Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 06/07/2011 @ 09:52:34, in Europa, visitato 1517 volte)
Ebrei, musulmani, gay, russi, zingari: l'odio corre in rete - di
Rudolf Stefanicki - Articolo pubblicato su Il manifesto il 2 luglio 2011
VARSAVIA, 4 luglio 2011 (IPS) - «Quello che ha cominciato Hitler lo porteremo
fino in fondo. Che finiscano nelle camere a gas, nei forni». Quando il ministro
degli esteri Radek Sikorski ha letto questo e altri commenti simili in un foro
di discussione di Internet, ha deciso di andare dal giudice. «Il grado di
razzismo e di odio sui siti Internet polacchi è incredibile. Chiunque può
leggerli e farsi un'opinione sulla Polonia», ha detto.
Il ministro ha denunciato due gruppi mediatici, Ringier Axel Springer,
proprietaria del giornale Fakt, e Bonnier Business Polska, padrone di Puls
Biznesu. Ha chiesto un indennizzo di circa 7mila dollari e delle scuse pubbliche
sui siti Internet coinvolti.
Sikorski si è sentito personalmente colpito perché alcuni commenti attaccavano
in modo volgarissimo lui (i più leggeri erano «traditore» e «manovrato a
distanza da ebrei statunitensi») e sua moglie, Anne Applebaum, editorialista del
quotidiano Usa Washington Post. La legge prevede, per quanto in forma un po'
vaga, che i responsabili siano obbligati a cancellare commenti illeciti o a
rispondere per essi.
La reazione dei responsabili è stata di disabilitare i fori di discussione, ciò
che però ha provocato critiche di censura. Così li hanno rimessi rete, pur
depurati. Hanno anche presentato le loro scuse al ministro, ma Sikorski ha
mantenuto la denuncia alla magistratura.
Dopo la denuncia la procura ha aperto un'indagine. Tuttavia in genere l'80% di
questi casi termina con l'archiviazione perché «è impossibile scoprire gli
autori». Molti utilizzano cybercaffè per conservare l'anonimato e di solito
usano server di paesi stranieri in cui le leggi in materia sono più liberali.
In Polonia su ogni 100 messaggi inviati a un foro di dibattito su qualsiasi
argomeno, uno contiene un atteggiamento negativo verso le minoranze, stando al
rapporto di quest'anno della Fondazione per la conoscenza locale. E il 60% ha un
contenuto discriminatorio.
I più criticati sono gli ebrei, seguiti dai russi, gli omosessuali, gli zingari,
i tedeschi e i musulmani. A volte i commenti che attizzano l'odio sfociano in
episodi di violenza fisica (è capitato contro rifugiati ceceni).
La maggior parte delle persone consultate in un sondaggio del febbraio scorso,
afferma che bisognerebbe controllare Internet. il 72% ritiene che bisognerebbe
eliminare i contenuti che incitano all'odio contro minoranze nazionali,
religiose, sessuali.
Il Rapporto sulle minoranze è un possibile strumento e prevede di realizzare
«una mappa» dei siti che «favoriscono l'odio» che serva per orientarsi e
intervenire. «Quando gli attivisti che difendono i diritti delle minoranze si
presentano dal giudice, questi rifiuta di intervenire con l'argomento che si
tratta di pochi commenti isolati - dice Marek Troszynski, direttore del progetto
-. Bene, adesso ne avrà a disposizione più di 130 mila».
Le autorità polacche ora sembrano più sensibili all'antisemitismo, ma non alla
situazione delle minoranze sessuali. La Fondazione di Helsinki sui diritti umani
ha chiesto al ministero della giustizia riforme legislative.
«Le posizioni discriminatorie sono difficili da sradicare perché non riguardano
solo le minoranze», dice il sociologo dell'università di Varsavia Antoni Sulek.
E non basta una legge per risolvere il problema. © il manifesto
dal 22 luglio al 1 agosto
Pinerolo e Collegno - XVI edizione
Sedici anni, ma non li dimostra!
Nonostante le incertezze finanziarie di questi tempi duri VINCOLI SONORI
continua a proporre le musiche di frontiera che ne hanno fatto un evento di
spettacolo tra i più importanti dell’estate piemontese. Anzi, aumentano le date
e i concerti, con un cartellone che vede il ritorno al Festival di due mostri
sacri della gypsy music come la Fanfara Ciocarlia e la Kocani Orkestar. VINCOLI
SONORI conferma la sua vitalità con una proposta culturale accattivante dedicata
a chiunque voglia esplorare nuove frontiere musicali.
Vincoli Sonori nasce nel 1996 come rassegna di musiche klezmer e gypsy, generi
che in quegli anni cominciavano ad uscire dalla cerchia di appassionati e
studiosi per entrare con forza nel panorama della world music internazionale.
Negli anni l'evento è cresciuto, grazie anche al caloroso consenso di un
pubblico attento e curioso, stimolato dall'attenzione concessa al festival dalla
stampa. Pur conservando il suo tratto distintivo iniziale, il festival si è
aperto ai diversi stili che la sperimentazione e le avanguardie cominciavano a
produrre.
Sul palco di Vincoli Sonori sono saliti i migliori artisti internazionali, con
il loro universo di musiche radicate nella tradizione, ma rinnovate nella
contemporaneità, portatori di sonorità che hanno spaziato dal balkan beat al
jazz manouche, dal flamenco al pianoriental, al nuovo folk italiano.
22 luglio - ore 21.00
Piazza San Donato - Pinerolo
Noemi Waysfeld & Blick +
Banda Tam Tam gratuito
23 luglio - ore 21.00
Piazza San Donato - Pinerolo
Babayaga +
Bruskoi Prala gratuito
24 luglio - ore 21.30
Certosa Reale - via Pastrengo - Collegno
La
Cherga 8 euro
25 luglio - ore 21.30
Certosa Reale - via Pastrengo - Collegno
Abnoba
8 euro
26 luglio - ore 21.30
Certosa Reale - via Pastrengo - Collegno
Deladap
8 euro
27 luglio - ore 21.30
Certosa Reale - via Pastrengo - Collegno
Fanfara Ciocarlia 10 euro
1 agosto - ore 21.30
Certosa Reale - via Pastrengo - Collegno
Kocani Orkestar 10 euro
Di Fabrizio (del 07/07/2011 @ 09:49:26, in casa, visitato 1354 volte)
SIoNOmagazine MARTEDI' 5 LUGLIO 2011
Scriveva Anatole France: "La legge, nella sua maestosa equanimità, proibisce sia
ai ricchi che ai poveri di dormire sotto i ponti". E' a questa massima che deve
essersi ispirato l'attuale commissario prefettizio che regge le sorti
dell'amministrazione comunale, quando ha deciso che i sinti che abitano le
casette in legno del quartiere Terradeo devono sgomberare e le loro abitazioni
in legno abbattute...
Perché la legge è la legge, e le priorità sono le priorità. E' indubbio che in
un paese con consiglio comunale sciolto a causa di sospette illegalità, con un
piano di governo del territorio che giace inerte causa respingimento del TAR, e
un buco di bilancio di un milione e trecentomila euro, la presenza di tre
casupole di legno che ospitano sei famiglie, fosse una priorità cui dare
risposta immediata.
