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Di Fabrizio (del 15/07/2007 @ 09:24:21, in Kumpanija, visitato 2808 volte)

LOS GITANOS EN BRASIL[1]

Por: CRISTINA DA COSTA[2]

Secondo dati della Unión Romaní Internacional, esistono attualmente in America Latina circa un milione e mezzo di Gitani, dei quali ottocento mila vivono in Brasile. A cominciare da questo considerevole numero, la maggior parte di loro non ha risvegliato l'esigenza di affermarsi come popolo. Molti nascondono la loro origine, altri preferiscono affermare in forma romantica che "fintanto che nel cielo ci sarà una stella, ci saranno Gitani nel mondo".

Il nascondersi, lo sappiamo bene, viene dai pregiudizi che si sono avuti contro questo popolo nel corso della Storia nei più diversi paesi.

Il Brasile non fu differente

Il primo Gitano che arrivò in Brasile fu Joao Torres, nel 1574, che era stato espulso dal Portogallo. Seguirono molti altri, tutti accompagnati dallo stigma della persecuzione di cui erano stati oggetto in tutta Europa. In Brasile si succedettero editti, leggi e decreti che cercavano di controllare i Gitani: regolamentazioni professionali, sulla residenza, proibizione dell'uso dei costumi tipici e dell'uso del romanó-kaló, la vecchia proibizione di essere Gitani.

Durante i secoli  XVI e XVII i Gitani andarono espandendosi per tutto il Brasile, principalmente negli stati di Río de Janeiro, Sao Paulo, Bahía, Minas Gerais e Pernambuco.

Dal 1808, con l'arrivo della famiglia reale portoghese, un gran numero di Gitani nella corte di Joao VI a Rio de Janeiro esercitavano come artisti per l'intrattenimento delle feste reali, dei signori e dei merinos (officiali di giustizia). Inoltre, i Gitani furono i primi ufficiali di giustizia nel paese, e molti del gruppo Kalón esercitarono questa professione nel Forum della città di Río de Janeiro.

Risulta interessante che uno dei più famosi organizzatori di feste di Corte era il Gitano Conde de Bofia, che oggi da il nome a una via di questa città.

Sino allora arrivavano in Brasile Gitani provenienti dal Portogallo e, più raramente, dalla Spagna (los Kalóns). A partire dal 1882, con l'indipendenza del Brasile, arrivarono i Rom (non iberici).

Pluralità dei gruppi Gitani

La divisione per gruppi che meglio riflette la realtà della presenza dei Gitani in Brasile, è la seguente:

1. Rom:

- Kalderash: E' il sottogruppo più prestigioso del Brasile. Sono calderai e alcuni sono riusciti nell'ascesa economica e professionale.

- Khorakhane: Originari di Grecia e Turchia.

- Macwaia: Quelli che di più negano la loro origine Gitana..

- Rudari: Provenienti principalmente dalla Romania.

- Lovara: Si autodefiniscono come emigranti italiani.

2. Kaló:

- Gitani iberici. A Rio de Janeiro e San Paolo si identificano come emigranti portoghesi e spagnoli e in maggioranza sono commercianti, tassisti e, alcuni, universitari.

Struttura sociale

La situazione dei Gitani in Brasile è la stessa che in altri paesi del mondo: pregiudizi dei gadye (payos), che comportano a volte perdite successive delle proprie caratteristiche culturali. Il deceduto Juscelino Kubitscheck de Olivera, uno dei maggiori presidenti del paese (1956-1960), mai menzionò la propria origine gitana.

I nomadi sono una minoranza e si trovano abbastanza emarginati. Sono quelli che soffrono i pregiudizi della popolazione locale dove si accampano, in quanto le loro baracche, i cavalli e i vestiti li identificano immediatamente come Gitani. Gli uomini vivono del commercio di cavalli e, a volte, di automobili usate, della riparazione di utensili di cucina e dell'artigianato del rame. Le donne praticano la chiromanzia: girano per le strade offrendo la loro lettura delle linee della mano.

Quello brasiliano è un popolo estremamente mistico, dovuto questo alla forte presenza nella struttura sociale di afrodiscendenti e indigeni, entrambe popoli che coltivano queste pratiche millenarie. E'per questa via che i Gitani incontrano con una certa facilità la forma per penetrare nella società brasiliana.

Tra i nomadi, i matrimoni sono concertati previamente ed i fidanzati si sposano ancora adolescenti (dodici anni anni per le ragazze e quindici per i ragazzi). Oggi esistono matrimoni misti tra i nomadi.

In relazione ai loro morti, i nomadi hanno il costume di versare del vino nella fossa dove depositano il defunto, così come di tornare sempre nel luogo dove fu interrato.

Piace loro ballare e cantare, anche se la loro arte musicale si è parecchio mescolata con i ritmi delle città dell'interno del Brasile.

Quanti si sono invece già sedentarizzati, anche da diverse generazioni, mantengono alcune tradizioni degli antenati europei.

Svariate professioni

I Gitani dello stesso gruppo tendono a concentrarsi nello stesso quartiere, in case vicine o nel medesimo edificio. Per la strada camminano assieme e si incontrano a gruppi per le piazze delle città. Tra loro ci sono avvocati,medici, commercianti di tappeti ed automobili, circensi, industriali, professori, musici o cartomanti, cioè esercitano le più varie professioni. Il  loro comportamento è uguale a quello di qualsiasi altri cittadino, escluso il fatto di che nelle loro case sono tutti Gitani.

I matrimoni vengono sempre concertati in anticipo - rarissimamente avvengono al di fuori della loro razza - e durano tre giorni. Il secondo giorno, una volta la verginità della sposa, i padri dei ragazzi portano la vestaglia nel mezza di canti e balli, mentre la famiglia della sposa impugna orgogliosamente la vestaglia insanguinata in segno di giubilo.

La musica dei sedentari, compreso il gruppo del gruppo dei Rom - a base di violino - che del gruppo Kalón - su abse di viola accompagnata dal battito delle mani del flamenco - non differisce molto da quella dei Gitani europei. I Gitani brasiliani sedentarizzati hanno convertito in una questione di onore il fatto di mantenere la propria tradizione musicale.

