a sapere cosa
stava accadendo?
"Lo seppi in cella, me lo dissero le altre ragazze, che
provavano a sostenermi. Č stato orribile e assurdo. Sono stati espulsi tutti, in
una notte è stato spezzato il progetto di integrazione che tante famiglie
avevano intrapreso. Non c'erano solo ladri in quegli accampamenti, ma anche
ragazzi che andavano a scuola, c'era mio fratello, i miei parenti: via tutti,
dalla notte al giorno. Hanno trovato una scusa orribile per cacciarci, per
allontanarci. E io sono stata quattro anni e mezzo in cella".
Un mese fa sono stati arrestati alcuni presunti camorristi di Ponticelli: per
"odio razziale" hanno scatenato incendi nel 2010, non volevano gli zingari a
scuola dei loro figli.
"Conosco questa storia. Credo sia molto simile alla mia, perché al di là
dell'episodio che mi ha visto condannata, credo che qualcuno abbia soffiato sul
fuoco, credo che qualcuno aspettasse un pretesto - come il rapimento di un
bambino - per scatenare la guerriglia contro di noi".
Ripetiamo: per i giudici lei è responsabile di quel rapimento, la sentenza è
definitiva, se potesse incontrare la mamma della bimba rapita per pochi minuti,
cosa le direbbe?
"Nutro ancora troppa rabbia per quello che mi è successo, voglio guardare
avanti, niente polveroni polemici".
Cosa fa da quando è libera?
"Voglio ringraziare i miei legali, gli avvocati Liana Nesta e Cristian Valle che
hanno creduto in me e hanno provato a difendermi anche contro i pregiudizi. Ho
trovato attorno a me tanta solidarietà, ora provo a ripartire. Ho vent'anni,
vorrei un lavoro (so fare la parrucchiera), una vita normale da cittadina
napoletana. Nel frattempo, quando posso, faccio anche un po' di volontariato".
In che senso?
"Parlo bene italiano, spesso mi reco in alcuni campi rom dell'hinterland assieme
ad altri volontari, dove cerco di svolgere un ruolo in un più ampio progetto di
integrazione".
Č andata anche a Ponticelli?
"No, lì non sono mai tornata. Mi fa troppo male rivedere quei posti, per anni ho
rivissuto dentro di me quella scena, quel cancello che si apre, gli scalini,
l'uomo che mi afferra il braccio, qualcuno che mi chiede di firmare carte che ho
fatto bene a non firmare: perché io quella piccola nel carrozzino, non l'ho
neppure vista una volta in vita mia".
Il comune pagherà l'affitto per almeno un anno, ma la convenzione potrebbe
prolungarsi
12:30 - Non è andata male a due famiglie di rom che a fine giugno hanno dovuto
abbandonare il campo nomadi nel Cagliaritano, sulla Ss554, chiuso dal sindaco
Massimo Zedda per gravi problemi igienici. Sono infatti state alloggiate in una
villa sul litorale con pavimenti in marmo, grande caminetto al centro del
salone, bagno con idromassaggio e aria condizionata in ognuna delle quattro
camere da letto. L'affitto? Paga il comune di Cagliari.
Come riporta il quotidiano 'L'Unione sarda', d fronte alla prima villa sul
litorale, a pochi metri, c'è quella che diventerà la nuova casa per altri tre
nuclei familiari: un vecchio ristorante che si affaccia su una grande piscina,
patio in cotto e centinaia di metri quadri di terreno, fino a pochi giorni fa
completamente incolto.
Sono due delle ville sul litorale che il Comune, tramite la Caritas, ha messo a
disposizione delle famiglie bosniache allontanate dalle baracche e dai terreni
inquinati stretti tra la Statale 554 e il quartiere di Mulinu Becciu. Sarà il
Comune a pagare, almeno per i primi dodici mesi l'affitto delle case, ma il
sostegno potrebbe arrivare fino a due o tre anni.
di Jacopo Norfo
"Ma quale piscina di lusso per gli zingari, al massimo è una bagnarola". Di
fronte a quello che è soltanto un casolare diroccato sul litorale di Flumini, un
ex ristorante abbandonato da anni che il titolare non era mai riuscito a
riutilizzare o a dare in affitto, e che è tutto tranne che una villa lussuosa,
viene da sorridere davanti ai finti scoop di qualche giornale. Fabrizio Rodin,
presidente della commissione Politiche Sociali del Comune di Cagliari, spiega:
"Si tratta di un locale dove vivono due famiglie di nomadi, una struttura
vecchia da risistemare, un'abitazione provvisoria. Insomma tutto tranne che una
residenza di lusso con piscina". La piscina c'è, ma non sembra affatto in stile
Hilton. In atto c'è una chiara strumentalizzazione che potrebbe portare a
tensioni sociali. La verità è un'altra. Va detto poi che è la Caritas a
occuparsi delle case per i nomadi in prima persona. Rodin spiega: "Il Comune non
regala affatto case agli zingari, questo sarebbe proibito perchè
sull'assegnazione delle case esistono specifiche graduatorie. Si sta utilizzando
una precisa legge regionale che costa 90 euro a persona per chi è andato via dal
campo Rom sulla statale 554. In tutto spenderemo circa 200 mila euro, per un
solo anno di affitto e non per sempre, utilizzando un finanziamento che
riguardava il campo Rom che invece è di 700 mila euro. Facciamo un conto facile
facile: significa che il Comune, e quindi i cagliaritani, risparmieranno
rispetto agli anni scorsi la bellezza di mezzo milione di euro all'anno".
Fabrizio Rodin spiega poi come in passato, quando al timone c'era
l'amministrazione di centrodestra, non siano state trovate soluzioni: "I fondi
relativi all'anno 2007 stavano per andare persi del tutto e li abbiamo salvati
in extremis. Mi chiedo poi come mai il consigliere Porcelli, che ha proposto un
altro campo Rom a Giorgino, non sia invece riuscito a trovare un piano
alternativo quando era lui il presidente della commissione Cultura". Nella foto,
Fabrizio Rodin. jacopo.norfo@castedduonline.it
twitter@JacopoNorfo
Di Fabrizio (del 13/08/2012 @ 09:10:43, in Europa, visitato 1322 volte)
Rue89LyonQuegli abitanti che vogliono tenersi i Rom vicini - par Leďla Piazza
| 3 agosto 2012 (i link sono in francese, ndr.) I bambini sono onnipresenti nel quartiere. Crédit : Leďla Piazza
Fanno petizioni, ma non per cacciarli. Nel cuore del quartiere della Guillotière
(7° arrondissement di Lione), gli abitanti e associazioni de " l'îlot
Mazagran" si mobilitano per rialloggiare un centinaio di Romche vivono in due case occupate, il cui sgombero è imminente. Una
richiesta inedita che fa parte della più vasta mobilitazione contro la "gentrificazione"
del quartiere.