In concreto un'esperienza di integrazione che negli anni ha dato buoni frutti e
che ha anche raccolto consensi trasversali a tutte le forze politiche, rischia
di andare a gambe all'aria per la rigorosa interpretazione di una norma di
legge. Il risultato sarà ovviamente che le famiglie sfrattate (parliamo di gente
che vive in perfetta integrazione con la città da almeno una ventina di anni)
dovranno essere prese in carico dai servizi sociali comunali con tutti costi
relativi in barba al buco di bilancio e che si porrà la parola fine ad un
percorso che per molti versi è stato considerato un modello.
Né i ricchi né i poveri possono abitare in casette di legno senza tutti i timbri
a posto.
Segue comunicato
ASSOCIAZIONE "APERTAMENTE di Buccinasco": Ma non c'è pace per il Terradeo?
A fine maggio è stata annullata la delibera n.183/2010 della passata
amministrazione, che riavviava per la terza volta negli ultimi cinque anni una
procedura di regolarizzazione del Quartiere Terradeo, perseguita da più
amministrazioni di segno diverso.
Questo atto, nel cui merito non ci avventuriamo, ha tuttavia interrotto un
percorso, avviato in accordo con la Provincia di Milano e con l'Ente Parco
Agricolo Sud Milano, che avrebbe poi consentito di sistemare anche le 'casette'.
Ma la delibera cancellata non è stata sostituita con alcun altro provvedimento.
Si è così automaticamente aperto lo spazio per 'normali' procedure in una
situazione che 'normale' non è.
Se condotto alle sue estreme conseguenze, questo procedimento potrebbe giungere
all'ordine di demolizione delle 'casette' (già comunicato), che sono la prima
casa e l'unica abitazione dei titolari, mettendo sei famiglie coi propri bambini
a cielo aperto e costituendo uno sgombero di fatto. Si violerebbero così una
serie di leggi, a cominciare da quella fondamentale, la Costituzione (artt. 2 e
3), nonché la Carta Sociale Europea firmata dal nostro Paese (artt.30 e 31):
diritti fondamentali di ogni persona, sulla cui violazione, abituale nei
confronti di sinti e rom, l'Italia è stata già condannata, ma non se ne dà per
inteso. Pare che non proprio tutti siano tenuti al rispetto di leggi e norme
anche internazionali.
Stiamo parlando, inoltre, di persone regolarmente residenti a Buccinasco,
cittadini!, i cui bambini frequentano le scuole locali e se ne potrebbero
trovare di conseguenza impediti (art. 34 Cost.).
Ora, queste 'irregolarità' su cui si parla e riparla sempre senza concludere, ma
si rischia ora anche di agire, non fanno da specchietto per le allodole? in un
Comune in cui, in assenza d'un piano regolatore, tutti coloro che possono
sbrigliano la… fantasia costruttiva.
Non siamo in presenza, al Terradeo, di abusi, né di furbizie e approfittamenti,
ma di situazioni assentite ripetutamente dalle Autorità competenti e oggetto di
una interminabile procedura di regolarizzazione a tutt'oggi non conclusa e anzi
interrotta. Nella quale i sinti del Terradeo sono le vittime.
Giova infine ricordare che il Comune di Buccinasco è destinatario di una somma
assegnata dal Prefetto di Milano, in qualità di Commissario straordinario (Fondo
Maroni, soldi U.E.), soldi non utilizzabili, finché non sarà stata completata la
procedura di regolarizzazione di cui abbiamo parlato. Se ce li tengono da parte.
Abbiamo voluto proporre all'opinione pubblica di Buccinasco un quadro
complessivo dei problemi, ma siamo convinti che ci siano volontà e spazi per
operare, con la dovuta cautela e ragionevolezza, senza
violare alcuna legge, ma anzi accompagnando un gruppo di persone a lungo
emarginate dalla società ad inserirsi correttamente, proprio nel pieno rispetto
delle leggi. Ci appelliamo dunque alla cittadinanza, alle forze politiche e
sociali e alle competenti Autorità, perché vogliano consentire, sospendendo le
procedure in atto, uno spazio di confronto, teso a ripristinare una procedura di
regolarizzazione e salvaguardia.
Buccinasco 1° luglio 2011
Costituita il 13 novembre 2006, registrata a Milano l'8 marzo 2007, n.1753,
serie 3. Codice fiscale 97459790156
In più occasioni la Corte Costituzionale ha affermato che rientra, tra i
compiti della Repubblica, quello di favorire l'accesso alla abitazione ai
cittadini più deboli. La difficoltà di avere una casa costituisce insomma una
delle preoccupazioni alle quali le amministrazioni pubbliche devono offrire
risposte efficaci, in particolare attraverso i piani di edilizia economica e
popolare.
I riferimenti costituzionali del diritto alla casa" sono gli art. 2, 3 e 32.
Infatti le politiche legislative in materia abitativa sono basate sulla tutela
dei diritti inviolabili della persona, tutela che è strettamente legata ai
compiti che lo Stato ha nel rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale.
Di Fabrizio (del 08/07/2011 @ 09:45:33, in Regole, visitato 1460 volte)
Affaritaliani.it Mercoledì 06.07.2011 10:16 - di Fabio Carosi
"A Roma è allarme rosso per la criminalità ma invece di affrontare il problema
chiamando imprese e commercio intorno ad un tavolo, questa politica spreca
risorse facendo la guerra a rom e puttane. E così fanno il gioco del crimine
organizzato che spinge perché il problema sicurezza sia circoscritto a giovani e
alcool".
Vincenzo Ciconte, docente di Storia delle criminalità organizzata a Roma
Tre, ex consulente della Commissione Antimafia e primo tra gli scrittori ad
occuparsi del fenomeno della Ndrangheta, sceglie Affaritaliani.it per analizzare
la serie di avvertimenti, omicidi e sequestri di proprietà riconducibili al
crimine organizzato, che hanno segnato le ultime settimane romane. Tanto da far
gridare ieri al sindaco Alemanno che Roma è un Far West e a porre il problema
sicurezza al ministro Roberto Maroni.
L'analisi di Ciconte è lucida e spietata. "Intanto omicidi e ferimenti non sono
legati ad un unico filo – dice – perché il ritorno alla città delle pistole è un
modo delle bande per accreditarsi sul territorio. Per mostrare la loro potenza
usano metodi plateali e non rinunciano a sparare e uccidere in pieno giorno.
Diversa invece è l'infiltrazione del crimine spa nel tessuto commerciale.
Ndranghetisti e camorristi hanno bisogno di lavorare nel silenzio per riciclare
e non vogliono che si scriva sui giornali, che si racconti cosa accade.
L'elemento comune denominatore è che siamo in una città aperta alle
scorribande".
Professore, eppure il problema sicurezza è stato al centro delle politiche
degli ultimi anni. A leggere la sua analisi sembra di essere di fronte ad un
fallimento. O No?