La pomana, il rito funebre, si svolge in Brasile tre giorni dopo la morte e si ripete dopo quarantun giorni, sei mesi e un anno, quando ha luogo il termine delle celebrazioni. Le cerimonie avvengono sempre di sabato e raccolgono parenti ed amici del morto venute da tutte le parti del paese.

Feste religiose

I Gitani hanno feste religiose proprie, basate sulla santa protettrice di determinate famiglie. In questo senso si svolge la slava, cerimonia in cui omaggiano una santa e servono un banchetto. Amici e parenti ballano attorno alla tavola. Questa festa deve aver luogo sempre prima della morte del patriarca della famiglia; dopo la sua morte, il figlio più giovane sarà obbligato a continuare la festa sino a che non abbia un figlio.

Quanto alla religione, ci sono Gitani cattolici, protestanti, ortodossi e frequentano le chiese più diverse. Inoltre, mantengono nelle loro case, pratiche mistiche come la chiromanzia, la cartomanzia o la lettura della fortuna col gioco delle monete.

Perla sua somiglianza a santa Sara, accomunata dal colore della pelle, i Gitani brasiliani onorano, tra le altre, Nuestra Señora Aparecida,  che si festeggia il 12 ottobre. Anche san Giorgio, san Nicola o santa Barbara. Anche se non si può parlare di una religione gitana, si può affermare che i Gitani hanno un sentimento di religiosità molto forte.

Le questioni economiche, le separazioni e altre situazioni sono risolte dal padre di famiglia, dal leader del gruppo o, in casi estremi, dalla Kriss Romaní o Consiglio di Giustizia Parallelo, composto dai Gitani più anziani e rispettati.

La maggioranza dei Gitani non permette ai figli di frequentare la scuola per molto tempo. In questo senso, in relazione ai nomadi, la Pastorale dei Nomadi del Brasile ha realizzato un eccellente lavoro, guidato dal padre italiano Renato Rosso, che battezza, alfabetizza e sposa le persone del gruppo che lo desiderino. Per quanto riguarda i sedentari, molti ritengono che l'insegnamento dei gadye non ha niente a che vedere con la visione del mondo dei Gitani e che così si allontanano i giovani dalla tradizione. Credono che sia necessario il solo apprendere a leggere, scrivere e avere alcune nozioni di matematica "per non essere ingannati dai gadye (payos)".

Una minoranza all'Università

Una minoranza, senza dubbio, ha acceduto già all'università e vedono gli studi e il miglioramento intellettuale come l'unica uscita del popolo Gitano per la sopravvivenza nella società maggioritaria.

Folclore a parte, il Gitano alla fine del secolo XX cercano di mantenere le loro tradizioni, altrimenti, in pochi anni, sarà un popolo ricordato appena dalla letteratura, dal cinema, la musica o la memoria delle persone.

Dalla metà circa degli anni '80 esiste il Centro di Studi Gitani del Brasile (CEC), che vuole mostrare la realtà del popolo Gitano in questo paese, tramite conferenze, video, interviste a periodici e stazioni radio e televisive, pubblicazioni di libri e presentazioni musicali. Si intende cosi rafforzare l'identità culturale gitana, nella condivisione con la realtà che li circonda. Il CEC è presieduto dal Gitano Mio Vacite, violinista di professione.

Nel maggio 1989, il CEC ha conseguito che il prefetto di Itaguaí (municipio dello stato di Río de Janeiro), cedesse un terreno ai nomadi che passano frequentemente da lì e che altrimenti incontravano difficoltà ad accamparsi. Speriamo che altri prefetti ne seguano l'esempio.

C'è molto da fare, posto che il CEC non è affiliato a nessuna entità governativa e [...] tenendo conto che siamo in un paese del sud.

Quello che si spera è che più Gitani brasiliani prendano coscienza della necessità di questo movimento per la sopravvivenza come popolo in Brasile.

Note di pie di página
[1] Tomado de: I Tchatchipen. No. 13. Enero–Marzo–Diciembre . 1996. Barcelona.
[2] Escritora brasileña.

Bibliografía
CRISINA DA COSTA. Povo Cigano. Río de Janeiro. Edición de Autor. 1986.
CRISINA DA COSTA. Os Ciganos continuam na estrada. Río de Janeiro. Edición de Autor. 1989.
MELO MORALES FILHO. Os Ciganos no Brasil. Sao Paulo. VSP. 1981.
ATICO VILAS-BOAS DA MOTA. Os Ciganos do Brasil. Río de Janeiro. FGV. 1984. En: El Correo de la UNESCO.

PRORROM

PROCESO ORGANIZATIVO DEL PUEBLO ROM (GITANO) DE COLOMBIA / PROTSESO ORGANIZATSIAKO LE RROMANE NARODOSKO KOLOMBIAKO

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Di Fabrizio (del 16/07/2007 @ 09:40:38, in casa, visitato 1691 volte)

Da Repubblica

Il progetto arriva dal Nord Europa: recuperare e creare appartamenti
Giovani, immigrati e precari: lavorano nei giorni liberi e abbattono i costi

Anche in Italia le case costruite da soli
E il ministro promette una legge

di CARLOTTA MISMETTI CAPUA

I nostri bisnonni l'hanno sempre fatto. Si rimboccavano le maniche e si costruivano la propria casa da soli. Allora si poteva fare, non c'erano troppi permessi da chiedere, le pietre si trovavano nei campi dei vicini, la speculazione edilizia non esisteva.

Oggi rinasce questa pratica, in chiave sociale. Arriva dal Nord Europa un progetto semplice, innovativo: si chiama “auto-costruzione”, e nasce dal basso. Ci si mette insieme con altri lavoratori, o amici, o immigrati, o vicini di casa. Le amministrazioni offrono dei sussidi o pratiche burocratiche semplificate. E la casa si costruisce collettivamente, lavorando il fine settimana e nelle feste comandate. A costruirsi la casa da soli si abbattono i costi del 40%, e si sfugge agli speculatori.