Quando dei Rom occupano un edificio in un quartiere, di solito l'accoglienza
riservata ai nuovi abitanti non è molto buona. Di solito sono rifiutati con
violenza da chi vive intorno, come succede
attualmente in una zona residenziale di Vaulx-en-Velin. Tutt'altra la
situazione nel quartiere della Guillotière. Invece di scrivere al sindaco per
farli sgomberare il prima possibile, molti residenti di un'area del quartiere
conosciuta come "l'îlot Mazagran" si mobilitano per farli restare.
"L'îlot Mazagran", due edifici occupati da un centinaio di persone, è a tutti
gli effetti sotto sgombero. Ma, se l'intervento delle forse dell'ordine può
avvenire da un momento all'altro, le famiglie non sono state ancora sloggiate.
Qua entra in gioco la mobilitazione degli altri abitanti del quartiere. Difatti
a metà luglio un collettivo di loro e di associazioni ha fatto girare una
petizione che ha raccolto un centinaio di firme, inviate alla città di Lione ed
alla Grande-Lione.
Squatter sostenuti dagli abitanti
C'è da dire che i Rom si sono insediati nel quartiere di Lione dove esiste la
più alta concentrazione di associazioni e militanti della città. Associazioni
che hanno preso possesso dei luoghi lasciati vacanti, in seguito al congelamento
del progetto di creare una grande arteria, che avrebbe prolungato l'avenue Félix
Faure sino al bacino del Rodano.
Ci sono aree di compostaggio collettivo, un caffè cooperativo, un'associazione
di messa a dimora del verde, un locale (les Locaux Motiv') che riunisce 17
associazioni ed artisti. Soprattutto è emerso al centro di questo abbandono
urbano, il giardino condiviso di Amaranthe, creato nel 2003. Sostenuto da una
trama boschiva, è diventato "l'îlot Mazagran".
Questo per dire che questa zona della Guillotière è iperattiva a livello
associativo, in un contesto di mixité sociale, composto da immigrati, studenti,
classe media, intellettuali, artisti o SDF (Senza Fissa Dimora, ndr.) da Père Chevrier,
il più grande centro di senzatetto del Foyer Notre-Dame.
La differenza con gli altri quartieri si è fatta subito sentire, rileva Julien,
militante di Demeurant Partout, l'associazione che ha "requisito" un anno fa
il primo immobile, divenuto il primo squat di rue Montesquieu:
"In questo quartiere, la gente non ha atteggiamenti esagerati, come succede da
altre parti. Ci hanno scritto delle mail dicendoci che abbiamo fatto bene e
offrendoci dei mobili."
Conferma
Gilberte Renard, dell'associazione CLASSES (Collettivo Lionese per l'Accesso
alla Scolarizzazione ed il Sostegno ai Bambini degli Squat):
"Qui li aiutiamo. Portiamo loro da mangiare. I bambini partecipano alle
attività. E sono molto discreti. Come risultato, gli abitanti li hanno
accettati."
Così, tra le famiglie rom minacciate di espulsione, sono tante quelle che non
vorrebbero finire troppo lontani dalla Guillotière.
Una delle famiglie nell'appartamento occupate nell'îlot Mazagran.
Crédit : Leďla Piazza
Coesistenza o integrazione?
Qui, si dice che alcuni residenti abbiano tenuto corsi per i bambini, altri
abbiano aiutato i genitori nella gestione delle lettere amministrative e nella
lettura della posta.
Nell'"îlot Mazagran" i bambini rom giocano e non esitano a fermare i passanti.
"Quando passo la mattinata, fuori quasi non ci sono che bambini, racconta
Christian, uno degli attivisti. Mi dicono buongiorno, mi corrono appresso. A
volte mi dicono che vogliono rubarmi la moto, ma il tono è di scherzo."
Grazie i bambini, s'è creato il contatto tra abitanti ed occupanti,
particolarmente nel giardino condiviso di Amaranthe, gestito dall'associazione
Brind'Guill. Emma Lidbury, militante dell'associazione e co-presidente di Locaux
Motiv' - incubatore che comprende 17 associazioni di quartiere, racconta:
"Ho incontrato queste famiglie attraverso il giardino dove i bambini sono molto
presenti. Da quando apre, ci chiedono di andarci assieme. Così, si inizia a
conoscere meglio le famiglie. Sono davvero integrate nel quartiere."
Ed in occasione di avvenimenti nel quartiere, i Rom partecipano sempre di più.
"Durante il Maza'Grand Événement
abbiamo proiettato dei film, racconta Francis dell'associazione Les Inattendus.
I Rom sono venuti e sono stati un pubblico davvero buono. Non c'erano molte
parole ed hanno potuto comprendere, ed essere coinvolti."
La vita del quartiere si è organizzata attorno ad Amaranthe, un giardino
condiviso, creato nel 2003 e ora aperto a tutti, quando è presente un
giardiniere dell'associazione. Crédit : Leďla Piazza
"Niente buonismo"
Gli attivisti delle associazioni che si battono perché le famiglie restino nel
quartiere, non vogliono passare per sempliciotti:
"Non dobbiamo nasconderci, prosegue Francis, che sono in tanti e lo spazio è
piccolo. Non sempre è evidente, ma per forza si creano tensioni."
"Problemi ci sono di sicuro," riconosce Emma Lidbury :
"Ma se si inizia a conoscere bene alcune famiglie, si può parlare. Per esempio,
in giardino sono spartite alcune cose. Se ne è discusso. Di sicuro, direttamente
non sono stati loro, ma questa comunità è un po' come una grande famiglia, le
cose poi sono tornate. E adesso, in qualche modo sono loro che sorvegliano il
capanno degli attrezzi..."
"Quando va bene, c'è un vero scambio. Soprattutto con i bambini che sono molto
intraprendenti. Con i genitori è più complicato, perché c'è la barriera della
lingua," aggiunge la sua collega Maura.
Stesse conclusioni da parte di Elodie, barista del bar cooperativa del posto, il
Court Circuit:
"P., il nonno della famiglia, viene a trovarci, ordina il suo caffè e cerca di
parlare con noi. Ma se non ci capiamo molto. è difficile avere uno scambio."