"Roma non è una città sicura e questo è palese. Solo che l'omicidio della
signora Reggiani è stata indicata come colpa del centrosinistra, mente quello
che è accaduto ieri in Prati non sembra avere colpevoli. Ma il vero nodo è
politico".
Ma la sua analisi tecnica non è troppo ispirata alla politica?
"Esatto la mia è un'analisi politica dei fenomeni ma non partitica. Il
sindaco ha vinto una campagna elettorale sulla sicurezza e dopo un po' ha fatto
correre le forze dell'ordine per reprimere lavavetri, prostitute, rom e ragazzi
che si drogano e bevono per manifestare il disagio sociale. Il risultato è che
se si combattono così non si garantisce la sicurezza della città e i fatti lo
dicono, smentendo questa politica. Perdonatemi, ma non penso si possa affrontare
il tema della movida e di ciò che genera con gli arresti. Contro il disagio
sociale ci vuole un'offerta diversa, un modo di vivere la città che non sia solo
aggregazione di massa intorno ad un bicchiere".
Sta forse dicendo che le ordinanze sulla sicurezza hanno distolto le forze
dell'ordine dalla vera emergenza?
"Dico solo che queste politiche concentrano Carabinieri, Polizia e guardia
di Finanza intorno alle risse".
E il resto, le bande, il crimine che acquista bar storici per riciclare cosa
fanno?
"Sono gli stessi mafiosi che spingono sull'allarme sicurezza sociale, perché
questo li mette al riparo dal clamore. E non si può minimizzare come è stato
fatto in questi anni da parte di tutta la classe dirigente politica, l'errore è
stato di non comprendere che si sono chiusi gli occhi".
Dunque, errore politico?
"Sì perché per correr dietro a finte emergenze sociali si è perso di vista
ciò che succedeva nel tessuto economico: l'economia romana è sotto aggressione
da parte della criminalità, basti pensare alla droga, all'usura, all'attacco
alle proprietà per riciclare i fiumi di denaro illegale e al gioco d'azzardo. Il
sequestro di ville, barche e bar storici è solo l'inizio di un lungo percorso e
se si continuerà a scavare si troveranno molte altre proprietà".
Che può fare la politica di fronte a questo fenomeno?
"Intanto piantarla con la pia illusione che basta spostare due prostitute e
vietare l'alcool alla sera per costruire una città sicura. Occorre chiamare i
commercianti e le imprese intorno ad un tavolo, lavorare sull'usura e
controllare municipio per municipio come avvengono i passaggi di proprietà di
immobili e locali e capire se questi fenomeni sono normali compravendite oppure
azioni di riciclaggio".
Così descritta Roma sembra una succursale della Calabria ndranghetista. Non è
esagerato?
"No, perché Roma non è ancora come Milano e la Lombardia dove esiste un
rapporto politica criminalità. Da noi episodi che coinvolgono consiglieri
regionali e sindaci sono ancora periferici come a Fondi e in Ciociaria. Ma se
nel giro di 2 anni avvengono significativi passaggi di proprietà nel cuore più
ricco della città e in un momento di crisi, vuol dire che qualcosa sta
succedendo. Ecco, Roma e il suo tessuto economico sono sotto attacco".
Di Sucar Drom (del 09/07/2011 @ 09:53:37, in blog, visitato 1541 volte)
Firma la petizione per la "Giornata internazionale delle donne rom"
L'8, 9 e 10 Ottobre 2010 si è tenuto a Barcellona il primo Congresso
Internazionale delle donne Rom "Un'altra donna". Le "altre donne" non sono le
donne in ambito accademico, ma quelle che normalmente non vengono invitate per
il dialogo, il dibattito e le competenze specifiche. Riunite in questa...
Avvenire intervista l'artista Bruno Morelli
Durante le celebrazioni per la commemorazione del beato Ceferino Gimenez Malla,
detto Zeffirino, il quotidiano Avvenire ha intervistato Bruno Morelli (in foto
davanti alla sua scultura), artista eclettico appartenente alla minoranza
linguistica dei rom abruzzesi...
La Notte della Rete continua...
La Notte della Rete, a cui hanno aderito Sucar Drom e l'ICS, continua a Domus
Talenti. E' la manifestazione nata contro la delibera dell'Agcom in materia
del diritto d'autore che oggi viene discussa dall'Autorità e che coinvolge
politici, artisti, blogger, imprenditori, giornalisti, giuristi...
Milano, progetti europei per il futuro dei sinti e rom
Lunedì 4 luglio, la Consulta Rom e Sinti di Milano si è incontrata a palazzo
Marino con l’assessore alle politiche sociali, Pierfrancesco Majorino. Erano
presenti tutte le comunità dei campi regolari (mancava solo la comunità di via
Chiesa Rossa) ed esponenti della comunità rumena di ex Triboniano e dei campi
irregolari...
I Gogol Bordello sono in Italia
I Gogol Bordello sono in Italia. Il loro tour italiano è iniziato ieri sera a
Rimini al Velvet Club, questa sera sono a Milano al Circolo Magnolia, venerdì 8
sono a Bari a L'Acqua In Testa Festival e sabato 9 sono al Castello Scaligero di
Villafranca (VR). L'ultima volta che abbiamo visto Eugene Hütz ed il suo...
Buccinasco (MI), ma non c’è pace per il Terradeo?
A fine maggio è stata annullata la delibera n.183/2010 della passata
amministrazione, che riavviava per la terza volta negli ultimi cinque anni una
procedura di regolarizzazione del Quartiere Terradeo, persegu...
Quinto Vicentino (VI), i sinti vivono in uno stato di disagio abitativo
Da anni le famiglie sinti di Quinto Vicentino, vivono in stato di disagio
abitativo, dietro al cimitero del paese. Unico accesso è attraverso una stradina
che porta sul retro del campo santo. Le famiglie risiedono sotto una antenna
della telefonia mobile, in un appezzamento di modeste dimensioni, contornato da
un fossato i cui argini sono sottoposti a frenatura, senza servizi igienici e...
Sinti e Rom? Il nazionalsocialista: cacciamoli! Il comunista: assimiliamoli!
In questi giorni sto rileggendo un libro di Guenter Lewy che tratta della
persecuzione nazista subita dai Cittadini tedeschi ed austriaci appartenenti
alle minoranze dei sinti e dei rom. Un libro molto documentato ma
contraddittorio nelle conclusioni. Ne riparlerò...
L'Italia ha le carte in regola per sedere nel Consiglio ONU per i Diritti Umani?
Il 19 giugno scorso il nostro Paese è entrato a far parte, per la seconda volta,
nel Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite. Questo organismo è stato
istituito cinque anni fa (sostituisce la Commissione per i Diritti Umani) ed è
composto da 47 Paesi eletti dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. E' un
organismo importante che deve promuovere e garan...
Bologna, Corte d'appello: "È rom, normale che non vada a scuola"
Ha fatto scalpore la sentenza della Corte d'Appello di Bologna che risposto
picche alla Procura dei Minori che le chiedeva di affidare una bambina rom ai
servizi sociali per darle una vita migliore in comunità di accoglienza. La
bambina vive a Parma nell'area residenziale isti...