Il progetto sembra talmente innovativo che la Provincia di Napoli e il comune di Padova stanno provando a replicarlo con i Rom. Altre comunità ci stanno lavorando: i Sinti veneti stanno costruendo un intero villaggio. L'associazione Alisei si occupa di auto-costruzione e ha cantieri aperti in Umbria, Emilia Romagna, Lombardia, Veneto, Toscana e nelle Marche. Totale: 400 alloggi in auto-costruzione. La stessa Banca Etica ha finanziato cantieri a Ravenna e Perugia con oltre 7 milioni di euro per 86 alloggi. In Lombardia la Regione ha messo a disposizione un fondo per finanziare fino al 20% del costo del progetto, da restituire dopo 10 anni dal termine lavori. Iniziative lungimiranti: in Irlanda l'auto-realizzazione arriva a coprire il 25% dell'edilizia popolare, per dire.

In Italia il ministro Ferrero sta pensando ad una legge nazionale. Finora tutte le cooperative al lavoro sono tutte inter-etniche, e per questa ragione il ministro le considera molto importante anche come strumento di coesione sociale. In Emilia Romagna, Piemonte e Lombardia stanno lavorando a progetti di legge regionali: si pensa ad una agevolazione fiscale sull'Ici o a finanziamenti da restituire in dieci anni. “Al momento abbiamo un tavolo informale, una sorta di gruppo di lavoro. Stiamo cercando di capire come possiamo sostenere questa pratica” dicono dal ministero. La legge nazionale ci sarà, forse con un fondo per sostenere i programmi di auto-costruzione (per ora c'è un fondo di inclusione per gli immigrati a disposizione). “Riteniamo che questa politica debba uscire dalla sperimentazione, e diventare diffusa” dice il ministro Ferrero. “E' una risposta concreta per chi cerca un abitazione e non ha un grande reddito: ma è anche un modello di solidarietà, per imparare a fare le cose insieme”.

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Di Fabrizio (del 17/07/2007 @ 10:00:08, in Italia, visitato 1869 volte)

Da Roma_Daily_News

Strasburgo, 11 luglio 2007 - L'European Roma and Travellers Forum (ERTF) ha reagito alle notizie apparse sui media italiani, secondo i quali ci sono attualmente circa 50.000 bambini mendicanti in Italia, la maggior parte dei quali a Roma. L'ANSA, che per prima ha riportato la notizia, afferma che il business è molto lucrativo, e riporta quanto espresso dalla European Union Agency for Fundamental Rights (FRA). L'agenzia stampa aggiunge che FRA ha appena lanciato una campagna europea contro lo sfruttamento dei bambini mendicanti.

L'European Roma and Travellers Forum ha chiesto alla FRA notizie in merito, ed è stato risposto che non era mai stato scritto un rapporto simile. L'Agenzia ha svolto proprie ricerche, venendo a scoprire che la fonte della campagna mediatica era un rapporto della parlamentare italiana Roberta Angelilli, di Alleanza Nazionale, con un proprio rapporto presentato pochi giorni prima a Roma (qui in formato pdf).

La rappresentante di estrema destra, che è anche la coordinatrice dell'Ufficio Nazionale per i Problemi dei Minori di Alleanza Nazionale, ha comunque adoperato materiale fornito da FRA, riguardo all'allarmante situazione di donne e bambini Romani, che li rende vittime naturali delle reti criminali. Il rapporto, che è tempestato di immagini di donne e bambini mendicanti è parte di una campagna contro l'accattonaggio per le strade che ultimamente bersaglia Roma.

L'Italia è stata nuovamente al centro di una campagna razzista contro i Rom. Non più di due mesi fa Roma, seguita da altre città, ha annunciato i piani per rialloggiare i Rom fuori dalla città, nei cosiddetti "villaggi della solidarietà" vigilati dalla polizia. Due settimane fa il sindaco Walter Veltroni è volato a Bucarest per firmare un accordo con le autorità rumene per gli stranieri illegali. Come parte di questo accordo i primi agenti rumeni sono arrivati a Roma ed aiuteranno i loro colleghi sulle tematiche dei minori, della prostituzione e dei campi rom (vedi il rapporto qui sotto).

"Siamo estremamente preoccupati sulla perdurante campagna contro i Rom in Italia" scrive in una lettera Rudko Kawczynski, Presidente di ERTF a Beate Winkler, direttrice della Fundamental Rights Agency, puntualizzando i collegamenti tra la campagna mediatica e le recenti iniziative contro i Rom. Chiede a Ms. Winkler di adoperare il proprio diritto di correzione per impedire che il nome di Fundamental Rights Agency non venga mal adoperato per danneggiare ulteriormente le comunità Rom in Italia.

ERTF

Italy tells Romania: We don't want your Roma

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Di Fabrizio (del 18/07/2007 @ 09:09:39, in Italia, visitato 1802 volte)

Ricevo da Tommaso Vitale

''Acqua non potabile'': imbottigliata e distribuita per denunciare il degrado del campo rom di Castel Romano

E' quella del pozzo del campo dove vivono circa 1000 persone, l'unica disponibile per il migliaio di persone, molti i bambini. “Alcuni dei nostri bambini si sono già ammalati di epatite”

ROMA - "Acqua non potabile”. In confezioni da due litri, imbottigliata e distribuita a Castel Romano, al chilometro 20 della via Pontina, a Roma. L'acqua è delle più torbide e sul fondo della bottiglia precipita il terriccio in sospensione. L"etichetta raccomanda: "solo uso esterno e fanghi”. E più sotto specifica: “Acqua non potabile  distribuita un'ora al giorno a 1.500 persone”. E" l'acqua del pozzo del campo rom di Castel Romanoi. L'unica disponibile per il migliaio di persone, molti i bambini, ospitati nella struttura aperta nel settembre 2005. I rappresentanti della comunità Korahanè del campo, l'hanno imbottigliata e ne faranno omaggio alle autorità responsabili per denunciare la situazione di degrado del campo. “Alcuni dei nostri bambini si sono già ammalati di epatite, per aver bevuto quell'acqua”, dice Luigi, un trentenne residente nel campo, che aggiunge: “Come è possibile che, in Italia, mille persone siano tenute senza acqua potabile? Ho sempre lavorato, sono in Italia da vent'anni, come tanti altri. Eppure lo stato ci costringe ad essere nomadi”. I Korahanè di Castel Romano invitano quindi tutti i cittadini di Roma a visitare il campo della Pontina giovedì 19 luglio a partire dalle 19:00, e a passarvi la notte per “richiedere un intervento urgente da parte delle autorità teso al ripristino delle condizioni di vivibilità e sicurezza per le 1.000 persone che vi abitano”. (vedi lancio successivo) (gdg)