Il bar cooperativo situato al centro di questo isolato, ha anche dovuto imparare
a far coabitare la sua clientela con i Rom regolarmente presenti in piazza, dove
si trova la sua terrazza.
"C'è una forte precarietà e molta inattività. E' dura la vita, soprattutto per i
più giovani che si annoiano. Vengono a giocare in piazza, senza prestare
attenzione ai clienti. Così non è facile convivere."
Corinne Iehl abita nel quartiere e fa parte dell'associazione Cré'Avenir che
partecipa al tavolo degli abitanti, Sfuma ulteriormente il quadro:
"Dire che i Rom sono integrati, è un po' eccessivo, anche se si è familiarizzato
con molte famiglie. E' complicata. Sono alla sbando, sopravvivono alla giornata.
Spesso ci sono tensioni tra le differentii famiglie. Sono tollerati, accettati.
Di converso, ci sono forme di carità."
Lo spazio al centro dell''îlot Mazagran accoglie numerose feste e il gazebo
del bar cooperativo. Crédit : Leďla Piazza
Lotta contro "l'imborghesimento"
In questa parte del quartiere è forte la paura della perdita delle sue
specifiche sociali. A primavera 2011, il comune di Lione ha riproposto un
progetto di rinnovamento urbano del quartiere. Tenuto conto della sua alta
densità associativa, gli eletti hanno immediatamente
contattato i residenti. Sin dall'inizio, molti abitanti ed associazioni si
sono attivamente coinvolti nella concertazione, particolarmente in seno al
collettivo Mobilizagran.
Soprattutto con una rivendicazione: la resistenza alla
gentrificazione, cioè l'imborghesimento della zona:
"Sin dall'inizio della concertazione, gli abitanti e le associazioni hanno detto
di voler mantenere la mixité sociale. C'è paura della
gentrificazione, che sta già prendendo piede," analizza Corinne
Iehl di Cré'Avenir.
Perciò la partenza dei Rom dal quartiere significherebbe, secondo diversi
abitanti, l'inizio della scomparsa della mixité sociale. Un argomento subito
me3sso in avanti nella petizione degli abitanti agli eletti di Lione:
"Noi, abitanti ed associazioni riuniti dell'îlot Mazagran (Lyon 7e),
siamo stati messi a conoscenza della situazione a riguardo il rialloggio delle
famiglie rom del quartiere. [...] Non vogliamo assolutamente vedere il quartiere
gentrifichizzato con, conseguentemente, l'impennata dei prezzi degli immobili e
l'esclusione delle persone in situazione di estrema precarietà. Non
possiamo accettare che il rinnovamento del quartiere avvenga al prezzo della
rimozione di famiglie già in situazione di esclusione sociale."
I firmatari chiedono quindi che "le famiglie siano rialloggiate nel quartiere,
come (secondo la petizione) aveva promesso Grande-Lione." Contattata,
la Grande-Lione replica che la questione (degli sgomberi di alloggi occupati) è
di competenza della prefettura.
La questione della risistemazione si pone anche per una famiglia rom
rialloggiata da Habitat et Humanisme in un immobile destinato alla distruzione
(nel quadro del rinnovamento urbano) e a cui l'associazione ha promesso il
trasferimento. Ma per ora alla coppia di nonni è stato proposto solo uno studio
a Villeurbanne.
"Preferirei restare qui, suggerisce in francese incerto Léontina, la decana
della famiglia P. Sono in quartiere da 8 anni. Uno dei miei nipoti va alla
scuola Gilbert Dru. E con la gente va bene. C'è chi viene a bere il caffè. E poi
ci portano vestiti, mobili o da mangiare."
Appendice da
Il Giornale: E Hollande fa come Sarkozy: ruspe contro i campi rom Il presidente demolisce gli alloggi a dispetto del programma elettorale
L’avvento del governo socialista in Francia non ha cambiato la linea impostata
dall' amministrazione Sarkozy sui campi nomadi...
E se in Italia, per il momento la notizia è ripresa solo da
Agoravox: Hollande sgombera i nomadi, le Ong lo attaccano: "Peggio
di Sarkozy" Diversi campi rom sono stati smantellati in questi giorni in Francia.
Mercoledì, quando le ruspe si sono presentate all'ingresso del più grande campo
nomadi di Parigi non hanno trovato nessuno, gli abitanti allertati si erano già
allontanati verso...
QUI potete trovare le ultime notizie dalla Francia.
The Contrarian Hungarian"Abbiamo attaccato gli zingari e ne siamo
fieri" Manifestazione dell'estrema destra a Devecser sfocia in violenza
-
8 agosto 2012 Foto ufficiale della manifestazione, dell'Hungarian News Agency - fotografo Lajos
Nagy.
C'è curiosamente poca o nessuna copertura sui media ungheresi riguardo al
comportamento violento dei gruppi razzisti - alla luce del giorno e di fronte
alle telecamere - in un villaggio ungherese il fine settimana scorso.
Quindi, la storia che seguirà non è soltanto su una manifestazione
organizzata dal terzo più grande gruppo parlamentare in Ungheria, durante la
quale, ancora una volta hanno reso lampante quanto siano vicini alle milizie di
estrema destra che abitualmente incitano alla violenza razzista.
Però, è anche una storia sulla mancanza di copertura da parte dei mezzi di
informazione, riguardo la più scandalosa agitazione dell'estrema destra
ungherese, senza che nessuno di loro fosse personalmente presente a testimoniare
la sconcertante crescita di audacia con cui questi gruppi politici rinfocolano i
conflitti etnici nei villaggi del paese. Succede sempre più spesso che i media
ungheresi rifuggano dal fornire rapporti corretti sul comportamento criminale
dei politici di Jobbik e dei suoi alleati paramilitari. Da ciò ne deriva uno dei
recenti sviluppi nella retorica dell'estrema destra: vale a dire la loro
applicazione piuttosto liberale del concetto di "autodifesa" per giustificare il
loro clima intimidatorio e razzista - ed in questo caso - i violenti attacchi
alle minoranze. Nel contempo la polizia e gli apparati giuridici stanno a
guardare.
Ma torniamo alla storia. La citta di Devecser aveva già ottenuto attenzione
internazionale durante il disastro del fango rosso nel 2010 quando, assieme a Koontár,
fu una delle diverse città sfortunate inondate dai rifiuti caustici dei
materiali tossici conservati nell'impianto di alluminio di Ajka (vedi
Wikipedia, ndr.).