Próxima Estación: Milano
Qualche anno dietro, ma sembra passato un secolo, Berlusconi, Bossi, Fini & C.
riuscirono a conquistare larga parte del proprio consenso elettorale sui temi
legati alla "sicurezza". Anni tristi per l’Italia. Anni in cui abbiamo
completamente sma...
Di Fabrizio (del 10/07/2011 @ 09:51:47, in casa, visitato 1499 volte)
La Stampa In Lungo Stura Lazio vivono 600 persone di cui 130 bambini.
Intesa Regione-Provincia-Comune sui campi rom - 06/07/2011 - ANDREA ROSSI -
TORINO
La road map non ha una scadenza precisa, però un punto d’arrivo sì: chiudere
le mega baraccopoli rom, a cominciare da Lungo Stura Lazio, un groviglio di
catapecchie abitate da 600 persone, tra cui 130 bambini, sulle rive del fiume.
Una bidonville senza igiene né sicurezza, troppo grande per non essere
smembrata. Così sarà: gli occupanti verranno distribuiti in vari comuni del
Torinese. Dove? In insediamenti di piccole dimensioni. I primi verranno
costruiti a Rivalta e Ivrea. La via d’uscita verrà definita nel protocollo
d’intesa che Prefettura, Regione, Provincia e Comune firmeranno la prossima
settimana. Una piccola rivoluzione che apre alla gestione collegiale dei campi
nomadi, finora scaricata sulle spalle dei singoli comuni. Regista dell’intesa è
stato il prefetto Alberto Di Pace, commissario del governo per l’emergenza rom.
Solo a Torino, oggi, nei campi autorizzati vivono 800 persone, in quelli abusivi
più di mille, la metà in Lungo Stura Lazio, la partita più urgente da risolvere.
Come? Potrà sembrare strano, ma la strada scelta è quella tracciata tempo fa dal
prefetto e teorizzata anche a Milano, in campagna elettorale, dal nuovo sindaco
Giuliano Pisapia: l’autocostruzione, percorso previsto dal Piano per
l’integrazione nella sicurezza proposto dal ministro dell’Interno Maroni nel
2010. A Milano la Lega ha fortemente contrastato il progetto di Pisapia; in
Piemonte, invece, il Carroccio, che guida la Regione, farà la sua parte
sottoscrivendo il protocollo che verrà attuato probabilmente sotto la
supervisione del presidente della Provincia Antonio Saitta.
Il modello delineato nel piano ricalca la vicenda del Dado di Settimo Torinese,
la prima esperienza di autorecupero e autocostruzione rivolta alla comunità rom
in Piemonte. Nella palazzina alle porte di Torino vivono sei famiglie che hanno
scelto di abbandonare i campi e accettare una serie di regole: l’iscrizione a
scuola per i minori, l’inserimento lavorativo tramite corsi di formazione e
tirocini per gli adulti, la cura degli spazi comuni. Sul tutto sovraintende
l’associazione Terra del Fuoco, che sarà interlocutore privilegiato del progetto
tra istituzioni.
Tramite il protocollo si tenterà di diffondere l’esperienza del Dado in altri
Comuni del Torinese, così da svuotare i campi abusivi - a cominciare da Lungo
Stura Lazio - in favore di strutture più piccole, e ragionare quindi su numeri
ridotti. Alcune aree sono già state individuate, oltre a Settimo, anche a
Rivalta e Ivrea. Nel frattempo si cercherà di passare dalla fase dei campi
abusivi a quelli transitori. In ogni caso la strada sarà una sola: smembrare i
grandi insediamenti abusivi perché è lì che si possono annidare delinquenza e
degrado.
La soluzione dovrebbe permettere a Torino di uscire dall’emergenza nomadi. La
città, negli ultimi anni, più volte ha lamentato di essere stata lasciata sola e
senza fondi nell’affrontare i grandi numeri degli insediamenti rom. Nei mesi
scorsi il governo ha stanziato cinque milioni; ora, con il protocollo - che ieri
è stato approvato dalle giunte di Provincia e Comune - si poggia il secondo
tassello: la gestione sarà collegiale.
Di Fabrizio (del 11/07/2011 @ 09:38:05, in Regole, visitato 1172 volte)
Da
Roma_Francais (i link sono in francese)
Montpellier journal Le Vendredi 24 juin 2011 à 11:11
Un giovane Rom rumeno di 19 anni di fronte ai disfunzionamenti della
giustizia
Accusato di aver colpito la gamba un poliziotto con una pala, Jiji è in
detenzione provvisoria dal 25 maggio, anche se non ha smesso di proclamarsi
innocente. Si accumulano le anomalie poliziarie e giudiziarie dopo la
movimentata evacuazione di un terreno della SERM il 29 marzo a Montpellier
L'inchiesta del Montpellier journal è stata difficile.
"Sull'identificazione dell'autore del colpo, le versioni delle differenti fonti
di polizia divergono", scrivevamo il 19 aprile dopo la ferita alla testa di
un poliziotto il 29 marzo, durante il
movimentato sgombero di un campo di Rom rumeni installato su un terreno
della SERM a Garosud. Un altro dei quattro poliziotti sarebbe stato leggermente
ferito da un colpo di pala alla gamba, che non comporterebbe alcuna
incapacità totale al lavoro.
Incensurato
Verso la metà di maggio, Jiji, uno dei presunti autori delle violenze, viene
interrogato dalla polizia. Deve sostenere una comparizione immediata il 16
maggio per "violenza aggravata", ma l'udienza viene rinviata al 20
giugno. In questo intervallo, viene posto in detenzione provvisoria. Lunedì,
quando si è presentato al tribunale correzionale, questo giovane di 19 anni,
senza precedenti penali, era dunque alla sesta settimana di detenzione. Rischia
sette anni di prigione.
Dalla sintesi del presidente del tribunale, sembra che Jiji non sia accusato dai
poliziotti di aver portato il colpo alla testa, ma solamente quello alla gamba.
Inoltre, solo la presunta vittima accusa Jiji. Gli altri tre dichiarano
semplicemente che Jiji era presente e che aveva una pala. Due di loro aggiungono
che era "minaccioso". Jiji, da parte sua, aveva dichiarato durante la
prima audizione che era presente e di avere una pala. Oggi, dice che non era
presente in quanto viveva in un altro campo che non c'entrava niente con quello
sgomberato quel giorno. Ha sempre negato di aver colpito il poliziotto.
"Il dettaglio risolutivo"
Inoltre, secondo lil signor Benyoucef, avvocato di Jiji, la presunta vittima del
colpo di pala ha dichiarato durante la sua prima audizione: "Posso dirvi che
chi mi ha aggredito - chi mi ha aggredito - parla un buon francese."
Qualche settimana dopo, Jiji si fa interrogare e, sottolinea l'avvocato, "è
necessario rinviare la notifica dei suoi diritti, perché incapace di comprendere
e parlare il francese." E conclude: "E' il dettaglio
risolutivo".