© Copyright Redattore Sociale

''Non siamo cani'': i rom si ribellano ai patti di sicurezza di Amato e Veltroni

Prevedono il trasferimento di migliaia di famiglie in 4 nuovi grandi campi attrezzati, che sorgeranno fuori dal raccordo anulare. Najo Adzovic: ''E' tempo di reagire". Dure critiche alle associazioni che gestiscono i campi

ROMA - Non siamo nomadi. Basta con i campi, vogliamo una casa. Le comunità rom di Roma si schierano contro i patti di sicurezza sottoscritti da Amato e Veltroni lo scorso maggio, e che prevedono il trasferimento in massa di migliaia di famiglie in 4 nuovi grandi campi attrezzati, che sorgeranno fuori dall'autostrada del raccordo anulare.
"E" tempo di reagire - dichiara Najo Adzovic (Campo Casilino 900) - non possono deportarci e recintarc come cani”. Dure le critiche alle associazioni e cooperative che gestiscono i campi "Basta lucrare sulle nostre spalle – dice Graziano Alilovic (Campo La Barbuta) –. Vogliamo case, non campi. Le associazioni ci dicano da che parte stanno”.

Quella del diritto alla casa è la prima delle richieste del coordinamento dei rom, riunitosi questa mattina all'università La Sapienza in un incontro con la stampa. “Chiediamo al sindaco case popolari”, dice Meo Hamidovic (Campo Castel Romano). Hamidovic vive al campo di Castel  Romano dal 14 settembre 2005. Allora venne sgomberato il campo di vicolo Savini, a Ponte Marconi. Mille persone trasferite a Castel Romano, in quello che si annuncia come prototipo dei villaggi della solidarietà proposti dai patti di sicurezza firmati a maggio, a Roma, dal sindaco Walter Veltroni, da Enrico Gasbarra, Piero Marrazzo e dal Prefetto Serra - oltre al ministro Amato. Undici milioni di euro in tre anni dalla Regione Lazio, quattro milioni dal Comune di Roma e un ulteriore contributo da parte della Provincia di Roma, per rivedere l'assetto dei campi rom. Seimila persone – dichiara il professor Marco Brazzoduro (La Sapienza) - rischiano la “deportazione” in località periferiche e isolate, che saranno definite entro il 23 luglio.

Nel campo rom di Castel Romano vivono mille persone, confinate in 220 container al confine tra Roma e Pomezia, nel mezzo della riserva naturale di Decima-Malafede. Il luogo è talmente isolato che per spegnere un incendio divampato nel campo due giorni fa, a nulla è servito la chiamata ai vigili del fuoco, che non sono riusciti a raggiungere la zona con le autobotti. Il campo è gestito dall'Arci, per una convenzione che ammonta a 750.000 euro annui. “Il villaggio non è attrezzato, siamo senza acqua potabile, non c'è un solo posto all'ombra per i nostri bambini”, si lamenta Hamidovic. L'unica distribuzione idrica, per due ore al giorno, è realizzata con acqua di pozzo non potabile e inquinata. “Alcuni dei nostri bambini si sono già ammalati di epatite, per aver bevuto quell'acqua”, dice un trentenne residente al campo. Il primo centro abitato dista 8 km dai container, e le scuole dove i bambini erano iscritti prima dello sgombero da vicolo Savini, distano 20 km. Molti hanno abbandonato gli studi. Anche perché, denuncia Hamidovic, le scuole del XII municipio rifiutano di accogliere i nostri figli.

I rom criticano anche l'atteggiamento securitario con cui si sentono giudicati. “La società dei gage (i non rom, ndr) porta all'annullamento dell'identità – dice Bruno Morelli -. I problemi di microcriminalità esistono, ma sono legati alle condizioni di miseria dei campi e non alla cultura”. Morelli si è quindi appellato ai media, perché diano voce alle istanze di “una minoranza etnica e linguistica mai riconosciuta in Italia” e sostengano la lotta dei rom contro i campi, “rimasti soltanto in Italia”. Intanto l'amministrazione capitolina va in direzione opposta. Lo scorso 8 luglio, sono infatti arrivati a Roma i cinque funzionari prestati dalle forze dell'ordine romene. Rimarranno per tre mesi, per favorire l'identificazione dei rom. (gdg)

© Copyright Redattore Sociale h 16.48 17/07/2007

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Di Fabrizio (del 19/07/2007 @ 10:20:25, in Italia, visitato 3047 volte)

LUNEDÌ 23 LUGLIO DALLE 18 ALLE 20 IN PIAZZA SCALA
INCONTRO CON I ROM DEI CAMPI DI MILANO

ROM E SICUREZZA: E’ QUESTO IL VERO PROBLEMA DI MILANO?

Un’emergenza si è abbattuta sulla città e la provincia di Milano: l’invasione dei rom. Per rispondere a questa calamità presunta le amministrazioni comunali provvedono a sgomberi senza né capo né coda perché non offrono alternative: uomini, donne e bambini vengono semplicemente abbandonati a se stessi costringendoli a cercare rifugi di fortuna in condizioni sempre più precarie.

La scoperta che la sicurezza è un diritto dei cittadini e che la legge e la polizia devono intervenire per impedire sfruttamento e infrazioni del codice penale è la scoperta dell’acqua calda visto che la legge dovrebbe valere per tutti, rom e non rom. Ma soprattutto nasconde la cattiva coscienza di chi in questi anni ha lasciato crescere l’impunità in tutti i campi – dalle grandi speculazioni immobiliari all’evasione fiscale, alla mancata politica contro traffico e inquinamento -, costruendo le condizioni di una sensazione generale di insicurezza e frustrazione.