Ora, due anni dopo, l'estrema destra si concentra sulla città non perché
il risanamento ambientale resta incompiuto, ma perché vuole una
dimostrazione di forza contro ciò che loro chiamano l'inazione della polizia
contro i vicini rom. Le violenze sembrano aver seguito questo argomento,
precipitando in un avvertimento, nella forma di una manifestazione dell'estrema
destra, sponsorizzata da un partito, di forza collettiva contro tutti i
residenti rom della città.
Jobbik, organizzatore ufficiale dell'evento, vi ha incluso conosciute
organizzazioni estremiste e paramilitari violente. Assieme, hanno portato nella
cittadina un numero considerevole di simpatizzanti di estrema destra: ne sono
arrivati circa 1.000 in una città di 5.000 residenti. La Nuova Guardia Ungherese (Új Magyar Gárda),
L'associazione Guardia Civile per un Futuro Migliore (Szebb Jövőért Polgárőr Egyesület),
Movimento Giovanile 64 Contee (Hatvannégy Vármegye), Forza di Difesa (Véderő),
Guardia Motociclistica
(Gárda Motorosok) ed Esercito Fuorilegge (Betyársereg), ognuno con i suoi
simpatizzanti (come è stato recentemente chiarito da un tribunale ungherese, dal
punto di vista giuridico questo tipo di collaborazione è per loro la più
vantaggiosa: assieme, non possono essere ritenuti responsabili di atti criminali
specifici durante le proteste; tuttavia, è difficile stabilire responsabilità
individuali, con così tanti gruppi presenti).
Jobbik era rappresentata da tre parlamentari: Gábor Ferenczi, Szilvia
Bertha e Balázs Lenhardt.
Il rapporto più completo su quanto accaduto viene dalla
testimonianza oculare di un collaboratore del blog ungherese Kettős Mérce
(Doppio Standard):
Gábor Ferenczi di Jobbik ha iniziato i discorsi. Ha detto di volere
pace, ordine e sicurezza a Devecser, e che questa manifestazione è sul diritto
degli ungheresi all'autodifesa, perché gli ungheresi possano difendersi e gli
zingari assumersi le loro responsabilità.
Ferenczi si è rivolto in particolare al sindaco di Devecser, il quale
aveva detto in precedenza alla stampa che la manifestazione di Jobbik non era
necessaria. Ferenczi ha esortato il sindaco a non rivolgere le sue parole
contro gli ungheresi "normali", invece di ergersi contro i "criminali". Ferenczi
ha anche detto di non voler più sentire alcuna lamentela, specialmente nulla di
più su furti e truffe degli zingari di Devecser. Se ci dovessero essere problemi
di ogni sorta,ha detto di chiamare la Forza di Difesa [Véderő, gruppo
paramilitare coinvolta anche nell'occupazione di Gyöngyöspata l'anno
scorso]. Ha sottolineato che c'è bisogno della reintroduzione della pena
capitale, e dicendo che se i problemi non cesseranno, ci saranno altre
manifestazioni.
Dopo è stato il turno di László Toroczkai di 64 Contee [persona più volte
accusata, ma mai condannata, di atti terroristici]. Ha iniziato il discorso
dicendo che gli ungheresi hanno tre possibilità: immigrare, diventare schiavi
"degli zingari" o rimanere e combattere; in questo caso chi fosse stato
infastidito "dall'ungarità" doveva andarsene. Ha detto che ci sono zingari e
criminalità zingara in tutto il paese e che "dovunque questo gruppo etnico sia
presente, si mostrano distruzione e devastazione." Secondo lui, gli zingari
vogliono sterminare gli ungheresi, e se vogliono combattere allora bisogna
lottare contro di loro, non ci sono altre possibilità. Ha aggiunto anche che gli
ungheresi o combattono o diventeranno vittime.
In seguito, è stato lasciato il microfono a Attila László
dell'associazione Guardia Civile per un Futuro Migliore [una manifestazione di
questo gruppo ha segnato l'inizio di un lungo periodo di tensioni etniche a Gyöngyöspata
l'anno scorso]. "Tutta i rifiuti devono essere spazzati fuori dal paese," ha
detto nell'apertura.
Secondo lui, ci si deve ribellare e cacciare tutti i
criminali, ed organizzarsi in ogni comunità - per questo, c'è bisogno di tutti
gli "ungheresi militanti". In conclusione, ha definito l'autodifesa come "un
istinto che arriva alla formulazione durante le emergenze e che viene poi
seguito da un'azione cosciente."
Dopo i discorsi, ha avuto luogo il corteo: i manifestanti si
sono recati alla casa della famiglia da proteggere per cui erano convenuti.
Mentre il testimone arrivava alla casa della famiglia - probabilmente
sostenitori di Jobbik o organizzatori locali del partito - i manifestanti
cantavano:
"Siete nessuno!" "State per morire, zingari, state per
morire qui!"
A questo punto, è iniziata una seconda serie di interventi, il primo di Zsolt Tyirityán
(Esercito Fuorilegge -
Betyársereg), che ha parlato di guerra razziale e pulizia etnica. "Gli zingari
hanno la criminalità nel codice genetico," ha detto. Per rafforzare il concetto,
ha aggiunto che sono i "sionisti" a dirigerli per andare contro la legge. "Mi
considero un razzista," ha detto Tyirityán, "ed ho intenzione di ergermi per non
lasciare spazio vitale ad un'ulteriore razza." "La spazzatura codificata
geneticamente dev'essere sterminata dalla vita pubblica." "Stiamo per debellare
questo fenomeno, dev'essere estirpato dalle nostre vite."
Successivamente, l'autore del blog ha proseguito verso una casa di amici.
La casa si trovava lungo il percorso dei manifestanti, che sono arrivati
poco dopo. "Stavano gridando diversi slogan razzisti ed intimidatori, il mio
braccio destro è stato colpito prima da una bottiglia d'acqua e pochi secondi
dopo da un più grande pezzo di cemento. Mi sono fatto da parte prima di essere
colpito alla testa... Siamo entrati nella casa attraverso il cortile. Nel
frattempo, attorno a noi piovevano letteralmente altri pezzi di cemento e
bottiglia d'acqua. Entrati in casa abbiamo dovuto chiudere le persiane, perché
anche le finestre erano un obiettivo. In casa c'erano molti bambini.
"Una volta che se ne furono andati, ci siamo avventurati fuori dalla
casa, scoprendo che avevano fatto lo stesso a molte case abitate dagli zingari."