Cioè: Jiji non può essere l'aggressore.
A chi credere? Al poliziotto o a Jiji? Dovremmo attribuire importanza alle
dichiarazioni di diverse persone presenti che hanno dichiarato ai membri del
Collettivo di sostegno ai Rom di Montpellier, cheper alcuni i poliziotti erano
"molto aggressivi" e "ben bevuti"? O a quelle di chi [...]
ha dichiarato che quella sera i poliziotti avevano "un comportamento
bizzarro"? (audizione riportata da Benyoucef)
Risultati dell'analisi del DNA non pervenuto al tribunale
Meraviglia inoltre la capacità dei poliziotti ad identificare Jiji tra diverse
centinaia di foto. In effetti, erano le 21.00 al momento dei fatti, dunque era
notte, erano presenti una ventina di persone e visibilmente regnava una certa
confusione. Il rapporto delle analisi sulle impronte ed il DNA sulla pala e
sulla rotula (si sospetta che la pala sia stata usata anche per il colpo alla
testa) potrebbe fornire indicazioni. Problema: lunedì il rapporto del
laboratorio Biomnis non era ancora giunto in tribunale. Da parte di Biomnis,
incaricata ad inizio aprile si disse al Montpellier journal che "il
caso non era stato segnalato come urgente" dagli inquirenti, ma che il
rapporto era pronto e doveva essere inviato al più tardi la prossima settimana.
Altro problema: Jiji è accusato di concorso in violenza o è il solo sospettato
ad essere stato arrestato.
Il procuratore ha dovuto riconoscere che il caso era stato condotto male e ha
tentato di giustificarlo con un cattivo passaggio di consegne tra il personale
di turno nel fine settimana e chi ha ripreso il dossier. Da parte sua Benyoucef
ha commentato: "Si è commesso un errore per la fretta. Si rinvii il dossier
all'istruttoria, ma occorre smettere di giocare con la libertà delle persone,
anche quando sono Rom." Il tribunale l'ha seguita nella prima parte e la
procedura è ripartita da zero: messa sottoaccusa di Jiji da parte di u
procuratore e presentazione davanti ad un giudice. Problema: se il rapporto del
laboratorio dovrà pur arrivare alla fine, l'arresto dei tre altri sospetti
potrebbe richiedere tempo. Durante il quale Jiji dovrà rimanere in carcere.
"E' fantastico, non importa cosa!"
Dopo l'udienza, spiega Benyoucef: "Avrebbe dovuto esserci un'apertura
d'informazione immediata. Quando si presenta in questo modo un presunto
colpevole, dev'essere pronto un dossier. A prescindere! Siamo talmente sommersi
di lavoro a livello d'accusa, siamo talmente soggetti a circolari che dicono:
"Bisogna perseguire, bisogna giudicare, bisogna condannare," che non ci si fa
più attenzione. C'è una volontà repressiva che inquina il dibattito. Siamo ad un
anno da una scadenza elettorale, siamo nella religione dei numeri: ci vorranno
7-8 mesi per fornire i dati dello spettro politico. Bisogna essere stakanovisti
dell'arresto,del giudizio breve, della condanna e dell'esecuzione della pena."
Occorre lo stesso ricordare che le accuse si basano sulle dichiarazioni di
quattro poliziotti, di cui uno solo, la vittima, afferma di essere stato colpito
da Jiji. Che quindi l'inchiesta viene condotta da poliziotti colleghi dei
quattro in questione. Commenta Benyoucef a tal proposito: "L'inchiesta
avrebbe dovuto essere assegnata alla gendarmeria." Infine va ricordato che
non è stato effettuato alcun alcoltest sui poliziotti. Quindi non possiamo
sapere se le accuse mosse da alcuni testimoni della scena siano accurate o meno.
Lamenti della madre di Jiji
Il caso è proseguito mercoledì, dato che il giudice doveva stabilire se
mantenere Jiji in detenzione o meno. Malgrado un certificato d'alloggio e la
proposta di firma quotidiana al commissariato, il giudice Philippe Treille ha
deciso di non liberare Jiji per due ragioni: "evitare una collusione tra
l'indagato ed i suoi (presunti) co-autori o complici" e "garantire
il mantenimento delle persone coinvolte alla giustizia". L'assoggettamento a
sorveglianza giudiziaria o agli arresti domiciliari non permetterebbe, secondo
il giudice, di raggiungere questi obiettivi. Diversi minuti dopo l'annuncio
della decisione, il pianto della madre di Jiji e la parole di rabbia di suo
padre, presenti in aula durante tutto il lunedì pomeriggio, risuonavano ancora
nel palazzo di giustizia.
Durante l'udienza, aveva dichiarato Benyoucef: "Non si può prendere in giro
la situazione. Sapete che è Rumeno. Abbiamo messo in carcere un Rumeno, come
volete che sia problematico? La libertà degli altri non è mai problematica. La
presunzione d'innocenza degli altri non è mai problematica. [...] Niente vale
fino al giorno che qualcosa vale la pena. Ma quel giorno, non ci sarà più
nessuno a rispondere, perché il sistema è fatto così. E' il tesoro pubblico che
emette un assegno il giorno che si rende conto di non potere affrontare il
problema."
"Il prefetto ha dato istruzioni improprie"
Infine, Benyoucef ricorda al Montpellier journal come, secondo lui, si è
arrivati a quel punto: "Il prefetto [Claude Baland] ha dato istruzioni
improprie ai servizi di polizia, perché tutta la giornata [29 marzo] ha
attaccato verbalmente queste persone. Se si è venuto a creare un tale stato dei
tensione, credo che sia dovuto a quello che ha subito quella gente durante il
giorno." (per ulteriori dettagli, leggere:
L'expulsion de Roms roumains d'un terrain
de la Serm se termine mal)
Coincidenza, giovedì mattina apprendiamo che
Georges Tron
era stato incriminato per "stupro e violenza sessuale in un incontro".Crimini
passibili con 20 anni di recluzione. L'ex segretario di stato nega le accuse
contro di lui. E' stato lasciato in libertà sotto controllo giudiziario. Gli è
proibito entrare in contatto con le presunte vittime e i testimoni. Una delle
due ricorrenti a dichiarato a
RTL: "Si fosse trattato del macellaio della porta accanto, sarebbe in
prigione. Oggi, lui è libero. Ci sono pressioni e minacce. Bisogna viverle. Ci
si aspetta che la giustizia sia battuta per aspettare a mettere queste persone
in prigione?"
Di Fabrizio (del 12/07/2011 @ 09:15:27, in scuola, visitato 1502 volte)
di Nando dalla Chiesa
Cristina. È il nome che le torna sulle labbra più volte mentre racconta la
sua esperienza di maestra milanese. Flaviana Robbiati ha appena tirato due o tre
pugni nello stomaco al pubblico della
Settimana Internazionale dei Diritti di
Genova. È venuta qui con un'altra maestra milanese, Stefania Faggi. A spiegare
perché le è stato impossibile voltarsi dall'altra parte mentre le ruspe
distruggevano i campi nomadi dove abitava Cristina. Non voltarsi quando
vengono calpestati diritti altrui dà, secondo la tradizione ebraica, diritto a
quell'appellativo di "giusti" a cui è dedicata la rassegna genovese. Loro sono
venute a rappresentare, con altri insegnanti, i "giusti nella scuola".
