Rifugiati ex Bosniaci e Rom, deportati dall'Europa occidentale, sono
ammassati nella regione più remota ed isolata della Serbia
By Zoran Maksimovic in Novi Pazar
Djijan Osmanovic, nove anni, conosce a malapena qualche parola della sua lingua
madre rom. Non conosce nemmeno il serbo, la lingua del paese da cui arrivano i
suoi genitori e dove ora vive.
Giocando tra le case in rovina nel quartiere di Savci a Novi Pazar,
preferisce chiacchierare in tedesco, che ha appreso vivendo all'estero.
Nato da genitori rifugiati in Germania, la famiglia di Djijan si è poi
spostata dopo in Danimarca. Ma nel 2004, quando aveva sei anni, la sua famiglia
fu deportata indietro a Novi Pazar, la più grande città nella regione più
isolata di Serbia, il Sangiaccato musulmano.
Nel quartiere di Savci, dove la sua famiglia vive con altre 37 rimpatriate,
molti preferiscono parlare tedesco invece che serbo o romanes.
E' questo certamente il caso dei circa 80 bambini che frequentano la scuola
elementare di Savci.
"Ho dovuto imparare il tedesco per parlare con i miei compagni," ci dice il
piccolo Djijan in tedesco fluente. "Ora, sto cercando di imparare il serbo a
scuola, ma è un grande problema perché non conosco la lingua e qui tutto è
differente."
Suo padre, Saban, dice che Djijan e i suoi altri figli non hanno frequentato
immediatamente al loro ritorno in Serbia, perché i bambini non conoscevano la
lingua.
Nel Sangiaccato, una regione all'incrocio di tre confini di stato: Serbia,
Montenegro e Bosnia, sono ritornate circa 50.000 persone dal 2000.
Molti lasciarono questa parte della Serbia negli anni '90 a causa delle
guerre, della discriminazione di Belgrado contro le minoranze non-Serbe e del
pervasivo sentimento di insicurezza sociale.
La maggior parte è ritornata a Novi Pazar, seguita dalla vicina Sjenica, dove
secondo le statistiche un cittadino su quattro è un rimpatriato.
La maggior parte proviene dalla Germania - oltre il 70%. Il resto del grande
numero arriva da Olanda, Svezia, Danimarca e Lussemburgo. Il più alto tasso di
rimpatri è stato registrato nel 2003 e nel 2004, quando una media di 900/1.000
persone tornavano ogni mese.
Reintegrazione, un'organizzazione locale che agisce con queste persone, dice
che un terzo di loro è stato deportato, cioè che non ha fatto ritorno
volontariamente.
Kadrija Mehmedovic, presidente di Reintegrazione, ci ha detto che per i
bambini l'ignoranza della lingua nazionale non è l'unico ostacolo che hanno i
rimpatriati. "In media, queste famiglie sono rimaste all'estero per 12 anni,"
dice Mehmedovic.
"Almeno l'80% dei bambini di 12 anni o meno, sono nati all'estero, oltre la
metà non parla serbo e oltre il 30% non è iscritta a scuola," aggiunge.
Mehmedovic dice che al ritorno in Serbia i rimpatriati affrontano povertà e
disoccupazione, e specialmente lamenta il fallimento del governo nel predisporre
programmi speciali per aiutare i bambini rimpatriati nel frequentare la scuola.
Le critiche appaiono ben fondate. La Serbia non ha una strategia sui rimpatri
e non ha aperto centri per aiutarli. Molti hanno perso i loro documenti
personali nel paese da cui arrivano. Un gran numero di cose è cambiato nel
frattempo in Serbia.
Safet Osmanovic dice che quando ha fatto ritorno a Savci, ha trovato la sua
casa distrutta e invasa dalla boscaglia. Lui e sua moglie sono disoccupati come
la maggioranza dei rimpatriati.