Anche Ferenczi, deputato Jobbik, era tra i feriti. "Davanti alle abitazioni
c'era molta polizia, ma è successo lo stesso."
Ne filmato seguente viene ripreso l'incidente all'esterno della casa dove
vive la famiglia rom. Lunedì sono stato in grado di vedere un versione più lunga
del filmato, preparata da una delle derivazioni di estrema destra - ma quel
video (della lunghezza di circa 6') sembra essere stato rimosso da internet.
Tuttavia, grazie al
blog Egyenlítő si possono ancora guardare su internet i 25 secondi riguardo
all'incidente:
Quanto sopra è stato confermato in seguito da un mezzo d'informazione di
estrema destra. Quanto registrato effettivamente non comprende alcune
delle citazioni peggiori. Se si dovesse presentare una causa penale per
istigazione al conflitto etnico, si dovrebbe far valere
questa interazione, disponibile sul video realizzato da ATV. Anche se non si
riesce a rendersi conto della dimensione reale della folla, a partire dal minuto
1.08 il discorso si traduce così:
"Che ne pensate, secondo voi ci sono segni di una guerra razziale in
questo paese?" - chiede l'oratore alla folla (Zsolt Tyirityánof di Esercito
Fuorilegge). "Sì!" urla la folla dietro di lui. "Secondo voi, ci sarà un'escalation del conflitto in base alla razzia o
all'etnia?" "Sì!" "Allora mandiamogli un messaggio!"
Ed i fatti contestati non riguardano, difatti, i partecipanti alla
manifestazione! Sono orgogliosi del "successo" della loro protesta unificata.
Come scrivono nel titolo di un loro rapporto: "Siamo stati noi ad attaccare gli
zingari, e ne siamo fieri."
Questo è quanto è avvenuto a Devecser, nelle parole dell'estrema destra:
"La marcia era guidata dai selvaggi combattenti di Betyársereg, che non
conoscono paura, con le loro impressionanti bandiere nere, che non mancano mai
di incutere paura al nemico. Dietro di loro seguivano le file disciplinate delle
[64] Contee. Il corpo principale era composto da civili e membri di Jobbik,
mentre il corteo terminava con Migliore Futuro e le Guardie. Gli ungheresi hanno
fatto scappare gli zingari più volte. Prima, presso la casa dove è avvenuto lo
scontro [si parla di fine luglio]. C'era un cordone di poliziotti a tutela della
strada degli zingari e, dietro di loro, 5-6 zingari erano fermi ad osservare gli
ungheresi, ma quando i Fuorilegge hanno caricato - passando attraverso il
cordone poliziesco- gli zingari sono fuggiti. I mezzi della polizia hanno
bloccato gli ungheresi penetrati nella via degli zingari. Il corteo è
proseguito, ma in un'altra strada con molti zingari, ci sono stati ulteriori
scontri."
"Gli [epiteto razziale] facevano capolino da dietro il recinto di pietra
di una casa abitata da zingari. Stavano registrando lo svolgimento del corteo
con una cinepresa rubata chissà dove. E' seguita una discussione tra loro e i
manifestanti. Infine, è stata lanciata una bottiglia d'acqua, che ha colpito uno
[epiteto razziale] in testa, dopodiché da dietro il recinto hanno lanciato una
pietra contro la folla. Ne è seguita una tempesta di pezzi di mattoni, pietre e
cemento, che hanno cacciato gli zingari dentro casa. Gábor Ferenczi, membro del
parlamento per Jobbik, è stato ferito durante l'incidente - probabilmente
colpito alla testa da uno zingaro (ha richiesto le cure nel vicino ospedale di
Ajka).
"La polizia non era sul posto, è arrivata dopo, non sono riusciti a
gestire la situazione, molti di loro avevano paura. Se il pogrom non c'è stato,
non è dipeso da loro. Al momento, gli ungheresi erano assolutamente superiori."
La questione dell'autodifesa e della ferita a Ferenczi è importante per i
media: in quanto parlamentare, richiama sufficientemente l'attenzione delle
redazioni (con la sua testa ferita, è l'immagine perfetta per un rapporto
accattivante). Secondo l'estrema destra, è stato ferito da una bottiglia
d'acqua. Sempre secondo la ricostruzione dell'estrema destra, c'è stata una
pietra lanciata dalla casa dove si erano prima rifugiati gli abitanti, quando il
recinto era stato assalito. Osservando il video, prima che sparisse da internet
- tranne il frammento riportato, dall'interno non sono state lanciate pietre. Ma
l'incidente, tutto sommato, è un atto di autodifesa: un atto istintivo che si è
tradotto in un'azione cosciente e coordinata. Difesa: dalla criminalità
codificata geneticamente degli zingari, naturalmente. Cercando un buco in questo
solido argomento.
Si potrebbe pensare che quanto sopra potrebbe far riflettere qualsiasi
organizzazione attenta al rispetto delle notizie. Tuttavia la storia termina con
le tristi note degli eventi che hanno avuto luogo il 5 agosto a Devecser,
nell'interpretazione dei principali giornali, tanto governativi che di
opposizione.
Quanto segue, ora, è la traduzione parola per parola del rapporto completo su
questo "incidente" pubblicato dal più diffuso quotidiano di sinistra in
Ungheria:
Il deputato Gábor Ferenczi, rappresentante Jobbik per il distretto di Veszprém,
ha chiesto il ripristino della pena capitale, durante un evento organizzato
domenica dal suo partito a Devecser dove, secondo le stime del deputato, erano
presenti un migliaio di persone.
La manifestazione, dal nome "Vivi e lascia vivere: manifestazione per la
legittima autodifesa ungherese," si è tenuta con la partecipazione di Jobbik e
di numerose organizzazioni della destra radicale. E' partita dalla piazza di
fronte alla chiesa cattolica, dopodiché i manifestanti hanno marciato per le
strade in cui pensavano vivessero gli zingari.
A Devecser, città diventata famosa durante il disastro dei fanghi rossi e
che conta 5.000 abitanti, Gábor Ferenczi ha dichiarato che il loro obiettivo non
è la discriminazione su base etnica, quello che vogliono a Devecser è pace,
ordine e sicurezza. "Vivi e lascia vivere in questo comune: è quanto chiediamo
ai nostri compatrioti zingari."
Il deputato ha chiesto il rafforzamento della stazione di polizia a Devecser,
dopodiché ha sottolineato che nel paese avvengono sempre più brutali atti
criminali. Ha dichiarato di chiedere il ripristino della pena di morte, "come
deterrente per respingere e prevenire questi crimini."