"Lo sa lei che cosa vuol dire uno sgombero? Noi sì, l'abbiamo misurato
attraverso i nostri alunni rom del Rubattino. Saranno catapecchie in lamiera, ma
ognuna è per loro la propria casetta, capisce? Quando arrivano a tirar giù tutto
fanno la conta a quintali della spazzatura. Ma quei rifiuti triturati sono
pentole, cartelle, quaderni, giocattoli, guardi qui la foto di questa bambola
decapitata. A Milano in tre anni hanno fatto 540 sgomberi. Il vicesindaco De
Corato li festeggiava pure. Quando poi il cardinale Tettamanzi chiese di evitare
di farli in inverno, di risparmiare la pioggia e la neve e il freddo a quelle
creature, il sindaco rispose che la lotta per la legalità non conosceva
stagioni. Bella legalità, che ammazza il senso di giustizia. Io dico che negli
edifici dove si applica la legge c'è scritto ‘Palazzo di giustizia', mica
‘Palazzo della legalità'. E di ingiustizie ne abbiamo viste. Sa, noi seguivamo
attentamente le vicende del campo. Un mattino seppi che avevano fatto uno
sgombero che era ancora buio. Allora spiegai tutto agli altri alunni, chiesi
loro di non farlo pesare a Cristina. Cristina arrivò a scuola chiedendo che i
compagni non sapessero nulla, con gli occhi bassi, per la vergogna di quel che
le era successo. In classe furono bravissimi, perché per fortuna i compagni di
scuola e le loro famiglie ci aiutavano molto a creare un clima di amicizia e la
invitavano alle feste".
Ha un viso lungo e scavato, Flaviana, gli occhiali dorati poggiati su un naso
magro e impertinente. Stefania ha i capelli scuri, è solo all'apparenza più
severa. "Quel giorno", continuano, "quel 19 novembre, ci arrivarono a scuola
alle quattro del pomeriggio tutti i genitori degli alunni rom del distretto,
quasi una quarantina ne avevamo. E ci chiesero di aiutarli a dormire. Facemmo
subito le telefonate, Sant'Egidio, la Casa della Carità, le parrocchie, e alla
fine ne prendemmo qualcuno in casa nostra. Riuscimmo a sistemarli quasi tutti.
Il fatto vero però è che questa guerra ai rom toglie a dei bambini un diritto
elementare: quello di andare a scuola. È andare a scuola, secondo lei, doversi
rifare i quaderni ogni mese, trovarsi senza casa decine di volte all'anno,
perché questi sono i numeri di Cristina, oppure dovere cambiare otto scuole in
un anno come è capitato a Samuel, o metterci due ore a piedi tra i campi
ghiacciati, come è successo a Giulia che voleva restare nella sua classe? È
andare a scuola con la serenità necessaria venire staccati come figurine dal
padre o addirittura dalla madre a sei anni? Per questo noi diciamo che i bimbi
rom sono bimbi come gli altri, ma contemporaneamente che sono un po' meno
bambini di tutti. Perché per loro vivere la normalità non è normale. Si sentono
sempre in colpa. Vuole sapere la storia di Ulisse, che arrivò a scuola ricoperto
di sputi? Era stato un signore dalla sua macchina. Appena lo ha visto, aveva
tirato giù il finestrino e l'aveva trasformato in un bersaglio".
Stefania e Flaviana, scuole diverse ma stesso circolo didattico, quello di via
Pini, zona est della città, non si fermerebbero mai nel loro racconto.
D'altronde se c'è qualcuno che ha presidiato le frontiere della civiltà
nell'Italia ubriaca di pregiudizi e di razzismo sono loro. Loro che appena
fiutavano l'aria di sgombero facevano lasciare le cartelle a scuola o
preparavano materassi nelle loro cantine. "Ma lo sa che alcuni di questi bambini
vivono perfino sotto terra? Pensi quanto è grottesco: li bocciano a volte per le
troppe assenze, quando sono proprio gli sgomberi a catena che gli impediscono di
venire a scuola. Eppure si impegnano, sa? Cristina sapeva solo il romans e il
rumeno. Ora è andata a vivere in una casa in un altro paese, anche se i suoi
compagni continuano a invitarla alle feste, ed è stata promossa in prima media
quasi con la media dell'8. Ha studiato e imparato. Noi lo ripetiamo a ogni
incontro: lasciarli analfabeti è come compiere una pulizia etnica. Perché se tu
non sai la lingua non leggi neanche la medicina, non leggi la pagella di tuo
figlio, resti letteralmente senza diritti. Che è la più grande povertà: non
potere accedere ai diritti, non sapere nemmeno di averli. Per questo un giorno
abbiamo scritto loro una lettera per rivederli l'anno dopo a scuola". Dice così
quella lettera: "Vi insegneremo mille parole, centomila parole, perché nessuno
possa più annientare le vostre voci".
"Se abbiamo dei progetti? Certo che li abbiamo. Borse-lavoro, progetti sanitari,
la promozione anche del vino e del pane rom. Ma quali soldi, non abbiamo niente.
Piuttosto, sa che cosa ci sembra un po' orribile? Di essere diventate note
perché difendevamo i bambini. Ma perché, non sta scritto ovunque che bisogna
difenderli? E invece per qualcuno siamo un po' uno scandalo. Ma come, si
chiedono, come è possibile che della gente si voglia tenere gli zingari?".
Di Fabrizio (del 12/07/2011 @ 09:25:02, in Europa, visitato 1484 volte)
Famiglia Cristiana Il nomadismo è solo una necessità. Lo dimostra questo
reportage a Draganesti, Romania, la baraccopoli da cui vengono i nomadi dei
campi di Milano e dove opera la S.Egidio.
10/07/2011
Una delle baracche di Draganesti, in Romania.
Claudia, 8 anni, vive nella stessa casa di Draganesti in cui sono nati suo padre
Ionut e suo nonno Marius. Il suo bisnonno, invece, viveva a soli 500 metri
di distanza; è tipico delle ziganie dell'Oltenia, regione rurale della Romania a
80 chilometri da Craiova. Le ziganie sono i quartieri rom dei villaggi romeni:
una strada con una fila di case sui due lati. La storia della Romania del
Novecento è stata anche all'insegna della sedentarizzazione dei tanti gruppi rom
che non hanno più nulla a che fare con un ideale di vita all'insegna del
"nomadismo": la famiglia di Claudia si è spostata di mezzo chilometro in quattro
generazioni. "Il tetto della nostra casa crollava, i mattoni di fango e paglia
avevano troppi anni. Nel 2004 siamo partiti per Milano con un sogno: lavorare e
mettere da parte i soldi per costruire la casa", spiega Ionut. L'Oltenia è la
regione di provenienza della maggior parte delle famiglie che abitano le
baraccopoli abusive di Milano.