Una politica responsabile e degna di un Paese civile non insegue il malcontento e il pregiudizio ma costruisce le condizioni di diritti e doveri uguali per tutti per una convivenza pacifica, sicura e rispettosa delle diverse culture, sconfiggendo gli imprenditori della paura, le forze politiche più reazionarie e razziste, che su questo terreno costruiscono le loro fortune elettorali.

Il problema va affrontato su diversi piani, assumendo l’obiettivo della convivenza tra cittadini che fanno parte della stessa comunità con una visione più generale del complesso problema dell’immigrazione. Ma c’è un piano che va affrontato immediatamente ed è quello che riguarda, in questo momento, le condizioni di vita di queste persone, uomini donne e bambini che cercano, come tutti, un angolo di pace, di serenità e di sicurezza sociale e per i quali si prospetta una vera e propria emergenza umanitaria.

  • Per il superamento della politica dei campi nomadi, che diventano ghetti e come tutti i ghetti possibile fonte di degrado umano e sociale

  • Per una moratoria sugli sgomberi nella città di Milano e in Provincia,

  • Per la costituzione di tavoli di concertazione reale del Comune, della Provincia, della Regione,

  • Per un investimento sistematico sulle comunità per sviluppare professionalità in ambiti "imprenditoriali" e formare figure come i mediatori culturali,

  • Per contrastare il "razzismo istituzionale" e il trattamento discriminatorio nella pubblica amministrazione e nei servizi, vere e proprie violazioni dei diritti umani

LUNEDÌ 23 LUGLIO DALLE 18 ALLE 20 IN PIAZZA SCALA

INCONTRO CON I ROM DEI CAMPI DI MILANO

Con testimonianze di Renato Sarti, Bebo Storti,

messaggi di Dario Fo e Moni Ovadia letti da Dijana Pavlovic,

più musica rom e altro

HANNO ADERITO ALL’APPELLO:
Acea Onlus, Accesso coop. sociale, Mario Agostinelli, Alfredo Alietti, Salvatore Amura, Massimiliano Andretta, ARCI Milano, Paola Arrigoni, Associazione Altropallone, Associazione Aven Amenza-Unione rom e Sinti, Associazione Cittadini dal mondo, Associazione Comitato italiano contro la schiavitù moderna, Associazione Oltre il Campo, Associazione OsservAzione, Associazione Guerre&Pace, Associazione culturale Punto rosso, Associazione Rom Sinti @Politica, Associazione Liberi, Associazione NAGA, Associazione Sinistra critica, Associazione Sucar drom, Associazione Todo Cambia, Associazione Unaltralombardia, Daniele Barbieri, Gabriella Benedetti, Pierluigi Branca, Massimo Bricocoli, Mariano Bottaccio, Vando Borghi, Paolo Cagna Ninchi, Grazia Casagrande, Fabrizio Casavola, Marco Cavedon, Circolo migranti PRC-SE, Comitato per le libertà e i diritti sociali, ConGES Consorzio Giusto Etico Solidale, Bruno Cousin, Anna Paola Cova, Sergio Cusani, Bianca Dacomo Annoni, Giorgio D’Andrea, Fabio de Nardis, Deafal ong, José Luis Del Roio, Massimo Donati, Stefano Femminis, Festa dei popoli di Opera, Diario Fo, Cecilia Gallotti, Jole Garuti, David Gentili, Massimo Gentili, Alberto Giasanti, Marina Gori Sanremo, Roberto Guizzi, Raffaella Lavanga, Giovanna Malgaroli, Marcello Maneri, Ezio Mancini, Marina Mariani, Guido Martinotti, Pietro Maria Maestri, Ainom Maricos, Andrea Membretti, Giovanni Merlo, Enzo Mingione, Carlotta Mozzana, Luciano Muhlbauer, Giuseppe Natale, Alfonso Navarra, Giorgio Nobili, Opera nomadi Milano, Opera nomadi nazionale, Officina Soc. Coop. Osadonna, Moni Ovadia, Michele Papagna, Stefano Panigada, Luigia Pasi, Maurizio Pagani, Simonetta Pavan, Dijana Pavlovic, Fabio Quassoli, Franca Rame, Valentina Rossi, Anna Maria Satta, SDL intercategoriale, Sergio Segio, Bebo Storti, Atomo Tinelli, Antonio Tosi, Pino Vanacore, Roberto Veneziani, Gigliola Vicenzo, Tommaso Vitale, Enrico Vitale

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Di Fabrizio (del 19/07/2007 @ 12:26:52, in Italia, visitato 1820 volte)

Roma, 17 lug (Velino) - “Per noi sembra che non ci debba essere nessuna integrazione, ma solo lager in cui perdere la dignità di esseri umani”. A denunciarlo sono i rappresentanti di alcuni dei principali campi nomadi della Capitale che oggi, nella facoltà di Scienze statistiche della Sapienza, hanno organizzato una conferenza stampa per denunciare i pericoli insiti nella “deportazione” dei Rom della Capitale in quattro grandi “Villaggi della solidarietà”, fuori dal raccordo anulare, prevista nel Patto per la sicurezza firmato dal sindaco capitolino Walter Veltroni con il ministro dell’interno Giuliano Amato. Uno dopo l’altro i rappresentanti dei campi hanno raccontato il loro percorso, sottolineando le difficilissime condizioni di vita che si sono protratte per decenni. Il 95 per cento dei Rom presenti nella Capitale è stanziale, con particolare riferimento al grande insediamento di Castel Romano, proposto da alcuni come modello, per struttura e dimensioni, dei “Villaggi” previsti nel Patto per la sicurezza. “Non abbiamo acqua potabile, siamo isolati dal mondo – racconta Luigi, uno dei rappresentanti del campo – ci siamo spostati nel 2005 da vicolo Savini, sradicando i nostri bambini dal tessuto sociale nel quale si erano faticosamente inseriti, in quella che doveva essere un’area ‘attrezzata’. Qui però abbiamo trovato 220 container per oltre mille persone, a otto chilometri dal centro abitato più vicino, senza neanche un filo d’ombra e una fermata dell’autobus. Ma soprattutto nel campo non c’è acqua: l’unica che possiamo avere è quella fornita da un pozzo, per due ore al giorno, che non è potabile ed è inquinata”. Una situazione difficile che verrà raccontata e denunciata nel corso di una manifestazione, giovedì 19 luglio dalle 19, organizzata all’interno del campo, al km 20 della via Pontina, in cui l’acqua del pozzo verrà imbottigliata come “Acqua della fonte della solidarietà” e donata alle autorità politiche e istituzionali responsabili. Gli ospiti verranno accolti con cibi tradizionali, cortei musicali itineranti e poesie delle culture Rom.

