Credo che la
storia, lunga ed ancora oscura, non terminerà qui. Intanto
godiamoci questo raggio di sole
IL
MATTINO
di Leandro Del Gaudio
Venerdì 10 Agosto 2012
NAPOLI - Il suo nome è entrato negli annali come esempio - più unico che raro -
di cittadina rom condannata per sequestro di persona. Si chiama Angelica Varga,
sta per compiere venti anni, gli ultimi quattro trascorsi in cella: una vicenda
personale legata a un pezzo di storia di Napoli, con tanto di attenzione
mediatica nazionale.
Ricordate? Metà maggio del 2008, sabato mattina, una stradina di Ponticelli.
Poi: la ragazzina arrestata per sequestro di persona, la rabbia popolare,
l'espulsione di oltre ottocento rom dal quartiere orientale. E ancora: un
giudice che non scarcera Angelica, perché di "etnia rom", quindi incline a
compiere delitti analoghi", la sentenza definitiva e il suo caso diventa un
primato da giurisprudenza: una ladra di bambini, l'incubo metropolitano messo su
carta bollata, con tanto di firma di un giudice. Un caso chiuso.
Quattro anni e mezzo dopo, Angelica si racconta. È stata scarcerata da poco,
proprio negli stessi giorni in cui a Ponticelli venivano arrestati alcuni
presunti camorristi che "con odio razziale" incendiavano i campi rom (storia del
2010) per impedire che i piccoli zingari frequentassero le scuole del quartiere.
Storie simili, anche secondo Angelica Varga, che su una panchina del centro di
Napoli si racconta: "Desidero cose elementari: la verità, poi un lavoro qui a
Napoli, una famiglia, l'integrazione. Ma anche una cultura dell'integrazione a
Napoli, che - come la mia storia insegna - non esiste ancora".
C'è una sentenza, una verità giudiziaria, lei ha rapito una bambina in fasce,
punto. Qual è la sua versione?
"Ero a Napoli da un mese e mezzo, ero da poco arrivata da Bistrita
(Transilvania, Romania), la mia città natale. La mattina uscivo con una mia
amica di poco più grande, che faceva piccoli sbagli. Mi portò con lei in una
casa, voleva rubare qualche oggetto di valore. Facemmo appena in tempo a salire
una rampa di scale, che venimmo bloccati da un uomo. La mia compagna riuscì a
scappare, io finii in cella. Non parlavo italiano, ma ero tranquilla, mi dicevo:
non ho portato via niente, ora mi rilasciano. Invece, quindici giorni di cella e
ho capito: sequestro di persona, rapimento, stavo impazzendo".
Eppure, lei in quella stanza ci è entrata. Ha accarezzato quella bimba nel
carrozzino, l'ha abbracciata?
"Mai. Non l'ho neppure vista quella bambina. Non siamo entrate in casa, non ci
riuscimmo. Facemmo appena in tempo a salire una rampa di scale che fummo
bloccate, la mia compagna scappò via, io rimasi lì senza immaginare cosa mi
sarebbe toccato vivere".
Poi, mentre lei era in cella, a Ponticelli è scoppiato il finimondo: un
quartiere in fiamme, raid incendiari, un popolo in fuga. Venne a sapere cosa
stava accadendo?
"Lo seppi in cella, me lo dissero le altre ragazze, che
provavano a sostenermi. È stato orribile e assurdo. Sono stati espulsi tutti, in
una notte è stato spezzato il progetto di integrazione che tante famiglie
avevano intrapreso. Non c'erano solo ladri in quegli accampamenti, ma anche
ragazzi che andavano a scuola, c'era mio fratello, i miei parenti: via tutti,
dalla notte al giorno. Hanno trovato una scusa orribile per cacciarci, per
allontanarci. E io sono stata quattro anni e mezzo in cella".
Un mese fa sono stati arrestati alcuni presunti camorristi di Ponticelli: per
"odio razziale" hanno scatenato incendi nel 2010, non volevano gli zingari a
scuola dei loro figli.
"Conosco questa storia. Credo sia molto simile alla mia, perché al di là
dell'episodio che mi ha visto condannata, credo che qualcuno abbia soffiato sul
fuoco, credo che qualcuno aspettasse un pretesto - come il rapimento di un
bambino - per scatenare la guerriglia contro di noi".
Ripetiamo: per i giudici lei è responsabile di quel rapimento, la sentenza è
definitiva, se potesse incontrare la mamma della bimba rapita per pochi minuti,
cosa le direbbe?
"Nutro ancora troppa rabbia per quello che mi è successo, voglio guardare
avanti, niente polveroni polemici".
Cosa fa da quando è libera?
"Voglio ringraziare i miei legali, gli avvocati Liana Nesta e Cristian Valle che
hanno creduto in me e hanno provato a difendermi anche contro i pregiudizi. Ho
trovato attorno a me tanta solidarietà, ora provo a ripartire. Ho vent'anni,
vorrei un lavoro (so fare la parrucchiera), una vita normale da cittadina
napoletana. Nel frattempo, quando posso, faccio anche un po' di volontariato".
In che senso?
"Parlo bene italiano, spesso mi reco in alcuni campi rom dell'hinterland assieme
ad altri volontari, dove cerco di svolgere un ruolo in un più ampio progetto di
integrazione".
È andata anche a Ponticelli?
"No, lì non sono mai tornata. Mi fa troppo male rivedere quei posti, per anni ho
rivissuto dentro di me quella scena, quel cancello che si apre, gli scalini,
l'uomo che mi afferra il braccio, qualcuno che mi chiede di firmare carte che ho
fatto bene a non firmare: perché io quella piccola nel carrozzino, non l'ho
neppure vista una volta in vita mia".