La scuola di Draganesti, costruita con i contributi della S.Egidio.
È molto chiaro: il nomadismo non c'entra niente, si tratta di una migrazione per
cause economiche. Nei primi anni a Milano, la moglie chiedeva l'elemosina, Ionut
ha lavorato nell'edilizia. Per i primi tre anni, mai un contratto: "Un italiano
ci chiamava "a giornata": in alcuni periodi, eravamo pagati anche tre euro e
mezzo all'ora. Quando il capo aveva un cantiere, si lavorava dieci ore al
giorno, poi, per un po', non si lavorava fino alla commessa successiva. Abbiamo
lavorato tantissimo alla costruzione della Fiera di Rho." Poi, nel 2007,
finalmente un contratto accompagnato da un pratica diffusa tra alcune
cooperative edili milanesi: nello stesso momento, si è obbligati a firmare anche
un foglio in bianco senza data. È la lettera di dimissioni. A inizio del 2009,
quando la crisi edilizia blocca i cantieri, il capo della cooperativa rispolvera
dal cassetto il foglio firmato aggiungendo la data: Ionut ha perso il lavoro.
Per due anni, con la moglie Maria cerca di garantire una vita decente ai tre
figli. La Comunità di Sant'Egidio iscrive a scuola Claudia, mentre i due più
piccoli, di tre e cinque anni, non possono andare all'asilo: a Milano, senza
residenza, non è possibile. Resistere non è facile: dal 2007 ad oggi, avvengono
500 sgomberi di baraccopoli rom nel solo capoluogo lombardo. Capita di dormire
per strada, sotto la neve, riparandosi con una piccola tenda. Così, a febbraio
2011, Ionut, Maria, la maestra di Claudia e la Comunità di Sant'Egidio pensano
ad un progetto di ritorno in Romania. Alcune donazioni di privati permettono di
restaurare la casa di Draganesti e attivare una borsa di studio in
collaborazione con la scuola locale. La nuova casa di Giulia ora è in muratura,
coloratissima: il corridoio azzurro, la cucina rosso fiammante, la stanza dei
genitori verde e quella dei bambini rosa. Sul retro, l'aia con tacchini e
galline e un terreno in cui la famiglia potrà coltivare pomodori e peperoni. La
camera di Claudia è decorata con peluches, al centro la sua foto con la maestra
e la classe italiana. Dell'Italia rimane anche la paura della polizia. Racconta
il padre: "Anche qui, quando passa un vigile, Claudia mi si avvicina e trema. A
Milano, spesso succedeva che durante i controlli, si faceva la pipì addosso per
la paura."
La vecchia casa di Claudia, a Draganesti.
Il problema rimane il costo della vita, che è uguale a quello italiano. Al Penny
Market di Draganesti un paio di calze costa un euro e mezzo, un salame quattro,
un litro di olio di semi di girasole quasi due. In questi villaggi rurali, il
lavoro non c'è. La depressione economica è palese, l'emigrazione in Italia o
nelle grandi città romene è spesso la sola opportunità. La presenza di
investitori italiani è comunque forte anche nella regione: a Slatina, il
capoluogo dell'Oltenia, c'è un importante fabbrica della Pirelli. Mirela,
anziana con 4 figli emigrati, si commuove mostrando la foto del nipote di 8 anni
che ha cresciuto e che ora vive in una casa a Milano. Racconta: "Durante il
regime di Ceausescu, eravamo pagati poco, ma il lavoro c'era. Qui a Draganesti,
c'erano cinque industrie alimentari e due di scarpe. I primi anni dopo l'89 si
stava bene, ma poi tutte le fabbriche hanno chiuso, non reggevano la
concorrenza." Nella zigania di Lalosu, uno dei paesi vicini, c'era un enorme
allevamento dove, fino ai primi anni Novanta, lavoravano più di cento persone.
Fallito, è stato acquistato da un "italiano di Bucarest": ha rivenduto il ferro
e il materiale con cui era costruito e se ne è andato. Negli ultimi due anni,
anche la crisi economica ha duramente colpito la Romania, molto più che
l'Italia. Dal 2008 al 2009 il PIL romeno è passato dal +8% al -7,1%, il Governo
ha varato un piano di austerità che taglia drasticamente la spesa sociale, le
pensioni e i salari pubblici. Mirela può comprare le medicine solo grazie al
figlio che manda i soldi da Milano. Nella zigania di Draganesti – 1300 abitanti
sui 12.000 dell'intero villaggio – le case sono molto diverse tra loro, spesso
abitate da famiglie allargate. Le più povere sono baracche fatte di paglia e
fango, costituite da un'unica stanza fatta di mattoni di terra a vista. Altre
sono caratterizzate dai tetti decorati con lamiera intagliata e un corridoio
d'ingresso illuminato da ampie finestre; poi ci sono le "ville" di Bercea
Mondial, il più ricco della zona, che ha fatto fortuna in maniera per nulla
chiara e che certo non ha dovuto vivere nelle baraccopoli milanesi. A Draganesti
non ci sono fogne e i servizi per la maggior parte sono costituiti da una
piccola baracca in un angolo del cortile. Pochissime case hanno l'acqua
corrente, mentre la maggior parte ha il pozzo in cortile. Era così anche in
Italia; in Veneto, nel 1961, il 72% delle case non aveva il bagno.
Mirela con la foto del nipote, che è a Milano.
Ciò che colpisce sono gli squilibri e le contraddizioni della zigania. Da un
lato, resiste una tradizione rurale e arcaica che ricorda in parte alcuni
villaggi italiani prima del boom economico dello scorso secolo. Le ragazze si
sposano presto, spesso ancora minorenni; la scuola è frequentata dai ragazzi rom
del villaggio, ma le femmine raramente superano la quinta classe, mentre i
maschi arrivano fino alla settima. Spesso è anche ignoranza: Marieta spiega che
la varicella si cura vestendo di rosso i bambini. Dall'altro, la società
tradizionale si scontra con le distanze che si accorciano e la globalizzazione.
Così, le trasmissioni più seguite dai rom sono le telenovelas indiane di
Bollywood. La connessione web con il cellulare costa pochissimo. L'emigrazione e
il collegamento con l'Italia sono in questo senso travolgenti. Ogni weekend
parte un pulmino che trasporta persone, posta, bagagli dalla zigania al
capoluogo lombardo in entrambe le direzioni. Simona, 14 anni, ha frequentato a
Milano fino alla terza media: è una delle uniche ragazze rom di quell'età a
portare i pantaloni a Draganesti. Ma l'incontro-scontro con il mondo esterno
alla zigania trasformerà inevitabilmente questa società, che ora è in mezzo ad
un bivio. Bisogna puntare sulla scolarizzazione, da cui dipende il futuro di
molti bambini. Nella zona più povera della zigania abita la famiglia di Daniel,
10 anni, che ha una forte disabilità. A Milano, nella baraccopoli di Rubattino,
aveva iniziato la quarta elementare; travolto da un'ondata di solidarietà delle
maestre, dei compagni di classe e dei loro genitori, ha fatto notevoli
progressi. Ma cinque mesi fa, dopo un anno e mezzo di scuola e lo sgombero, la
famiglia è dovuta tornare a Draganesti. Percorso scolastico interrotto perché,
come spiega il padre, "sarebbe dovuto andare in una scuola speciale, molto
lontano, a Slatina, e noi non abbiamo i soldi per portarlo". Il suo progetto è
chiaro: tornare a Milano a breve, perché "i soldi e la carne del maiale
ammazzato a gennaio sono finiti, il lavoro non c'è e Daniel non può andare a
scuola".