László Toroczkai, presidente del Movimento Giovanile 64 Contee, ha
richiamato i partecipanti a non lasciare il paese ed il loro suolo natale, e non
farsi cacciare.
Sfilando dopo il comizio i partecipanti sono sfilati davanti alla casa
dove alla fine di luglio avevano avuto luogo una discussione e una rissa, che
hanno fornito il motivo della manifestazione.
La polizia ha messo in sicurezza la manifestazione con un cordone, che i
dimostranti hanno cercato più volte di rompere. In un'occasione, hanno
ingaggiato un lancio di oggetti con i locali, in questo frangente Gábor Ferenczi
è stato ferito ad una tempia. Imre Orbán, vicepresidente di Jobbik per il
distretto di Veszprém, ha informato l'Agenzia Ungherese delle Notizie che la
ferita di Gábor Ferenczi è stata medicata nel locale ospedale di Ajka; la pietra
che l'avrebbe colpito, secondo la loro versione, sarebbe stata lanciata dal
cortile di una delle case."
Il giornale di sinistra ha preso la storia dal lancio di agenzia: non un
giornalista è stato assegnato alla storia (questa sembra sempre più la strategia
della stampa ungherese: seguire quanto pubblicato dall'Agenzia Ungherese delle
Notizie). Parola su parola, il rapporto sopra riportato si ritrova altrove su
diversi media.
Con l'eccezione di alcuni giornali pro-governativi, che fanno affidamento
sulla controversa segnalazione di Hir TV. Nel suo resoconto, il canale
televisivo conservatore afferma che la testa di Ferenczi è stata colpita da
"fuoco amico": la bottiglia d'acqua che l'ha colpito proveniva dai suoi. Ma dato
che ciò ha scatenato un grande chiasso da parte dei portali di estrema destra,
hanno ritrattato la dichiarazione originale. Questa la versione stampata alla
fine, nella sua interezza:
La manifestazione tenuta da Jobbik e dalle organizzazioni di estrema
destra vicine, si è conclusa senza gravi incidenti. Due persone durante il
corteo sono svenute per il caldo.
La folla ha marciato verso la casa dove nelle scorse settimane c'era
stata una rissa tra due famiglie, una ungherese e l'altra zingara, legate tra
loro da una lunga faida. Alcuni hanno gettato bottiglie d'acqua contro la casa,
da cui sono usciti alcuni rom per strada, ma la polizia ha posto velocemente
fine a questo. Gábor Ferenczi di Jobbik è stato colpito con un pezzo di cemento.
Precedentemente, il parlamentare aveva tenuto un discorso, in cui dichiarava di
essere venuto con intenzioni pacifiche, ma che se nel comune non fosse
migliorata la sicurezza, sarebbero tornati. Il politico ha chiesto un
rafforzamento della stazione di polizia nella città già colpita dalla catastrofe
dei fanghi rossi. Le autorità hanno controllato l'evento con un significativo
spiegamento di forze.
Andrebbe oltre lo scopo di questo post già troppo lungo, purtroppo,
commentare la questione a portata di mano: quanto è avvenuto a Devecser è
incitamento alla guerra etnica e razziale.
Il punto è esattamente sul come e perché l'estrema destra ungherese sta
guadagnando terreno in Ungheria. Dalla sola lettura di media e giornali questa
storia non esisterebbe quasi. Quando se ne fa menzione, viene distorta nel
profondo: distante dalla furia liberata di gruppi razzisti in una lontana città
ungherese, si racconta di un raduno con "intenzioni pacifiche".
Il compito appare difficile: non si tratta soltanto della lotta legale,
politica e sociale contro l'estremismo, ma anche contro il silenzio e la
disinformazione.
Di Fabrizio (del 15/08/2012 @ 09:10:36, in Italia, visitato 1626 volte)
13 Agosto 2012 - COMUNICATO STAMPA Comunità sant'Egidio
Quanto costa e a chi costa il gioco dell'oca dei trasferimenti dei rom? Chi
paga le iniziative (pagate anche dal tribunale civile di Roma) del Comune?
Inauguriamo il principio della responsabilità economica degli atti di governo
che comportano spreco di soldi pubblici
I cittadini romani non lo sanno, ma questa è un'estate superattiva per
trasferire i Rom della Capitale da un punto all'altro. In maniera inutile e
costosa. Il percorso è sempre lo stesso: rendere difficile la vita nei campi
attrezzati esistenti, smettendo la manutenzione, invocare il "degrado", e poi
allontanarli oltre il Raccordo Anulare.
Stavolta il gioco è più costoso e sperpero di soldi pubblici. E' anche
imbarazzante, visto che il Tribunale di Roma ha rilevato che: "il «codice
comportamentale» imposto agli abitanti del nuovo «villaggio attrezzato La
Barbuta appare lesivo del diritto della libertà personale, alla vita privata e
familiare e alla libertà di riunione», e ha chiesto di fermarsi.
Intanto si distrugge il "campo attrezzato" di Tor de' Cenci, regolare e
attrezzato dal 2000, con fogne e opere già fatte a carico del Comune. Si decide
di affollare il campo de La Barbuta, fatto con 9 milioni di euro del Fondo
"emergenza rom" nazionale.
Prima di spingere gli abitanti a trasferirsi in modi diversi, sono stati
interrotti i servizi necessari alla manutenzione e gestione del campo. Lo si è
"declassato" da "campo attrezzato" a "campo tollerato". Adesso si procede
all'espulsione di quelli rimasti. Per evitare equivoci, si abbattono con le
ruspe i container comprati con i soldi pubblici e riutilizzabili anche in altri
luoghi. Le macerie restano sul terreno e davvero per chi resta è il degrado.
Sembra bombardato.
C'erano in attesa, comunque, per La Barbuta, già una parte dei Rom che stavano a
Casilino 900, mai ricollocati da tre anni, e quelli che stanno al Salario, più
di 300 persone: in assistenza a carico del Comune a 25-40 euro al giorno a
persona (300 persone fanno 9mila-10 mila euro al giorno che si continuano a
pagare. Una famiglia di cinque persone che costa sui 4, 5 mila euro al mese. Con
molto meno si affittano case decenti. Ma il Comune non lo fa. E non utilizza
nemmeno il nuovo campo de La Barbuta per loro.
Sarebbe stato più semplice e meno costoso in ogni caso riqualificare il campo
attrezzato di Tor de' Cenci e lavorare all'integrazione, invece di lavorare alla
sua scomparsa per inseguire la promessa che i Rom non devono stare a Roma.