In tutti gli interventi della mattinata ci sono attacchi alla amministrazione capitolina e al governo per i contenuti, ma anche per il processo decisionale, del Patto per la sicurezza. “Il processo che ha portato a questo documento – spiega Graziano del campo di Ciampino – è passato sopra le nostre teste. Si tratta di un comportamento degno di uno stato autoritario che ha prodotto un risultato dal sapore ancora più autoritario. Ho sentito le istituzioni parlare spesso di solidarietà e integrazione, ma l’intento mi sembra quello di isolare e nascondere il diverso. Di integrazione non c’è traccia. Stiamo lavorando a un progetto comune, con il comitato “Rom e Sinti insieme” nato a marzo, per presentare delle proposte alternative alla questione a livello nazionale. Deve esserci lasciata la libertà di scelta, ci devono permettere di elaborare vie alternative, altrimenti il pericolo che la situazione si faccia difficile è altissimo”.

Decabel, ragazzo rumeno che vive in un insediamento abusivo, racconta: “Io e la mia famiglia, come le altre nella nostra situazione, ci svegliamo la mattina pensando, anche oggi abbiamo un tetto. Si spendono decine di migliaia di euro per demolire i nostri campi, quando potrebbero essere usate per rendere la situazione più vivibile e garantire un futuro diverso ai nostri figli. Invece Veltroni fa venire in Italia i poliziotti rumeni che hanno distrutto le nostre case vent’anni fa in Romania”. Mentre si teneva la conferenza stampa però, quasi in risposta alle proteste dei Rom, in via Maddaloni, nel VI Municipio, le forze dell’ordine portavano a termine lo sgombero di un insediamento abusivo in cui erano presenti circa 50 tra nomadi e rumeni. Ai minori, sottolinea una nota del VI Municipio, è stata data “un’adeguata sistemazione”.

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Di Sucar Drom (del 20/07/2007 @ 09:02:09, in blog, visitato 1596 volte)

New Sucar Drom Carissimi lettori, siete sul nuovo blog di prova di sucardrom. Fino a qualche giorno fa eravamo su Tiscali ma con il processo di implementazione eseguito la scorsa settimana su quella piattaforma non riusciamo più a garantire il servizio offerto negli ultimi due anni. Come avrete notato...

Per altre vie, donne fra guerre e nazionalismi Labirinto, fra diario, testimonianza e ricerca, registrazione di un percorso personale e collettivo legato alla guerra nei territori jugoslavi. Mosaico di storie, d’incontri, di riflessioni sviluppate con altre donne italiane e jugoslave, attive nell’immaginare e costruire mondi alternativi. Punto di partenza per una riflessione sulle radici delle guerre, sull’ordine patriarcale, sulle antiche culture mediterranee, sulla rinascita degli integralismi, ...

Roma, conferenza stampa dei Rom capitolini Ieri mattina alla Facoltà di Scienze Statistiche della Sapienza di Roma si è tenuta la conferenza stampa del Coordinamento Rom Capitolino che ha denunciato la gravissima situazione vissuta dalle popolazioni sinte e rom. Interventi durissimi di Bruno Morelli e Graziano Halilovic (Comitato Rom e Sinti Insieme)...

Roma, Meo Hamidovic è un leader Giovedì scorso a sucardrom sono arrivate le foto della conferenza stampa, tenuta alla Sapienza dal Coordinamento Rom della Capitale, e devo confessare che mi sono commosso nel vedere la foto di Meo Hamidovic, mentre mostra alla stampa la bottiglia dell’acqua che arriva nelle “case” delle famiglie rom rinchiuse nel campo di CastelRomano.
Mi ero sentito con Graziano Halilovic, avevo letto...

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Di Fabrizio (del 20/07/2007 @ 10:24:58, in Europa, visitato 1860 volte)

Rifugiati ex Bosniaci e Rom, deportati dall'Europa occidentale, sono ammassati nella regione più remota ed isolata della Serbia
By Zoran Maksimovic in Novi Pazar

Djijan Osmanovic, nove anni, conosce a malapena qualche parola della sua lingua madre rom. Non conosce nemmeno il serbo, la lingua del paese da cui arrivano i suoi genitori e dove ora vive.

Giocando tra le case in rovina nel quartiere di Savci a Novi Pazar, preferisce chiacchierare in tedesco, che ha appreso vivendo all'estero.

Nato da genitori rifugiati in Germania, la famiglia di Djijan si è poi spostata dopo in Danimarca. Ma nel 2004, quando aveva sei anni, la sua famiglia fu deportata indietro a Novi Pazar, la più grande città nella regione più isolata di Serbia, il Sangiaccato musulmano.

Nel quartiere di Savci, dove la sua famiglia vive con altre 37 rimpatriate, molti preferiscono parlare tedesco invece che serbo o romanes.

E' questo certamente il caso dei circa 80 bambini che frequentano la scuola elementare di Savci.

"Ho dovuto imparare il tedesco per parlare con i miei compagni," ci dice il piccolo Djijan in tedesco fluente. "Ora, sto cercando di imparare il serbo a scuola, ma è un grande problema perché non conosco la lingua e qui tutto è differente."

Suo padre, Saban, dice che Djijan e i suoi altri figli non hanno frequentato immediatamente al loro ritorno in Serbia, perché i bambini non conoscevano la lingua.

Nel Sangiaccato, una regione all'incrocio di tre confini di stato: Serbia, Montenegro e Bosnia, sono ritornate circa 50.000 persone dal 2000.

Molti lasciarono questa parte della Serbia negli anni '90 a causa delle guerre, della discriminazione di Belgrado contro le minoranze non-Serbe e del pervasivo sentimento di insicurezza sociale.

La maggior parte è ritornata a Novi Pazar, seguita dalla vicina Sjenica, dove secondo le statistiche un cittadino su quattro è un rimpatriato.

La maggior parte proviene dalla Germania - oltre il 70%. Il resto del grande numero arriva da Olanda, Svezia, Danimarca e Lussemburgo. Il più alto tasso di rimpatri è stato registrato nel 2003 e nel 2004, quando una media di 900/1.000 persone tornavano ogni mese.

Reintegrazione, un'organizzazione locale che agisce con queste persone, dice che un terzo di loro è stato deportato, cioè che non ha fatto ritorno volontariamente.

Kadrija Mehmedovic, presidente di Reintegrazione, ci ha detto che per i bambini l'ignoranza della lingua nazionale non è l'unico ostacolo che hanno i rimpatriati. "In media, queste famiglie sono rimaste all'estero per 12 anni," dice Mehmedovic.

"Almeno l'80% dei bambini di 12 anni o meno, sono nati all'estero, oltre la metà non parla serbo e oltre il 30% non è iscritta a scuola," aggiunge.

Mehmedovic dice che al ritorno in Serbia i rimpatriati affrontano povertà e disoccupazione, e specialmente lamenta il fallimento del governo nel predisporre programmi speciali per aiutare i bambini rimpatriati nel frequentare la scuola.

Le critiche appaiono ben fondate. La Serbia non ha una strategia sui rimpatri e non ha aperto centri per aiutarli. Molti hanno perso i loro documenti personali nel paese da cui arrivano. Un gran numero di cose è cambiato nel frattempo in Serbia.

Safet Osmanovic dice che quando ha fatto ritorno a Savci, ha trovato la sua casa distrutta e invasa dalla boscaglia. Lui e sua moglie sono disoccupati come la maggioranza dei rimpatriati.

"Soltanto il 2% dei rimpatriati ha un lavoro permanente e nessuno ha ritrovato il lavoro che aveva prima di partire," spiega Mehmedovic.

Hajrija Redzovic partì nel 1999 per la Germania, finendo nella città di Wilhelmhaven nel centro per richiedenti asilo.

In Germania, ottenne immediatamente i diritti da rifugiata per l'assistenza sociale e partorì una figlia. Ma sulle basi di un accordo che la Serbia ha firmato con 17 paesi dell'Europa occidentale lo scorso luglio, Redzovic fu deportata in Serbia assieme a suo marito e sua figlia Emma.

"Alle 6 di mattina quattro poliziotti entrarono nel mio appartamento e ci dissero che avevamo un'ora per sgomberare," ricorda. "Il bagaglio non poteva superare i 36 Kg., che è quello che abbiamo caricato sull'aereo. Sono tornata a casa con praticamente niente."

Al ritorno in patria, Redzovic ha affrontato diversi problemi. Non aveva documenti personali e sua figlia non aveva il certificato di nascita e così non è stata ammessa nel registro serbo delle nascite.

Numerosi Rom e Bosniaci al loro ritorno si sono insediati nel Sangiaccato anche se non erano originari della regione, ma del Kosovo. Il Sangiaccato è vicino al Kosovo ed il rimpatrio nello stesso Kosovo è fuori discussione per l'ostilità albanese.

Hamid Pepic è tra loro. Dopo che la sua casa in Kosovo fu distrutta nella guerra del 1999, ottenne asilo per diversi anni nei Paesi Bassi. Ma ora è stato rispedito in Serbia per vivere in Sangiaccato con i suoi sei familiari. Senza alcun legami con quest'area, non ha neanche alcuna fonte di sostentamento.

In base alla Convenzione di Ginevra, quanti dalla ex Yugoslavia lasciarono il paese per i paesi dell'Europa occidentale, dove ottennero lo status di rifugiati, perché erano stati violati i loro diritti umani e di minoranza ed erano chiaramente in pericolo.

Ma dopo vennero create le condizioni perché quei diritti fossero restaurati. La Serbia fu obbligata a riaccettare quei cittadini, in base agli accordi firmati con i 17 paesi occidentali.

Georg Einwaller, dell'ambasciata tedesca di Serbia, dice che sono necessari più lavori bilaterali per aiutare le famiglie di ritorno nel Sangiaccato, che hanno passato anni fuori dalla Serbia e dimenticato la loro lingua e cultura.

"Abbiamo lavorato assieme ai nostri colleghi in Serbia sulla loro reintegrazione e il miglioramento della loro posizione," dice. "Risolvendo il problema dei documenti, possiamo aiutarli nell'esercizio dei loro diritti sociali, sanitari e scolastici."

Ma Kadrija Mehmedovic enfatizza che dietro le istituzioni internazionali, le autorità locali e il settore OnG, è lo stesso governo serbo che necessità di essere assistito.

E' d'accordo Marija Vojinovic, assistente del direttore del Servizio Serbo per i Diritti Umani e delle Minoranze, l'unica organizzazione che agisce con i rimpatriati. Stima che almeno 150.000 possono tornare in Serbia tra quest'anno e il prossimo, la metà di loro Bosniaci del Sangiaccato.

Vojinovic reclama che il Servizio per i Diritti Umani e delle Minoranze ha prodotto una strategia ed un piano d'azione, il problema è che non sono stati implementati.

Hannelore Valier, capo della missione OCSE nel dipartimento democratizzazione in Serbia, dice che il tema dei rifugiati di ritorno non incontra una gran sensibilità. [...]Potrebbe essere "un pericolo per la stabilità della regione", ammonisce.