Maria nella sua nuova serra.
Torneranno a breve a Milano anche Lenuta, Marin e i loro 5 figli; sono una delle
famiglie più povere e da anni alternano alcuni mesi in Italia, dove Lenuta
chiede l'elemosina e il marito lavora saltuariamente "a giornata", e altri a
Draganesti. Qui, vivono raccogliendo la plastica e altri scarti da riciclare; un
sacco enorme pieno di bottiglie viene pagato cinque euro. I bambini sono seduti
a mangiare la mamaliga con strutto, l'unico pasto che per la giornata la
famiglia può permettersi. La mamaliga, insieme al sarmale di verze e carne, è il
piatto più diffuso nelle ziganie: è la polenta. La scena sarebbe potuta accadere
anche nelle cascine lombarde del secolo scorso, ma molti padani sembrano
essersene scordati. Marin spiega che i suoi figli in Romania non mangiano la
frutta, costa troppo. In Italia, invece, ne mangiano tantissima: le maestre
della scuola regalano ai bambini i frutti avanzati dalla refezione. Ora i
bambini non vanno a scuola, perché tradurre in romeno i nullaosta per il
trasferimento costava troppo. Lenuta invece mi mostra l'ultima multa per
accattonaggio da 500 euro ricevuta a Milano e il conseguente provvedimento di
allontanamento dall'Italia. Nel verbale, si dispone anche il sequestro delle
monetine. Lenuta mi dice che tra qualche settimana devono ripartire per l'Italia
perché sono finiti anche i soldi per la polenta. Le chiedo se ha saputo che a
Milano siamo arrivati a 500 sgomberi e che la baraccopoli di Bacula è stata
nuovamente distrutta. "Non conto più quante volte ci hanno sgomberato, è
bruttissimo, ma cosa devo fare? Cosa do da mangiare ai miei figli?" mi risponde.
Effettivamente, vista da questa baracca di fango e paglia di Draganesti, Milano,
che ha festeggiato con la precedente amministrazione i 500 sgomberi raggiunti,
sembra una città che, anziché combattere la povertà, fa la guerra ai poveri.
Stefano Pasta
Da
Redattore Sociale. Articoli precedenti:
21 aprile e
6 luglio. L'ultima segnalazione su
Mahalla
Succede a Pessano con Bornago, in provincia di Milano. L'intervento di un
gruppo di cittadini, di Caritas Ambrosiana e Avvocati per Niente ha impedito il
provvedimento. Natalia Halilovic, una rom del campo: "La nostra vita ormai è in
questo Comune"
MILANO – Abitano in due camper e in una roulotte, accatastate al bordo di una
stradina che si perde in mezzo ai campi di Pessano con Bornago, comune in
provincia di Milano. In quest'area dal 2002 vivono almeno una trentina di rom,
fra loro 15 minori. Sono bosniaci, entrati in Italia nel lontano 1969 e da
allora ancora alla ricerca di un posto dove stare.
Rischiavano di essere sgomberati domani, 13 luglio, ma un gruppo di cittadini si
è opposto, ottenendo un congelamento – e non una soppressione - dell'ordinanza.
Mentre il sindaco Giordano Mazzurana e l'assessore alle Politiche sociali Chiara
Fiocchi (l'amministrazione è di centro sinistra, ndr) discutevano con Caritas e
Avvocati per Niente onlus sul futuro dei rom, fuori dal Municipio cinque anziani
del paese alzavano cartelli con scritto "I diritti non si sgomberano". "Ora
bisogna capire se Caritas, Casa della Carità o altri enti del privato sociale
saranno in grado di offrire una soluzione, almeno per i casi più vulnerabili",
spiega Alberto Guariso di Avvocati per Niente. Intanto l'avvocato attende per
oggi un "censimento" delle fragilità all'interno del campo. I casi conclamati,
al momento, sono Maria Halilovic, una signora di 73 anni con tre bypass, e il
figlio Spaho, cieco dalla nascita.
A portare i rom a Pessano con Bornago è stato il marito di Maria. Qui, 8 anni
fa, aveva comprato un campo, ad uso agricolo. Voleva avere la famiglia vicina,
durante il suo ricovero all'ospedale San Raffaele. Ma quando, nel 2008, è stata
introdotta la legge Maroni che vieta gli assembramenti di roulotte sui terreni
ad uso agricolo, Maria è stata costretta a spostarsi "in strada", pochi metri
più in là. Con lei, i due figli Spaho e Natalia. Un luogo scomodo, di passaggio,
perché da qui transitano ogni giorno gli agricoltori per raggiungere i propri
terreni. Per il Comune questa situazione è diventata con il tempo inaccettabile,
tanto che il villaggio rom diventa un problema.
"Nel novembre 2010 sono venuti a fare il primo sgombero", racconta Natalia. A
detta del Comune, in quel momento nel campo abusivo di Pessano c'erano più di 33
famiglie. Chi ha potuto se n'è andato, gli altri sono rimasti qui. I segni di
quell'evento sono ancora visibili: alle spalle delle roulotte affiorano i resti
di altre case mobili, abbandonate in quello stato dal giorno dello sgombero.
"Peggio di una discarica. Ma il Comune crede che dobbiamo portare via tutto noi?
Sono loro che l'hanno fatto e loro devono pulirlo", denuncia Natalia.
Al campo i bambini si tuffano in un canale, che scorre proprio di fronte alle
roulotte. Uno di loro, di 14 anni, racconta che quest'anno non ha potuto
frequentare la seconda media, perché sua madre lo teneva a casa, temendo ogni
giorno che lo sgombero minacciato diventasse effettivo.
"Fossi il presidente della Repubblica – dice – donerei a tutti i rom un campo
dove stare". Parla del sindaco come il responsabile delle condizioni assurde in
cui è costretto a vivere. "Tutti i nostri figli sono iscritti a scuola, ma non
sempre siamo riusciti a mandarli – spiega Natalia -, ma la colpa è del Comune
che ci vuole cacciare via". Una delle donne del campo non vuole che si facciano
fotografie né a lei né ai suoi figli: "In città ci conoscono tutti e io mi
vergogno del posto in cui sono costretta ad abitare". "Abbiamo rinunciato ad
essere nomadi – racconta Maria – perché volevamo che i nostri nipoti
studiassero, imparassero a leggere e scrivere e si trovassero un buon lavoro. Se
ci continuano a sgomberare ci fanno tornare all'epoca dei miei bisnonni"
(Lorenzo Bagnoli) © Copyright Redattore Sociale
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