La Comunità di Sant'Egidio chiede:
1) Di fermare immediatamente queste operazioni (movimenti per rendere la vita
difficile agli abitanti sono registrati anche nel campo di Monte Mario, con
l'abbattimento delle protezioni dal sole in piena estate), per evitare ulteriori
danni e spreco di denari pubblici.
2) Di quantificare il valore delle opere di urbanizzazione e dei container
regolari distrutti nel campo di Tor de' Cenci e nei casi analoghi precedenti.
3) Di quantificare il costo della mancata ricollocazione delle persone
sgomberate in passato, dal momento degli sgomberi ad oggi, anche considerando
che nel frattempo sono stati realizzati col piano emergenza Rom nuovi campi
attrezzati ma non utilizzati per i primi "sfollati" in assistenza.
E di introdurre il principio della responsabilità personale, economica, nelle
decisioni che comportano evidente spreco di denari pubblici perché non siano i
cittadini a sopportarne il peso.
Sorprende che in tempi di austerità e di spending review si continuino a
prendere decisioni dannose del bilancio della città quando esistono (e erano
state proposte dalla Caritas, dalla Comunità di Sant'Egidio e altri) alternative
ragionevoli.
Di Fabrizio (del 16/08/2012 @ 09:17:53, in Regole, visitato 1476 volte)
di Roberto Ortolan
TREVISO Mercoledì 08 Agosto 2012 - 15:44 - La decisione della Prefettura, su
richiesta dell’assessore Andrea De Checchi, di usare il pugno di ferro nei
confronti di tutti i nomadi ritenuti responsabili di intollerabili scorribande,
è stata accolta con stupore dagli "zingari". "Č una scelta assurda - spiega un
rom 40enne - che colpisce nel mucchio senza fare distinzioni tra chi commette
reati e chi rispetta le regole. A casa mia le porte sono sempre aperte. La
polizia si può presentare quando vuole. Non ho niente da nascondere". Gli fa eco
un cugino, 29 anni: "La polizia fa il proprio lavoro - precisa - e fa rispettare
la legge, ma questo mi sembra un sopruso. Io ho sbagliato e pagato. Ora rigo
dritto, ma se i controlli sono indiscriminati sono vessatori e - come dice il
mio avvocato - contrari alla Costituzione".
Più duro Stijepan Baricevic, al quale il provvedimento fa venire in mente le
leggi razziali: "Più che un pugno di ferro - è il suo esordio - questo
provvedimento ha un sapore razziale. Se la criminalità aumenta bisogna trovare
un capro espiatorio e così, come era accaduto nella Seconda Guerra Mondiale, si
individuano a priori i colpevoli. I nazisti colpirono e fecero finire nei lager
gli ebrei e i rom. Oggi prendersela con gli ebrei è "politicamente scorretto"
così sulla graticola finiscono i rom e gli zingari, come amano definirci alcuni
trevigiani".
Per Baricevic è il presupposto, la motivazione della decisione della Prefettura.
"Le forze dell’ordine - aggiunge - devono perseguire i criminali, i banditi e i
rapinatori. Ce ne sono tra i rom come ve ne sono in altre etnie. Č sempre
sbagliato ragionare per categorie. I cattivi e i fuorilegge ci sono tra i poveri
e i ricchi, tra colletti bianchi e lavoratori. Ben vengano comunque i controlli,
perché potranno strapparci qualche sorriso. A casa mia non troveranno niente di
illegale e perciò i poliziotti lavoreranno inutilmente".
In conclusione Baricevic riserva una frecciata al veleno alle autorità di
pubblica sicurezza: "Dicono che in Italia non ci sono nemmeno i soldi per far
camminare le auto di carabinieri e polizia. Non mi sembra. Quelli per
controllare i rom li hanno trovati e a nessuno importa se sono soldi buttati
dalla finestra. I banditi sono altri".
Di Fabrizio (del 17/08/2012 @ 09:15:34, in scuola, visitato 1553 volte)
Capita spesso che qualcuno mi chieda la traduzione di
qualche frase in romanes. Credo quindi che quanto segue possa interessare. A
occhio e croce, il 90% delle parole riportate sono uguali a quelle usate dai Rom
in Italia.
Condivideremo alcune conoscenze per promuovere la lingua romanì. Di seguito
troverete alcune parole ed espressioni raccolte dai volontari di
Media Roma ad İstanbul. In futuro, il dizionario verrà ampliato col vostro
contributo, includendo nuove parole ed espressioni da altre città.
Vocabolario romanes - preparato ad İstanbul
Termini base
Açho Devlesa: Arrivederci / Ca Devlesa: Tu possa essere felice / To alav sosi?:
Come ti chiami? / Me isi nom o ...: Mi chiamo... / Tu Katar İsinan:
Di dove sei?