"Soltanto il 2% dei rimpatriati ha un lavoro permanente e nessuno ha
ritrovato il lavoro che aveva prima di partire," spiega Mehmedovic.
Hajrija Redzovic partì nel 1999 per la Germania, finendo nella città di Wilhelmhaven
nel centro per richiedenti asilo.
In Germania, ottenne immediatamente i diritti da rifugiata per l'assistenza
sociale e partorì una figlia. Ma sulle basi di un accordo che la Serbia ha
firmato con 17 paesi dell'Europa occidentale lo scorso luglio, Redzovic fu
deportata in Serbia assieme a suo marito e sua figlia Emma.
"Alle 6 di mattina quattro poliziotti entrarono nel mio appartamento e ci
dissero che avevamo un'ora per sgomberare," ricorda. "Il bagaglio non poteva
superare i 36 Kg., che è quello che abbiamo caricato sull'aereo. Sono tornata a
casa con praticamente niente."
Al ritorno in patria, Redzovic ha affrontato diversi problemi. Non aveva
documenti personali e sua figlia non aveva il certificato di nascita e così non
è stata ammessa nel registro serbo delle nascite.
Numerosi Rom e Bosniaci al loro ritorno si sono insediati nel Sangiaccato
anche se non erano originari della regione, ma del Kosovo. Il Sangiaccato è
vicino al Kosovo ed il rimpatrio nello stesso Kosovo è fuori discussione per
l'ostilità albanese.
Hamid Pepic è tra loro. Dopo che la sua casa in Kosovo fu distrutta nella
guerra del 1999, ottenne asilo per diversi anni nei Paesi Bassi. Ma ora è stato
rispedito in Serbia per vivere in Sangiaccato con i suoi sei familiari. Senza
alcun legami con quest'area, non ha neanche alcuna fonte di sostentamento.
In base alla Convenzione di Ginevra, quanti dalla ex Yugoslavia lasciarono il
paese per i paesi dell'Europa occidentale, dove ottennero lo status di
rifugiati, perché erano stati violati i loro diritti umani e di minoranza ed
erano chiaramente in pericolo.
Ma dopo vennero create le condizioni perché quei diritti fossero restaurati.
La Serbia fu obbligata a riaccettare quei cittadini, in base agli accordi
firmati con i 17 paesi occidentali.
Georg Einwaller, dell'ambasciata tedesca di Serbia, dice che sono necessari
più lavori bilaterali per aiutare le famiglie di ritorno nel Sangiaccato, che
hanno passato anni fuori dalla Serbia e dimenticato la loro lingua e cultura.
"Abbiamo lavorato assieme ai nostri colleghi in Serbia sulla loro
reintegrazione e il miglioramento della loro posizione," dice. "Risolvendo il
problema dei documenti, possiamo aiutarli nell'esercizio dei loro diritti
sociali, sanitari e scolastici."
Ma Kadrija Mehmedovic enfatizza che dietro le istituzioni internazionali, le
autorità locali e il settore OnG, è lo stesso governo serbo che necessità di
essere assistito.
E' d'accordo
Marija Vojinovic, assistente del direttore del Servizio Serbo per i Diritti
Umani e delle Minoranze, l'unica organizzazione che agisce con i rimpatriati.
Stima che almeno 150.000 possono tornare in Serbia tra quest'anno e il prossimo,
la metà di loro Bosniaci del Sangiaccato.
Vojinovic reclama che il Servizio per i Diritti Umani e delle Minoranze ha
prodotto una strategia ed un piano d'azione, il problema è che non sono stati
implementati.
Hannelore Valier, capo della missione OCSE nel dipartimento democratizzazione
in Serbia, dice che il tema dei rifugiati di ritorno non incontra una gran
sensibilità. [...]Potrebbe essere "un pericolo per la stabilità della regione",
ammonisce.
Zoran Maksimovic is a freelance journalist in Novi Pazar. Balkan Insight is
BIRN`s online publication