Zoran Maksimovic is a freelance journalist in Novi Pazar. Balkan Insight is BIRN`s online publication

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Di Fabrizio (del 21/07/2007 @ 09:17:49, in musica e parole, visitato 2371 volte)

Ricevo da Tommaso Vitale

Edita da Progetto cultura e Opera Nomadi, contiene 37 liriche composte da 22 poeti rom italiani e stranieri. ''Nei confronti dei nomadi ci sono tanti pregiudizi, ma è un popolo che vanta una tradizione culturale molto profonda''

MILANO - "In questo mondo/ io sono un albero/ e il vento canta/ dentro di me": Bruno Morelli, è un rom abruzzese, poeta e pittore. I suo versetti cantano i ricordi dell'infanzia nei campi nomadi e la natura. E non è l'unico poeta rom: in Europa sono decine. "Versi dal silenzio. La poesia dei Rom", (ed. Progetto cultura, 90 pagine, 12
euro; ndr), le cui stampe sono terminate da pochi giorni, è una piccola antologia della vasta produzione poetica romanì. Contiene 37 liriche composte da 22 poeti rom italiani e stranieri ed è stata curata da Francesca Innocenzi, 27 anni, laureata in lettere moderne e autrice di racconti e poesie. "Ho voluto raccogliere e far conoscere uno spicchio della vasta cultura rom - spiega Francesca Innocenzi -.Nei confronti dei nomadi ci sono tanti pregiudizi e molti ignorano che invece sia un popolo che vanta una tradizione culturale molto profonda".

I poeti rom raccontano spesso nei loro versetti le discriminazioni e le persecuzioni di cui sono vittime. Come Saip Jusuf, rom macedone, che in "Apolide" scrive: "A noi perché rom/ ci han rinchiuso/ solo perché siam neri". "In questi autori è centrale il ricordo e la memoria - sottolinea Francesca Innocenzi -. E spesso affiorano dalle loro parole tinte malinconiche e nostalgiche". Una persecuzione che ha avuto il suo apice durante il nazismo, quando circa 500 mila rom furono uccisi nei campi di sterminio. "Nella produzione poetica romanì -aggiunge la curatrice dell'antologia-, occupano un posto di rilievo anche gli elementi primordiali della natura come il fuoco, la terra, l'acqua e l'aria. La natura la sentono vicina".

La vita dei rom oggi è anche fatta di miseria ed emarginazione, di baracche nei campi abusivi o regolari. "Non so che cosa della cultura romanì rimanga in quelle condizioni di vita -sottolinea Francesca Innocenzi-. Ma è anche per questa ragione che è necessario che poesia, musica, pittura, racconti e tradizioni vengano valorizzate e salvaguardate". I proventi della vendita del libro serviranno per sostenere le attività dell'Opera nomadi di Milano. "Abbiamo collaborato alla stesura di questa antologia -afferma Maurizio Pagani, presidente dell'associazione-, perché oggi la questione rom viene affrontata solo dal punto di vista della sicurezza. Ci si dimentica che si hanno di fronte delle persone con una loro tradizione e cultura, con le quali in passato sono stati realizzati, soprattutto nel Centro e nel sud dell'Italia, buoni progetti di integrazione".

Per acquistare una copia di "Versi dal silenzio"
bisogna rivolgersi all'editore (www.progettocultura.it) oppure
all'Opera Nomadi di Milano (www.operanomadimilano.org). (dp)
© Copyright Redattore Sociale

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Di Fabrizio (del 21/07/2007 @ 10:10:48, in Italia, visitato 2165 volte)

Ricevo da Mariagrazia Dicati -da Rom Sinti e politica

Le comunità Rom della Capitale, e non solo, NON HANNO MAI avuto la possibilità di poter far conoscere PUBBLICAMENTE le proprie idee, la propria realtà ed i propri bisogni, ma IERI lo hanno fatto a Roma, hanno avuto la possibilità di esprimere pubblicamente, in una conferenza stampa presso l'Università La Sapienza, il proprio disagio.

Per aver osato tanto (!) Rom e Sinti, immediatamente si sono alzate le barriere difensive: prima con un ambiguo comunicato stampa dell'Arci solidarietà del Lazio ed oggi con le dichiarazioni del Sindaco Walter Veltroni.

Mi viene subito da pensare che la PARTECIPAZIONE ATTIVA di Rom e Sinti fa tanta paura e chi sà perchè?

Sindaco Veltroni a margine di una conferenza stampa in campidoglio, risponde ai rappresentanti di alcuni campi nomadi della capitale: "nomadi e forze politiche abbiano più senso di responsabilità. Nessuno trasferisce nessuno in ghetti, su questa materia vedo tanta insopportabile demagogia, di tutti i tipi: noi cerchiamo delle soluzioni, le stiamo realizzando, vorrei che tutti, Rom e forze politiche, avessero più senso di responsabilità. Vorrei che tutti, a cominciare dai Rom, ma anche da quelle forze politiche che vanno in giro in tutta Roma a dire in tutti i quartieri 'arriverà il campo Rom', seminando un po' di panico e razzismo, salvo essere stati magari quelli che qualche anno fa dicevano di portare in determinati quartieri campi Rom, avessero più senso di responsabilità

Caro sindaco dovrebbe provare con la sua famiglia a vivere per una settimana in un campo nomadi e forse solo così lei potrà capire.

Caro Sindaco non siamo "nomadi" ma siamo delle minoranze etniche denominate Rom e Sinte e la preghiamo di chiamarci con il nostro nome, anche se personalmente non mi dispiace essere chiamato " zingaro" e non certamente "nomade".

Nella intervista spiega Veltroni: "un problema molto serio e importante che va affrontato tutelando la sicurezza dei cittadini e garantendo ai nomadi la possibilità di vivere, di farlo nel rispetto delle leggi".

Caro sindaco è ora di finirla con la barzelletta della legalità e della sicurezza, pensata dall'ex sindacalista Sergio Cofferati ed imitata in molte città dell'Italia alla pari di una "moda", o di uno "status simbol" dell'amministratore pubblico.

Caro sindaco ascolti di più Rom e Sinti e molto meno le organizzazioni pro rom, certamente ne trarrà beneficio tutti i cittadini che lei amministra

Caro sindaco la questione rom è si legata ad un problema di sicurezza e di legalità, ma di sicurezza abitativa e di rispetto della legalità nell'applicazione delle norme e dei principi da parte di pubblici amministratori, non sono io a dirlo ma le diverse condanne all'Italia dalle Istituzioni Europee ed internazionali.

Non rovesciate le responsabilità ancora una volta, come è consuetudine fare quando si tratta di Rom e Sinti.

Nazzareno Guarnieri

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