/Me isinom katar...: Sono di... / Romanes Canes: Parli romanes? (dialetto
laxo) / Romanes Canesa: Parli romanes? / Sari Sinan: Come stai? / So Kerdan:
Che hai fatto? / So Kerde: Cos'hanno fatto? / So Keresa:
Che stai facendo? / Ci ki yavin: Sino a mattina / Ci ko kher:
Verso casa / Ci: Sino - Verso /
Laçi Tumari Rat: Buona notte a te /
Pronomi
Me: Io / Tu: Tu / Odava: Lui (dialetto xorahahane) / Odiya:
Lei (dialetto xorahahane) / Odala (Xorahane) Voy: Lei (Laxo) / Voj:
Lui (Laxo) / Von: Loro
(Laxo) / Amen: Noi / Tumen: Voi / Odala: Loro (Xorahane) / Kadava:
Questo
(Xorahane) / Kava: Questo (Laxo) / Kiri: Suo (di lei) (Laxo) / Koro:
Suo (di lui) (Laxo) / Kodova:
Quello (Xorahane) / Kova: Quello (Laxo) / Moro: Mio / Toro:
Tuo (Xorahane) / Tori:
Tuo (femminile) (Xorahane) / Les Ki: Suo (di lei) (Laxo) / Les Kiri:
Suo (di lei) (Xorahane) / Les
Ko: Suo (di lui) (Laxo) / Les Koro: Suo (di lui) (Xorahane)
Casi
Kher: Casa / Ekherestar: Da casa / Ekhereste: A casa / Kokher:
Verso casa
Veş: Foresta / Eveşestar: Dalla foresta / Eveşeste: Nella
foresta / Koveş: Verso la foresta
Parentele
Baba: Nonna
Baçe: Fratello maggiore
Baye: Fratello maggiore
Biyav: Matrimonio
Bori: Sposa
Camutro: Sposo
Camutro: Testimone di nozze
Chavo: Figlio
Chay: Figlia
Mami: Nonna
Miday: Mia mamma
Modat: Mio papà
Mophral: Mio fratello
Nane: Fratello maggiore (Laxo)
Papu: Nonno
Phen: Sorella
Phral: Fratello
Calendario
Abreş: Quest'anno
April: Aprile
Bocuk: Dicembre
Breş: Anno
Chon: Mese
Dersi: L'anno prossimo
Disera: Ora
Dives: Giorno
Diyes: Giorno
İç: Ieri
Kham: Sole
Masek: Mese
Milay: Estate
Ratasa: Notte
Thera: Domani (Laxo)
Yavine: Domani
Yivent: Inverno
Termini generali
Bezaxa: Peccato
Çor: Ladro
Doş: Crimine
Drom: Strada
Gili: Canzone
Kher: Casa
Love: Soldi
Pares: Soldi
Sastipe: Salute
Saya: Soldi
Suno: Sogno
Aggettivi
But: Troppo
Buxlo: Ampio
Civdo: Vivo
Khanlo: Cattivo
Mulo: Morto
Phuri: Anziana
Phuro: Anziano
Rama: Giovane
Sano: Magro
Suslo: Umido
Şil: Tempo freddo
Şudro: Cibo freddo
Tank: Stretto
Tato: Caldo
Terni: Giovane per donna
Terno: Giovane per uomo
Thulo: Grezzo
Uço: Alto
Xarik: Piccolo
Xarno: Corto
(AGI)
- Roma, 17 ago. - E' morto a Roma don Bruno Nicolini, grande amico del popolo
Rom cui ha dedicato oltre 50 anni della sua vita. Il sacerdote aveva 85 anni.
Ne' da' notizia la Comunita' di Sant'Egidio. Don Bruno inizio' a occuparsi di
Rom e Sinti nel 1958, quando vice parroco a Bolzano fondo' l'Opera Nomadi. Fu
chiamato a Roma nel 1964 da Papa Paolo VI per continuare a occuparsi della
pastorale dei Rom nella capitale; a Pomezia nel 1965 preparo', nello spirito del
Concilio Vaticano II, il primo grande incontro europeo tra il popolo Rom e Papa
Paolo VI. I funerali, celebrati da mons. Matteo Zuppi vescovo ausiliare di Roma,
si terranno domani (oggi, ndr.) alle 11,30 nella Basilica di Santa
Maria in Trastevere. Don Bruno Nicolini creo' inoltre il Centro Studi Zingari,
punto di riferimento culturale per molti per la comprensione della lunga storia
dei Rom in Europa. Dalla fine degli anni '80 responsabile per la Diocesi di Roma
della cappellania per la pastorale dei Rom e Sinti, partecipo' all'incontro dei
Rom europei con Papa Benedetto XVI in San Pietro nel giugno 2011.
La Comunita' di Sant'Egidio, che ha ospitato don Bruno Nicolini in una casa
della Comunita' dove ha vissuto accompagnato negli ultimi anni dall'amicizia di
tanti, esprime cordoglio "per la perdita di un grande amico e di un testimone
evangelico dell'amicizia e dell'amore per il popolo Rom".
Questa mattina (17 agosto, ndr.) alle ore 8.30 forze di polizia, carabinieri e
guardia di finanza hanno chiuso al traffico via Prenestina e con una decina di
blindati hanno sfondato il cancello del civico 911, facendo irruzione
all'interno dell'insediamento abitato prevalentemente da rom e romnì, approdati
in quell'area 3 anni fa dopo lo sgombero del campo di via di Centocelle.
Mentre al civico 913 gli abitanti di Metropoliz sono saliti sui tetti e si sono
barricati all'interno dell'ex fabbrica pronti a resistere, i 40 nuclei del 911
hanno avviato una trattativa con la sala operativa sociale del comune con la
mediazione di 2 attivisti dell'associazione Popica onlus, che sono stati
denunciati.
Una trentina di nuclei rom e romnì ha rifiutato le soluzioni tampone proposte
dal comune ed è stato accolto dentro Metropoliz, scegliendo di proseguire il
percorso di lotta e di autodeterminazione all'interno della città meticcia. Gli
altri hanno trovato sistemazione all'interno varie strutture gestite dal comune.
Ancora una volta l'amministrazione e la questura utilizzano il mese di agosto
per portare a termine operazioni di sgombero senza soluzioni concrete, mostrando
il pugno duro contro chi reclama diritti e occupa per necessità in assenza di
politiche abitative degne e sostenendo gli interessi dei signori del mattone e
della rendita in una città disegnata a misura degli speculatori.
L'accanimento verso i rom e le romnì conferma che il "piano nomadi" è uno
strumento di mera persecuzione razzista, mentre la scelta di non subire il
ricatto dell'amministrazione e di proseguire la battaglia per il diritto
all'abitare dentro la città meticcia da parte di 30 nuclei rafforza la nostra
idea che oggi più che mai, dentro la crisi, è necessario autorganizzarsi e
riconquistare il diritto alla città attraverso il riuso del costruito pubblico e
privato, per sottrarre spazio alla rendita e affermare spazi di libertà.
Metropoliz_ città meticcia
Blocchi Precari Metropolitani Popica onlus
Disclaimer - agg. 17/8/04 Potete
riprodurre liberamente tutto quanto pubblicato, in forma integrale e aggiungendo
il link: www.sivola.net/dblog.
Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza nessuna periodicita'. Non puo' pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001. In caso di utilizzo commerciale, contattare l'autore e richiedere l'autorizzazione. Ulteriori informazioni sono disponibili QUI
La redazione e gli autori non sono responsabili per quanto
pubblicato dai lettori nei commenti ai post.
Molte foto riportate sono state prese da Internet, quindi valutate di pubblico
dominio. Se i soggetti o gli autori avessero qualcosa in contrario alla
pubblicazione, non hanno che da segnalarlo, scrivendo a info@sivola.net
Filo diretto sivola59 per Messenger Yahoo, Hotmail e Skype
Outsourcing Questo e' un blog sgarruppato e provvisorio, di chi non ha troppo tempo da dedicarci e molte cose da comunicare. Alcune risorse sono disponibili per i lettori piu' esigenti: